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Autore: Black Angel    27/09/2005    3 recensioni
Diversità… suona strana questa semplice parola, vero? Possiede in se un significato talmente ampio e soggettivo che nessuno sembra conoscerne il confine. Ancora più raro è colui che sa definire ciò che è “diverso”. Perché questa cosiddetta diversità è posta proprio sul confine della normalità. Normalità imposta da noi stessi e da questa società, che tenta sempre di nascondere tutto il marcio che produce. Ma cos’è in realtà la normalità? Su cosa fa base questa parola che tutti vogliono raggiungere, come se al suo interno vi fosse la più completa perfezione? Diversità…normalità: chi ne decide il confine? [seguito di Moment]
Genere: Drammatico, Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. If only…

Colonna sonora: Nightwish – Two for tragedy

 

Quella domanda risuona all’infinito nel silenzio freddo contornato dai tuoni.

E’ come un disco rotto che non vuole arrestarsi e che si ripete nell’infinito della tua testa. Un’allucinazione che sovrasta il silenzio reale.

- Cosa siamo noi per te? – cinque parole che paiono un incantesimo in grado di bloccare l’avanzata di nostra madre, di bloccare il respiro accelerato di Steve, di bloccare la mia mente in uno stato di totale ripetizione.

La nostra genitrice si volta verso di noi, i piedi che ancora sono incerti tra il terzo e il quarto scalino, mostrandoci quanto il suo volto abbia risentito di tutto questo: dell’arresto cardiaco, del ricovero, di questo continuo ignorarsi, della scoperta fatta quella lontana sera che già risentiva dei primi spruzzi di Settembre. Anche lei sta soffrendo molto e questo dolore sta strappando bruscamente i veli della bellezza dal suo volto. Anche lei si sta corrodendo nella colpa che la sta privando del dolce sapore della gioia, della felicità, della serenità. Anche lei è come noi.

Sul suo viso cade una lacrima, una perla bianca che solca la gota intrufolandosi tra le rughe, non ancora profonde, fino a cadere tra l’abbraccio delle sue labbra scure. Apre la bocca e io sono lì, sull’orlo di un burrone, in attesa del giudizio celeste che mi scaglierà la dove merito o forse premierà il mio amore. E la cosa che mi fa più soffrire in tutto questo è che qualsiasi giudizio mi sarà dato questo si ripercuoterà anche su Steve, lui che ora fissa ammutolito quella donna un tempo forte e sicura di tutto, lui che ha sempre incrociato le dita con le mie portandomi in un mondo che credevo inesistente.

- Voi…- esita, incapace di dare un seguito. E io inizio a pregare un perdono, a supplicare una nuova possibilità che, sì, non merito, lo so, ma che ciononostante non posso fare a meno di desiderare. Basterebbe un semplice frase – Voi siete i miei figli – e tutto tornerebbe come prima, o quasi.

Lei abbassa il capo, respira un paio di volte e poi lo rialza. Nel suo volto vedo riflettersi la mia stessa espressione: disperata, ma nel contempo decisa, quasi spietata. E inavvertitamente rabbrividisco nel scontrarmi con uno specchio di me stesso.

- Voi siete dei mostri - lo dice piano, senza fretta, respirando profondamente dopo ogni parola che diventa un taglio nel nostro petto - Quale mente perversa potrebbe provare piacere nel condividere il letto con il proprio fratello? – scuote il capo, il disgusto che lotta con l’affetto che non riesce a sopprimere – Voi non potete essere i miei bambini – le lacrime scendono brutalmente dai suoi occhi – Non lo siete affatto -.

Fine.

La parola tanto agognata ora riesco a leggerla, riesco a sentirla dentro il mio petto che sembra fracassato visto tutto il dolore che sento. Realizzo appena che mia madre è corsa in camera sua, prima di cadere sulle pesantemente sulle mie stesse ginocchia. Il cielo ha dato il suo giudizio ed un suo dito mi ha spinto bruscamente verso il vuoto, strappandomi tutta la forza e la voglia d’agire, come se fossero delle semplici vesti sgualcite. Nulla tornerà come prima, questo è il confine di non ritorno.

Fine.

 

Finalmente l’ha detto. Ha pronunciato quelle parole magiche che hanno segnato la nostra fine.

Un respiro di sollievo si solleva in aria ed è solo dopo qualche istante che comprendo che quel respiro è il mio. Sì, lo so che è ridicolo ma mi sento stranamente sollevato. Sconfitto e sollevato, due sentimenti che si crederebbe impossibile provare insieme. Ma cosa, in tutto questo che abbiamo passato, si può considerare usuale? Nulla, davvero nulla. Cavolo, sono a un passo dal ridere. Ci credereste? Una di quelle risate liberatorie, che fai nel mezzo delle lacrime, che non sai spiegarti nemmeno da dove sia nata.

Il fatto è che immaginavo da tempo i sentimenti che nostra madre covava nel silenzio del suo cuore ma ora, a sentirli detti in un flebile mormorio così diretto, beh mi pare così ridicolo che pare uscita da una barzelletta.

Mi chiedo se stia iniziando a dare di testa o se sia solo la mia stanchezza a farsi sentire in questi momenti di follia. Perché tanto sano non devo essere se ciò che provo dopo che mia madre mi ha dato del mostro è un’inspiegabile voglia di ridere.

