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Autore: Silice    02/08/2010    3 recensioni
C'è una poesia nel tempio, incisa nella pietra, intitolata "la mancanza". Ci sono solo tre parole ma il poeta le ha cancellate perché la mancanza non si può leggere, si può solo avvertire. One shot totalmente incentrata su alcuni Missing Moments della vita di Narcissa e Lucius Malfoy, visti dal punto di vista di lei. Perchè la mancanza, a volte, ci può togliere il respiro... Classificata terza al contest "Questo amore" indetto da Vogue91 sul forum.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima che i masochisti che hanno aperto codesta fanfiction si apprestino a leggere, vorrei fare alcune precisazioni. Questa fic è nata dal contest “Questo amore” della fantastica Vogue91 (che continua a torturarmi con i suoi contest, a cui non posso proprio non partecipare), in cui si doveva scegliere una delle frasi della famosa poesia di Prevert. Inoltre mi è stato assegnato un personaggio (Lucius Malfoy) e ho scelto un paio di prompt (orgoglio e Azkaban). Beh, detto questo, devo solo sottolineare che la frase iniziale, quella su cui si fonda tutta la storia, è tratta da “Memorie di una geisha”. Se non avete ancora letto il libro, o guardato il film, fatelo. Ne vale davvero la pena.

Bando alle ciance, ecco qua la mia storiella. Voilà.

P.s. Al fondo c’è il giudizio. Perciò, se avete voglia di leggere qualcosa scritto bene, non all’una di notte e un po’ brilla come solitamente faccio io, andate a dare un’occhiata ^^

LA MANCANZA

C'è una poesia nel tempio, incisa nella pietra, intitolata "la mancanza".

Ci sono solo tre parole ma il poeta le ha cancellate perché la mancanza non si può leggere, si può solo avvertire.

 

Alcuni dicono che la mancanza si può solo avvertire, ma io so che non è vero. La mancanza ha colore, ha una voce, ha un profumo. Ha calore. La mancanza ti accompagna in ogni luogo, ti prende, ti lascia, ti avvolge e ti lascia di nuovo. La mancanza può toccarti.

La mancanza ha un nome.

 

“Come hai detto che si chiama?”

“Lucius. Si chiama Lucius. Quante volte dovrò ripetertelo?”

Mi ricordo perfettamente quel momento. Io e Bella eravamo nella Sala Grande, di prima mattina, intente a imburrare fette di pane. Avevo il libro di pozioni aperto vicino al piatto, ma non lo guardavo. In quel momento, ero completamente presa da una missione impossibile: tentare di far memorizzare a mia sorella quel nome, e di farle capire che cosa significasse per me.

Bellatrix mi aveva gettato un’occhiata annoiata. Allora la consideravo la mia migliore amica, la mia confidente. Incredibile come le cose possano cambiare.

“Almeno è figo?”

Io spalancai gli occhi. Com’era possibile che non avesse capito neanche mezza parola di ciò che le avevo raccontato?

“Fammi capire. Io ti racconto che cosa ho provato, i miei sentimenti, le mie emozioni, come mi sono sentita quando mi ha guardata, e tutto ciò che sai fare è chiedermi se è figo?”

A quel punto, Bella si era voltata verso di me, con un ghigno divertito sulla faccia. A quel tempo, pensavo che lei fosse la più intelligente, la più affascinante, che capisse benissimo ciò che provavo e che lo provasse anche lei, ma che riuscisse a celarlo sotto una maschera di impassibilità, fingendo che tutto ciò non la toccasse minimamente. Non avevo capito che lei non fingeva affatto.

“Vuoi dirmi che non hai mai rivolto la parola a… a ‘sto qui?”

Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene. “Lucius. Si chiama LUCIUS.” Risposi irata, scandendo ogni lettera.

“Stavate parlando di me?”

E fu così che mi rivolse la parola per la prima volta. A quel tempo, non avrei mai indovinato ciò che sarebbe stato per me. Quando mi voltai, non vidi mio marito, il mio confidente, il mio migliore amico. Vidi il ragazzo che mi piaceva, che avevo visto scendere dal treno e che mi aveva rivolto un brevissimo sguardo. Quando sentii la sua voce, non sentii il dolore, il senso di vuoto e perdita. Sentii soltanto qualche brivido lungo la schiena.

