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Autore: Love_in_idleness    28/09/2005    1 recensioni
Tutto partì da questa frase: "if it was so, it might be; and if it were so, it would be but as it isn't, it ain't. That's logic", by Lewis Carrol. E' un esperimento di nonsense, anche se si concentra sulle questioni di senso (NB= la mia logica è una questione tutta discutibile). Commentate ^_^
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se per questa storia fossi partita dal fatto che attribuisco un senso relativo alle cose, voi non riuscireste a capirmi

Dovrebbero inventare un genere per me, qualcosa tipo insulse allucinazioni martoniche… ^_^

 

Matters of meaning

 

Se per questa storia fossi partita dal fatto che attribuisco un senso relativo alle cose, voi non riuscireste a capirmi. In effetti il senso ha senso solo perché noi tutti gliene conferiamo uno univoco. La comprensione del senso a livello personale non si dice più senso, ma gusto.

Poi si può parlare di buonsenso, che sarebbe il senso dei più.

E, volendo essere precisi, siccome non sono matematicamente certa di quale sia il reale senso delle cose, scriverò in termini di buonsenso (piuttosto che di senso) che essendo più svincolato non è aperto a critiche maligne e rovinose, ma a critiche migliorative e stimolanti, maieuticamente parlando.

I miei travagliati matters of meaning partirono col tentativo di traduzione di questa frase:

If it was so, it might be; and if it were so, it woul be but as it isn’t, it ain’t.

That’s logic

, che io riscrissi ingenuamente, ad una prima veloce lettura, così:

Se fosse, potrebbe essere; e se fosse stato, sarebbe potuto essere. Ma siccome non è, non può essere.

Questo è logico

; ma rileggendo notai che avevo decisamente sbagliato tutti i tempi verbali. Me ne accorsi da quel it were, che non era un erroraccio grammaticale quanto piuttosto un retaggio del perduto congiuntivo. In questo modo la frase sarebbe correttamente stata:

Se era, potrebbe essere; e se fosse, sarebbe. Ma siccome non è, non è.

Questo è logico

La frase era cambiata radicalmente. Per la prima volta colsi la sfumatura del congiuntivo. Il senso del congiuntivo… Tuttavia continuava a rimanermi oscura, nonostante avessi compreso ogni significato grammaticale, e la cosa mi faceva oltremodo rabbia.

Da lì partirono le mie esasperanti ricerche di senso (Though I can’t quite find an atom of meaning in it).

In particolare c’è un discorso per cui vorrei trovare un senso, che sarebbe la natura del riflesso. Proprio il riflesso dello specchio, di questo sto parlando.

Se convenzionalmente dicessimo che lo specchio è solo la porta verso un Oltremondo, e passassimo through the looking-glass, saremmo sicuri di vedere le cose al contrario (probabilmente anche il senso di tutto ne risulterebbe rovesciato). Constatato ciò sappiamo che al di là dello specchio c’è qualcosa che non è il muro della parete ma un luogo speculare a quello in cui ci si trova quando vi si sbircia attraverso, e l’immagine umana innanzi a noi non è il nostro mero riflesso ma una persona che ci è in tutto e per tutto simile; solo, al rovescio.

Dunque la difficoltà sta nel trovare un senso a questo Oltremondo distaccato dalla nostra realtà col suo carico di sensi per mezzo di uno specchio. Io, per esempio, ho dato il mio senso all’intera situazione, ma siccome, che io sappia, nessun filosofo e nessun uomo degno di stima ne ha mai fatto oggetto di sproloqui ridondanti, non si è venuta a formare una dossologia concreta, nemmeno un buonsenso standardizzato per adeguarsi alla massa poco propensa alla logica.

Il mio senso dell’Oltremondo è: lì vi sono confinati gli incubi che disturbano la realtà di qua. Lo specchio, ed il contenuto dello specchio –che non vorrei chiamare riflesso, in quanto abbiamo appurato che si tratta di una vera e propria dimensione alternativa- sono solo le proiezioni spaventose di tragedia che ci ucciderebbero come orribili presagi, sono immagini distorte dei rimandi che noi contempliamo, sono ciò che di più malvagio e deleterio emaniamo da questa parte e che lo specchio, in quanto ricettacolo di disturbo, compenetra e plasma in un’immagine di inquietudine.

