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Autore: Mary15389    05/08/2010    1 recensioni
Un caso porta la squadra in una cittadina in Alaska. In un clima particolarmente rigido, la taverna che ospita i sette agenti ha solo quattro camere libere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jennifer JJ Jareau, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Warm me with your embrace Spoiler: Episodio 5x21
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho provato a immaginare come i profiler erano stati divisi nelle camere, focalizzandomi specialmente sulla coppia Spencer/JJ "costretti" a condividere una stanza.


Warm me with your embrace
 
«Ho solo quattro camere disponibili.»
Reid aveva assunto un’espressione interdetta alle parole della padrona di quella taverna. «Quattro?» domandò, per essere interrotto dal detective di Franklin.
«Suvvia, è il meglio che possiamo fare, la vostra squadra è il doppio del mio dipartimento.»
Esatto!, pensava Spencer, la squadra era composta da sette persone ed era impensabile che dormissero in sole quattro stanze.
«Sembra che dovremo accoppiarci.» aveva concluso Hotch alzandosi dalla poltrona alla quale si era accomodato, lanciando il giovane agente nel panico più assoluto. Come poteva permettere tutto ciò?
«Io non dormo con Reid!» l’esclamazione di Morgan aveva portato il piccolo genio a voltarsi meccanicamente nella sua direzione, ma la sua mente in realtà era impegnata a cercare di mantenere la calma in quell’accumulo di dati che erano tutto fuorché rassicuranti.
Penelope si era quindi offerta per dividere la stanza con Derek, ‘salvandolo’ dalla prospettiva di doverla dividere con il giovane collega che continuava ad osservare la scena intorno a sé. Reid non si accorse nemmeno di come quell’ingresso con il camino si fosse svuotato in pochi minuti. Si riscosse solo quando si accorse di una voce che lo chiamava con insistenza. «Spence...Spence!» si voltò per incrociare i suoi occhi con quelli blu di JJ che era appoggiata al bracciolo della poltrona sulla quale lui era comodo.
«Scusami stavo pensando.» si scusò portandosi imbarazzato una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Jennifer rise con la delicatezza che la contraddistingueva sempre. «Me ne sono accorta.» sussurrò fissando poi gli occhi sulla fiamma ondeggiante del camino alla loro sinistra.
Anche lo sguardo di Reid si diresse da quella parte, poi si voltò di nuovo verso la donna, «Gli altri?»
«Sono già andati a dormire. Hotch e David hanno preso una camera, Emily aveva bisogno di stare da sola.» non riuscì a trattenere un’espressione soddisfatta per aver convinto la collega a telefonare a Mick Rawson ed era già impaziente di sapere cosa si sarebbero detti.
Spencer fissò gli occhi sulla donna, scrutandola per tutta la lunghezza del suo corpo. Aveva realizzato troppo in fretta quello che non aveva detto. Erano rimasti solo loro due e solo una camera ancora libera. Non poteva essere possibile.
Deglutì vistosamente senza avere il coraggio di replicare fermando le iridi nocciola sul viso della donna, quindi il volto di JJ mutò visibilmente. Abbassò lo sguardo su di lui, con occhi tristi. «È un problema?» domandò conscia che lui avesse già capito.
Il ragazzo sussultò, premurandosi di rispondere con spontaneità, «No...no, certo che no. Sono stato preso solo alla sprovvista.»
«Perfetto. Perché l’alternativa era dormire qui davanti al camino.» scherzò lei ammiccando con gli occhi prima di sollevarsi sulle sue gambe e avviarsi verso la scala che li avrebbe portati al piano di sopra. Si stirò delicatamente la schiena e dopo aver poggiato un piede sul primo gradino si voltò a guardare il collega che si stava alzando a sua volta dalla poltrona, per capire se avesse intenzione di andare a dormire anche lui. Poggiò delicatamente la mano alla balaustra pensando a come non le fosse sembrato del tutto convinto di quella decisione, ma ormai non poteva tirarsi indietro. Attese che la raggiungesse prima di riprendere a salire le scale. Reid alle sue spalle la seguiva con calma.