La mancanza ha una voce.

 

Era la fine della scuola, l’ultima partita di campionato. Fu una partita sconvolgente, dall’esito incerto, eclatante. Quando Lucius prese il boccino, la partita lasciò i Serpeverde a crogiolarsi nell’orgoglio, e i Grifondoro a leccarsi, per la prima volta, le ferite. Mai Lucius era stato più lontano da me di allora: le poche parole che ci eravamo scambiati durante le lezioni non erano state abbastanza significative per risvegliare in me un minimo senso di combattimento, e la voglia di mettermi in mostra e catturare la sua attenzione. Ero bella, ma nell’ombra. Andromeda era lontana da me e da ciò che sentivo, persa nel suo mondo fatto di solidarietà e ribellione; Bella si era lentamente avviata verso la pazzia; non stimavo le mie amiche, di cui oggi non riesco neppure a ricordare il nome. Ero innamorata di uno sconosciuto, spaventata da mia sorella, e confusa da tutto ciò che sentivo, ma non riuscivo ad ascoltare: il mondo mi faceva paura, e mi sentivo tremendamente sola.

Quel giorno, la mia vita cambiò. Inspiegabilmente così come c’ero entrata, uscii dal torpore che mi aveva imprigionato per quei due lunghissimi anni.

L’intera casa di Serpeverde era riunita nella Sala Comune, a festeggiare. Fiumi di alcol, e forse qualcosa di più, erano la principale preoccupazione dei miei amici, o almeno quelli che allora mi sforzavo di considerare tali; io, come al solito, mi distinguevo per inerzia: seduta su un divanetto, fissavo il fuoco, sorridevo a stento, e ogni tanto alzavo lo sguardo.

Quando Lucius entrò nella sala, un boato immenso riempì l’aria. Lo issarono sulle spalle, fu al centro dei festeggiamenti per ore, non mi ricordo di averlo mai visto così felice. Mille ragazze gli sorridevano, mille ragazzi lo adulavano. Io lo amavo, ma volevo solo andarmene a trascorrere la mi serata nella consueta apatia, lontano dalle convenzioni che mi imponevano di stare a quella festa.

Passata la mezzanotte decisi che nessuno si sarebbe accorto della mia assenza, grazie alla quantità di alcool ingerito. Mi alzai, e mi diressi verso le scale che portavano al mio dormitorio.

“Dove vai?”

La sua voce mi colpì. Il più grande ricordo che ho di Lucius a Hogwarts è proprio la voce. Mi affascinava. Da quel quarto anno, non ho mai smesso di ascoltarla, di cercarla fra la folla. Ogni volta che tornavo al castello, sapevo che l’avrei trovata lì, nelle mie orecchie. Non era particolarmente profonda, né seducente, ma era una sicurezza, in attesa di ciò che ancora non potevo avere. La sua voce, per tanto tempo, era stata l’unica cosa che mi teneva ancorata a lui.

Mi girai. Lucius era in piedi di fronte a me, con uno sguardo dubbioso, che mi fissava. Tentai di balbettare qualcosa, ma lui mi precedette.

“Non puoi andartene. La festa deve ancora incominciare.”

Fu in quel momento che io mi persi. Continuavo a sussurrare alla mia testa di stare calma, concentrata, reattiva. Il grigio dei suoi occhi mi abbagliava, mi prendeva, mi catturava in ogni movimento. Non potevo andarmene, ero come prigioniera. Abbassai la guardia, e per un attimo scorsi nei suoi stessi occhi un lampo di comprensione, come se si fosse reso conto di ciò che provavo per lui. Mi arresi, e mi abbandonai a quel grigio.

In quel momento, inaspettatamente, mi baciò.

Io mi persi dentro il suo grigio.

La mancanza ha un colore.

 

Fu durante un nuvoloso pomeriggio di quattro anni dopo che io capii che, in fondo, avevo sempre saputo come sarebbe andata a finire. Io non credo nel destino, ma se esso esistesse davvero, ogni cosa, ogni avvenimento della mia vita sarebbe stato coronato da quell’unico gesto che Lucius, in quel giorno, fece.