Questa è la mia Teoria della Rifrazione Speculare la quale spiega a meraviglia il perché io abbia paura degli specchi e non mi specchi mai quando nessuno può sostenermi.

Ma una Teoria non è valida se non viene verificata da prove provate che la definiscono in Legge, e si ha sempre bisogno di basi concerete per portare avanti un discorso metafisico (Anche se questo è più un discorso logico, che, mi si può obbiettare, starebbe benissimo anche campato per aria, se rispetta le leggi di coerenza. Ma io faccio le cose per bene).

Dunque approfittai di una notte d’insonnia come ne trascorro molte, e mi specchiai un po’ angosciata nella grande specchiera dalla cornice cesellata in camera mia. Vedevo innanzi a me il mio alter ego malvagio, la mia contropartita. Innanzitutto mi presentai educatamente e le chiesi se aveva tempo di parlare.

“Tempo!” Mi rispose. “Finché stai qui.” (Il mio alter ego parla perché abbiamo accertato che non è un riflesso, ma un’entità a sé stante)

“Allora posso domandare il tuo senso?”

“Il mio senso?” Rispose. “Il mio warum, intendi.”

Annuii decisamente.

“Non lo so.” Ci pensò su un attimo, corrucciata, e poi rispose: “Perché vorresti conoscere il mio senso, e non piuttosto il senso di altre cose? Il senso del mondo, per esempio.”

“Perché è un discorso vasto.”

“Domanda trabocchetto! Per me il mondo non ha senso.”

“Parli così perché lo vivi da uno specchio!” Mi alterai. “Ma rifletti –non è una battuta-: l’idea che il mondo non abbia senso è alquanto azzardata. Al massimo possiamo dire che ce n’è sfuggito il senso per via delle troppe astrazioni (proverbiale economia occamistica), non che non c’è mai stato. Per questo non capiamo le cose. Se fossimo nati in Cina avremmo trovato sensato il camminare a testa in giù, zum beispiel.”

“Ed il senso di camminare a testa in giù?”

“Oh, favorisce la circolazione e ossigena meglio il cervello. Io che vivo nell’emisfero boreale e cammino a testa in su, mi devo sdraiare sul divano in posizioni strane per poterlo fare.”

“Davvero?”

“Sì, ma dopo un po’ mi gira la testa.”

“Eh, bisogna stare attenti in queste cose.” Sospirò il mio alter ego. “Qui, per esempio, che funziona al contrario, siamo noi a testa in giù. In Cina si cammina drittissimi. Così dritti che sono tutti alti come vatussi.”

Le sorrisi. Era simpatica, in fondo.

“E che mi dici del significato di questa storia?” Continuò punzecchiandomi.

“Quale storia?”

“Questa che stai scrivendo, no?”

“Non puoi dire che sto scrivendo una storia. Romperesti l’effetto scenico e mi rovineresti il racconto.”

“Dicasi metanarrativa. Comunque, la storia!”

“Ah!” Esclamai. “Nonsense. Assolutamente nullo.”

“Non è possibile.”

“Dunque diciamo che io non vi ho trovato un senso, a parte quello di renderlo un esercizio di logica.”

“E’ già qualcosa…” Osservò lei.

“Dai, allora. Io ho paura degli specchi. Ti prego, non tergiversare perché non conosci la risposta, mi fai soffrire! Dimmi qual è il tuo senso. Il senso delle cose, di te, è un’ossessione.”

“Ma tu mi sai dire il tuo, di senso? Perché in effetti ti basterebbe solo rovesciare quello. Sono nello specchio, no?”

 

 

--- Non ho il coraggio di scrivere note stupide perché mi sembra che ne abbiate già letto parecchio =___=. Sono preoccupata per la vostra integrità. Però, per favore, commentate. Kiitos (ß grazie).

   
 
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