«Vedo che il ginocchio va meglio.» gli disse notando meno difficoltà per il giovane nel compiere i movimenti.
«È solo questione di tempo. Per fortuna non ci sono state complicazioni e sto riprendendo l’usuale mobilità. Ancora un mese o due e potrò tornare attivo sul campo a tutti gli effetti.» spiegò arrivando sul pianerottolo che si allungava ai lati in due corridoi. JJ tirò fuori dalla tasca la chiave che le aveva dato la donna e la sventolò davanti agli occhi di Spencer.
«Da quel lato.» indicò verso il lato sinistro. «Sul fondo...la nostra camera è distante da quella degli altri. Loro sono nel corridoio opposto.» spiegò incamminandosi già verso la stanza. Ancora una volta Reid si trovò a deglutire con fatica senza poter controbattere nulla, mentre seguiva la donna che, si accorse, lasciava una scia di dolce profumo al suo passaggio.
Raggiunsero la porta, alla toppa della quale Jennifer avvicinò la chiave, facendola entrare e ruotandola lievemente fin quando lo scatto segnalò che si fosse aperta. Abbassò la maniglia introducendosi all’interno della stanza e si piegò, senza voltarsi, per raggiungere l’interruttore.
Spencer alle sue spalle, non appena vide la donna entrare distese un braccio oltre lo stipite per attivare la luce. Si erano mossi entrambi troppo velocemente, così che lui trovò le dita della collega intenta nella stessa ricerca. Le sfiorò delicatamente con le sue per un attimo che sembrò fermare il tempo. Ritrassero entrambi di scatto le mani guardandosi e JJ rise per il rossore che si dipinse sul viso del giovane, decidendo infine di accendere lei la luce di quella stanza.
Reid si riscosse dal momento di imbarazzo, entrando finalmente anche lui nella camera e guardandosi intorno. Era piccola ma confortevole. Una tipica baita di montagna con un grande letto al centro e un vecchio armadio nell’angolo, una scrivania e una sedia dalla parte opposta e nient’altro.
«Mi aspettavo di peggio.» scherzò l’agente Jareau alle sue spalle mentre richiudeva la porta.
Il ragazzo fece spallucce, «È...è carina...» rispose facendo qualche altro passo in avanti e rimanendo al centro non ben certo su cosa fare. La collega lo superò strofinandosi con il palmo di una mano il braccio opposto. «Hai freddo?» domandò Spencer vedendola dirigersi verso l’armadietto.
«Tu no?» domandò sbalordita la donna.
Istantaneamente il piccolo genio portò le mani fuori dalle tasche cominciando a gesticolare, «L’Alaska è uno dei paesi più freddi. In questa zona interna le medie mensili sono sotto lo zero per otto mesi l’anno e proprio qui si raggiungono le temperature più basse, circa sessantadue gradi centigradi sotto zero, e quelle più alte, sui trentotto gradi sotto zero...»
Jennifer si voltò di scatto sporgendosi oltre l’anta dietro la quale era rimasta nascosta per un po’. «Adoro vivere a Washington!» esclamò. «Qui rischiamo l’assideramento.» tornò quindi a concentrarsi sul contenuto del guardaroba.
«Basta coprirsi per bene, non siamo nemmeno nel periodo più freddo.» la rassicurò il ragazzo continuando a guardarsi intorno, dopo aver riportato le mani in tasca. Tutta quella situazione gli stava mettendo addosso una grande ansia che lo spingeva ad oscillare avanti e indietro sulle gambe.
Jennifer si allontanò dall’armadio portando con sé tutte le coperte che aveva trovato. «Spero bastino...» disse cominciando a separarle e poggiandole sul copriletto.
Spencer deglutì, «Io...io...si, insomma.» prese un respiro concentrandosi. «Nel letto ci dormi tu...» riuscì a dire infine tutto d’un fiato cominciando a tastare nervosamente la sciarpa che aveva al collo.