Ero arrabbiata. Per la prima volta nella mia intera vita, ero arrabbiata, e non avevo paura di dimostrarlo. Tutti quanti, a quel tempo, avevamo paura: il Signore Oscuro stava acquisendo sempre più potere, e aveva già messo gli occhi su alcuni dei più potenti e famosi rampolli delle famiglie Purosangue. Lucius, allora mio fidanzato, era uno di quelli.

Sbattei la porta violentemente alle mie spalle. Ero stanca di litigare, confusa, spaventata. Per l’ennesima volta, Lucius aveva pronunciato il nome del Signore Oscuro a cena, adducendo come ormai inevitabile l’ipotesi di passare nella sua schiera. Non l’aveva fatto con espressione felice, ma con un lieve sospiro e gli occhi inespressivi. Io sapevo che aveva paura, ma non riuscivo ad accettare il fatto che si stesse arrendendo. La nostra storia, per me, finiva lì.

Rimasi per secoli con la testa sommersa nel cuscino bordeaux del mio letto. I miei genitori erano in viaggio, l’unica sorella che ancora faceva parte della famiglia, Bellatrix, non era in casa, ma in ogni caso non sarebbe stata di alcun aiuto. Passarono quelli che mi sembrarono secoli, nel immacolato silenzio del maniero. Poi, tutt’un tratto, qualcuno si materializzò nella mia camera, con un sonoro “bop”.

D’istinto afferrai la bacchetta e mi girai per affrontare l’avversario. Quando vidi di chi si trattava, esalai un sospiro di sollievo, e posai la bacchetta sul cuscino. Lucius mi fissava pensieroso, a pochi metri da me.

“Narcissa, ascolta…” Lucius non mi chiamava con il mio nomignolo, Cissy, né lo fece ,mai. Quella sera, tuttavia, quando ascoltai il mio nome interso non feci altro che provare una rabbia improvvisa, totalmente estranea al mio carattere.

“No, Lucius. È finita. Vattene.” Mentre le pronunciavo, non riuscivo a credere che quelle parole mi appartenessero. Io amavo Lucius più di ogni altra cosa al mondo. Non riuscivo a immaginare la mia vita senza di lui, eppure ero lì, che vi rinunciavo in nome di ideali che non mi erano così cari come lo erano a Andromeda.

Sul suo volto non lessi rabbia, tristezza, o costernazione. I suoi occhi, sempre inespressivi, si posarono sul pavimento, ma il resto del suo corpo non si mosse. Aspettai qualche secondo, tentando di riacquistare il coraggio che avevo mostrato prima.

“Lucius vattene.”

“No. Non vado da nessuna parte.” Rispose, con voce decisa. A chiunque la sua voce avrebbe fatto paura, ma non a me. “Ascolta tu, Narcissa. Lo so che hai paura. Anche io ho paura, tutti ce l’hanno. Ma a differenza degli altri, noi abbiamo la possibilità di affrontare la paura insieme. Io ti posso offrire protezione, sicurezza e la certezza che, in ogni momento, io ci sarò.”

Alzai lentamente il busto dal letto, memorizzando una a una le parole che aveva pronunciato.

“Lucius, ma cosa stai dicendo?”

“Sposami, Narcissa.”

Forse il destino esiste davvero, e ha la forma del vento. In quella sera, il destino colpì con forza il mio tentativo di cambiarlo, il castello di carte che avevo faticosamente costruito nel tentativo di proteggermi da una vita fatta di dolore, menzogne e morte. Vacillai. Per un attimo, un attimo lungo un secolo, pensai di oppormi a quel vento incessante, che mi spingeva verso Lucius e lontano da una vita felice. In quel momento, tuttavia, la mia mente non andava a quella vita, alle gioie e ai piaceri che avrebbe comportato, né tantomeno a quanto sarebbe stato difficile e doloroso vivere con un Mangiamorte. In quel momento la mia mente era focalizzata sulle parole di Lucius, che erano quanto di più romantico e sincero gli avessi sentito pronunciare, e su quelle due ultime, piccole, enormi sei sillabe, che rimbombavano nella mia testa.

