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Autore: _Ella_    17/08/2010    7 recensioni
Era gay, bene, ed era innamorato di una persona che aveva odiato fino a poco tempo prima. Meglio ancora. "And so the prince bite the princess and they lived happily forever"
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Contesto generale/vago
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Alba

Non si ricordava nemmeno come era finito lì, seduto sul marciapiede della strada. Da quando aveva sentito qualcosa rompersi era diventato tutto scialbo, insulso, indegno di essere ricordato, quindi inutile che il suo cervello prendesse nota. Alla cronologia degli eventi mancava un pezzo, un pezzo inutile che non gli serviva a chiarire le cose, a renderle più comprensibili. Anche se nulla, in quella notte, aveva avuto un senso. L’aveva baciata per proteggerlo ma non glielo aveva detto. Aveva litigato con lui per essere odiato ma senza riuscirci. Era andato a prenderlo perché non gli facessero del male ma del male gli era stato fatto ugualmente.
Non ne poteva più.
Aspettava di svegliarsi in quella fredda e bianca stanza d’ospedale, sentirsi dire che era solo un sogno, il secondo. Magari poi nella realtà non sarebbe stato con Axel e forse era meglio, perché per la seconda volta, dopo aver toccato il cielo con un dito, era precipitato sotto terra.
La notte più lunga della sua vita. Una notte confusionaria, rivelatrice, ingannevole. Quella notte non l’avrebbe mai potuta dimenticare. Erano forse le sei, il cellulare vibrava nella sua tasca a vuoto, forse i suoi lo cercavano o forse era Sora che gli diceva di tornare altrimenti era spacciato. Ma non avrebbe risposto. Fissava il buio che non se ne decideva ad andarsene, in silenzio, la mano che era stretta a quella del suo ragazzo; o meglio era Axel che gliela stringeva perché lui era immobile, lui era morto.
Lo odiava così tanto, Reno? Odiava così tanto suo figlio da impedirgli di amare l’unica persona che aveva amato davvero? Odiava così tanto lui per impedirgli di guardare mai più negli occhi quel ragazzo dai capelli assurdamente rossi? Perché forse Axel avrebbe trovato una soluzione per stare assieme ma lui, lui non avrebbe mai fatto la parte della puttana.
-Sono io la puttanella della situazione, non te ne sei accorto?-.
Quelle parole dette con sarcasmo gli sembrarono più vere e dolorose che una coltellata al cuore. Se Dio voleva, l’avrebbe dimenticato. Se Dio voleva davvero gli avrebbe fatto trovare il coraggio di fare l’amante. Ma Dio in quegli ultimi tempi non aveva fatto altro che prenderlo in giro. Prese il ciondolo tra le dita della mano con gli anelli e il polsino, la strinse forte: tutte bugie… noi non ci apparteniamo. Come poteva essere altrimenti?
Respirò pesantemente, inglobando l’aria gelida. Chissà per quale assurdo motivo il freddo fa sentire meno dolore. Congela, ecco perché. E forse quel freddo gli aveva congelato il cuore, perché di fronte alla spiegazione del suo ragazzo era rimasto indifferente. Girò lentamente la testa, come se farlo richiedesse uno sforzo disumano e guardò Axel. Aveva il naso rosso dal freddo, si vedeva nonostante la luce innaturale del lampione, parte del viso oscurata, i capelli che parevano marroni, ma gli occhi erano così verdi, lucidi di un pianto che non aveva assistito. Il cielo si illuminò e venne seguito da un tuono, cominciò a piovere furiosamente. Com’era possibile? Con quel freddo avrebbe dovuto nevicare, come faceva sempre. Si beò dell’acqua che lo bagnava, forse al suo fianco Axel pensava la stessa cosa, forse perché avrebbe potuto piangere senza che se ne accorgesse. Ma lui se ne sarebbe accorto lo stesso, anche se fosse stato tutto buio, anche se la pioggia fosse stata più violenta di quello che era. Le ciocche gli si appiccicarono al viso ma non le scostò, ormai era passivo, non pensava, non c’era nulla che occupasse quel freddo che aveva dentro. Sentiva caldo, forse perché c’era più freddo dentro di sé che non fuori.
Ennesimo sospiro.
-Quando parti?- quella non era la sua voce
-Tra due ore-
-Meglio che vai-.
Un singhiozzo più forte.
-Non voglio- quello non era il tono sereno e ilare che lo rappresentava
-Devi-
-Io ti amo-.
Silenzio. Ennesimo sospiro. Un singhiozzo più forte.
Era tutto così irreale. Era tutto così vero.
-Forse è stato tutto uno sbaglio-.
Non sapeva se lo pensava o meno, non sapeva più niente adesso.
