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Autore: Dira_    14/08/2010    22 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Eccomi qua! Neanche stavolta riesco a rispondere come vorrei ai vostri commenti. Comunque sappiate che siete la gioia migliore che possa capitare ad una fan-writer, thanks! ^^
@ElseW: grazie per l’add su fb! :D e grazie mille per i complimenti… Beh, ti pare che Al gli sarebbe corso incontro con le lacrime agli occhi? Troooppo poco serpeverde! :P
@MyriamMalfoy: Dai, lo sai che adoro gli happyending! :D Al usa la tecnica da ‘il bastone e la carota’. Harry si vedrà un pochino in questo capitolo!^^

@altovoltaggio: stavolta ho cercato di fare del mio meglio, spero di esserci riuscita! :P Il capitolo era dedicato a quella canzone speciale che ehi, è anche una delle mie preferite! :D Non conosco il libro di cui parli, ma mi ha molto incuriosito! Ahaah, effettivamente Al e Jamie si somigliano più di quanto non credano, e si capiscono benissimo. Beh, del resto sono fratelli con solo una manciata di mesi che li separa, anche se James fa tanto il vissuto. XD Dunque, sì, questa era la loro prima volta… nel bagno dei prefetti ci si sono avvicinati, ma vuoi la situazione, vuoi il fatto che fossero comunque inesperti (lo sono anche adesso ma dopo otto mesi…) … li ha fatti fermare. Adesso invece XD Ho ascoltato ‘l’mmenso’ e anche se proprio non mi piacciono i negramaro, devo ammetterli che adesso, almeno per ‘sta canzone, li ho rivalutati un pochetto. :D Sì, avevo pensato alla cosa della serie, ma essendo che ho solo queste per ora, non ne vedo il bisogno, ecco. A conclusione di questa (Se tutto va bene) e se passerò ad altri fandom o ad altre storie (originali) allora probabilmente la segnalerò come serie. ;)
@Trixina: Ahaah, beh grazie! Alla fine Al è come suo padre, è un bonaccione. Anche lui in poco ha perdonato Ron, che aveva fatto una cazzata quasi peggiore. X) E poi, sai, l’amore… Sicuramente ci sarà un saluto come si deve delle due, già in questo capitolo.
@Herys: Ciao! Benvenuta! Grazie mille per i complimenti! ^^ Tom è uno stronzetto, ma alla fine sa farsi voler bene.
@LauraStark: Aahah,grazie! Mi fa piacere che un personaggio originale come Tommy riscuota successo :P Beh, vediamo se le tue supposizione sono giuste! ^^
@Neely: Al vostro servizio! XD Vediamo se quando torni dalle vacanze posso farti trovare qualcosa di più! :P Grazie per i complimenti ai ragazzuoli! ^^
@Nikkith: Ciao, benvenuta! :D Grazie mille per i complimenti, non sai quanto piacere mi fai a dire queste cose! ^^ Specie se non sei un fan della next-gen. (che in effetti la Row ha davvero sputtanato :P) … per il resto sì, non sono stata molto chiara per la scena del bagno. Ci sono quasi arrivati a farlo, ma non l’hanno fatto del tutto. La loro prima volta è stata questa XD Spero continuerai a seguirmi!
@Ombra: Grazie per la recensione! Sì, è esattamente come hai detto tu!
@Agathe: Potevo non farli ritrovare subito? Mi deperivano troppo! Ahaaha, essì, loro sono puri e teneri, ma con uno come James non puoi aspettarti dolcezze e tenerezze, è un pervertito! XD (E pure Teddy, anzi, forse di più) Per Scorpius, se mi riesce, ci sarà una sorpresa :P
@Mikyvale: Guarda, non me lo dire, ‘ste vacanze! Grazie per i complimenti! E le foto… beh, potevo non metterle maniacale come sono? XD
@Cloto: Verissimo! ^^ Grazie per i complimenti!
 
 
 
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Capitolo V




 
 
Ami, qu'on crève d'une absence, ou qu'on crève un abcès
Aux sombres héros de l'amer /qui ont sû traverser les océans du vide¹
(Aux sombres héros de l'amer, Noir Desir)
 
 
 
1 Agosto 2023
Germania del Nord, Putgarten. Fattoria dei Wollin.
 
 
Quella mattina Meike si era svegliata con una strana sensazione.
Era strana davvero, perché era raro che si svegliasse prima la luce del mattino irrompesse in camera sua, filtrando tra le imposte e colpendola dritta in faccia.
Non riuscendo a riprendere sonno si era vestita, infilandosi poi i suoi inseparabili stivali di plastica gialla. Senza quelli non si sentiva del tutto sé stessa.
La casa era ancora immersa nel silenzio; sua nonna non si doveva ancora essere svegliata.
Dopo aver controllato che proprio non ci fosse traccia di nessunissima colazione prese un biscotto dalla scatola di metallo nella credenza, se lo infilò in bocca e uscì fuori, dove c’era l’alba che si alzava dal mare, adesso piatto come una tavola.
Sarebbe andata a vedere se Ian era sveglio, decise. E avrebbe anche fatto finta che sarebbe rimasto.
Mi ha promesso che avrebbe scoperto di chi è quel castello disi… disilluso, ecco!
Inghiottì il magone con l’ultimo pezzo di biscotto.
Si diresse verso il faro: niente le sembrava diverso dal solito; l’alba era sorta come sempre, i suoi vestiti erano freddi e rigidi come al solito e persino il sapore del biscotto era prevedibile, un po’ stantio e dolcissimo.
Spinse la porta di legno del faro con le dita. Era chiusa. Non riusciva a capire perché Ian la chiudesse tutte le sere. Il faro era invisibile ai babbani, e di maghi in quel posto non ce n’erano.
Ma c’erano tante cose del suo amico inglese che non capiva.
Prese la chiave dal sasso sotto cui era posata, e aprì la porta.
C’era silenzio. Questo invece era perfettamente normale. Anche se Ian era già sveglio al massimo era seduto sulla poltrona a bersi un caffè e a rimuginare. Lo faceva sempre prima di iniziare la giornata.
Salì le scale, decidendo per una volta di non chiamarlo. Non seppe, a posteriori, perché evitò di farlo. Forse sempre a causa di quella sensazione.
Come se dovesse disturbare qualcuno. Come se dovesse fare pianissimo.
L’ambiente della lanterna era già illuminato dalla luce del sole. Ma Ian non era alla sua solita poltrona. Ian quella mattina non si voltò con aria di sufficienza per augurarle il buongiorno e concederle un po’ di caffè, zuccherandolo per renderglielo tollerabile.
Perché quella mattina Ian non era in piedi.  Meike contemplò il piccolo ambiente, trovando delle cose che a regola non avrebbero dovuto esserci: dei vestiti estivi, che non sembravano di Ian. Almeno, non glieli aveva mai visti addosso. Una bacchetta, sul tavolino, che non sembrava quella di suo papà.
Lo cercò a letto e trattenne il respiro, di colpo.
C’era un’altra persona!
Fece per darsela a gambe, e chiamare sua nonna a gola spiegata. Poi, presa da uno scrupolo, si fermò.