Guardo Michael, in ginocchio sul pavimento con le braccia che ricadono molli lungo i suoi fianchi, quasi appendici inutilizzate del suo corpo, ed il capo appena sollevato su quelle scale su cui prima troneggiava la nostra dolce mamma. Mi accorgo che i suoi occhi liberano lacrime prive di sofferenza, prive di forza, come se lui stesso non si stesse rendendo conto di quell’acqua salata che solca il suo viso, come se il suo corpo reagisse per conto suo. Rimango abbagliato dal dolore che quell’immagine trasmetterebbe a chiunque, perché il suo non è un dolore qualunque, il suo è un dolore che splende, che brilla di una luce tanto chiara da ricordare il sole. E’ un dolore umano, che in me manca. Sì, sto proprio ammattendo ragazzi!

Mi inginocchio dietro di lui, il mio petto che s’accosta alla sua schiena, scivolando perfettamente l’uno sulla curva dell’altro. Le mie mani risalgono lungo tutta la sua figura fino a fermarsi sui suoi occhi bagnati dove si fermano, come se stessimo giocando a quello stupido gioco in cui un cieco deve indovinare chi lo ha privato della vista. La mia fronte si rilassa contro i suoi capelli morbidi ed il suo profumo mi avvolge come un sottile tessuto di raso. Mi chiedo se riuscirò mai a rubare un frammento di questo suo splendore. Sarebbe sufficiente un unico infinitesimale pezzo per far battere ancora il mio cuore. A dirmi che ancora c’è in me qualcosa di umano.

- E’ tutto finito Michael – gli dico piano, non sapendo se ci sia o meno da rallegrarsi per questo – E’ tutto finito – ripeto, una mantrana a cui si da voce per consolare un bimbo piangente. Ma il mio piccolo angelo non dice nulla, rimane in silenzio senza nemmeno singhiozzare. E così lo chiamo, invoco il suo nome nella speranza che si risvegli da quel torpore che lo priva dalle parole. Invano. Ormai dovrei essermi abituato al fatto che tutte le mie preghiere non siano altro che buchi nell’acqua.

Sospiro pesantemente e, per un attimo, rimango immobile, senza sapere che dire o che fare. Ed infine mi rialzo, tentando di far fare la medesima cosa a colui che pare essersi perso in un modo a se sestante fatto di vita dissolta il lacrime vuote. Nuovamente sospiro il suo nome, senza che questo abbia alcun effetto su di lui.

Così mi costringo a prenderlo tra le braccia e rabbrividisco quando, inconsciamente, paragono quel corpo tanto perfetto a quello di una bambola rotta, ormai abbandonata tra le cose inutilizzate nonostante la sua bellezza. Lo stringo forte a me, arrampicandomi, successivamente, sulle scale fino a trovare rifugio nel tepore famigliare della mia camera.

Mi abbandono sul letto e la sua morbidezza rassicurante scioglie ogni mia tensione, quasi fosse una reazione meccanica, quasi come se i miei muscoli fossero programmati per lasciarsi andare ogni volta che entrano in contatto con questo conosciuto giaciglio cha ha raccolto ogni mio sentimento. Stendo pigro le gambe, lasciando che la schiena si poggi contro il muro. Faccio stendere Michael tra i miei arti inferiori, accompagnando la sua schiena sul mio petto e lui, senza alcuna reazione, rimane in quella posizione, proprio come una bambola senza vita. Inutilmente lo scuoto e lo imploro di parlarmi, di dirmi qualcosa, qualunque cosa. Ma lui rimane immobile, senza alcuna piega che tinge il suo volto spento. Così mi limito ad osservarlo, asciugando piano quei fiumi che brillano d’argento sulla sua pelle candida e che, al contatto con le mie dita, perdono tutta quella bellezza che le caratterizzava sul suo viso, come se il mio tocco le avesse ricoperte di un velo opaco.

Passano i minuti e lui ancora non reagisce. Ad ogni ticchettio d’orologio mi sembra che la sua anima vada sempre più lontano, in un luogo che io non posso raggiungere. E poi la vedo, la sua parte incorporea, che si stacca lentamente dal suo corpo come una patina sottile, come la copertina trasparente di un libro. Senza neanche accorgermene, mi ritrovo a stringerlo con una tale forza che ho l’impressione di poterlo spezzarlo e con una tale disperazione che fatico a trovare nel mio stesso cuore.

Eppure lui non dice nulla, neanche un gemito infrange le sue labbra. Allora inizio ad avere paura, a temere di aver perso quell’anima, quel velo di luce sottile che sono riuscito a vedere nonostante consciamente so che esso non poteva essere reale.

- Michael non puoi andare - gli dico, un pianto soppresso che arranca nella mia voce malferma – Se mi lasci anche tu non riuscirò più a vivere in questo schifo di mondo – gli confesso senza alcuna vergogna e senza alcuna vergogna lascio che alcune lacrime bagnino il mio volto, dopo anni di siccità. Perché in ciò che io e mio fratello condividiamo non c’è nulla di vergognoso…vero?

E come una risposta la linfa vitale torna a serpeggiare nel corpo che stringo, il quale lentamente si muove rigirandosi nell’abbraccio, con la medesima pesantezza che ha un dormiente.