«Non sarebbe meglio che ci dormissi tu? Il tuo ginocchio...» indicò giù verso l’arto del ragazzo.
«Oh no, no. Tu devi stare comoda...io me la posso cavare. Ormai non ho problemi.» si avvicinò a lei prendendo una delle coperte che aveva poggiato sul letto e la aprì, distendendola sul pavimento. Poi si voltò per prenderne un’altra e si chinò fino a raggiungere il pavimento, contraendosi in una smorfia di dolore causata da un movimento azzardato sul ginocchio dolorante.
«Spence...» lo riprese Jennifer. «Non puoi dormire lì, guarda già come ti fa male.» disse preoccupata.
Reid si spostò in una posizione più comoda, sentendo diradarsi la fitta alla ferita. Respirò pesantemente, spalancando gli occhi e scuotendo la testa. «Io non capisco...sarà stato il freddo, colpisce le ossa e...» si fermò guardando l’espressione negli occhi della donna. «Che c’è?» chiese.
JJ non sapeva esattamente cosa stesse accadendo, ma vedere Spencer comportarsi in maniera così premurosa con lei e allo stesso tempo così imbarazzato la divertiva e la rasserenava. Era come se il mondo, il lavoro, tutto fosse rimasto fuori da quella porta quando l’aveva chiusa. «Grazie...» mormorò infine, poggiandosi con il fianco sul materasso e incastrando il piede dietro un ginocchio. «Sei ancora in tempo per accettare questo comodissimo letto.» propose ancora una volta, accarezzando le lenzuola.
«No, sono sicuro.» scosse il capo. Poi si fermò riflettendoci un attimo. «A parte che penso che non riuscirò nemmeno ad alzarmi da qui.» ammise guardandosi intorno e la ragazza si lasciò andare ad una sonora risata.
Dopo aver fatto leva sulle braccia per sistemarsi meglio sul pavimento, Spencer si allungò per sdraiarsi prendendo un lembo dell’altra coperta che aveva portato con sé. Stava per raggiungere il suolo con la testa, quando si ricordò che mancava qualcosa. Si sollevò lievemente, giusto in tempo per vedere JJ spingersi verso di lui dai piedi del letto porgendogli un cuscino. Si fermarono a poca distanza l’uno dall’altro, poi la donna ruppe il silenzio che si era creato. «Almeno il cuscino potresti usarlo.» gli disse mentre lui afferrava già con delicatezza il morbido guanciale sistemandoselo sotto la testa e sdraiandosi. Tirò su di sé la coperta e vide scomparire la collega dal suo campo visivo. Si fermò allora a fissare il soffitto, non riuscendo a prendere sonno. Sentì il silenzioso fruscio delle lenzuola che Jennifer stava spostando per mettersi a dormire anche lei, dopo aver accuratamente disteso al di sopra i plaid di lana.
«Spence...» sentì chiamare lei nel silenzio. «Non hai nemmeno slacciato la cravatta, non è pericoloso?» domandò e Reid si diede mentalmente del cretino. Si sarebbe potuto fare male nella notte e non vi aveva nemmeno fatto caso. Lui che era sempre così attento a tutto. Si sollevò leggermente introducendo le dita nel nodo e tirandolo fin quando non lo aprì del tutto, lasciando la striscia di stoffa a terra alla sua destra.
«E magari hai lasciato anche la pistola alla cintura.» aggiunse JJ da lontano.
«Effettivamente...» commentò lui.
La donna rise, «Hai paura che possa assalirti durante la notte?» aggiunse mordendosi poi il labbro inferiore.
L’imbarazzo colse l’agente che si sentì il volto in fiamme. Subito lasciò scivolare le mani alla cintura sganciando la fondina e portando anche quella sul pavimento alla sua destra. «Buonanotte JJ.» disse spostandosi sul fianco nel tentativo di prendere sonno per permettere anche a lei di dormire.