La persona, un ragazzo, non era solo. C’era Ian con lui. Vedeva i suoi piedi sporgere dalla brandina. Era troppo corta, e quanto e come l’aveva preso in giro per quello!
Anche stavolta non potè trattenere un sorrisetto.
Poi, giudicato che non sembrava esserci pericolo immediato, analizzò la situazione.
Dormivano tutti e due. E profondamente anche. Ian aveva abbracciato l’altro nel sonno, passandogli un braccio attorno alla vita, sopra le coperte. Più che abbracciato, stimò curiosa, sembrava stritolarlo come faceva lei con i suoi peluche, unico ricordo della sua vecchia vita, quando era triste o malata.
Non poteva vedere il viso dell’amico per stimare se fosse triste o malato, ma poteva guardare l’altro. Da lì, visto che la sua testa era al livello della botola che era anche l’unica entrata della stanza, aveva una visione perfetta.
L’altro ragazzo sembrava avere la stessa età di Ian, forse un po’ più piccolo. Era carino. Aveva i capelli molto arruffati – quasi come i suoi dopo una giornata al mare – e un viso come quello di un bambino.  
Non sembrava pericoloso, e Meike trovò che avesse l’aria simpatica.
Solo… cosa ci faceva lì?
Non era uno dei ragazzi del villaggio. Poteva essere un turista, ma non un babbano. Non avrebbe mai potuto vedere il faro, e quindi, come sarebbe potuto entrarci?
Non era molto sicura di questa sua ultima analisi. Si mordicchiò l’unghia del pollice, come faceva quando era in preda ad un profondo dilemma.
Chiamare sua nonna oppure aspettare il loro risveglio?
Allungò il collo, per guardare meglio. Arrossì, quando si accorse che no, non sembravano averceli proprio i vestiti, benchè coperti dalle lenzuola.
Forse si sono bagnati con la pioggia di ieri notte e si sono tolti i vestiti?
Si sentì improvvisamente a disagio. Come quando cercava di fare amicizia coi ragazzi del villaggio. Come se fosse tagliata fuori, e non ci fosse assolutamente modo di entrare.
Si mordicchiò con più convinzione l’unghia.
Poi capì.
Sapeva chi era quel ragazzo!
Si diede mentalmente della sciocca, perché era così ovvio.

Quel ragazzo era il Cavaliere Bianco! L’amico di Ian!
La scoperta era stupefacente. Non si chiese neanche come ci fosse arrivato.

Gli lanciò un’altra occhiata, per vedere se poteva essere davvero lui.
E si trovò fissata. Da un paio d’occhi verdissimi – più dei suoi! – e sorpresi. Quelli del ragazzo.
Si è svegliato!
A quel punto scappò via.   
 
****
 
 
Tom si svegliò per una gomitata nello stomaco.
Fu un risveglio traumatico, specie perché dovette realizzare che Al non si rendeva conto che dormire abbracciati significava ridurre i movimenti al minimo per evitare incidenti.
Fece un breve recap mentale, visto che la mattina non era particolarmente loquace, neppure interiormente.
Al. Notte. Al.
Non potè fare a meno di sorridere instupidito. Mentalmente però.
“Tom, svegliati!” Lo apostrofò l’altro, voltandosi e quasi rischiando di tirargli un calcio in zone che avrebbero dovuto esser salvaguardate. “C’è una bambina!”
Si passò una mano trai capelli, mettendo a fuoco la stanza. L’unica cosa che aveva nella sua visuale era Albus, scarmigliato, con le coperte tirate fino al petto e l’aria stravolta e imbarazzata.

“Uhm.” Al momento gli sembrava una cosa sensata da dire.
“Sto dicendo sul serio! Svegliati!” Si guardò attorno, cercando disperatamente qualcosa con cui coprirsi, probabilmente. “Dove diavolo sono i miei vestiti, per le mutande di Merlino?”
Mmh. Mi erano mancate queste imprecazioni. Magiche.

“Te li sei tolti lontano dal letto, Al… Eri così impaziente.” Riuscì finalmente a connettere, reprimendo una risata all’aria sconvolta e offesa dell’altro. “Saranno in giro.”
Al gli lanciò un’occhiata di fuoco, poi sospirò, arrendendosi all’evidenza che non era del tutto in sé. “Mi ero scordato dei tuoi risvegli a fuoco lento…”
“Io mi sveglio perfettamente cosciente.” Ribattè, mentre ricordava che fossero entrambi nudi, e che no, non era una buona idea rimanere così.

