Ad personam:
Cara Silen, grazie per il tuo costante appoggio. Certo, i pensieri di Phobos stanno gradualmente orientandosi in senso sempre più egoistico; la figuraccia fatta all'esperimento gli ha dato una spinta in più in questo senso. Come viene detto spesso, qualche volta le profezie si avverano nonostante ciò che si fa per contrastarle, ma il caso più inquietante è quando si avverano proprio per ciò che si fa per contrastarle. Sono contento che ti piaccia il flashback di Cedric, che fa il paio con i ricordi di Galgheita di due capitoli fa. Cara Atlantis Lux, con gli ultimi avvenimenti, Cedric ha assolutamente bisogno di reclutare personale fedele, anche se Vathek appare abbastanza inadatto allo scopo. Del resto, a questo punto non si trattava di costruire la condotta più efficace, ma di spiegare razionalmente come mai, nel fumetto, Lord Cedric si faccia accompagnare sulla Terra da un personaggio così difficile da far passare inosservato. Oggi vedremo appunto come Vathek se la caverà in una delle sue prime missioni in incognito sulla Terra. Qualche parola su questo capitolo: è passato circa un mese
dagli avvenimenti del cap.11, e quasi nove mesi dall'inizio della storia;
sulla Terra è l'inizio di ottobre del 1984.
Buona lettura
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Capitolo 12
Solo ventiquattr’ore
Heatherfield, U.S.A.
La notte di inizio ottobre è calata su Heatherfield.
In una strada quasi deserta illuminata dalla luce aranciata dei lampioni,
quattro uomini intabarrati camminano veloci verso un’unica meta.
In testa al gruppo c’è Lord Cedric, assorto nel
collegamento mentale con una zanzara che, prima tra i milioni di quelle
che hanno disperso sulla città, ha trovato il suo obiettivo: un
transfuga da Meridian. Il sangue non mente.
Arrivato all’imboccatura di un vicolo, Cedric si ferma
senza sporgersi a guardare, e fa cenni rapidi ai suoi uomini.
Toxhorr e Vatris, in un ineccepibile quanto anonimo look
terrestre, cominciano a disporre, a distanze regolari, dei talismani mimetizzati
da tappi a corona tutt’attorno ai due isolati che delimitano il vicolo.
Questi sono dei nodi di infrabarriera, opportunamente tensionati in configurazione
deviante. Se il ricercato cercherà di fuggire teletrasportandosi,
quando tenterà di attraversare il perimetro delimitato dai nodi,
questi scaricheranno lo spazio dall’energia di teletrasporto, riconfigurandola
in modo che l’incauto fuggiasco riapparirà in una cella insonorizzata
allestita in un appartamento, rafforzata dalle barriere più sofisticate
che la magia di Meridian abbia potuto creare.
Accanto a Cedric, ora, è rimasto Vathek, la cui
mole minacciosa è solo grossolanamente celata da un impermeabile
dal bavero alzato e da un cappello a falde larghe. Per motivi suoi, il
gigante ha una vera fobia per il cambiare aspetto, per cui si devono accontentare
di un incantesimo che sopprime la curiosità dei passanti per la
sua stazza fuori dal comune e la sua pelle azzurrina.
Nell’attesa, Cedic gli mormora piano: “Appena Toxhorr
e Vatris ci segnaleranno di essere dall’altra parte del vicolo, ci muoveremo
anche noi”. Gli porge uno dei tappi a corona. “Appoggia questo sul lato
sinistro della strada, proprio sotto il muro. Io farò lo stesso
a destra. Così, se il traditore cercherà di sfuggirci teletrasportandosi
attraverso i muri, lo prenderemo lo stesso”.
Vathek si china per bisbigliare all’orecchio del suo
capo. “Ma così ci vedrà”, obietta.
“Prima ci renderemo invisibili, è ovvio”, chiarisce
Cedric un po' infastidito, “Anzi, se non hai altre domande, iniziamo”.