- Ma io non ce la faccio più – ribatte in un soffio, appoggiandosi con la fronte al mio petto. Nonostante le sue parole siano di profonda sconfitta, non posso che sentirmi sollevato nel risentire la sua voce tinta di quel tono dolce che sembrava aver perso due mesi fa – Davvero non ce la faccio più, Steve. Sono così stanco di tutta questa finzione. Una finzione che non ci ha portato a nulla, una finzione del tutto inutile -

Sospiro pesantemente e chiudo per un attimo gli occhi. Comprendo perfettamente ciò che prova Michael, perché anch’io sono stanco di questa stupida messinscena. Stufo di fingere che tutto vada per il verso giusto nonostante la mia famiglia si stia sgretolando sempre di più. Stufo d’indossare quest’abito di eterno play-boy che mi è stato cucito addosso, quando, invece, sono perdutamente innamorato di mio fratello. Stufo di fingermi un moralista, un perbenista, un uomo senza peccato quando, in realtà, non sono altro che un maniaco. Sì, perché io questo sono: un lurido, perverso, sporco incestuoso!

E sono veramente stanco di rinnegare perfino me stesso, di rinnegare questo mio orribile sentimento che io oso elogiare con il nome di amore.

Vorrei gridarlo, gridarlo ad ogni vento che amo questo splendido angelo che ora sta tra le mie braccia! Ma non posso farlo perché in questo essere meraviglioso scorre il mio medesimo sangue.

Perché questa è la nostra unica colpa.

- Perché, Steve? – mi chiede, risvegliandomi dai miei pensieri.

La sua voce vibra confusa mentre le sue mani si aggrappano disperate al mio maglione, facendomi sentire come se fossi il suo unico appiglio per non cadere in una valle oscura chiamata oblio.

- Cos’ha il nostro amore di sbagliato? In fondo…- esita un attimo, forse incapace di scegliere le giuste parole - In fondo non è uguale a quello che nasce tra un uomo ed una donna? -

Un sorriso mi sorge spontaneo sulle labbra, nato dalla tenerezza che nutro per questa sua concezione tanto fiabesca della vita, dell’amore, dell’ipocrita società che ci circonda. Davvero, alle volte sembra proprio una bambino: ancora innocente e puro, nonostante tutto quello che ha dovuto passare.

- Quanto sei ingenuo, amore mio – commento dolcemente, accarezzandogli il capo. Ma lui si scrolla da quel mio gesto affettuoso e, sollevando il volto, mi osserva con uno sguardo del tutto contrariato

- Perché dici così? Dimmi: cosa c’è di diverso tra il nostro amore e quello tra Jane e Lora? Cosa c’è di diverso, ancora, tra il nostro amore e quello di una coppia definita normale? – i suoi occhi d’argento paiono raddolcirsi un poco mentre intreccia la mano con la mia, poggiata sulla mia gamba – Non desideriamo anche noi restare insieme in eterno? Non sacrificheremmo anche noi tutto per il bene dell’altro? Senti…- mi ordina, appoggiandosi la mano sul petto – Senti come batte forte il mio cuore quando tu mi sei accanto? -

Certo che lo sento! E’ un tamburo contro le sue ossa, che poi rimbomba nella sua carne e si sparge lungo tutto il suo torace ad un ritmo accelerato, quasi febbricitante. Ma nonostante questa sua velocità a me appare come un suono rilassante, un suono che mi entra dentro e che si fonde con la mia anima, diventando parte di me…per sempre…

- Lo senti, Steve? – mi risveglia da quell’incanto, con una lieve domanda – Non è diverso da quello di una ragazza che incontra il suo oggetto d’amore. Allora cosa c’è di tanto diverso in noi per essere definiti perversi e per essere rinnegati dalla nostra stessa madre? – negli specchi lunari, che sono i suoi occhi, vedo posarsi il velo della supplica – Se lo sai, ti prego, rivelamelo. Perché io sto impazzendo per trovare una risposta -

Mi sembra un cucciolo spaventato, ora. Un cucciolo confuso davanti allo strambo e contorto giro del mondo a lui estraneo fino a poco tempo prima, quando il suo universo si limitava ad essere la sua piccola e calda tana. Ma prima o poi ogni creatura deve lasciare il proprio nido e deve affrontare la durezza della realtà, cadere nel turbine accecante del caos, attendendo un lume che gli porti la risposta. Giusta o sbagliata è di secondaria importanza. Vorrei essere io quel lume, ma, purtroppo, anch’io sono caduto nel medesimo turbine e anch’io arranco alla ricerca di una risposta, che tutt’ora non riesco a trovare.

E d’improvviso mi rendo conto di una cosa, di una cosa così scontata che la mia mente non ci si era mai soffermata: io sono solo un uomo! Un misero, debole uomo travolto dalle onde del Fato. Mi sento schiacciato da una tale rivelazione che sento il respiro mancarmi man mano, finché il mio sguardo non cade sulla bocca semiaperta del mio angelo, che ancora attende la sua risposta. Il mio ossigeno.

Poggio entrambe le mani sul suo volto, trascinandolo sulle mie labbra e baciando con la foga di colui che, annegando, respira le prima boccata d’aria. Lentamente la nostra unione si trasforma in passione violenta, di cui entrambi abbiamo estremo bisogno. Perché l’uno è necessario alla vita dell’altro quanto l’aria che entra nei suoi polmoni. Perché questo ci fa capire che siamo vivi nonostante tutto.

