Prima
che i masochisti che hanno
aperto codesta fanfiction si apprestino a leggere, vorrei fare alcune
precisazioni. Questa fic è nata dal contest
“Questo amore” della fantastica
Vogue91 (che continua a torturarmi con i suoi contest, a cui non posso
proprio
non partecipare), in cui si doveva scegliere una delle frasi della
famosa
poesia di Prevert. Inoltre mi è stato assegnato un
personaggio (Lucius Malfoy)
e ho scelto un paio di prompt (orgoglio e Azkaban). Beh, detto questo,
devo
solo sottolineare che la frase iniziale, quella su cui si fonda tutta
la
storia, è tratta da “Memorie di una
geisha”. Se non avete ancora letto il
libro, o guardato il film, fatelo. Ne vale davvero la pena.
Bando
alle ciance, ecco qua la
mia storiella. Voilà.
P.s.
Al fondo c’è il giudizio.
Perciò, se avete voglia di leggere qualcosa scritto bene,
non all’una di notte
e un po’ brilla come solitamente faccio io, andate a dare
un’occhiata ^^
LA
MANCANZA
C'è
una poesia nel tempio, incisa nella pietra, intitolata "la mancanza".
Ci
sono solo tre parole ma il poeta le ha cancellate perché la
mancanza non si può
leggere, si può solo avvertire.
Alcuni
dicono che la mancanza si può solo avvertire,
ma io so che non è vero. La mancanza ha colore, ha una voce,
ha un profumo. Ha
calore. La mancanza ti accompagna in ogni luogo, ti prende, ti lascia,
ti
avvolge e ti lascia di nuovo. La mancanza può toccarti.
La
mancanza ha un nome.
“Come
hai detto che si chiama?”
“Lucius.
Si chiama Lucius. Quante volte dovrò
ripetertelo?”
Mi
ricordo perfettamente quel momento. Io e Bella
eravamo nella Sala Grande, di prima mattina, intente a imburrare fette
di pane.
Avevo il libro di pozioni aperto vicino al piatto, ma non lo guardavo.
In quel
momento, ero completamente presa da una missione impossibile: tentare
di far
memorizzare a mia sorella quel nome, e di farle capire che cosa
significasse
per me.
Bellatrix
mi aveva gettato un’occhiata annoiata.
Allora la consideravo la mia migliore amica, la mia confidente.
Incredibile
come le cose possano cambiare.
“Almeno
è figo?”
Io
spalancai gli occhi. Com’era possibile che non
avesse capito neanche mezza parola di ciò che le avevo
raccontato?
“Fammi
capire. Io ti racconto che cosa ho provato, i
miei sentimenti, le mie emozioni, come mi sono sentita quando mi ha
guardata, e
tutto ciò che sai fare è chiedermi se
è
figo?”
A
quel punto, Bella si era voltata verso di me, con
un ghigno divertito sulla faccia. A quel tempo, pensavo che lei fosse
la più
intelligente, la più affascinante, che capisse benissimo
ciò che provavo e che
lo provasse anche lei, ma che riuscisse a celarlo sotto una maschera di
impassibilità, fingendo che tutto ciò non la
toccasse minimamente. Non avevo
capito che lei non fingeva affatto.
“Vuoi
dirmi che non hai mai rivolto la parola a… a
‘sto qui?”
Sentii
la rabbia ribollirmi nelle vene. “Lucius. Si
chiama LUCIUS.” Risposi irata, scandendo ogni lettera.
“Stavate
parlando di me?”
E
fu così che mi rivolse la parola per la prima
volta. A quel tempo, non avrei mai indovinato ciò che
sarebbe stato per me.
Quando mi voltai, non vidi mio marito, il mio confidente, il mio
migliore
amico. Vidi il ragazzo che mi piaceva, che avevo visto scendere dal
treno e che
mi aveva rivolto un brevissimo sguardo. Quando sentii la sua voce, non
sentii
il dolore, il senso di vuoto e perdita. Sentii soltanto qualche brivido
lungo
la schiena.
La
mancanza ha
una voce.