Senza attendere la risposta, inizia la sequenza mentale per l’invisibilità.
Questo tipo di mascheramento è una pulsazione teleipnotica adirezionale
periodica, che inibisce agli altri la presa di coscienza dell’immagine
di chi la genera. L’impressione che dà non è quella di veder
sparire chi la usa, ma piuttosto quella di averlo perso di vista.
Infatti, un attimo dopo si accorge di avere perso Vathek.
Gli trasmette col pensiero: ‘Ora dammi il tuo segnale di posizione’.
Un attimo dopo, il gigante gli bussa sulla testa, rivelandosi
esattamente nella posizione di prima.
‘Un segnale telepatico, magari’, gli trasmette
Cedric seccato.
‘Ma magari quell’altro lo intercetta’, si difende
lui.
Ricevuta la conferma telepatica che Toxhorr e Vatris sono
giunti all’altro lato del vicolo, Cedric e Vathek avanzano, deponendo i
loro nodi sul selciato.
Fatto qualche passo, lo vedono: un uomo di mezz’età,
con vestiti terrestri assurdamente eleganti e retrò, sta seduto
a terra intirizzito tra due cassonetti di rifiuti. Si sta guardando attorno
timoroso, stringendosi nel bavero e tremando. Poi trasale d’improvviso,
guardando in alto come se ci fosse un interlocutore in piedi che si è
rivelato solo a lui; infine, allarmato, si alza e scruta attorno a sé,
senza vederli.
Strano, pensa Cedric. Solo lui può vedere Toxhorr
e Vatris all’altro lato del vicolo. Qui sembra esserci un sesto incomodo,
invisibile come loro. E se fosse…
Ad un certo punto, il rumore di un’auto in avvicinamento
rompe il silenzio. Si volta in tempo per vedere un taxi giallo svoltare
nel vicolo: il guidatore non li ha scorti, e sono in un punto stretto!
Cedric si appiattisce contro il muro, stringendo i denti.
“Per le lune di Gaahn!”, sfugge in meridiano a Vathek,
e torna nuovamente visibile. In quel momento, il taxi inchioda a pochi
centimetri da lui che, alla luce di quei fari, sembra molto più
bianco che blu.
Il tassista abbassa il finestrino per un energico vai-in-quel-posto,
ma Cedric non ha più tempo per uno squallido terrestre: anche se
Vathek si è rivelato, lui è ancora invisibile e forse può…
Con una vampata abbagliante, il cassonetto più
vicino esplode, facendolo cadere a terra e disperdendo frammenti di spazzatura
fiammeggiante che disturbano la visuale con una pioggia di lapilli. Attraverso,
intravede un secondo bagliore indistinto, poi uno scoppio all’altra estremità
del vicolo rimbomba nella notte.
Un attimo dopo, quando Cedric è di nuovo in piedi
e pronto a combattere, nel vicolo ci sono solo i suoi uomini e il tassista.
Né il transfuga, né il suo misterioso interlocutore dalle
mani di fiamma. Strilli e voci si sentono da dentro le finestre o dalle
strade vicine.
“Lord Cedric”, lo chiama Vatris venendogli incontro, “Sono
scomparsi!”.
“Erano in due!”, fa eco Toxhorr. “Ho visto l’altro solo
quando ha sparato quel raggio dalle mani verso il cassonetto!”.
“Non vi ha colpiti”, constata Cedric, “Perché
non l’avete fermato?”.
Toxhorr gli indica un angolo della via da cui sono arrivati,
dove un pezzo di muro è screpolato e annerito. “Ha colpito con precisione
il nodo che avevo appena deposto lì, come se sapesse dov’era, eppure
non credo che ci avesse visti”.
“Poi sono svaniti tutti e due, quello seduto e quello
che ha sparato”.
Cedric storce il viso. “Deve essersi teletrasportato
dentro un edificio su questo lato della via. Ma quale?”.