“Sì.”

Mi gettai fra le sue braccia, con le lacrime agli occhi. Non sapevo se si trattava di lacrime di commozione, o della naturale risposta del mio subconscio al fatto che mi stavo gettando giù da una montagna, e senza paracadute. Non ci feci caso, tuttavia, quando sentii le sue braccia stringermi, e una delle sue mani fra i miei capelli. Inspirai a fondo, e ciò che ora, a distanza di anni, posso ancora ricordare è il suo profumo. Intenso, forte, suo. Di mio marito.

La mancanza ha un profumo.

 

Draco, in una stanza del piano superiore, dormiva placidamente, dopo sette ore ininterrotte di pianto, durante le quali non aveva fatto altro che disturbare la cena che avevo faticosamente allestito, per numerosi Mangiamorte e consorti, al piano di sotto. Ero stravolta, ma non soltanto per il comportamento del mio bambino, nato appena sei mesi prima, né per la cena in sé. Ero distrutta.

Stavo ricadendo nell’apatia. Esattamente come una decina d’anni prima il cibo aveva perso sapore, non sentivo più il calore del Sole sulla mia pelle, le parole avevano perso la loro solidità. Credo che quest’assenza di emozioni, da parte mia, fosse una difesa da un dolore troppo grande da sopportare. Mio marito stava lentamente entrando a far parte dei più fedeli sudditi del Signore Oscuro, ma questo soltanto non sarebbe riuscito ad abbattere la donna forte che credevo di essere diventata.

Mia sorella, invece, mi aveva rigettato nell’ombra.

La cena a casa nostra era appena finita. Lei e Rodolphus se n’erano andati per ultimi. In tutta la serata l’accordo tacito era stato di non parlare di “lavoro”, ma lei non aveva fatto altro che tirare in ballo il Signore Oscuro e la fedeltà che provava nei suoi confronti. Maniacale, pazza. Tentavo di starle lontano, perché ogni sua parola mi procurava delle fitte allo stomaco. Bellatrix, mia sorella, non c’era più, e quelle cene con un’estranea erano per me una dolorosa e lenta tortura.

Quella sera il mio limite di sopportazione fu superato nettamente appena dopo cena. Ognuno dei presenti si trovava nel salotto, intenti a chiacchierare con bicchieri di vino in mano. Mia sorella era di fronte al camino, in silenzio e io la fissavo. Credo che si fosse accorta dei miei occhi su di lei, quando senza alcuna ragione, lanciò il bicchiere e il suo contenuto nel fuoco, facendolo esplodere in qualche centinaio di schegge che, fortunatamente, non colpirono nessuno di noi, tranne lei. Una piccola scheggia le sfiorò la pelle della mano, da cui sgorgò un rivolo di sangue.

Il ricordo che ancora oggi ho di lei, e della sua pazzia, si sintetizza in questo. Lei non gemette, non si asciugò il sangue, non si allontanò di un millimetro. Leccò la ferita, e si lasciò andare in una risata sfrenata, senza ragione, pazza, spaventosa. La sua risata, ancora oggi, mi provoca brividi lungo la schiena, e quando penso a lei, anche solo come sorella, provo una fitta al cuore al pensiero di averla persa così, divorata dalla pazzia.

In quell’istante, quando sentii il grottesco suono che stava emettendo, non riuscii a sopportare oltre. Presi un paio di bicchieri che erano appoggiati sul tavolino e corsi in cucina, dove gli sbattei con poca dolcezza nel lavabo. Avevo il respiro affannoso, la testa mi girava, la mia bocca era asciutta. Mia sorella era pazza. Non riuscivo a provare tristezza, non piansi. La sensazione che provai allora fu di terrore e disgusto.

Rimasi con le mani appoggiate sul bancone della cucina, e la fronte che toccava appena la credenza, per qualche minuto. Dietro di me, sentii dei passi. Un braccio mi accarezzò piano il fianco, e la mano di mio marito mi si posò dolcemente sulla nuca. Voltai il viso verso mio marito, che, a discapito della sua usuale corazza di emozioni, sembrava preoccupato. Fu quella sua espressione che abbatté tutte le mie barriere, e io sentii gli occhi pizzicarmi per le lacrime che iniziavano a scendere.