Jennifer si allungò verso l’interruttore che aveva accanto e lasciò che la luce si spegnesse, così che solo un lieve bagliore penetrasse tra le fessure della finestra. «Buonanotte Spence...» disse voltandosi anche lei sul fianco. Ma non aveva sonno, qualcosa la turbava. E non era solo il freddo. C’era qualcosa di più profondo ma che non riusciva a capire. Tenendo quella posizione ferma nel letto, persa nei suoi pensieri, iniziò a sentire freddo ai piedi. Si raggomitolò ancora meglio su se stessa, ma la frigidità non accennava a diminuire. Pensò attentamente al da fare, prima di decidere di scoprirsi per recuperare un altro plaid.
Ai piedi del letto Spencer avvolto nella coperta si rigirava in continuazione senza riuscire a fare in modo che il sonno lo cogliesse. Pensava a quella serata, al fatto che a poca distanza da lui ci fosse JJ e la cosa gli faceva accelerare il battito del cuore. Non percepiva il freddo che sicuramente doveva esserci in quella stanza, al contrario si sentiva circondato da uno strano tepore. Improvvisamente sentì un rumore alla sua sinistra e si voltò, vedendo nella penombra un piede della donna sporgere dalle lenzuola, subito seguito dall’altro. La guardò mettersi in piedi e dirigersi verso l’armadio. Il ragazzo si sollevò sulle braccia, sporgendosi. «JJ...» la chiamò. «Che succede?»
«Un po’ di freddo...» rispose lei scomparendo oltre l’anta del mobile. «Dannazione!» esclamò dopo aver dato un’occhiata.
Spencer si sollevò, portandosi a sedere e notò che sul letto c’erano già tre coperte. Poi spostò lo sguardo verso la collega, che si poggiò di nuovo sul materasso stringendosi con le braccia. «Le ho già prese tutte.» gli confessò come se fosse il peggiore peccato che avesse mai commesso.
Il giovane percepì sotto le dita il tessuto caldo della coperta che stringeva ancora tra le mani. Ci volle un secondo perché si vide a porgerla alla donna, senza rendersi ben conto del gesto che stava compiendo. «Puoi...puoi prendere la mia.» le disse e lei portò una mano in avanti come a fermare il suo movimento.
«E tu?»
Il ragazzo ci pensò un attimo, poi balbettò «Non ho...freddo.» poteva sembrare assurdo in una serata del genere, ma era esattamente così.
«Ma congelerai!» esclamò lei preoccupata.
«Ti sto dicendo che non ho freddo.» risolvette e mollò la tensione del braccio teso, poggiando la coperta ai piedi del letto. Si chiedeva cosa gli fosse saltato in mente, da dove avesse tirato fuori quella intraprendenza. Lo Spencer Reid che conosceva si sarebbe confuso prima di riuscire a capire che doveva offrirle la sua coperta. Sarebbe servito qualcuno che glielo facesse notare. E invece no. Aveva fatto tutto da solo e prima che riuscisse a convincersene del tutto si ritrovò ad aggiungere, «E...se vuoi, puoi prendere anche...quest’altra.» le disse battendo delicatamente con la mano su ciò che lo separava dal contatto diretto con il pavimento.
Jennifer si fermò un attimo a pensare. Non poteva assolutamente accettare una cosa del genere, avrebbe fatto rimanere il suo collega al gelo. Eppure lei aveva troppo freddo da non riuscire a sopportarlo ancora per molto. Alla fine come in un lampo si manifestò in lei l’unica soluzione che sarebbe potuta andare bene ad entrambi. «Accetto solo ad una condizione.» disse creando poi un momento di silenzio. «Che anche tu vieni a scaldarti nel letto.» completo in un solo fiato.
Spencer trasalì vistosamente. «Cosa?!» esclamò mostrandosi sbalordito, abbandonato improvvisamente da tutta l’intraprendenza che aveva mostrato poco prima.
Jennifer mantenne sul viso lo stesso sguardo serio di quando aveva fatto la proposta. «Dai, Spence, siamo adulti entrambi, possiamo condividere un letto senza problemi. L’alternativa è il freddo gelido.» affermò, attendendo a braccia conserte una risposta. Sperando che fosse positiva.