Vathek chiede, attonito: “Lord Cedric, ma chi era quello?”.
Il suo capo risponde amareggiato: “Probabilmente era
quel traditore di Lord Luksas. Forse ha intercettato il segnale della zanzara,
e ha raggiunto il disgraziato un attimo prima di noi”.
“Allora eravamo vicini a fare un colpo doppio!”, esclama
Vatris.
“Sarà…”, risponde Toxhorr scettico, guardando
i resti ancora fiammeggianti del cassonetto,“Ma se è così,
è inutile illudersi che possa cadere nella rete a nodi. Quello è
un trucco che ci ha insegnato lui stesso”.
Cedric annuisce di malumore, poi si volta verso il tassista.
L’uomo, che aveva abbassato il cristallo per imprecare contro il gigante
comparso dal niente, ora è rimasto completamente interdetto dalla
battaglia e da questi figuri loschi che parlano in una lingua sconosciuta.
Tremola mentre balbetta: “Ma… cosa…”.
Cedric gli si pone di fronte, guardandolo intensamente.
‘Dimentica!’.
Gli occhi del tassista si fanno vacui, e ogni sua domanda
muore ancora prima di essere espressa.
Rivolto ai suoi agenti, Cedric comanda: “Domattina verremo
a recuperare i nodi. Ora andiamo via, presto!”.
L’ululato sempre più forte di una sirena bitonale
accompagna la rapida ritirata del gruppo.
Heatherfield, U.S.A., ristorante Silver Dragon, la sera dopo
“Mamma, questo è per il tavolo dodici, e questo
per il tre”. Dalla porta della cucina, il giovanotto dai tratti asiatici
le porge due vassoi fumanti di bolliti e di fritti.
“Subito, Chen”, risponde l’anziana signora dai lunghi
capelli ingrigiti; poi, con agilità insospettata, fa uno slalom
tra i tavolini troppo accalcati del ristorante e recapita velocemente le
vivande, accompagnandole con soavi sorrisi e inchini rispettosi ai clienti.
Tornando rapida verso la cucina, si ferma sorpresa: una
sensazione ben nota, un formicolio intermittente al palmo destro, si presenta
nel peggior momento possibile della sua giornata.
“Chen, devo allontanarmi” dice con un sorrisino di scusa
al figlio costernato, “Ti mando giù la tua Joan”.
“Proprio in questo momento, mamma? Siamo…”.
“Cose da donne, caro”, risponde dirigendosi verso le
scale. In questi casi dà sempre la stessa risposta: non vuole dire
niente, ma riesce a scoraggiare ogni domanda di suo figlio.
Un minuto dopo, nella sua camera, l’anziana Yan Lin si
accerta che nessuno la stia osservando: chiude porte e saracinesche, poi
volge il palmo verso l’alto.
Un talismano si materializza circonfuso da un bagliore
rosato, fluttuando pochi centimetri sopra la sua mano. E’ una sfera di
ametista incastonata in un supporto argenteo: il Cuore di Kandrakar,
questo il nome del talismano, ha avuto origine in tempi remotissimi in
cui nessuno aveva mai pensato a munirlo di un tasto di occupato.
Un’ondata di energia la investe, mentre quarant’anni di
età si dissolvono in un miracolo al quale si è ormai abituata:
ora il suo viso è giovane, incorniciato da capelli cortissimi neri
come l’inchiostro. Solo le orecchie a sventola… beh, quelle restano sempre
lì.
La sua pacifica vestaglia lascia il posto ad un variopinto
completo da karateka verde e viola, mentre lunghe calze a righe verdine
e azzurre si intravedono al disotto dei pantaloni al ginocchio.
Dietro la schiena, delle spigolose alette iridescenti
attraversano il vestito, completando con un tratto non umano il suo aspetto,
nuovo e antico al tempo stesso.