Era
la fine della scuola, l’ultima partita di
campionato. Fu una partita sconvolgente, dall’esito incerto,
eclatante. Quando
Lucius prese il boccino, la partita lasciò i Serpeverde a
crogiolarsi
nell’orgoglio, e i Grifondoro a leccarsi, per la prima volta,
le ferite. Mai
Lucius era stato più lontano da me di allora: le poche
parole che ci eravamo
scambiati durante le lezioni non erano state abbastanza significative
per
risvegliare in me un minimo senso di combattimento, e la voglia di
mettermi in
mostra e catturare la sua attenzione. Ero bella, ma
nell’ombra. Andromeda era
lontana da me e da ciò che sentivo, persa nel suo mondo
fatto di solidarietà e
ribellione; Bella si era lentamente avviata verso la pazzia; non
stimavo le mie
amiche, di cui oggi non riesco neppure a ricordare il nome. Ero
innamorata di
uno sconosciuto, spaventata da mia sorella, e confusa da tutto
ciò che sentivo,
ma non riuscivo ad ascoltare: il mondo mi faceva paura, e mi sentivo
tremendamente sola.
Quel
giorno, la mia vita cambiò. Inspiegabilmente
così come c’ero entrata, uscii dal torpore che mi
aveva imprigionato per quei
due lunghissimi anni.
L’intera
casa di Serpeverde era riunita nella Sala
Comune, a festeggiare. Fiumi di alcol, e forse qualcosa di
più, erano la
principale preoccupazione dei miei amici, o almeno quelli che allora mi
sforzavo di considerare tali; io, come al solito, mi distinguevo per
inerzia:
seduta su un divanetto, fissavo il fuoco, sorridevo a stento, e ogni
tanto
alzavo lo sguardo.
Quando
Lucius entrò nella sala, un boato immenso
riempì l’aria. Lo issarono sulle spalle, fu al
centro dei festeggiamenti per
ore, non mi ricordo di averlo mai visto così felice. Mille
ragazze gli
sorridevano, mille ragazzi lo adulavano. Io lo amavo, ma volevo solo
andarmene
a trascorrere la mi serata nella consueta apatia, lontano dalle
convenzioni che
mi imponevano di stare a quella festa.
Passata
la mezzanotte decisi che nessuno si sarebbe
accorto della mia assenza, grazie alla quantità di alcool
ingerito. Mi alzai, e
mi diressi verso le scale che portavano al mio dormitorio.
“Dove
vai?”
La
sua voce mi colpì. Il più grande ricordo che ho
di Lucius a Hogwarts è proprio la voce. Mi affascinava. Da
quel quarto anno,
non ho mai smesso di ascoltarla, di cercarla fra la folla. Ogni volta
che
tornavo al castello, sapevo che l’avrei trovata
lì, nelle mie orecchie. Non era
particolarmente profonda, né seducente, ma era una
sicurezza, in attesa di ciò
che ancora non potevo avere. La sua voce, per tanto tempo, era stata
l’unica
cosa che mi teneva ancorata a lui.
Mi
girai. Lucius era in piedi di fronte a me, con
uno sguardo dubbioso, che mi fissava. Tentai di balbettare qualcosa, ma
lui mi
precedette.
“Non
puoi andartene. La festa deve ancora
incominciare.”
Fu
in quel momento che io mi persi. Continuavo a
sussurrare alla mia testa di stare calma, concentrata, reattiva. Il
grigio dei
suoi occhi mi abbagliava, mi prendeva, mi catturava in ogni movimento.
Non
potevo andarmene, ero come prigioniera. Abbassai la guardia, e per un
attimo
scorsi nei suoi stessi occhi un lampo di comprensione, come se si fosse
reso
conto di ciò che provavo per lui. Mi arresi, e mi abbandonai
a quel grigio.
In
quel momento, inaspettatamente, mi baciò.
Io
mi persi dentro il suo grigio.
La
mancanza ha
un colore.
Fu
durante un nuvoloso pomeriggio di quattro anni
dopo che io capii che, in fondo, avevo sempre saputo come sarebbe
andata a
finire. Io non credo nel destino, ma se esso esistesse davvero, ogni
cosa, ogni
avvenimento della mia vita sarebbe stato coronato da
quell’unico gesto che
Lucius, in quel giorno, fece.
Ero
arrabbiata. Per la prima volta nella mia intera
vita, ero arrabbiata, e non avevo paura di dimostrarlo. Tutti quanti, a
quel
tempo, avevamo paura: il Signore Oscuro stava acquisendo sempre
più potere, e
aveva già messo gli occhi su alcuni dei più
potenti e famosi rampolli delle
famiglie Purosangue. Lucius, allora mio fidanzato, era uno di quelli.