Quando ci separiamo, sono le nostre fronti ad entrare in contatto, lasciando così i nostri occhi liberi di riflettersi nella meravigliosa profondità delle iridi di colui che ci è dinanzi. Per un momento il mondo attorno a noi sparisce e rimaniamo solo noi, ansimanti ed abbracciati su questo letto. Ma se fosse realmente così, se realmente noi due fossimo gli unici abitanti di questo universo, allora non sentirei il mio cuore tanto martoriato per una colpa che la società, la morale e quant’altro continua a darmi.

- Non lo so – ammetto – Non ho una risposta a questa domanda. La verità è che a chiunque porrai questo quesito ti risponderà semplicemente con un  “Non è normale” o “Non è morale” o, ancora, “E’ disgustoso”, senza che riesca, tuttavia, a spiegarti un perché che vada oltre alla stupida definizione di “Siete fratelli”. E pur non riuscendo a dare una motivazione alle loro affermazioni, hanno l’esuberanza di nominarsi tuoi giudici e di colpevolizzarti per aver provato il sentimento più meraviglioso che un semplice uomo possa provare -

- Io non ho più la forza per sopportare tutto questo, Steve – la sua testa cade mollemente sulla mia spalla, intanto che il suo corpo segue la stessa sorte sul mio petto. E’ stravolto ed è a un passo dalla caduta.

- Sono arrivato persino a pensare che l’unica soluzione per uscirne sarebbe…- si arresta un attimo ed inspira profondamente, per poi rivelare, in un alito di vento, la continuazione della sua frase -…la morte -

Sgrano gli occhi, stupito da quella parola che mai avrei immaginato di sentire dalla sua bocca vanigliata. Eppure non sono inorridito o, peggio, terrorizzato da quella rivelazione, anzi mi appare estremamente sublime, velata di una macabra malinconia che porta in se il canto della fanciulla che vede allontanarsi la barca dove il suo amato riposerà per l’eternità, la flebile preghiera del cavaliere chinato sul corpo inanimato del compagno che era anche amico e fratello, lo scoppiettare lento del fuoco che corrode la carne morta di un giovane Marte portando la sua anima nell’Ade.

Tutto questo è ora per me la morte.

Non paura, non rancore, non rabbia…nulla di tutto questo…

- Lo faresti con me, Steve? – mi chiede. Ha alzato la testa, permettendo ai suoi occhi di fissarsi bene sui miei – Abbandoneresti questa vita con me? -. E’ una richiesta timida, quasi timorosa, nonostante un’espressione estremamente decisa troneggi sul suo volto. E’ serio, terribilmente sicuro delle sue parole. E da me vuole unicamente una semplice risposta: un sì o un no, null’altro. Per uno strano scherzo del destino, sembra che mi abbia appena posto una proposta di matrimonio. Ma poi, in fondo, cos’è il matrimonio se non una promessa di rimanere insieme per l’eternità? Allora questo sarà il nostro matrimonio!

- Io ti amo, Michael! Ti seguirei in capo al mondo, fin tra le braccia di Lucifero per rimanere con te –

Un sorriso dolcissimo si scioglie sul suo viso e la commozione gli vela appena gli occhi, prima che si getti nel mio abbraccio, sprofondandoci completamente dentro. Il calore del suo corpo invade il mio con una tale forza che, per un attimo, ho l’impressione che potrei soffocare e, di certo, non mi dispiacerebbe dire addio al mondo così. Allo stesso modo anche il mio fuoco lo invade, incendiandolo.

Lentamente i nostri corpi si confondono, si fondono insieme come i nostri respiri, diventando un’unica cosa. Iniziamo una calma ricerca di un contatto più profondo, che riesca a far toccare le nostre anime e a farle vibrare insieme per un solo estasiante momento. Le nostre mani vagano amorevolmente sul corpo dell’altro, come lo sfiorarsi di due fiori, per poi intrecciarsi e con loro le nostre bocche.

Mi sdraio, permettendogli di avere il sopravvento su di me, perché ormai io sono in sua totale balia. Io, vanità fatta a persona, sono diventato suddito di questo Patroclo. Qualunque cosa egli mi dicesse diventerebbe la mia legge, il mio credo, il mio ideale. Lotterei, morirei e risorgerei per un suo semplice desiderio.

Eppure anche lui è solo un misero uomo, con le sue debolezze e le sue forze che lo rendono unico tra tanti altri individui. Anche lui è un effimero essere che verrà sopraffatto dalla morte. Un bellissimo essere, il mio adorabile fratellino.

- Come? – mi domanda, sfiorandomi il profilo con la morbidezza delle sue labbra. Quello in cui sono ora è uno stato di totale abbandono: le mie braccia sono allargate sulla trapunta, i miei occhi socchiusi che seguono appena la sagoma scura del mio compagno, la mia mente persa nel più totale piacere dei sensi, tanto lontana da questo mondo terreno che nemmeno il fumo potrebbe portarmi in un punto più elevato.

Il mio cervello si muove pigramente per cercare una risposta a quella domanda che era scontata. Come?

Una lenta agonia che ci permetta di assaporare passo per passo la morte o l’istantanea separazione da questo mondo che ci ha ripudiato? Però questo dev’essere il nostro matrimonio e quale cerimonia nuziale si celebrerebbe nel giro di un attimo? No, dobbiamo farlo con calma fino ad arrivare a desiderare l’apice di questa nostra macabra unione.