Ora è il momento del salto dimensionale. La sua
volontà sinergizza con il potere del talismano; in un lampo abbagliante,
la camera si smaterializza attorno a lei.
Fortezza di Kandrakar
Un istante dopo, l’ambiente che vede è completamente
mutato.
Ora è al centro di una sala ad anfiteatro pervasa
da un’abbacinante luminosità biancazzurra, dalle cui finestre senza
vetri entrano sbuffi di nuvole candide. Questa è la fortezza di
Kandrakar: le hanno spiegato che questo luogo è al centro esatto
dell’infinito, qualunque cosa ciò voglia dire.
Mentre Yan Lin fa sparire lo sfavillante monile nel palmo,
la luce rosata del Cuore si riflette, estinguendosi, su grandi colonne
e su pareti dagli affreschi a toni azzurrini.
Davanti a lei ci sono due uomini, gli stessi di ogni
altra volta. Il più alto è l’Oracolo: calvo e senza età,
emana un carisma quasi divino. Accanto a lui c’è Tibor: un saggio
dalla barba fluente e dai lunghi capelli lisci, chiaramente subalterno.
Tutt’attorno, seduti sui gradoni, una ventina di esseri
indossano identiche tuniche biancazzurre, ma sfoggiano tratti alieni e
disomogenei che ne testimoniano la provenienza da luoghi diversissimi.
Questo è il consiglio della Congrega che si fa
carico di mantenere l’equilibrio tra i mondi.
C’è stato un tempo in cui Yan Lin si considerava
una maga guerriera, un altro in cui preferiva vedersi come una sacerdotessa.
Forse non è né l’una, né l’altra cosa. E’ una Guardiana,
l’ultima di un gruppo di cinque sgretolatosi da ormai più di vent’anni.
Quando parla l’Oracolo, ogni brusio tace: “Yan Lin, un’antica
nuvola torna ad oscurare i nostri orizzonti. Tu sai già che sempre
più profughi del Metamondo stanno attraversando il varco naturale
con la Terra, teletrasferendosi lì, confondendosi con i terrestri
e facendo perdere le loro tracce. Come se ciò non bastasse, i servizi
segreti di Meridian li ricercano sfruttando magie del tutto estranee al
tuo mondo”.
Tibor aggiunge: “Ora non si tratta più di sopportare
solo una regina curiosa che viene a cercare libri, o principi in incognito
alla ricerca di avventure galanti con le terrestri”.
Yan Lin scuote piano il viso. “La situazione è
così precipitata in poche settimane?”.
L’Oracolo fa un grave cenno di assenso. “Si parla di
insetti spia, invisibilità ipnotica, sondaggio delle memorie e loro
soli sanno cos’altro. Poco fa, abbiamo osservato perfino un combattimento
con fasci ionizzati per le vie della città”.
“Il mio mondo non è preparato a questo”, ammette
Yan Lin, resistendo all’impulso di grattarsi una puntura sul polso. “E
l’accordo con la regina?”.
“Adariel è al suo tramonto. Viste le premesse,
è probabile che suo figlio Phobos non rispetterà il patto
che avevamo con lei”.
Yan Lin annuisce. Come unica guardiana del passaggio
rimasta, conosce bene i termini di quell’accordo: il permesso di passaggio
per la regina e pochi suoi collaboratori, in cambio della promessa di ridurre
quasi a zero l’uso dei loro poteri finché sono lì. Phobos
sa che i terrestri sono impreparati alla magia: se lui dovesse vedere nella
Terra una fonte di risorse da sfruttare o un terreno di conquista, le loro
deboli menti sarebbero facile preda dei metodi di controllo suoi e dei
suoi agenti. “E quindi ?” chiede lei, sempre più inquieta.
“Abbiamo deciso di riattivare la Muraglia” scandisce
l’Oracolo. Per un attimo, lo sguardo tradisce un’emozione, poi torna impenetrabile
come sempre.