Sbattei
la porta violentemente alle mie spalle. Ero
stanca di litigare, confusa, spaventata. Per l’ennesima
volta, Lucius aveva
pronunciato il nome del Signore Oscuro a cena, adducendo come ormai
inevitabile
l’ipotesi di passare nella sua schiera. Non l’aveva
fatto con espressione
felice, ma con un lieve sospiro e gli occhi inespressivi. Io sapevo che
aveva
paura, ma non riuscivo ad accettare il fatto che si stesse arrendendo.
La
nostra storia, per me, finiva lì.
Rimasi
per secoli con la testa sommersa nel cuscino
bordeaux del mio letto. I miei genitori erano in viaggio,
l’unica sorella che
ancora faceva parte della famiglia, Bellatrix, non era in casa, ma in
ogni caso
non sarebbe stata di alcun aiuto. Passarono quelli che mi sembrarono
secoli,
nel immacolato silenzio del maniero. Poi, tutt’un tratto,
qualcuno si
materializzò nella mia camera, con un sonoro
“bop”.
D’istinto
afferrai la bacchetta e mi girai per
affrontare l’avversario. Quando vidi di chi si trattava,
esalai un sospiro di
sollievo, e posai la bacchetta sul cuscino. Lucius mi fissava
pensieroso, a
pochi metri da me.
“Narcissa,
ascolta…” Lucius non mi chiamava con il
mio nomignolo, Cissy, né lo fece ,mai. Quella sera,
tuttavia, quando ascoltai
il mio nome interso non feci altro che provare una rabbia improvvisa,
totalmente estranea al mio carattere.
“No,
Lucius. È finita. Vattene.” Mentre le
pronunciavo, non riuscivo a credere che quelle parole mi
appartenessero. Io amavo
Lucius più di ogni altra cosa al mondo. Non riuscivo a
immaginare la mia vita
senza di lui, eppure ero lì, che vi rinunciavo in nome di
ideali che non mi
erano così cari come lo erano a Andromeda.
Sul
suo volto non lessi rabbia, tristezza, o
costernazione. I suoi occhi, sempre inespressivi, si posarono sul
pavimento, ma
il resto del suo corpo non si mosse. Aspettai qualche secondo, tentando
di
riacquistare il coraggio che avevo mostrato prima.
“Lucius
vattene.”
“No.
Non vado da nessuna parte.” Rispose, con voce
decisa. A chiunque la sua voce avrebbe fatto paura, ma non a me.
“Ascolta tu,
Narcissa. Lo so che hai paura. Anche io ho paura, tutti ce
l’hanno. Ma a
differenza degli altri, noi abbiamo la possibilità di
affrontare la paura
insieme. Io ti posso offrire protezione, sicurezza e la certezza che,
in ogni
momento, io ci sarò.”
Alzai
lentamente il busto dal letto, memorizzando
una a una le parole che aveva pronunciato.
“Lucius,
ma cosa stai dicendo?”
“Sposami,
Narcissa.”
Forse
il destino esiste davvero, e ha la forma del
vento. In quella sera, il destino colpì con forza il mio
tentativo di
cambiarlo, il castello di carte che avevo faticosamente costruito nel
tentativo
di proteggermi da una vita fatta di dolore, menzogne e morte. Vacillai.
Per un
attimo, un attimo lungo un secolo, pensai di oppormi a quel vento
incessante,
che mi spingeva verso Lucius e lontano da una vita felice. In quel
momento,
tuttavia, la mia mente non andava a quella vita, alle gioie e ai
piaceri che
avrebbe comportato, né tantomeno a quanto sarebbe stato
difficile e doloroso
vivere con un Mangiamorte. In quel momento la mia mente era focalizzata
sulle
parole di Lucius, che erano quanto di più romantico e
sincero gli avessi
sentito pronunciare, e su quelle due ultime, piccole, enormi sei
sillabe, che
rimbombavano nella mia testa.
“Sì.”