Lo informo di questa mia scelta, strascicando appena le parole con voce roca, mentre lui giocherella con il bordo del mio maglione, accarezzando la pelle bollente che si nasconde sotto di esso. Mi scruta per un attimo, inclinando il capo da un lato, come se stesse riflettendo sulla mia proposta. Poi sorride, ingenuamente, ed è simile ad un bambino che ha appena ricevuto la notizia di una gita a lungo sognata.

- Sì – annuisce appena, abbassandosi a sfiorare i miei zigomi – Lentamente -

La sua voce vellutata e seducente, la sua mano morbida e voluttuosa sotto il tessuto spesso, la luce della notte flebile e sinuosa sul suo corpo, il suo respiro frammentato e roco. Se esiste un paradiso, io ci sono appena arrivato. E nel mio animo si allarga un desiderio: rimanere così per sempre, finché il mondo non troverà fine, finché giusti ed ingiusti si mischieranno senza più alcun titolo fuorché quello d’anime. E’ un desiderio talmente forte, questo, che mi sento il mio cuore stretto in una corona di spine di rosa.

- Le vene -

Socchiudo gli occhi, confuso – Cosa? -

- Tagliamoci le vene – ripete lui, sedendosi sulle mie gambe ed obbligandomi a puntellarmi sui gomiti per poterlo guardare – Dovrebbe essere abbastanza lento, no? – suggerisce, temendo di aver detto qualcosa di assolutamente sbagliato.

Nonostante l’idea di abbandonare questo mondo in un bagno del nostro stesso sangue sia tanto macabra da poter far inorridire chiunque, io trovo che sia un’immagine meravigliosa per la nostra fine. Dire addio a tutto questo inondati dal sangue stesso che ci ha maledetto: nulla di più ironico, nulla di più perfetto.

Annuisco con un sorriso dolce sulle labbra, ed allungo una mano verso il suo volto, accarezzando la guancia arrossata e bollente come se avesse la febbre.

- Va a prendere un coltello – gli dico. Lui esita un istante, un solo brevissimo istante e per in quel piccolo spazio temporale riesco a vedere tutta la nostra vita che s’allungherebbe da questa notte in poi: i silenzi eterni con nostra madre, l’attenzione riposta in ogni nostro gesto ogniqualvolta siamo fuori da queste mura, le scuse, le infinite bugie trovate per rimanere soli, per non far scoprire al mondo il nostro segreto. E mi sento soffocare da una visione tanto faticosa del nostro futuro. Un panno di grezzo lino mi si attorciglia al collo, graffiandomi la pelle e impedendo all’aria d’entrare: è così che mi sento.

Ma fortunatamente è Michael a liberarmi da quel ceppo. Scuote lievemente il capo, come se dovesse cacciare da esso qualcosa di fastidioso, e scende giù dal letto.

- Torno subito – dice, prima di sparire dietro la porta.

Mi lascio ricadere sul materasso con uno sbuffo stanco che si solleva dal mio volto. La spossatezza di tutti quei mesi sembra scivolare verso il basso, mentre sono così vicino alla morte da poterne quasi udire i passi, mentre nella mia mente vive unicamente il pensiero di Michael, di noi due insieme. Sorrido sarcastico, chiudendo gli occhi: mi avete umiliato, mi avete additato, mi avete nominato con ogni genere di offesa che uomo potesse pronunciare, ma a nulla è servito tutto il vostro lottare. Io rimango innamorato di lui, di quell’angelo dagli occhi grigi che questa notte porrà la parola fine sul suo libro e sul mio. Io rimango il pervertito che vi ha fatto ribrezzo, che vi ha fatto girare lo sguardo ogni volta che passava, come se voi stessi poteste macchiarvi del mio peccato soltanto guardandomi.

Io rimango diverso. Il diverso che viene cacciato dal seno della propria madre.

Davanti agli occhi ho ancora la sua figura sottile e appassita dalla recente malattia, che tremava davanti alla vista che aveva dinanzi: i suoi bambini…cos’erano diventati?

Il suo mormorio confuso, incredulo davanti alle effusioni fin troppo intime delle sue creature, il suo sguardo in bilico tra incredulità e disgusto, e, infine, il suo urlo, dentro il quale si udiva unicamente l’odio più profondo.

- Voi non potete essere i miei bambini -

Il pianto mi stringe la gola ripensando a quelle parole che hanno posto una cicatrice profonda nell’animo di entrambi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Se persino la nostra amata madre ci rifiuta e ci indica come dei mostri, che speranze abbiamo che questo mondo ci comprenda e comprenda il nostro sentimento? Nessuna.

Quante speranze abbiamo che qualcuno si avvicini a noi, ci stia accanto sostenendoci in questo folle universo fatto di giudizi ed ipocrisie? Due, e i loro nomi sono Mary-Jane e Lora.

Mi dispiace abbandonarle così, senza neanche dire loro un addio. Ma molto probabilmente ci rincontreremo all’inferno, perché, nonostante il loro buon cuore, anche loro si ritrovano ad aver infranto una legge divina.

Ma come si può definire tale legge giusta, quando ostacola il sentimento che tutti eleggono come il più bello?