Yan Lin si sforza di non mostrare tutto il suo
turbamento. La muraglia! La barriera che impedisce ogni collegamento tra
due mondi attraverso lo spazio e le altre dimensioni! Era da tempi lontani,
a parte la breve parentesi ai tempi di Nerissa, che quest’antichissima
barriera magica non veniva più attivata. “Ma, Oracolo… questo significa
tagliare una preziosa via di fuga a gente che vorrebbe solo sfuggire a
una nuova tirannia”.
“Lo so, Yan Lin, e me ne dispiace. Però il compito
della nostra congrega è di garantire l’equilibrio tra i mondi, non
di offrire rifugio a folle di profughi, né di rovesciare i regimi
politici locali, per quanto opprimenti possano essere”.
La guardiana annuisce piano, triste. Per un attimo, ricordi
troppo dolorosi la sfiorano.
L’oracolo riprende, lapidario: “Ti affido un messaggio
per la sede operativa dei loro servizi segreti ad Heatherfield: tutti quelli
che non rientreranno a Meridian entro ventiquattr’ore da adesso, poi non
potranno più farlo”.
Heatherfield, scantinato della libreria Ye Olde Bookshop
La ragazza, seduta nel traballante lettino pieghevole,
alza gli occhi dal televisore verso l’orologio a parete: sono le sette
e mezzo di sera, l’ora di andare.
Si alza dal suo scomodo giaciglio, guardando con disappunto
il suo alloggio improvvisato nel seminterrato: alla fine, come temeva,
la disponibilità di energia è scesa ancora, costringendo
gli agenti a risparmiare sia sui teletrasporti che sui cambiamenti di aspetto.
Così anche lei, Miriadel, è costretta a passare tutte le
notti ad Heatherfield nei panni alieni della commessa Eleanor Brown, ritornando
alla sua vera vita e al suo Alborn solo quando in questo luogo è
il fine settimana. Dovrebbero trasferirsi in un appartamento: ormai questo
negozio non è più adatto al loro nuovo ruolo.
Stringendosi nella giacca a vento grigia e fucsia, percorre
le vie della città nella sera, diretta verso il fiume che attraversa
Heatherfield sboccando proprio al centro della baia.
Ottobre è già iniziato, e le serate hanno
smesso di essere calde e invitanti.
Attraversa vie deserte e malfamate rendendosi invisibile
a spacciatori e disperati che vi si ritrovano per dividere la loro solitudine,
e si inoltra in un prato malamente recintato, la cui sterpaglia nasconde
ogni genere di detriti.
Non si abituerà mai alla facilità con cui i terrestri buttano via la loro roba: ogni volta che passa vicino a un cassonetto, le piange il cuore a vedervi gettati tanti bottiglioni di plastica ancora come nuovi, e resiste a fatica all’impulso di recuperarli a decine per donarli ad amici e parenti. Se non lo ha mai fatto, è solo perché non è saggio pubblicizzare la propria appartenenza ai servizi segreti. E’ pur vero che, in un luogo pieno di telepati come Meridian, questo non è più un segreto da tempo.
Questa sera la luna le è amica, e illumina dall’alto
i suoi passi sul terreno infido. La bella sagoma luminosa della città,
sull’altra riva del fiume, la accompagna nel suo compito ingrato senza
aiutarla molto: le luci di finestre e lampioni lontani mettono in evidenza
solo cespugli e ostacoli alti che non costituirebbero comunque una
minaccia per le sue caviglie. La settimana prima, con il buio della luna
nuova, si prese una distorsione che per poco non la fece gridare di dolore,
e la sua caviglia ci mise messo ben trenta secondi a guarire.
Al riparo da ogni occhio indiscreto, Eleanor estrae dalla
borsetta un flacone di repellente per insetti, spruzzandosi copiosamente
la pelle e i vestiti. I ronzii nel buio sono già tanti e fastidiosi,
ma ancora niente se paragonato a quello che ci sarà tra poco.