Certo, dipende.
“Non mi risulta. O sei stordito o sei direttamente di cattivo umore…” Sogghignò Al, squadrando l’ambiente, forse alla ricerca di bambine. “Ti giuro, ho aperto gli occhi e c’era questa ragazzina bionda che mi fissava.”
“Bionda…” Capì. “Ah, era Meike.”  

Quella le novità le fiuta come una giornalista d’assalto…
“La nipote della tua padrona di casa?” Interloquì Al, alzandosi in piedi e dandogli una gloriosa visione della schiena e del suo sedere.
Chissà se c’entra il quidditch. Sarebbe l’unica volta che dovrei ringraziare il suo creatore. O creatrice. Certi particolari non mi interessano.
Riportò la sua attenzione sul discorso, visto che purtroppo si stava rivestendo. “Ti viene sempre a svegliare?” Gli chiese.
“Veramente di solito se ne resta giù. Non ho idea perché oggi sia venuta a curiosare.” Fece una smorfia. Sperava davvero di non dover spiegare di fiori ed api alla ragazzina. Sarebbe stato imbarazzante, e forse Cordula l’avrebbe ucciso. “Tra l’altro è l’alba, di solito a quest’ora dorme.”
“Si saranno accorte di qualcosa ieri notte?” Borbottò Al, infilandosi con insola cautela i vestiti.
“Dubito. Non abbiamo certo duellato a colpi di incantesimi.” Replicò con uno sbadiglio. Si sentiva uno strano languore addosso. Strano, sì, ma piacevole. “Ti serve una mano?” Gli chiese poi con un sorriso divertito.

Al gli lanciò un’occhiata guardinga, prima di capire e arrostire, letteralmente. Avvampare non rendeva l’idea. “Sono dolorante.” Lo informò pieno d’accusa.
“Di solito si dovrebbe minimizzare certe cose…” Lo prese in giro, controllando comunque che non avesse lividi o cose simili. Sperò che esagerasse. “Ti fa davvero male?”
Al sbuffò, scuotendo la testa. “No, non tantissimo. È okay.” Si infilò la maglietta e spuntò arruffato e di nuovo col sorriso. “Sto bene davvero.”

“Allora vieni qui.”
“Vuoi i tuoi vestiti?”
“No. Vieni qui.” Ripetè. Al fece una mezza risata, piombando di nuovo sulle coperte. Da bambino non dovevano mai avergli insegnato che non si saltava sui letti. Forse quelli magici erano più resistenti.

Si baciarono e a Tom sembrò di nuovo un piccolo miracolo averlo di nuovo tra le braccia.
Si chiese se se lo meritasse. Ma poi lasciò perdere. C’era di meglio a cui pensare.
Gli accarezzò le braccia, ogni angolo spinoso e ogni centimetro di pelle liscia mentre si staccava dalle sue labbra per seguire la china del collo.
Troppo da recuperare…
Al emise un mugolio a metà tra la risate e il gemito. “Non sei stanco?” Gli chiese.
“Mi sono riposato abbastanza.” Replicò, scostando la stoffa della maglietta, inutile a suo parere, per mordergli la pelle sensibile della clavicola. “Troppo.”
Al si divincolò, anche se Tom sembrò che non fosse troppo convinto. “La bambina ci ha visti, tra poco potrebbe tornare! E tu sei ancora nudo.”
“Ho le coperte.”
Tom!” Lo guardò esilarato. “Dov’è finito il tuo senso del pudore?”
Dopo una notte come questa che senso ha averlo? – Si chiese, ma non lo disse. Invece sospirò.  

“Dammi i miei vestiti.” Ordinò perentorio, facendolo ridacchiare.
“Ora sì che ti riconosco!” Glieli gettò addosso, prima di stiracchiarsi. “Di cattivo umore e di poche parole.”
Tom non replicò. Era troppo felice per preoccuparsi di rispondergli a tono. Anzi. Era insopportabilmente felice. Se fosse stato un altro, o se fossero stati in un film della Disney avrebbe canticchiato un motivetto esplicativo.
Ma siccome era sé stesso si limitò a vestirsi e a lasciare che Al curiosasse in giro, canticchiando lui, a bassa voce.
Non voleva rovinare l’umore a nessuno dei due. Si erano ritrovati, e per ora quello bastava.
Recriminazioni e realtà dopo, grazie.
“Celestina Warbeck… Sei forse impazzito?” Gli chiese tirandosi a sedere sul letto, quando si rese conto di cosa stesse cantando. “Piantala subito.”
Al gli rivolse un sorriso che poteva essere catalogato solo come sadico. E continuò. “Oh, coraggio, mescola il mio calderonee se lo farai nel modo giusto…”

“Al…”
Ti farò bollire un po’ di caldo e forte amore…”
Al.
“… per riscaldarti stanotte²…” Concluse. “Non ti piace?”

Forse questa fa parte della mia punizione…
“Sono contento che sia morta.” Replicò facendolo ridere.  Poi Al si sedette sul ciglio del letto, perdendo un po’ il sorriso anche se rimase ad aleggiargli sulle labbra.
“Stanotte.” Disse semplicemente. “… la vecchia Celestina ci avrebbe scritto un successone.” Aggiunse, dopo una breve esitazione, guardandolo di sottecchi. “Non è vero?”
Tom annuì, sentendo di nuovo quel caldo liquido circondargli il cuore e filtrargli fino allo stomaco. Gli strofinò leggermente le nocche sulla guancia, in una carezza goffa. Al parve apprezzarla, perché gli strinse la mano. “Sì.” Convenì. “Ma piuttosto che darle i diritti l’avrei obliviata.”

“Li avresti dati ad uno di quei tuoi deprimenti cantanti babbani? Del genere… se un autobus ci investisse stanotte morire al tuo fianco sarebbe meraviglioso³?”
“È un’ottima canzone.” Replicò, bevendosi ogni singola espressione di Al. Gli brillavano gli occhi e non era soltanto una figura retorica. “Sempre meglio di paragonare il mio cuore ad un calderone. Cosa che trovo francamente grottesca.”

