Ormai quella era la quinta
scuola che cambiava in due anni.
Era stanco, anzi era esausto...
cambiare città, casa, scuola amici... basta non ce la faceva più!
Ogni volta gli diceva che
sarebbe stato l’ultimo spostamento e, prontamente cinque mesi dopo, si cambiava
vita.
Era passata la frustrazione di
non aver voce in quelle scelte, la rabbia per abbandonare ogni volta gli amici,
la solitudine che ogni casa vuota gli lasciava in cuore, erano finite le urla e
i litigi per quella vita che lui non sopportava.
Non gli restava altro che la
rassegnazione.
Una volta sola aveva provato a
lamentarsi per l’ennesimo trasloco improvviso, avevano litigato e lui, il
povero ragazzo orfano (come amava definirlo quell’uomo), era finito in ospedale
con un braccio rotto.
Dopo quell’episodio si era iscritto in palestra, dove ci andava
in ogni momento libero, quando i risultati iniziarono a vedersi sul suo corpo
che, fino a qualche mese prima, era solo pelle e ossa, le botte finirono ma i
litigi no.
Ancora un anno... si
ripeteva questa frase ogni volta che lo guardava tornare a casa ubriaco marcio,
era il fratello di suo padre, l’unico parente che gli era rimasto.
Ma avrebbe preferito restare del
tutto orfano piuttosto che passare un altro anno nella stessa casa con Shang
Chiba.
All’inizio non era così... lo
ricordava quando lui aveva dieci anni, lo zio Shang era gentile, un secondo
padre... poi... poi tutto era cambiato. Erano arrivati gli amici sbagliati, le
donne arrampicatrici sociali attratte solo dal suo cospicuo conto in banca,
l’alcool e tutto era precipitato. Quando i soldi finirono suo zio si trovò
solo, senza più il lavoro, senza amici falsi, senza donne di poco conto, solo
lui.. e la bottiglia.
Aveva quindici anni quando si
rese conto che la sua vita stava per cambiare di nuovo, il primo occhio nero
gli aveva fatto capire quanto suo zio fosse caduto in basso.
Purtroppo la legge era fin
troppo chiara, lui doveva dividere la stessa casa con quell’uomo fino a quando
non finiva gli studi.
… gli sembrava un’eternità, ma doveva resistere.
Passava fuori casa il più tempo
possibile, studiava nelle biblioteche, nei bar a volte anche per strada,
impossibile farsi amici con quei traslochi così frequenti, impossibile trovare
una ragazza gentile, solo storie veloci e tanti cuori infranti lasciati alle
spalle.
Sapeva che un giorno tutto si
sarebbe sistemato, appena finita la scuola avrebbe potuto trovare un lavoro e
lasciare per la sua strada quell’uomo che non faceva altro che bere e scappare
dai creditori. Avrebbe trovato una casa anche grazie a quel conto che i suoi
genitori gli avevano aperto appena nato, fortunatamente gli avevano messo da
parte abbastanza risparmi e glieli avevano bloccati fino alla maggiore età, lo
zio non sapeva nulla di quei soldi e così doveva restare, altrimenti avrebbe visto
andare in fumo anche gli ultimi sforzi dei suoi genitori per assicurargli un
futuro sereno.
Mamoru si guardò attorno nella
nuova classe, i suoi compagni sembravano intimiditi dalla sua mole e da quello
sguardo glaciale che sapeva usare fin troppo bene.
- Non posso permettermi di
combinare qualcosa. – si diceva sempre ogni volta che cambiava scuola – Voglio
studiare e uscire con una buona media, così potrò anche andare all’università
un giorno.
Poi il suo sguardo andò alle
ragazze, dopotutto aveva diciotto anni e avrebbe voluto conoscere una brava
ragazza di cui innamorarsi.
Il professore di matematica
scrisse il problema alla lavagna, Mamoru riuscì a scrivere fino ad un certo
punto, poi una strana testa bionda con due buffi codini gli impediva di continuare.
- Ma guarda questa che
pettinatura che ha. - pensò alzando il collo per veder meglio ma le cose non
migliorarono.
Usagi stava scrivendo
tranquillamente, le sembrava di aver scritto arabo invece di matematica… non ci
capiva assolutamente nulla!
- Ehi testolina buffa, -
fece una voce alle sue spalle – abbassati perché non ci vedo.
La mano di Usagi si fermò,
sgranò gli occhi riesaminando a mente quelle parole:
- Scusa, come mi hai chiamato?-
chiese gentilmente voltandosi verso il suo nuovo compagno.
- Emmmh…- fece Mamoru alzando
gli occhi al cielo e picchiettandosi il mento con una matita – testolina buffa
mi pare.
La ragazza arrossì.
- Ma come ti permetti?
- Come? – chiese fingendosi
sorpreso – Non ti piace?
- No!- quasi urlò lei mordendosi
un labbro – Mi chiamo Usagi!
- Va bene,- sorrise di rimando
Mamoru – Usagi Testolina Buffa!
- Solo Usagi!- era viola dalla
rabbia, sembrava che il fumo dovesse uscirle anche dalle orecchie.
Mamoru trovava quell’espressione
molto divertente.
- Allora vuoi abbassare quella
testolina?- chiese notando che la sua compagna non accennava a spostarsi
– Dovrei scrivere il problema!
- Te la lascio passare solo
perché sei nuovo Chiba. – sibilò cercando di sembrare pericolosa, si voltò e
abbassò un poco il capo.
Mamoru trattenne un sorriso, era
chiaro che quella ragazza avrebbe fatto tutto tranne che fargliela pagare per
un soprannome un po’ infantile.
Usagi tornò a concentrarsi sul
suo quaderno pensando che, forse, era stata un po’ troppo dura con quel ragazzo
nuovo.
- Per favore mi presteresti la gomma?- chiese Mamoru questa
volta molto educatamente.
- Ecco. – fece la ragazza
passandogliela – Per fortuna ora è gentile. – pensò poi voltandosi di nuovo.
- Grazie testolina buffa! –
rispose Mamoru tornado a scrivere.
- Ho parlato troppo presto!-
pensò lei alzando gli occhi al cielo.