Mi
gettai fra le sue braccia, con le lacrime agli
occhi. Non sapevo se si trattava di lacrime di commozione, o della
naturale
risposta del mio subconscio al fatto che mi stavo gettando
giù da una montagna,
e senza paracadute. Non ci feci caso, tuttavia, quando sentii le sue
braccia
stringermi, e una delle sue mani fra i miei capelli. Inspirai a fondo,
e ciò
che ora, a distanza di anni, posso ancora ricordare è il suo
profumo. Intenso,
forte, suo. Di mio marito.
La
mancanza ha
un profumo.
Draco,
in una stanza del piano superiore, dormiva
placidamente, dopo sette ore ininterrotte di pianto, durante le quali
non aveva
fatto altro che disturbare la cena che avevo faticosamente allestito,
per
numerosi Mangiamorte e consorti, al piano di sotto. Ero stravolta, ma
non
soltanto per il comportamento del mio bambino, nato appena sei mesi
prima, né
per la cena in sé. Ero distrutta.
Stavo
ricadendo nell’apatia. Esattamente come una
decina d’anni prima il cibo aveva perso sapore, non sentivo
più il calore del
Sole sulla mia pelle, le parole avevano perso la loro
solidità. Credo che
quest’assenza di emozioni, da parte mia, fosse una difesa da
un dolore troppo
grande da sopportare. Mio marito stava lentamente entrando a far parte
dei più
fedeli sudditi del Signore Oscuro, ma questo soltanto non sarebbe
riuscito ad
abbattere la donna forte che credevo di essere diventata.
Mia
sorella, invece, mi aveva rigettato nell’ombra.
La
cena a casa nostra era appena finita. Lei e
Rodolphus se n’erano andati per ultimi. In tutta la serata
l’accordo tacito era
stato di non parlare di “lavoro”, ma lei non aveva
fatto altro che tirare in
ballo il Signore Oscuro e la fedeltà che provava nei suoi
confronti. Maniacale,
pazza. Tentavo di starle lontano, perché ogni sua parola mi
procurava delle
fitte allo stomaco. Bellatrix, mia sorella, non c’era
più, e quelle cene con
un’estranea erano per me una dolorosa e lenta tortura.
Quella
sera il mio limite di sopportazione fu
superato nettamente appena dopo cena. Ognuno dei presenti si trovava
nel
salotto, intenti a chiacchierare con bicchieri di vino in mano. Mia
sorella era
di fronte al camino, in silenzio e io la fissavo. Credo che si fosse
accorta
dei miei occhi su di lei, quando senza alcuna ragione,
lanciò il bicchiere e il
suo contenuto nel fuoco, facendolo esplodere in qualche centinaio di
schegge
che, fortunatamente, non colpirono nessuno di noi, tranne lei. Una
piccola
scheggia le sfiorò la pelle della mano, da cui
sgorgò un rivolo di sangue.
Il
ricordo che ancora oggi ho di lei, e della sua
pazzia, si sintetizza in questo. Lei non gemette, non si
asciugò il sangue, non
si allontanò di un millimetro. Leccò la ferita, e
si lasciò andare in una
risata sfrenata, senza ragione, pazza, spaventosa. La sua risata,
ancora oggi,
mi provoca brividi lungo la schiena, e quando penso a lei, anche solo
come
sorella, provo una fitta al cuore al pensiero di averla persa
così, divorata
dalla pazzia.
In
quell’istante, quando sentii il grottesco suono
che stava emettendo, non riuscii a sopportare oltre. Presi un paio di
bicchieri
che erano appoggiati sul tavolino e corsi in cucina, dove gli sbattei
con poca
dolcezza nel lavabo. Avevo il respiro affannoso, la testa mi girava, la
mia
bocca era asciutta. Mia sorella era pazza. Non riuscivo a provare
tristezza,
non piansi. La sensazione che provai allora fu di terrore e disgusto.
Rimasi
con le mani appoggiate sul bancone della
cucina, e la fronte che toccava appena la credenza, per qualche minuto.
Dietro
di me, sentii dei passi. Un braccio mi accarezzò piano il
fianco, e la mano di
mio marito mi si posò dolcemente sulla nuca. Voltai il viso
verso mio marito,
che, a discapito della sua usuale corazza di emozioni, sembrava
preoccupato. Fu
quella sua espressione che abbatté tutte le mie barriere, e
io sentii gli occhi
pizzicarmi per le lacrime che iniziavano a scendere.