“Dimmi che non diventerò così, Lucius. Dimmi che non sarò pazza.” Sussurrai con voce rotta. La mia non era una domanda, era una supplica.

Lui, in tutta risposta, mi cinse i fianchi con entrambe le braccia, e accompagnò la mia testa sul suo petto. Iniziai a piangere senza fermarmi, come un fiume in piena. Lui era lì, e ci sarebbe stato. Avevo bisogno di lui, in quel momento, della sua voce, del suo colore del suo profumo.

Lucius mi avvolse, in un gesto insolitamente dolce. Fu in quel momento che mi accorsi che più di ogni altra cosa avevo bisogno del suo calore. Avevo bisogno di sentire il tepore del suo corpo sul mio. Avevo bisogno di lui, e lui l’aveva capito.

La mancanza ha calore.

 

 “Non te ne andare.”

Era una tranquilla sera di Giugno. Lucius era in piedi di fronte a me, in camera nostra, e si stava vestendo. Il Marchio aveva cominciato a bruciare una decina di minuti prima, e lui doveva fare presto. Era giunto il momento di mettere in atto il piano che il Signore Oscuro stava progettando da tempo, e mio marito avrebbe dovuto partecipare alla spedizione al Ministero, in modo da rubare la profezia a Harry Potter. Era l’ennesima delle missioni che gli erano state affidate, ma questa volta le probabilità di fallire e di essere rinchiusi a Azkaban, o peggio, di essere uccisi, erano incredibilmente alte. Sapevo che questo poteva l’ultimo compito affidato a mio marito, e che se fosse stato catturato, difficilmente il Signore Oscuro sarebbe corso in suo aiuto. Non potevo permettere che andasse così.

“Lucius ti prego. Pensa a Draco. Pensa a me.”

Non rispose, mentre si infilava il mantello. Ero disperata. Non riuscivo a capire se la sua freddezza fosse dettata dalla paura, o dall’essersi arreso alla potenza del Signore Oscuro. In realtà, sapevo benissimo ciò che la sua determinazione celava: l’orgoglio. Non poteva ritirarsi in quel momento, non davanti a tutti. La sua vita con me e Draco sarebbe stata marchiata dall’infamia, e lui non voleva vivere da codardo per il resto della sua vita. In ogni caso, non potevo permettere che andasse, e mi lasciasse sola.

“Quei ragazzi hanno l’età di Draco, Lucius. Hanno delle famiglie, hanno dei genitori.”

Sapevo che questo tentativo non avrebbe portato a nulla. Mio marito non era un uomo crudele, ma metteva l’incolumità sua e della sua famiglia al primo posto, anche se si fosse trattato di passare su migliaia di cadaveri di innocenti. Sposandolo, avevo accettato questa sua caratteristica, e sicuramente ora non potevo cambiarla.

“Potremmo andarcene. Potremmo sfuggirgli. Ricominciamo a vivere come vivevamo prima, te lo ricordi? Niente paura, niente morti. Solo io, te e Draco. Come prima.”

Il volto di Lucius si piegò in una smorfia arrabbiata, ma non disse nulla. Uscì dalla camera velocemente, e io lo seguii.

“Ti prego, Lucius, ascoltami. Non te ne andare. Resta qui. Me l’hai promesso, non ti ricordi? Quando mi hai chiesto di sposarti. Mi hai detto che ci saresti stato sempre.”

Si fermò. Con un movimento lento si voltò verso di me. In quell’attimo fui certa di aver intravisto un lampo di speranza, di comprensione, di accesa vitalità nei suoi occhi. Si avvicinò a me, sempre con lentezza, e alzò un braccio. Mi sfiorò la guancia con le dita, mi sistemò i capelli dietro l’orecchio con il gesto più umano e dolce che io gli avessi mai visto fare. Chiusi gli occhi, e inspirai il suo profumo, ascoltai il battito del suo cuore, sentii il suo calore.

“Mi dispiace.”

Un secondo dopo non c’era più, ma io sentivo ancora il lieve tocco della sua mano sulla mia pelle.