E si ritrovò, furono solo le contingenze del momento si disse in seguito, a canticchiargliela. Per fargli capire come fosse una vera canzone d’amore.
Spero che questo episodio non esca di qui…
Al appoggiò la fronte contro la sua spalla. “Potresti sempre sfondare come cantante…” Sussurrò. Era certo avesse gli occhi lucidi. Gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendoselo addosso.
Sentirono poi un cigolio sotto di loro, seguito dalla voce di Cordula.
“Ian! Scendi! È pronta la colazione… per te e il tuo…” Pausa piena di recriminazioni, curiosità, avvertimento. “… ospite.”
Tom sospirò, lanciando uno sguardo ad Al, che replicò con un’occhiata spaesata.

Ian?” Ci volle un momento prima che capisse. “… Tom, hai mentito a quelle persone?” E arrivò lo sguardo d’accusa.
Sospirò di nuovo.
La realtà continua a rovinarmi la vita.
 
****
 
 
Fu la colazione più silenziosa di tutta la sua vita.
Al non era assolutamente abituato a trovarsi di fronte a gente che non parlava. Sebbene suo padre non fosse definibile come un chiacchierone, sua madre era riuscito a trasformarlo, negli anni, perlomeno in una persona loquace. James e Lily invece erano un fiume in piena, da quando si alzavano a quando andavano a letto.

Trovarsi di fronte a due paia di occhi, femminili ed indagatori, rese Al insolitamente incapace di dispensar parole.  
Persino la bambina, un tipetto dallo sguardo furbo, sembrava preferire la contemplazione alla parola.
Fantastico…
Tom dal canto suo aveva ben pensato di chiudersi nel suo insolito mutismo.
Naturalmente.
Così si trovò a sorridere al volto piuttosto arcigno della padrona di casa. “Mi chiamo Al.” Disse con semplicità, ritenendolo un inizio promettente. “Grazie per la colazione.”
Fu quasi certo di vedere un guizzo divertito negli occhi di Cordula Wollin. “Eri affamato. Avrai fatto un lungo viaggio…” Gli rispose in un inglese accentato, mentre studiava i suoi vestiti leggeri.

“Molto meno lungo di quanto si pensi…” Replicò bevendo un sorso di caffè. Era amaro come fiele. Notò il sorrisetto divertito di Tom, prima che glielo prendesse e glielo zuccherasse a dovere, restituendoglielo subito dopo.
“Da dove vieni?” Chiese di colpo la bambina. Forse vedendo la confidenza tra di loro si era convinta che non fosse un mago malvagio. O qualcosa del genere. “Sei inglese anche tu?”
“Sì, vengo da un posto vicino Londra.” Riassunse. “Vicino a dove abita Tom…”

Tom?” Lo guardò smarrita, prima che l’interpellato, finalmente, si decidesse ad aprir bocca.
“È il mio vero nome, Meike.” Gli disse in inglese, prima di continuare la spiegazione in tedesco. Per quanto fosse una lingua pietrosa, ad Al sembrò che Tom avesse un tono gentile. Insolito, conoscendo la sua scarsa pazienza con i bambini.
“Per ragioni di sicurezza…” Sbuffò la donna, ritendendo forse che fosse il momento di prendere la parola. Al trovò che fosse una gran prova di tatto parlare in inglese per lui. “Sei paranoico?”
Al scoccò un’occhiata guardinga a Tom. Non sembrava particolarmente irritato dall’essere ripreso platealmente. Sembrava anzi riflettere.

“Chiamala come ti pare. Comunque, rimango sempre io.” Aggiunse, e questo fu rivolto alla bambina, che si mordeva le unghie combattuta. “Mi dispiace di averti mentito, Meike.” Concluse.
La bambina scosse leggermente la testa. Sembrava presa da altri pensieri e non particolarmente turbata dal repentino cambio di nome. “Lui…” Guardò Al di sottecchi, corrugando le sopracciglia mentre cercava evidentemente di trovare i termini inglesi. “… è il cavaliere bianco?”
Al battè le palpebre confuso. “Come?” Fu quasi certo di vedere Tom arrossire. Si godette la sua espressione mortalmente imbarazzata. “Scusa, sarei chi?”  

Tom lo ignorò ostentatamente, rivolgendosi a Meike, con un sorriso tirato.
“Sì, è lui.”  
“Oh!” Improvvisamente la bambina sorrise. “Lo sapevo, eh!”
“Sarei cosa?” Insistette, ma trattenendo risatine impietose, perché dopotutto era un bravo ragazzo.

“Gli raccontavo delle storie… È un discorso lungo.” Borbottò, sfidandolo silenziosamente a continuarlo.
“Mi ha parlato di te!” Insistette Meike con un inglese traballante ma audace. “Resterai anche tu?”
Ci fu a quel punto un veloce scambio di sguardo tra la donna più anziana e Tom. C’era confidenza tra loro, Al lo intuì subito. Tom si fidava di quella donna.
Cordula si schiarì la voce. Spiegò qualcosa alla nipote, pacatamente, ignorando le proteste della bambina. Poi si voltò verso di lui. “Sei venuto per riportarlo a casa. Vero?”
Al si limitò ad annuire, cercando di non guardare l’espressione ferita della ragazzina: era chiaro che avevano discusso della partenza di Tom.  
“Partite adesso?” Chiese la donna, sembra con lo stesso tono pcato. Al esitò, non ritenendo che stesse a lui dirlo. Tom, dopo avergli lanciato un’occhiata si limitò ad annuire.
La bambina a quel punto ebbe una reazione inaspettata. Si alzò di scatto in piedi, gridando qualcosa a Tom, prima di lasciare la cucina, sbattendosi dietro la porta con violenza. Sentirono i passi pesanti sopra le loro teste, segno che era salita, probabilmente in camera.
“Tom… che succede?” Chiese confuso. Avrebbe voluto fare un’incantesimo traduttore, ma era un incantesimo complesso, e comunque soggetto a imperfezioni.
Vorrei evitare di insultare qualcuno in quest’atmosfera così tesa…
“Le avevo promesso una cosa.” Sospirò, prima di finire il proprio caffè. “Ieri notte, prima che tu arrivassi, abbiamo fatto… una scoperta.” Si voltò verso Cordula. “C’è un castello nel bosco. Protetto da degli incantesimi piuttosto potenti. Disillusione, repello babbanum. Cose del genere. Ci abitano dei maghi.”
La donna sembrò stupita. “… Non lo sapevo. Non si devono essere trasferiti da molto.” Raccolse con le dita alcune briciole di pane. “Del resto anche trovandomelo davanti non avrei potuto vederlo.”