Avrebbe voluto ribattere che proprio perché erano due persone adulte non era auspicabile dividere un letto. Ma non lo fece. Lo sguardo dolce di JJ fisso nei suoi occhi in quella piccola stanza buia lo trascinò come una forza che lo costrinse ad alzarsi, senza tralasciare l’ennesima smorfia di dolore per il ginocchio. Aveva accettato pur senza averlo detto ad alta voce. E senza aver avuto il tempo di elaborare il tutto nel suo efficientissimo cervello e rendersi conto di quello che stava per fare.
Si voltò a recuperare l’ultima coperta che giaceva sul pavimento e con l’aiuto della ragazza che si alzò dal materasso la sistemarono sul letto, ponendogli sopra l’altra che Spencer le aveva già porto. Il volto sereno della donna si contrasse in un sorriso mentre scostava le lenzuola per introdursi al caldo. Reid la fissava incapace di fare lo stesso.
La vide prendere posto accoccolata sul fianco, quindi decise di prendere un respiro e di avvicinare timidamente le mani al risvolto delle coperte. Le tirò delicatamente, lasciando poi che il suo corpo facesse piegare il materasso sotto il suo peso. Tirò dentro anche le gambe, sfilandosi le scarpe dai piedi e si coprì occupando la minor parte possibile del letto, all’estrema sinistra, portandosi anche lui sul fianco. Osservò le pareti ormai conscio che non sarebbe riuscito a dormire. Avrebbe passato la notte così, vegliando sul sonno di lei, che sentiva ogni tanto muoversi con delicatezza, ricordandogli che erano proprio in uno stesso letto, separati da qualche centimetro di materasso.
JJ si era stretta alla massa di coperte che la ricopriva, voltando le spalle verso il collega e occupando l’estrema destra del letto. Nonostante fosse stata lei a proporre quella soluzione, qualcosa la rendeva inquieta. Ma non era certa che fosse un’inquietudine negativa. Al contrario, era una strana emozione che la prendeva allo stomaco, ma non ci fece troppo caso dando la colpa al freddo, che nonostante i cinque strati di plaid non accennava a diminuire. Ancora una volta si rannicchiò, avvicinando le ginocchia al petto. Non riusciva a prendere sonno e sentiva poco lontano da sé il movimento del ragazzo che si sistemava comodo. A pochi centimetri dal suo corpo.
Il silenzio di quella stanza era carico, nessuno dei due capiva bene di cosa. Una strana emozione vibrava in quell’aria. Quei corpi continuavano a muoversi su quel materasso comune cercando di non infastidire l’altro, evitando di sconfinare da quello spazio che si erano imposti di occupare. Vietandosi un qualsiasi contatto, che sebbene non volevano dirlo, sapevano sarebbe stato fatale.
Infine fu JJ a rompere quel divieto. Il freddo non smetteva di attanagliarla e così con delicatezza lasciò che una mano si distendesse lungo lo spazio alle sue spalle, ruotando lentamente anche il corpo in direzione di quello di lui, che raggiunse e sfiorò con dolcezza lungo la spina dorsale, quasi chiedendo il permesso di compiere quel gesto.
Spencer da parte sua, a sentire un lieve tocco sulle sue spalle rabbrividì, cominciando poi a voltarsi quasi spaventato di quello che sarebbe potuto accadere. Gli occhi di Jennifer lo guardavano con insistenza, mentre le sue dita non avevano abbandonato la sua schiena per tutto il movimento. Si ritrovarono uno di fronte all’altra, fissandosi.