“Dimmi
che non diventerò così, Lucius. Dimmi che non
sarò pazza.” Sussurrai con voce rotta. La mia non
era una domanda, era una
supplica.
Lui,
in tutta risposta, mi cinse i fianchi con
entrambe le braccia, e accompagnò la mia testa sul suo
petto. Iniziai a
piangere senza fermarmi, come un fiume in piena. Lui era lì,
e ci sarebbe
stato. Avevo bisogno di lui, in quel momento, della sua voce, del suo
colore
del suo profumo.
Lucius
mi avvolse, in un gesto insolitamente dolce.
Fu in quel momento che mi accorsi che più di ogni altra cosa
avevo bisogno del
suo calore. Avevo bisogno di sentire il tepore del suo corpo sul mio.
Avevo
bisogno di lui, e lui l’aveva capito.
La
mancanza ha
calore.
“Non te ne
andare.”
Era
una tranquilla sera di Giugno. Lucius era in
piedi di fronte a me, in camera nostra, e si stava vestendo. Il Marchio
aveva
cominciato a bruciare una decina di minuti prima, e lui doveva fare
presto. Era
giunto il momento di mettere in atto il piano che il Signore Oscuro
stava
progettando da tempo, e mio marito avrebbe dovuto partecipare alla
spedizione
al Ministero, in modo da rubare la profezia a Harry Potter. Era
l’ennesima
delle missioni che gli erano state affidate, ma questa volta le
probabilità di
fallire e di essere rinchiusi a Azkaban, o peggio, di essere uccisi,
erano
incredibilmente alte. Sapevo che questo poteva l’ultimo
compito affidato a mio
marito, e che se fosse stato catturato, difficilmente il Signore Oscuro
sarebbe
corso in suo aiuto. Non potevo permettere che andasse così.
“Lucius
ti prego. Pensa a Draco. Pensa a me.”
Non
rispose, mentre si infilava il mantello. Ero
disperata. Non riuscivo a capire se la sua freddezza fosse dettata
dalla paura,
o dall’essersi arreso alla potenza del Signore Oscuro. In
realtà, sapevo
benissimo ciò che la sua determinazione celava:
l’orgoglio. Non poteva
ritirarsi in quel momento, non davanti a tutti. La sua vita con me e
Draco
sarebbe stata marchiata dall’infamia, e lui non voleva vivere
da codardo per il
resto della sua vita. In ogni caso, non potevo permettere che andasse,
e mi
lasciasse sola.
“Quei
ragazzi hanno l’età di Draco, Lucius. Hanno
delle famiglie, hanno dei genitori.”
Sapevo
che questo tentativo non avrebbe portato a
nulla. Mio marito non era un uomo crudele, ma metteva
l’incolumità sua e della
sua famiglia al primo posto, anche se si fosse trattato di passare su
migliaia
di cadaveri di innocenti. Sposandolo, avevo accettato questa sua
caratteristica, e sicuramente ora non potevo cambiarla.
“Potremmo
andarcene. Potremmo sfuggirgli.
Ricominciamo a vivere come vivevamo prima, te lo ricordi? Niente paura,
niente
morti. Solo io, te e Draco. Come prima.”
Il
volto di Lucius si piegò in una smorfia
arrabbiata, ma non disse nulla. Uscì dalla camera
velocemente, e io lo seguii.
“Ti
prego, Lucius, ascoltami. Non te ne andare.
Resta qui. Me l’hai promesso, non ti ricordi? Quando mi hai
chiesto di
sposarti. Mi hai detto che ci saresti stato sempre.”
Si
fermò. Con un movimento lento si voltò verso di
me. In quell’attimo fui certa di aver intravisto un lampo di
speranza, di
comprensione, di accesa vitalità nei suoi occhi. Si
avvicinò a me, sempre con
lentezza, e alzò un braccio. Mi sfiorò la guancia
con le dita, mi sistemò i
capelli dietro l’orecchio con il gesto più umano e
dolce che io gli avessi mai
visto fare. Chiusi gli occhi, e inspirai il suo profumo, ascoltai il
battito
del suo cuore, sentii il suo calore.
“Mi
dispiace.”
Un
secondo dopo non c’era più, ma io sentivo ancora
il lieve tocco della sua mano sulla mia pelle.
La
mancanza può
toccarti.