Tom fece un cenno con la testa. “Beh, in ogni caso c’è. Ieri ho promesso a Meike che avrei indagato sui padroni. Ma adesso abbiamo altre priorità.”
“Non fa niente.” Lo interruppe. “Non ci corre dietro nessuno, devo comunque cercare un gufo, o un telefono per contattare papà.” Ci riflettè. “Anzi, se ci sono dei maghi forse potremo chiedere a loro, no?”
Tom sembrò esitare. “Da quello che ho visto non credo che i padroni rientrino nella definizione di persone ospitali.”

“Sì, ma se avessero un camino collegato con la metropolvere?”
“Ne dubito.” Tagliò corto. Sembrava inquieto, e Al non insistè. Neppure lui aveva tanta voglia di chiedere favori a castellani misteriosi. Una telefonata sarebbe stata sufficiente, tanto i suoi erano già tornati a casa.

“Potete decidere di andar via come e quando volete.” Esordì la donna, che fino a quel momento si era limitata ad ascoltarli. “Ma prima di andartene, ragazzo, saluta Meike. Non vi rivedrete.”
Tom serrò le labbra. Al conosceva bene quel gesto; era il suo modo di tenere sotto controllo le emozioni. “Questo non puoi saperlo.” Ribattè infatti piuttosto freddo.

“Fallo e basta.”
Tom esitò a lungo, prima di alzarsi. “Vado a parlarle.” E non aggiunse altro, salendo le scale.
 
 
****
 
Non sapeva trattare i bambini. Non aveva mai saputo farlo, e Meike era sempre stata l’eccezione che confermava la regola.
Quando la vide stesa sul letto, con il cuscino a schiacciarle la testa, si chiese se non avesse fatto uno sbaglio a classificarla come tale.
Io non so prendere i bambini…
“Meike…”
“Me l’avevi promesso! Sei un bugiardo I…” Una pausa. “… mi hai mentito anche su come ti chiami!”
“Avevi detto che non ti importava.”
“Beh, non è vero, mi importa!”
Tom sospirò, sedendosi sulla sponda del lettino. Era piccolo e dipinto di bianco. Gli ricordava quello di sua sorella Alice. Si chiese se l’avrebbe mai perdonato di essere scomparso.

“Scusami.” Mormorò. “È vero, sono un bugiardo e non mantengo le promesse…”
Sentì la bambina tirare su con il naso. Lo prese come un gesto distensivo. Sperò che fosse tale, perlomeno. “Comunque tua nonna non sa nulla sul castello. Può darsi che fosse abbandonato e che ci si siano trasferiti solo ultimamente…”
“Nonna non lo vede perché è una maganò, vero?”
“Sì, esatto.” Esitò, poi le posò una mano sulla spalla. Meike si divincolò appena, ma non sembrò molto convinta. Lasciò la mano dove stava quindi. “È davvero così importante che venga a vederlo con te?”
“No…” Come immaginava. Meike si tolse il cuscino dalla faccia; aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto e Tom capì che non c’era relazione umana che non fosse maledettamente complicata. Forse era quello a renderle tanto interessanti. Sapeva che Voldemort non si era mai sforzato di capirle, tranne uno spettro piuttosto ridotto e negativo.

Piuttosto stupido da parte sua…
“Non voglio che te ne vai.” Lo riportò alla realtà la bambina.
“Ne abbiamo già parlato, Meike… Andrai a Durmstrang, non saremo rimasti comunque assieme.”
“Sì, ma non ci rivedremo più.” Si mordicchiò un’unghia. “Quando tornerò dalla nonna tu non ci sarai… Sarai in Inghilterra, con i tuoi amici… e ti dimenticherai di me.”
“Questo non credo sia possibile.” Replicò, ed era vero. Gli sarebbe mancata quella ragazzina logorroica e sempre sorridente. Gli aveva salvato la vita in molti modi… in un certo senso, come sua nonna, l’aveva mantenuto in vita. “Non succederà.”

Meike si tirò su a sedere. “Saremo sempre amici?”  
“Sempre, naturalmente.” Confermò e sopportò l’abbraccio stritolante che ne conseguì. Ricambiò persino, perché era giusto e perché in fondo lo voleva anche lui.
Io non farò il suo stesso errore.
 