La mancanza può toccarti.

 

“Narcissa,

è la prima lettera che scrivo da qui, e non credo che ce ne saranno altre. La probabilità che questa ti giunga è molto scarsa, ma devo comunque tentare, anche solo per ricordarmi che lì fuori, da qualche parte, tu e Draco esistete e vivete.

Non so da quanto tempo sono rinchiuso qui dentro. Non me lo ricordo. Le immagini della battaglia al Ministero sono vivide nella mia mente, ma come ogni cosa stanno iniziando a sfocarsi, come se la mia vita fuori da qui non fosse altro che un sogno.

Non vi torturerò con i racconti della mia vita qui, se così si può chiamare. Spero soltanto che voi stiate bene, e che Draco continui con successo gli studi. Me ne andrò presto da questo posto, e forse allora potremo ricominciare.

A presto.

Lucius.

 

Stringo la lettera con entrambe le mani, in questo esatto istante. Una lacrima bagna il foglio. Rileggo lentamente le ultime parole, aggrappandomi a esse.

A presto,

 Lucius.

La mancanza ha un nome.

 

Giudizio:

 

3°Classificata a parimerito
Silice25 “La Mancanza”


-Grammatica: 10/10
-Lessico: 10/10
-Stile: 10/10
-IC: 9.5/10
-Originalità: 10/10
-Trama: 10/10
-Attinenza al tema: 18.5/20
-Giudizio personale: 5/5
-Punti bonus: 1/2
Totale: 84/87

Ottima storia dal punto di vista formale: grammaticalmente impeccabile (salvo per la dimenticanza di una ‘d’ eufonica, per cui hai scritto “a Andromeda”... ma un errore fin troppo irrilevante per abbassare il punteggio), un lessico davvero attinente al personaggio, con una terminologia che in certi punti dà quasi i brividi. E ancor meglio lo stile; mi è piaciuto come hai deciso di strutturare la storia su quella frase in particolare, e su tutte le caratteristiche che assume la mancanza (piccolo appunto: hai dimenticato di cancellare quello che penso fosse uno schema che ti eri fatta, proprio sulle caratteristiche della mancanza). Quindi storia che, pur nella sua divisione, non appare frammentaria, in quanto segue sempre il filo logico delle emozioni di Narcissa, rendendo la lettura più che scorrevole.
Ho trovato Lucius abbastanza IC. Sono certa del fatto che ami Narcissa, e quindi le sue azioni sono coerenti sia all’amore che prova per lei, ma anche alla sua devozione/paura per il Signore Oscuro. Narcissa invece è un po’ altalenante. Di certo la sua caratterizzazione è ottima, tuttavia in certi punti mi è parsa fin troppo... “umana”. Bene, non è una Mangiamorte, ma non è nemmeno uno stinco di santo, se mi passa l’espressione. E penso che detta da lei stoni un po’ la frase “Quei ragazzi hanno l’età di Draco, Lucius. Hanno delle famiglie, hanno dei genitori”. Ma per il resto, buono anche il suo IC.
La trama, come ho detto prima, segue un filo narrativo netto, è ben articolata e sicuramente hai scelto dei momenti significativi. Significativi, ma non banali: difatti non mi era mai capitato di leggere una storia che narrasse questa sorta di Missing Moments, e ammetto che è stato piacevolissimo leggere le reazioni di Narcissa in tali situazioni.
Anche l’attinenza alla strofa è un po’ altalenante. In certi punti sembra più netta la sua presenza, mentre in altri è davvero difficile riuscire a scorgere un significato simile a quello delle parole usate da Prevert. Buono invece l’inserimento dei prompt.
Insomma, si può dire tranquillamente che ho apprezzato in modo particolare questa storia. Sia per lo stile (ma... beh, sapevo già che il tuo stile è ottimo xD) , sia per la trattazione dei sentimenti di Narcissa, personaggio che adoro e che spesso viene lasciato un po’ nell’ombra.
Meravigliosa anche l’idea di usare come filo conduttore quella frase di Memorie di una Geisha, che ho trovato davvero adatta alla situazione che hai scelto di trattare. Beh... ti faccio i miei complimenti!

 

  
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