Non lo so. Proprio non lo so.

 

Le mie mani tremano. Vibrano scosse da un terremoto interiore. Paura, esitazione, eccitazione. Non so dare un nome a ciò che si scatena dentro di me. Probabilmente sono tutte queste cose che si mischiano, si fondono, si sciolgono le une nelle altre, creando una sostanza arcana ma non per questo meno micidiale.

Ho quasi il timore di non riuscire a portare questo coltello fino in camera senza riempirmi di ferite e piccoli tagli e, in effetti, qualche piccola linea rossa si apre infuocata sulle mie dita. Ma sono talmente assorto nei miei pensieri, nelle sensazioni che fanno battere senza interruzione il mio cuore, che neppure me ne accorgo. E quando mi affaccio nella stanza di mio fratello, questo è davvero un particolare completamente inutile nella mia lista personale di priorità. I miei occhi si soffermano curiosi ed estasiati dinanzi all’immagine del mio amante, così come lo sarebbero dinanzi all’Estasi di Santa Teresa del Bernini: ammaliati da tanta bellezza, ma anche turbati dinanzi ad un’espressione che nasconde ben più di ciò che esprime. E nel medesimo modo mi appare quella di Steve, rilassata eppur concentrata morbosamente su qualcosa che non riesco ad individuare. Poi, quando ipotizzo cosa possa essere, mi sento mancare: con quale coraggio ho chiesto a lui di sacrificare la sua vita soltanto per soddisfare il mio mero egoismo? L’ho pregato di donarmi la sua morte, quando io stesso m’ero inconsciamente ripromesso di tenerlo il più lontano possibile da quel nero velo. Ma il mio egoismo ha offuscato questo mio patto. O forse è stata la vigliaccheria a farlo, perché, da solo sarei incapace di lasciare la vita terrena. Mi do, mentalmente, del deficiente per aver valorizzato a tal punto le mie basse volontà, deciso a porre fine a quella stupida idea che, in un momento di debolezza, m’era saltata alla mente.

- Steve – lo chiamo, e i suoi occhi lenti accarezzano la mia immagine. Un sorriso tenero puntella un angolo della sua bocca voluttuosa e io mi sento sciogliere.

Dovremo separarci.

Quest’idea rimbomba peggio di un colpo di pistola nella mia testa.

Per il bene della nostra famiglia dovremo troncare il nostro amore.

La sola e vaga visone di questa prospettiva fa sgorgare sangue vivo dai miei occhi.

Nostra madre ci obbligherà a porre fine a tutto questo.

Mi sento finito, distrutto, morire al sol pensiero.

Posso sopportare, seppur con tanta difficoltà, che io sia un essere ripugnante per mia madre, ma non posso sopportare che tutto questo finisca, che il sorriso dolce di Steve non risplenda più solo per me.

- Ehi, che hai? – mi domanda, puntellandosi su un gomito e guardandomi con aria confusa. Senza accorgermene il mio volto ha assunto sfumature che recano lievemente il peso dei miei pensieri e la lotta che il mio ego sta intraprendendo. Da una parte desidero fortemente dare un taglio a questa vita per poi, magari, rinascere felicemente nella prossima. Ma dall’altra non voglio trascinare il mio amante con me. Perché lo amo, lo amo così tanto che il mondo stesso perde ogni significato dinanzi a lui. Io stesso, perfino, mi annullo, inghiottito dal mio stesso sentimento.

Ma, fortunatamente, è lui a dissipare ogni mio dubbio e, come se avesse letto lo scorrere dei miei crucci, mi parla con la sua voce profonda che m’accarezza come il mare piatto di un tramonto d’estate – Vieni qui e non preoccuparti di nulla – io m’avvicino, un’automa che segue indistintamente ogni ordine. Una volta che sono vicino al letto, lui mi cinge la vita con entrambe le braccia, appoggiando il capo sul mio ventre.

- Una volta mi chiedesti di trascinarti nella mia eternità, ti ricordi? – mi domanda, mentre le sue ciocche scure scivolano sulla mia maglia come gocce di china. Mugugno un sì pensieroso e lui continua – Questa notte lo farò. Renderò entrambi eterni come eterno sarà questo momento, quindi non esitare perché io voglio esattamente quello che tu vuoi, null’altro – alza lo sguardo per incontrare il mio. Le mie ginocchia tremano quando quelle iridi azzurre mi mostrano la medesima espressione che sta sui miei ogni volta che lo guardo. Non credevo potesse essere tanto intenso questo sguardo - Non ti lascerò, né ora né mai -

Non so se conosciate la sensazione che avvolge l’animo sentendo tali parole dalla persona amata. E’ come essere racchiusi in una bolla di luce calda, accogliente e gentile, ma comunque intrinseca di un calore che potrebbe scioglierti. E’ come tornare nel ventre della propria madre e rinascere ancora.

Mi chino a baciarlo, con le labbra che tremano dalla commozione. Un altro bacio, ancora, ancora ed ancora, finché i nostri sapori non si mischiano a tal punto che l’uno non si distingue più dall’altro. E mentre gli dono ognuna di quelle carezze, mi abbandono sulle sue gambe, lasciando che solo una mia mano tocchi la sua pelle, mentre l’altra regge il coltello, con un tremito lieve che scuote ognuna delle mie falangi.