 
****
 
 “Sa bene l’inglese…” Disse impacciato Al, una volta rimasto solo con la benefattrice del suo ragazzo: odiava dover attaccar bottone con una persona che non sembrava apprezzare le conversazioni di circostanza. “Dove l’ha imparato?”
“Non vivo fuori dal mondo.” Replicò infatti secca.  
Al si sentì arrossire e non replicò. Avrebbe voluto farle tante domande, chiederle molte cose, ma spiandola di sottecchi si rese conto che non avrebbe avuto senso. Avrebbe soddisfatto soltanto la sua curiosità.
Questa donna si è occupata di Tom, e senza di lei forse non sarebbe ancora vivo.
È tutto qui, in fondo.  
“Lui sta bene adesso?” Le chiese solo. Aveva bisogno di saperlo e aveva la netta impressione che Cordula Wollin non lesinasse la verità.
La donna si strinse nelle spalle. “Fisicamente sì. Adesso che ci sei tu, sta bene tutto.” Concluse.
Al ignorò il magone che l’aveva assalito, limitandosi ad annuire. “Grazie.” Disse “Grazie per esservi prese cura di lui.”
“Ne aveva bisogno.” Rispose senza fronzoli. Rifiutò con un cenno della mano il suo aiuto, e raccolse piatti e scodelle, dirigendosi in cucina. La seguì. “Ha una grande forza magica. Una forza pericolosa. Non poteva essere lasciato da solo.” Aggiunse, aprendo l’acqua per sciacquare i piatti. Al tirò fuori la bacchetta e ne spedì docilmente la maggior parte sotto il getto, a lavarsi da soli. La donna lo ringraziò con un muto cenno della testa. “Non ho mai conosciuto nessuno come lui. Ed ho conosciuto molti maghi.” Fece una smorfia sarcastica, rivolta ai piatti incantati. “Anche se non sembra, certo.”
“Tom è particolare…” Convenne. “Cosa…?”
“So di lui? Di quello che gli è successo?” Lo anticipò. Fece un sorriso sardonico. “Non molto.”
Al si trovò a scambiare con quella donna sconosciuta un’occhiata di intesa. Sorrisero entrambi.  

Rimasero in silenzio mentre il sole raggiungeva la finestra e illuminava la povera cucina. Al si puntellò al lavello mentre la guardava affaccendarsi faticosamente attorno ad una pentola.
“C’è qualcosa che posso fare… che la nostra famiglia può fare per sdebitarsi?” Le chiese gentilmente. Sapeva di suonare impacciato, ma non era proprio granchè in quel genere di cose.
“Sì.” Convenne dopo qualche attimo di considerazione. “Proteggerlo. Credo che se finisse nei guai… non sarebbe l’unico a pagarne le conseguenze.” Gli lanciò un’occhiata penetrante. “Mi sbaglio?”
Al non potè rispondere perché Tom entrò nella loro visuale. Abbozzò un sorriso quando gli rivolse un’occhiata inquisitoria, ma fu più che altro un riflesso condizionato. Teneva indolentemente una mano nella tasca, ma Al sapeva fosse tutta scena.

Era nervoso in realtà.
“Credo sia ora di andare a fare quella telefonata, Al…”
 
 
****
 
Inghilterra, Devonshire. Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley.
 
Non posso credere che tu l’abbia fatto, Harry.”
Lily lanciò un’occhiata di sbieco alla madre, mentre mescolava il porridge per colazione. Quando Ginny Potter usava quel tono, accentando certe parole, si poteva esser certi di rischiare la vita.

Suo padre infatti sembrava essersi fatto piccolo contro la credenza.
“Il deluminatore è sicuro… l’ha già usato Ron prima di lui.” Mormorò, cercando di essere ragionevole.
La mattina tutta la Tana si era svegliata ed era stata lampante la sparizione di Al. Dopo un attimo di sconcerto suo padre aveva preso da parte la famiglia e li aveva convinti a seguirli a casa.
E poi ha mollato la bomba. Bang!
Aveva dato ad Albus il deluminatore. E lui l’aveva usato.
Lily prese il pentolino e se ne versò una dose, lasciando il resto al fratello e a Teddy, che sostava silenzioso sulla porta della cucina con l’aria di qualcuno che voleva disperatamente essere d’aiuto senza avere la minima idea di come fare; era venuto con loro e suo padre non aveva mosso la minima obiezione.
Probabilmente più persone ci sono tra lui e la mamma e meno rischia il linciaggio.
Mangiò una cucchiaiata in silenzio, mentre James si sporgeva al suo orecchio. “Papà stavolta l’ha combinata grossa. Che gli sarà saltato in testa di dare ad Albie quel coso?”
“È tutta la vita che le combina di enormi… Se però le azzecca nessuno gli dà dietro, no?” Rimbeccò facendolo suo malgrado sogghignare supportivo. “E comunque penso che abbia fatto bene. Se c’è qualcuno che può trovare Tom, quello è Al.”
“E se fosse morto?”
“Non penso che il deluminatore l’abbia trascinato negli inferi per trovarlo.” Replicò sicura, e lo credeva davvero. “Al limite non avrebbe funzionato.”

Non è morto. Forse non scoppia di salute, ma non è morto. Non può esserlo.
Non voglio perdere due fratelli.
James si passò una mano trai capelli, sbuffando, mentre la discussione dei genitori si spostava in salotto e inaspriva i toni. Teddy lanciò loro un’occhiata afflitta.
Lily gli sorrise, simpatetica: sapeva quanto odiasse le liti e sentire urlare. Battè la sedia accanto a sé. “Teddy, siediti e fa’ colazione!”
Il ragazzo sorrise in quel modo gentile e un po’ distratto che aveva di eludere una richiesta. “Ho mangiato talmente tanto ieri che mi potrebbe bastare per sei giorni, Lils.”
“Siediti e basta e contemplaci mentre mangiamo?” Suggerì senza voler apertamente ordinare. Teddy colse l’invito e si sedette. A quel punto James si degnò di dargli una pacca sulla spalla; la strinse leggermente, in quel linguaggio segreto che la faceva sempre sorridere. Suo fratello e Teddy non davano grandi dimostrazioni in pubblico. Ma bastavano di gran lunga le occhiate.