Estrae dalla borsa un barattolo di plastica e, tenendolo
sollevato e ben discosto da sé, ne svita il coperchio. Immediatamente,
un rumore fatto di mille ronzii sovrasta i suoni lontani del traffico.
Lei lo appoggia sul relitto di un vecchio frigorifero
abbandonato, trattenendo il fiato; con gli occhi socchiusi, fa qualche
passo indietro per allontanarsi dal turbinio.
In pochi istanti orde di zanzare, molte più di
quelle che avrebbero potuto trovar posto in un normale barattolo da dieci
centilitri, saturano l’aria. Guardando contro le luci dei condomini lontani,
si vede il brulichio nell’aria di milioni di piccoli, molesti punti neri.
Non le piace ciò che sta facendo, e non si riferisce
né al fastidioso ronzio, né alle serate e le notti trascorse
in uno squallido seminterrato con la sola compagnia dei libri e della televisione,
che almeno le ha permesso di migliorare la sua conoscenza della Terra.
Quello che odia è lo scopo di questa operazione: le zanzare sono
programmate per riconoscere il sangue degli abitanti del metamondo anche
se hanno assunto un aspetto terrestre. Se una qualunque di quei milioni
di piccoli vampiri dovesse pungere un meridiano, invierebbe un segnale
mentale che lei o Cedric potrebbero percepire, assieme alle immagini a
pixel esagonali trasmesse dai suoi occhi composti e alla sua posizione.
E se loro due fossero assenti, il messaggio sarebbe comunque registrato
dalla memoria di… come si chiama, Lincoln… insomma, di quel busto che la
guarda tutti i giorni da una mensola della libreria.
Sorride amaramente nel buio. Quel Lincoln era ricordato
per la sua lotta alla schiavitù; è ironico che il suo busto
contribuisca a rintracciare gente in fuga dalla propria patria oppressa
da un tiranno. Perché ormai Meridian è così.
Perché Lord Luksas è fuggito? Era caduto
in disgrazia presso il principe Phobos, o aveva immaginato ciò che,
di lì a pochi mesi, i suoi servizi segreti sarebbero stati costretti
a fare?
Il giorno prima Cedric, quasi percependo i suoi dubbi,
le ha detto che quei fuggiaschi non sono poveracci qualsiasi, ma gente
comunque abbastanza potente da trasferirsi da un mondo all’altro con la
sua volontà, spesso senza neanche disporre dei contatissimi sigilli
di teletrasporto. Gente così potente potrebbe avvicinare qualche
leader politico del posto, per esempio il presidente Reagan, e suggestionarlo,
rivelandogli che un mondo lontano, dal potenziale minerario ancora largamente
inesplorato, langue sotto una tirannia. E soprattutto, potrebbero
rivelargli che questo mondo può essere raggiunto con aerei ed elicotteri,
una volta conosciuti l’ubicazione e l’allineamento del portale naturale.
Questo fluttua sopra l’Atlantico a cinquanta miglia al largo di Heatherfield,
simile a una nuvola o, visto da dentro, a un lungo tunnel nella nebbia.
Lei, turbata, gli ha chiesto se davvero il principe
Phobos tema questo, e Cedric le ha risposto con un’altra domanda: ‘Ti senti
di escluderlo?’.
E’ passata mezz’ora. Immobile nel prato buio, Eleanor
comincia a sentire l’umidità. Cerca il barattolo a tentoni, socchiudendo
gli occhi mentre quelle bestiole schifose le ronzano ancora intorno, come
incerte se quella pelle rosata e odorante di citronella possa rientrare
tra i loro obiettivi.
Richiuso e fatto sparire il barattolo nella borsa, ritorna
sui suoi passi con prudenza, allontanandosi dal ronzio opprimente.
Se ne torna verso il suo alloggio, allungando il percorso
per evitare i vicoli squallidi e percorrere, piuttosto, una bella via piena
di negozi.