Passano lunghi momenti prima che le nostre bocche si sciolgano e i nostri occhi tornino a guardarsi. Nello sguardo di entrambi c’è la certezza di intraprendere quella strada inondata di sangue. Nessuno di noi lascerà la mano dell’altro mentre la intraprenderemo e questo da una maggior forza a tutti e due. Così, quando intravedo negli specchi della sua anima il segno che possiamo iniziare, afferro con decisione il manico di legno. Le nocche sono bianche, intanto che il coltello si alza all’altezza del mio polso. I denti gelidi premono intrepidi sulla pelle sottile. Ed io guardo Steve, il quale osserva incantato ogni mio gesto.

 

Appoggia la lama sul suo polso e sta immobile. Mi sembra di riuscire a vedere la pelle tirarsi istintivamente, tanto da mostrare le vene che si allungano più in superficie. Linee blu che s’aggrovigliano, s’intrecciano e si sciolgono come fiumi. La mano che regge il coltello inizia a tremare un poco. I suoi occhi argentati si fissano sui miei. Un silenzio intimo, pacato e sottile come un segreto sussurrato, ci avvolge.

- Fallo tu – mi dice, porgendomi il manico. Io spalanco gli occhi, incerto di aver sentito le giuste parole. Ma quando comprendo di averlo fatto, non posso fare a meno di soffiare fuori un - Cosa? -

- Tagliami le vene – dice lui, chiaro, diretto, coinciso.

- Michael, vuoi farmi morire anche con il peso di aver ucciso la persona che amo? – gemo, rabbrividendo.

Lui sorride angelico e mi bacia la fronte – Non c’è morte migliore di quella data dal proprio amore. Anche una cosa così definitiva a buia come il sonno eterno mi sembra più dolce del latte se la mano che la guida è la tua -. I suoi occhi sembrano quasi risplendere intanto che pronuncia quelle frasi e tutta la certezza che ripone in ognuna di quelle parole s’infonde in me, dandomi il coraggio di fare ciò che in precedenza non ho mai immaginato neppure nei miei incubi. Le mie dita si stringono appena sul suo polso, conducendolo verso le mie labbra.

Un bacio lieve e…netta una linea infuocata spacca quella pelle vellutata, riversando gocce vermiglie anche sul mio volto. Noto l’espressione dolorosa che indurisce i suoi tratti e io trattengo il fiato, sentendomi colpevole di quel dolore. Ma poi lui riaffaccia i suoi occhi da quelle palpebre strette e mi guardano con tenerezza, dandomi anche la libertà di tornare a respirare.

- Anche l’altro – sussurra avvicinandomi il secondo arto. Non protesto neanche: ripeto i medesimi gesti, ma questa volta sul volto che amo così tanto non vi è la medesima espressione che precedentemente l’aveva caratterizzato. Anzi, sospira, quasi l’avessi privato di un peso, di catene che gli impedivano di volare.

Chiude gli occhi, finalmente libero, e senza forza le sue mani ricadono sulle sue gambe, inondandole dei primi fiumi cremisi che nascono da quelle ferite che io stesso ho inferto. Respira a fondo un paio di volte prima di tornare a guardarmi e sorride. Il sorriso di un angelo sceso per guidare un disperato fuori dall’oscurità. Il mio angelo.

Gli offro la lama già abbeverata del suo sangue, comprendendo quale sarà il prossimo passo di questa processione. La sua mano afferra debole il manico, così come debole l’altra solleva la mia. Per un attimo temo quasi che non riuscirà a fare un taglio abbastanza profondo, ma Michael possiede una forza ben maggiore di quella che il suo fisico da a vedere: non appena il coltello entra in contatto con la mia pelle, rafforza la presa e, così come si toglie un cerotto, veloce ripete su di me ciò che io ho già fatto a lui.

Brucia. Questo è il mio primo pensiero.

Un dolore infimo serpeggia lungo tutto il mio braccio e s’intensifica la dove il sangue in abbondanza ha nascosto la fonte dalla quale sta sgorgando. Eppure rimane un dolore limitato. Per un attimo mi sento quasi deluso: la mia immaginazione, influenzata da film d’ogni genere, aveva sempre classificato questo come un gesto estremamente doloroso e invece si può dire che vi sia più un fastidio pungente che un dolore vero e proprio. Mi viene da chiedermi se la sensazione che proviamo compiendo un determinato gesto, non dipenda dal sentimento che ci sprona a farlo. Se è gioia ciò che proviamo mentre premiamo un grilletto, quale male potrà mai farci la pallottola che corrode la nostra carne? Sarà, anzi, accolta come liberatrice e salvatrice, senza alcun dolore…

Prima di poter continuare oltre con questi ragionamenti, la mia dolce anima gemella mi somministra un secondo bacio mortale. Questa volta mi sento quasi purificato da quella ferita che s’apre tra le mie vene, e comprendo ciò che Michael stesso ha provato qualche secondo prima. Questo, intanto, lascia cadere il nostro tacito collaboratore di morte, che cade con un tonfo sordo sul pavimento. Debolmente si accascia su di me, come se quell’ultimo gesto gli avesse rubato tutta la forza vitale lasciandogli solo una profonda stanchezza. E io, con un sospiro, lo seguo: mi stendo sul letto, lasciando che il suo corpo s’abbandoni totalmente sul mio, lasciando che i nostri petti s’appoggino l’uno sull’altro e che danzino nel loro respirare, che man mano diventa sempre più lento. I secondi sono scanditi dalle carezze che la mia mano offre alla figura che sopra di me trova il proprio rifugio.