E meno male che papà non le nota tanto…
“Su con la vita, Teddy!” Lo apostrofò con forza. “Litigano in continuazione, e mamma è una chioccia. Papà ha fatto la scelta giusta.”
“Non lo so…” Ammise l’altro, con evidente sforzo perché per lui era davvero difficile contrastare le idee del padrino. Si scostò una ciocca di capelli dal viso. “Penso che abbia fatto una scelta molto pericolosa ad affidare un compito simile ad Al.”
“Io direi che è l’unica possibile!” Replicò Lily, cercando sicurezza dove nessuno sembrava trovarla. “Andiamo, Al e Tom sono sempre stati molto legati… e quel coso funziona tramite i sentimenti della persona che lo usa, no?” Scrollò le spalle. “E poi Al non è un cretino. L’anno scorso se l’è vista contro un sicario e Tom sotto imperio. Ha la bacchetta… sa cavarsela. Anche legalmente, è maggiorenne.” Aggiunse, sentendo il familiare senso di fastidio all’idea di essere la piccola di casa. E femmina.

Karma Weasley… Quando mai vi sfuggirò?
Teddy, i cui capelli viravano verso un violetto che era un contrasto allegro con la sua espressione, sospirò. “Sì, ma perché adesso? Per quella telefonata?”
Lily annuì. “Per cos’altro? Al stava perdendo la testa, l’hai visto com’era alla festa, sembrava un infero depresso, è stato appiccicato a Rosie tutto il tempo. Papà gli ha dato uno scopo, qualcosa da fare. E se Tom… beh, se Tom…” Inspirò, poi continuò. “… Se non fosse più con noi il deluminatore gli darebbe la prova finale.”
“Ma ha funzionato.” Ammise James. “Quindi è ancora vivo.”

L’altro scosse la testa. “È un oggetto complicato, non so bene come funzioni nel caso che la persona cercata sia morta. Del resto è stato creato da Silente. Quell’uomo era un mago geniale, ma … contorto.”
“Detta semplice, un manipolatore come pochi.” Borbottò Lily, a cui non era mai piaciuto, in nessun racconto, per quanto meravigliosamente raccontato o infiorettato.  
Crescendo aveva capito che era invece un gran signor burattinaio. Aveva controllato suo padre, quando era poco più grande di lei, aveva controllato tutti come pedine su una scacchiera. Aveva fatto fare a delle persone, come il professor Piton, quello che aveva voluto, fino alla fine. E senza curarsi dei sentimenti di nessuno.
Per essere uno che parlava d’amore non era granchè misericordioso…
Interruppe la sua riflessione quando vide sua madre tornare in cucina, rossa in viso e con gli occhi lucidi di rabbia. Era entrata come una furia e Teddy si era irrigidito, guardandosi attorno come se fosse colpa sua. James, notatolo, gli rifilò un ceffone sulla spalla.
“Mamma?” Le chiese Lily, vedendola prendere la sua bacchetta che era rimasta sul lavabo. “Dove vai?”
“Da vostro zio. Voglio sapere dov’è finito Al e voglio saperlo subito. Al Ministero lo scopriranno più in fretta di quanto possiamo fare noi.”
“Ma mamma, papà…” Cercò di intervenire James.

“Vostro padre stavolta ha passato il segno. Sembra che tutta la famiglia debba mobilitarsi per Thomas!” Sbottò, prima di vedere le loro facce e fare un sorriso tirato. “Va tutto bene, comunque. Fate colazione.”
“Al diavolo al colazione!” Replicò James nervoso. “È sul serio pericoloso quell’affare? Al è in pericolo?”

“Non lo so.” Replicò Ginny più calma. “Fa’ colazione tesoro, e Teddy ti prego… mangia qualcosa, sei così pallido…”
A quel punto il telefono squillò. Fu un suono chiaro, che squarciò la cucina, ma a Lily sembrò che nessuno ci facesse caso. Sua madre si diresse verso la porta, per smaterializzarsi, mentre James e Teddy erano probabilmente indecisi se andare da suo padre o meno.
Lei, che sapeva bene che quel telefono c’era solo perché Tom o la sua famiglia potessero chiamare, si alzò e andò a rispondere con uno strano presentimento.
E poi perché gli zii dovrebbero chiamare?
“Pronto, Casa Potter.”
“Ciao Lils, sono Al… ho trovato Tom, siamo in Germania. Mi puoi passare papà?”

 
 
Harry Potter aveva sempre saputo di aver ereditato molto del suo modus operandi da Silente; era inevitabile, era stata l’unica figura paterna che avesse mai avuto, tralasciando i tentativi goffi e inadatti di Sirius.
Agisci per il Bene Superiore.
Aveva creduto di fare la cosa giusta con Al, dandogli il deluminatore dopo averlo sottratto a Ron. Sapeva bene che l’amico lo teneva sempre con sé, come un vecchio cimelio da cui faceva fatica a separarsi, come lui non si separava mai del vecchio orologio dei Peverell.
Forse stavolta aveva sbagliato?
Forse.
Ginny aveva ragione, si comportava come Silente quando era sotto pressione.
Ma Silente, per quanto male possa aver fatto, ha permesso a tutti noi di sopravvivere. Mi ha dato modo di sconfiggere Voldemort… e in fondo, mi ha sempre dato la possibilità di scegliere, anche se all’interno di un sentiero tracciato.
Certo, il suo vecchio mentore possideva una mente lungimirante, mentre lui era semplicemente il vecchio Harry, sempre teso ad agire di cuore, più che di testa.
Aveva quindi sbagliato? Come padre protettivo, probabilmente.
Ma anche se aveva esposto suo figlio ad un rischio, sapeva che non era stato inutile. Né per Al, né per lui… né per Tom.
 
“Giochi con la vita dei nostri figli!”
“Ginny, questo non è vero! Sto solo cercando di riportare a casa Thomas…”
“Non è tuo figlio, Harry! Quanto ti ricorda te stesso perché tu faccia gli stessi errori di Silente?”

 
A quello non aveva risposto, perché era più intelligente di così. Ma la risposta ce l’aveva eccome.
Tanto, Ginny. Troppo forse.
 