La donna sentiva le iridi nocciola del ragazzo scrutarle ogni centimetro del viso nella penombra della camera e sostenne quello sguardo con volto sereno. Improvvisamente sussurrò appena udibile «Ho freddo, Spence...» e si tuffò sul petto di Reid prima che lui fosse in grado di accorgersene e fare qualcosa. La sentì contro il suo corpo e i brividi si fecero più intensi mentre sotto quel groviglio di coperte lei si stringeva sempre di più a lui, cercando un contatto anche tra le loro gambe. Decise di seguire l’istinto, per una volta, e la cinse con sicurezza, donandole il calore di cui era certo avesse bisogno. Le frizionò con forza le spalle, scaldandola con amore. Il dolce profumo che aveva percepito in cima alle scale raggiunse ora le sue narici inebriandolo, rendendosi indelebile dal suo corpo e soprattutto dalla sua mente. E non di certo per via della sua memoria eidetica.
Rimasero stretti per alcuni minuti, fin quando l’agente Jareau iniziò ad avvertire un primo lieve tepore, allora sollevò il capo guardando il ragazzo così vicino a lei. Pericolosamente vicino. Inclinò il capo cercando di leggere nei suoi occhi. Vide paura, emozione, dolcezza. Vide lo Spence a cui voleva bene. Lo Spence genuino che le piaceva prendere in giro, ma che sapeva andava protetto più di ogni altro, perché era colui che più aveva da perdere, l’animo più fragile che conoscesse. Anche se questo non era visibile all’esterno, lei lo sapeva, lei lo conosceva bene, perché lui le aveva permesso di scavare a fondo nel suo animo. Il loro rapporto speciale era nato così. Semplicemente. E non sarebbe mai andato perduto.
Sarebbe potuto essere uno sbaglio, ma lei continuava a fissarlo e lui percepiva quegli occhi su di sé, quando improvvisamente Reid la vide muoversi, avvicinarsi al suo viso, sentendo il caldo e affannato respiro di lei contro la sua pelle. Il tempo si stava fermando intorno a loro, stretti sotto quelle coperte. Ma qualcosa intervenne a spezzare l’incantesimo.
Il silenzio cessò, un urlo rimbombò nell’immenso spazio esterno. Una voce lamentosa e spaventata che costrinse i due ragazzi a sciogliere l’abbraccio e mettersi di scatto a sedere sul materasso, voltandosi verso l’unica finestra da cui traspariva un lieve bagliore. Si separarono anche se non avrebbero voluto, ascoltando bene ciò che stava accadendo. Jennifer riconobbe quella voce e riportò lo sguardo verso il collega. «È...è Penelope?» balbettò ritrovando la voce che non aveva avuto bisogno di usare per un po’ di tempo.
Spencer si concentrò su quella voce identificandola anche lui con quella della bizzarra collega. Scosse il capo in segno affermativo e come richiamato al dovere, portò i piedi fuori dalle coperte cercando le scarpe e, una volta trovatele, le indossò. Si voltò verso l’agente Jareau, «Tu resta qui...» le disse con fermezza, mentre si dirigeva a recuperare da terra la pistola, lasciando invece la cravatta dove l’aveva poggiata quando se l’era sfilata. Incrociò la sciarpa e richiuse la giacca al di sopra di questa, ora che era uscito da quelle lenzuola e si era allontanato dal contatto con il corpo della donna avvertiva nuovamente il freddo.
Intanto all’esterno la voce aveva smesso di urlare, ma un brusio stava affollando la radura. «Vengo con te...» disse JJ cominciando ad alzarsi sentendosi confusa e spaventata, ma il ragazzo la fermò di nuovo.
«Non sappiamo cosa sta succedendo. È meglio che resti qui.» le ripetè di nuovo avvicinandosi già alla porta e  poggiando la mano sulla maniglia.
Jennifer sospirò, accettando seppur a malincuore la scelta del collega. «Spence, promettimi di fare attenzione.» lo pregò, ricevendo in risposta uno dei genuini sorrisi che a volte dispensava Reid. Lo vide infine uscire dalla porta che si richiuse alle spalle, lasciandola sola.
Una volta sul pianerottolo Reid si era avviato velocemente verso la scala, che aveva sceso con la solita cautela, dovuta al ginocchio ancora infortunato. Non riusciva a smettere di pensare a quello che stava per accadere in quella stanza. Arrivato alla pian terreno una voce aveva attirato la sua attenzione, «Che succede?» voltandosi, vide David raggiungerlo mentre si chiudeva la cerniera della giacca che indossava.