Il tempo perde ogni significato. Ogni secondo è un’era, ed ogni era è un secondo.

Sento la trapunta diventare umida, abbeverarsi assetata del nostro liquido vermiglio. Ridicolo pensare che è proprio in questo vischioso serpente rubino si racchiude la maledizione che ci ha seguito.

Il nostro giaciglio si bagna pian piano e io ho come l’impressione che l’acqua ci stia lentamente sommergendo e che, una volta arrivata ai nostri volti, rapirà il nostro ultimo respiro in una bolla la quale, una volta scoppiata, ci aprirà una porta che custodisce la grande verità preclusa a noi uomini.

Le mani e le braccia iniziano a intorpidirsi. Un formicolio inghiotte le mie dita, una ad una, risalendo man mano fino ad arrivare al taglio infuocato che mi attraversa il polso. Il bruciore che c’era stato all’inizio è del tutto sparito, lasciandomi solo un vago prurito. Ad ogni carezza perdo un frammento di sensibilità, ed ognuna di esse diventa un gesto troppo faticoso da donare, quasi dovessi correre attorno al mondo per compierlo. Così mi costringo ad interrompermi, lasciando che la mia mano s’abbandoni sulle vesti bagnate del mio piccolo amore. Questo non reagisce, non dice nulla. Per un attimo sono preso dal panico al pensiero che potrebbe già essersene andato senza attendermi, al pensiero di vedere il suo volto esangue e senza più vita, al pensiero che questa potrebbe essere l’ultima immagine che avrò di lui.

Ma mi posso rilassare non appena la sua voce si spezza leggera nell’aria – Ho sonno – dice ed è un sospiro esausto il suo. Appoggia meglio il capo sul mio petto, in modo che possa sentire perfettamente i battiti del mio cuore, sempre più flebili quanto i suoi. Le mie dita s’intrecciano ai suoi capelli e il sangue gocciola su essi tingendoli di un rosso rubino che è la vita. Percepisco la sua mano muoversi pesantemente sulla trapunta, alla ricerca del mio braccio inanimato abbandonato su di essa e, una volta trovato, incrocia la dita con le mie, facendo aderire perfettamente i nostri palmi.

- Non lasciarmi – mormora -Non abbandonarmi, Steve -

- Sono qui – dar voce ad ogni parola mi costa una fatica immane. Per ognuna di esse spreco pezzi della mia anima, che lentamente si volatilizza nel vuoto eterno – Non preoccuparti, sono qui –

- Sì - il suo sono è sempre più profondo e impastato, quasi stesse cedendo ai tormenti dolci del sonno – Siamo qui – le sue palpebre scendono come coperte di seta sui suoi splendidi occhi che sono degne figlie di un bacio che la luna ha donato alla terra – Ho sonno – ripete ancora, come un bimbo. E io sforzo un sorriso intenerito sulle mie labbra, mentre lo osservo abbandonare dolcemente questo mondo. Ed è così bello, così magnifico e perfetto che pare semplicemente una bambola, una statua immortalata con quella leggiadra espressione rilassata sul volto. Perché su esso, ora, si stende, dopo lungo tempo, un sorriso appena visibile ma che in se racchiude una pace che nessuna parola potrebbe far comprendere ad animi che tale sensazione non hanno mai provato.

E mentre sono lì a guardarlo mi perdo nei miei pensieri, in domande che non dovrebbero trovare voce e che invece esplodono con forza in questo momento che nemmeno il più abile tra i pittori saprebbe immortalare completamente: se solo non fossimo stati fratelli, se solo fossimo stati un uomo e una donna, se solo avessimo seguito tutte queste leggi morali…allora, ci saremmo potuti amare?

Non importa. Non più.

Chiudo gli occhi.

E…addio…

 

 

Free Talk

E anche questo capitolo ha trovato il suo finale! Non immaginate che soddisfazione quando ho scritto l’ultima parola, visto che ho patito l’inferno per completare questo capitolo ^^’’’ Come c’era da immaginarsi, però, credo di non essere riuscita a trasmettere tutto ciò che desideravo e infatti è venuta fuori un’accozzaglia di pensieri senza capo ne coda ^^ Tralasciando il fatto che dopo questa (per quanto attesa, vista la mia banalità ^^’) conseguenza mi sarò meritata le maledizioni di alcuni (tra cui, in prima linea, gli stessi protagonisti ^^’’’), spero che vi sia piaciuta nonostante tutto. Comunque sia non preoccupatevi (o non festeggiate troppo, a seconda dei punti di vita ^^’’’): Minutes&Seconds troverà la propria fine con il prossimo capitolo, che aprirà il cammino al terzo pezzo della trilogia ^^

E now, i ringraziamenti che, come al solito vanno a Shinji e pucci2. Mi dispiace avervi trasmesso tanta tristezza ma, come diceva giustamente pucci, non tutti i personaggi possono avere una vita spensierata ^^’

Ringrazio poi, tutti coloro che continuano a leggere nella speranza che questo capitolo vi sia ugualmente piaciuto */me inchin*

Alla prossima ^^

  
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