Sentì un trambusto al di là della porta, e le voci concitata dei suoi figli. Lily spalancò la porta del salotto, con il cordless in mano.
“Lily, tesoro, cosa c’è?” Gli chiese mentre il cuore gli schizzava in gola, alzandosi dalla sedia. “Che succede?”
“Papà, è Al! L’ha trovato!” Gli corse incontro con un grande e meraviglioso sorriso, porgendogli la cornetta.

Harry sentì la saliva seccarglisi in gola, ma rispose. “Al, sei tu?”
La comunicazione era disturbata e a tratti un fruscio violento la copriva, ma la voce che rispose era indubbiamente quella del suo bambino. “Papà, c’è Tom con me! Avevi ragione tu, il deluminatore ha funzionato!”
“State bene?” Vide con la coda dell’occhio avvicinarsi il resto della sua famiglia. L’espressione di Ginny era un misto tra sollievo e irritazione. “Tu e Tom, state…”
“Sì, sì!” Lo tranquillizzò immediatamente. “Ma non sappiamo come tornare a casa… qui non c’è collegamento con la metropolvere, né tantomeno scope o cose del genere. Non ci sono neanche i Gufi, pensa. Siamo in un villaggio babbano.”

Harry rimpianse di aver lasciato i suoi occhiali in cucina, perché sentì il bisogno di rimetterli a posto o pulirli. “Non preoccuparti tesoro, vi veniamo a prendere… È davvero tutto a posto?”
E Al capì, perché era sempre stato il più intuitivo del suoi figli. “Ti passo Tom, papà.” Disse infatti e ci fu un violento fruscio che preannunciava il cambio di interlocutore.

“Zio Harry?” Disse la voce del suo figlioccio, pacata e un po’ fredda come se la ricordava. Cercò di dominare le emozioni, perché a quarantatrè anni suonati non poteva farsi venire gli occhi lucidi di fronte alla sua famiglia.
“Tom, è bello sentirti.” Disse invece, e fu stupito di avere la voce ferma. “Come stai?” Non era mai stato bravo in quel genere di convenevoli.
Ci fu una breve pausa al di là del filo ed Harry seppe che erano in due ad essere pessimi. “Bene.” Gli rispose, con la voce controllata delle grandi occasioni. “Mi dispiace, zio.” Aggiunse piano. “Mi dispiace…” Ed era sincero, Harry lo sapeva, proprio perché sembrava freddo come un ghiacciaio artico.
“Lo so.” Sospirò sentendo che finalmente tutto stava tornando al suo posto. Era la sua famiglia quella, ed era perfetto solo quando era completa. “Vengo a prendervi. Andrà tutto bene.”

“Lo so.” Rispose stavolta Tom. “Ti passo Al…” Aggiunse in fretta, prima che alla cornetta tornasse a suo figlio. Si fece dare le indicazioni precise, si assicurò un altro paio di volte che fosse davvero tutto a posto e poi passò la palla a Ginny, che passandogli accanto gli sillabò qualcosa di simile a ‘Hai una fortuna sfacciata, Harry Potter’.
Sorrise.
James aveva un largo sorriso quando li raggiunse. “Quel nanetto… Se si mette in testa una cosa, eh papà?”
Lily gli si aggrappò ad un braccio e rise. “Allora tornano, eh? Tornano tutti e due!” Ad un suo cenno d’assenso sogghignò. “Bisogna organizzare una festa. Grandiosa. Faraonica. Io penso agli inviti.”
Teddy si limitò ad un sorriso calmo. “Hai avuto ragione ad aver fiducia in Albus. È un ragazzo straordinario.”
“Sì, anche straordinariamente stronzo.” Precisò James con uno sbuffo. “Ma è un serpeverde. Non fa un gran chiasso, ma ottiene sempre quello che vuole. In un modo o nell’altro.” Fece una pausa, ignorando l’occhiataccia del giovane Lupin. “Perché è anche un po’ grifondoro, ecco.”

Harry sorrise ai suoi figli. “Sì Jamie, è vero.” Disse. “Adesso vado a prenderli…”
C’era ancora molto da fare, per Tom: molto da spiegare e da farsi spiegare. Il suo figlioccio doveva tornare nella società magica e doveva farlo da mago libero, privo di ombre nel suo passato. Non sarebbe stato facile, ma del resto le cose importanti non lo erano mai, no?

 
Al uscì fuori dalla cabina, dopo aver rassicurato in quaranta modi diversi sua madre che non fosse mutilato, ferito, morto o spacciato. Questo dopo aver ascoltato una bella ramanzina per la sua incoscienza.
Tom gli dava le spalle e guardava lo specchio straordinariamente cobalto del mare, visibile persino da lì, con le mani sprofondante nelle tasche dei pantaloni. Non c’era gente nella piccola via stretta che ospitava giusto quella cabina telefonica e un pub sprangato; erano soli.
“Stai bene?” Gli chiese raggiungendolo.
“È diventata la domanda del giorno?” Replicò a bassa voce. 
Al ci riflettè. Sorrise appena, mettendogli una mano al centro della schiena. Da lì poteva sentirgli battere il cuore. “Ma stai piangendo?”
“Sta’ zitto.” Una pausa. “Sto benissimo.”

“È diventata la risposta del giorno?” Lo canzonò dolcemente, prima di abbracciarlo da dietro. Lo sentì irrigidirsi e poi rilassarsi una volta che capì che non avrebbe mollato la presa.
Mai.
“Si torna a casa naufrago…”
 
****
 
 
Note:
Capitolo passaggio, parecchie chiacchiere, poca azione. Il prossimo: Sören!
 
1. Qui la canzone. Devo dire che mi ha ispirata parecchio in questa parentesi germanica. Se guardate il video, capite. :P
2. Traduzione a braccio. La versione nel libro della Salani è un po’ diversa ma questa è quella letterale. Ancora più agghiacciante.
3. There is a light that never goes out dei The Smiths. La canzone preferita di Tommy. :P
  
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