«Sono stato svegliato dalle grida,» mentì Spencer, «Non so nulla più di te.» cominciò ad incamminarsi verso l’esterno cercando di scacciare i pensieri per concentrarsi al meglio sul caso che stavano seguendo e che poteva essere collegato agli avvenimenti di pochi secondi prima. Proprio davanti alla porta di quella locanda incrociarono Derek che portava stretta al suo petto Garcia, in lacrime. L’agente di colore fece un cenno con la testa ai colleghi, che loro recepirono come una rassicurazione che se ne sarebbe occupato lui. A loro non restava che raggiungere quelle che avevano identificato come le sagome di Emily e Hotch sul fondo, tra gli alberi. E quello di fronte ai due agenti che li attendevano, a terra, era un corpo senza vita. Il loro S.I. aveva colpito di nuovo.
Jennifer era rimasta nel buio della stanza. Sospirò pensando a quello che stava per succedere tra lei e Spencer e a come la situazione esterna apparentemente tragica l’avesse riportata alla realtà. Si guardò intorno prima di alzarsi dal materasso e incamminarsi verso la porta. Uscì dalla stanza e chiuse a chiave. Non sapeva ancora cosa stesse accadendo lì fuori e non voleva rischiare di ritrovarsi scomode presenze in camera. Raggiunse la scala che percorse in discesa, per ritrovarsi nel salottino dove erano stati fino a poco prima. Era deserto. Si mosse un po’ intorno, ispezionando gli spazi adiacenti quella sala, in cerca di chiunque la potesse mettere al corrente degli sviluppi. Si era ritrovata in quello che sembrava essere una sorta di reception. Tutte le copie delle chiavi erano appese ad una bacheca, ma della padrona non vi era traccia.
Sentendo un rumore provenire dall’ingresso, si decise a tornare indietro. Non appena superò l’angolo che l’avrebbe riportata in quell’ambiente con il camino ormai spento, vide Penelope in lacrime, seduta al bancone del bar, con Morgan di fronte a lei. Stavano discutendo anche se non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, mentre il ragazzo le asciugava amorevolmente il viso. Per un po’ rimase in disparte, decidendo poi di avvicinarsi lentamente, senza interromperli, giusto in tempo per vedere i toni alzarsi e l’informatica scattare dalla sedia quasi aggredendo verbalmente il collega che la rincorse fino alle scale, dove lei finalmente si decise ad intervenire. Ora era suo compito occuparsi di Penelope e Derek lo capì in fretta.
Mentre tornava su per le scale JJ non poté fare a meno di pensare a Spencer. A tutto ciò che di strano era accaduto tra loro in quella serata. Arrivata di fronte alla porta oltre la quale si era rifugiata la bizzarra collega attese qualche secondo, sforzandosi di cacciar via tutti quei pensieri.
Serviva lucidità da parte sua, c’era un caso di cui occuparsi e il lavoro aveva fortemente cozzato con le loro vite ancora una volta, colpendo una delle persone più delicate di quella squadra. Colei che voleva sempre vedere il buono della gente e tenersi fuori dagli orrori a cui invece tutti gli altri erano costantemente sottoposti.
Jennifer sospirò a fondo, lasciando che la mente le regalasse ancora il volto del suo collega. Lei e Reid? Sarebbe stato il caso di pensarci in un altro momento. Potevano aspettare. In realtà avrebbe anche potuto decidere di non pensarci proprio lasciando semplicemente che le cose accadessero quando avrebbero dovuto. Se ce ne sarebbe stata l’occasione. Come poco prima.
Ma Penelope no. Lei non poteva aspettare. Bussò alla porta attendendo la voce dell'informatica che le desse il permesso di entrare. Conservando in un angolo tutte le emozioni che il genietto le aveva regalato, seppur per poco.

  
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