Vedere la varietà di oggetti offerta dalle vetrine
di questa città è affascinante. Si intrattiene un attimo
davanti ad un negozio di ferramenta, osservando le sue mille offerte, da
lucidissime pentole in inox alle seghe e ai cacciavite, più
centomila cose che non riconosce, ma che farebbero certo impazzire il suo
Alborn. Se fosse qui con lei, si faticherebbe molto a staccarlo da questo
negozio.
Un’altra vetrina è piena di vestiti. Dovendo restare
a lungo sulla Terra, lei ha bisogno di qualche abito nuovo, ma le offerte
dei negozi di Heatherfield non la convincono: metà dei vestiti femminili
sarebbero impresentabili agli occhi dei meridiani.
Ginocchia, spalle, ombelichi scoperti… ciò
fa contrasto con la bigotteria ipocrita di cui i terrestri si ammantano
in tante occasioni.. E’ chiaro che è gente incapace di capire qualunque
pensiero non espresso.
Di vetrina in vetrina, Miriadel arriva lentamente fino
al Ye Olde Bookshop.
Mentre sta rimuginando paragoni tra i programmi televisivi
e le suggestioni postipnotiche, si accorge che un chiarore traspare dalla
porta vetrata della libreria.
Che sia Cedric? Così fuori orario?
Studia la situazione attraverso la vetrina. All’interno,
un’anziana signora dai capelli lunghi e lisci sta seduta a un tavolino,
sfogliando un libro e scoccando occhiate impazienti all’esterno.
L’ha vista! Si è alzata in piedi, continuando
a guardare verso di lei.
Eleanor teme di sapere chi è. Ahi, grane in
vista.
Apre la porta, ancora chiusa a chiave. “Signora, la libreria
è chiusa, e da un bel pezzo. Come ha fatto a entrare?”.
L’altra le fa un leggero inchino un po’ cerimonioso.
“Signorina, possiamo parlarci subito chiaramente, anziché prenderci
in giro?”.
“Prego?”.
L’anziana signora fa un gesto verso la vetrina, che immediatamente
si appanna. Poi, in un turbinio di luci, si trasforma nella giovane e decisa
Guardiana dalle alette iridescenti e dal costume sgargiante. Poi
tende un braccio, facendo galleggiare sopra il palmo un oggetto che emette
una intensa luce rosata.
“Però… niente musichetta?”, scherza Eleanor per
mascherare la sua impressione. Questa deve essere l’ultima delle guardiane
di Kandahar… di Kandrakar di cui le hanno parlato. Ma perché queste
grane non arrivano quando c’è anche Cedric?
“Signorina, il mio nome è Yan Lin. Non faccia
finta di non avere capito chi sono. Io so già che lei è un
agente del servizio segreto di Meridian”.
“Non si aspetterà che glielo confermi, vero?”.
“Non serve. Sono qui per portarvi un messaggio da parte
della Congrega di Kandrakar: tra ventiquattr’ore -sbircia l’orologio alla
parete- anzi, tra ventidue ore e un quarto, verrà riattivata la
Muraglia, che impedirà ogni passaggio tra il Metamondo e la Terra.
Perciò, se ci tiene a tornare alla sua Meridian, lo faccia subito,
e riferisca il messaggio ai suoi superiori perché richiamino immediatamente
tutti i suoi colleghi dalla Terra”.
A Eleanor l’idea di tornare nella sua città non
dispiace troppo. Ma... cosa ne dirà Cedric? E… e il principe
Phobos?
“Aspetti, forse ne può discutere…”.
“Inutile discutere tra noi, signorina. Io sono un’esecutrice,
come credo che sia lei. Ma, se vuole un mio parere personale, glielo darò.
Sarei ben felice che, oltre ai vostri agenti, riportaste via anche tutte
le dannate zanzare con cui avete infestato la città”.