“Narcissa,
è
la prima lettera che scrivo da qui, e non credo
che ce ne saranno altre. La probabilità che questa ti giunga
è molto scarsa, ma
devo comunque tentare, anche solo per ricordarmi che lì
fuori, da qualche
parte, tu e Draco esistete e vivete.
Non
so da quanto tempo sono rinchiuso qui dentro.
Non me lo ricordo. Le immagini della battaglia al Ministero sono vivide
nella
mia mente, ma come ogni cosa stanno iniziando a sfocarsi, come se la
mia vita
fuori da qui non fosse altro che un sogno.
Non
vi torturerò con i racconti della mia vita qui,
se così si può chiamare. Spero soltanto che voi
stiate bene, e che Draco
continui con successo gli studi. Me ne andrò presto da
questo posto, e forse
allora potremo ricominciare.
A
presto.
Lucius.
Stringo
la lettera con entrambe le mani, in questo
esatto istante. Una lacrima bagna il foglio. Rileggo lentamente le
ultime
parole, aggrappandomi a esse.
A
presto,
Lucius.
La
mancanza ha un nome.
Giudizio:
3°Classificata
a parimerito
Silice25 “La Mancanza”
-Grammatica: 10/10
-Lessico: 10/10
-Stile: 10/10
-IC: 9.5/10
-Originalità: 10/10
-Trama: 10/10
-Attinenza al tema: 18.5/20
-Giudizio personale: 5/5
-Punti bonus: 1/2
Totale: 84/87
Ottima storia dal punto di vista formale: grammaticalmente impeccabile
(salvo
per la dimenticanza di una ‘d’ eufonica, per cui
hai scritto “a Andromeda”...
ma un errore fin troppo irrilevante per abbassare il punteggio), un
lessico
davvero attinente al personaggio, con una terminologia che in certi
punti dà
quasi i brividi. E ancor meglio lo stile; mi è piaciuto come
hai deciso di
strutturare la storia su quella frase in particolare, e su tutte le
caratteristiche che assume la mancanza (piccolo appunto: hai
dimenticato di
cancellare quello che penso fosse uno schema che ti eri fatta, proprio
sulle
caratteristiche della mancanza). Quindi storia che, pur nella sua
divisione,
non appare frammentaria, in quanto segue sempre il filo logico delle
emozioni
di Narcissa, rendendo la lettura più che scorrevole.
Ho trovato Lucius abbastanza IC. Sono certa del fatto che ami Narcissa,
e
quindi le sue azioni sono coerenti sia all’amore che prova
per lei, ma anche
alla sua devozione/paura per il Signore Oscuro. Narcissa invece
è un po’
altalenante. Di certo la sua caratterizzazione è ottima,
tuttavia in certi
punti mi è parsa fin troppo... “umana”.
Bene, non è una Mangiamorte, ma non è
nemmeno uno stinco di santo, se mi passa l’espressione. E
penso che detta da
lei stoni un po’ la frase “Quei ragazzi hanno
l’età di Draco, Lucius. Hanno
delle famiglie, hanno dei genitori”. Ma per il resto, buono
anche il suo IC.
La trama, come ho detto prima, segue un filo narrativo netto,
è ben articolata e
sicuramente hai scelto dei momenti significativi. Significativi, ma non
banali:
difatti non mi era mai capitato di leggere una storia che narrasse
questa sorta
di Missing Moments, e ammetto che è stato piacevolissimo
leggere le reazioni di
Narcissa in tali situazioni.
Anche l’attinenza alla strofa è un po’
altalenante. In certi punti sembra più
netta la sua presenza, mentre in altri è davvero difficile
riuscire a scorgere
un significato simile a quello delle parole usate da Prevert. Buono
invece
l’inserimento dei prompt.
Insomma, si può dire tranquillamente che ho apprezzato in
modo particolare
questa storia. Sia per lo stile (ma... beh, sapevo già che
il tuo stile è
ottimo xD) , sia per la trattazione dei sentimenti di Narcissa,
personaggio che
adoro e che spesso viene lasciato un po’
nell’ombra.
Meravigliosa anche l’idea di usare come filo conduttore
quella frase di Memorie
di una Geisha, che ho trovato davvero adatta alla situazione che hai
scelto di
trattare. Beh... ti faccio i miei complimenti!