-No, è quello che ci circonda che è sbagliato-.
Axel riusciva sempre a dire cose così inutili. Ma che erano capaci di riscuoterlo fino all’anima che si era congelata. Una lacrima scivolò via, poi ne uscirono altre, coperte dalla fitta pioggia e nascoste dalla semioscurità che li circondava.
-Vorrei che morisse- la sua voce roca uscì quasi disperata
-Non è vero-
-Allora voglio morire io… anche se credo ne sarebbe felice-
-Non è vero-
-Non è vero…- ripeté con odio -Per te cos’è vero, Roxas?!-
-Adesso niente. Vorrei che niente fosse vero. Vorrei svegliarmi domani e scoprire che non è successo niente. Vorrei che fosse tutto un maledettissimo sogno-.
Altro silenzio, un silenzio che però non diceva nulla. Il rosso tirò su col naso
-Ci rivedremo?-
-No, non credo. Io non voglio-
-Non… non vuoi?-
-Mi sono stufato di stare male… quello che voglio è dimenticare, dimenticarti. Quello che voglio è tornare ad odiarti come un tempo, vederti per quello che non sei-
-Credo che potresti odiarmi di più per quello che sono, angioletto-.
Si alzò in piedi, il biondo alzò lo sguardo su di lui e sorrise malinconico. Lo tirò a sé, scoprendogli il collo coperto dalla sciarpa, mordendolo forte; il biondo sussultò, sentendo i denti conficcarglisi nella carne, sarebbe rimasto il segno e lui non voleva, non voleva che rimanesse; lo scostò, sentendo il sangue scendere e bagnargli la maglia, per poi confondersi con l’acqua.
-Addio-
-Auguri e figli maschi-.
E quello era di certo l’addio più definitivo che avrebbe potuto dare, perché si rese conto che Axel non avrebbe mai tradito la donna che avrebbe sposato, perché anche se non l’amava, non avrebbe seguito le orme di suo padre.
La pioggia si era calmata, fino a scomparire e lo guardò andare via, le mani nelle tasche del cappotto, i capelli afflosciati sulle spalle. Distolse lo sguardo e vide le nuvole colorarsi di rosa, segno che era arrivata l’alba e se ne beò, non ci sarebbero state altre novità. Perché ora che il sole era sorto, ora che un nuovo giorno era iniziato, era tutto finito definitivamente.
Si avviò verso casa, bussando al campanello, sicuro che erano tutti svegli. Quando si aprì la porta entrò senza nemmeno guardare davvero suo fratello che gli era avanti, non notando il suo viso impaurito, la colpa che lo stava probabilmente uccidendo dentro. Non guardò davvero nessuno, si sedette sul divano senza nemmeno togliersi il giubbino, noncurante degli abiti zuppi e del freddo che gli era entrato nelle ossa. Lo chiamarono, girò la testa mostrando loro degli occhi spenti e vuoti, come quelli di un cieco perché non avevano sguardo, non guardavano davvero. Sua madre gli fu di fianco e lo chiamò ancora, chiedendogli cosa fosse successo ma lui alzò le spalle, non era successo niente, niente degno di essere raccontato.
-Spero mi inviti al matrimonio- commentò, ridacchiando isterico, scuotendo il capo per poi accomodarsi meglio sul divano.
Si tolse le scarpe con le punte dei piedi, notando che persino i suoi calzini erano zuppi e i piedi un pezzo di ghiaccio differentemente al pavimento.
-Si può sapere che è successo?- la voce di Terra gli arrivò alle orecchie ma il suo cervello forse non recepì davvero, e mosse la mano come a scacciare una mosca.
-Fa caldo qui-
-Mio Dio è fuso- commentò Naminè e lui la guardò con sufficienza, sorridendole senza un motivo ben preciso.
-Roxas?- Sora gli si avvicinò, distogliendolo dall’ammirare i suoi calzini quasi trasparenti poiché bagnati -Mi senti?-
Lo fissò ma non davvero, era come se guardasse oltre, come se stesse guardando ancora i suoi piedi. Il suo gemello gli batté le mani avanti agli occhi e quelli non si mossero in risposta.
-Ho freddo- sussurrò distrattamente, mentre muoveva le punte dei piedi come se le stesse guardando -Prima caldo e poi freddo… strano-.
-Sora cambiagli i vestiti, io mi do una sistemata e lo porto al pronto soccorso- disse Terra e la sua voce coprì il canticchiare del biondo che stava giocherellando con la cerniera del giubbino.
Il castano annuì, tirando suo fratello per il braccio, trascinandolo fin sopra la loro stanza, cambiandolo da capo a piedi, ma Roxas sembrava non accorgersi di nulla, la sua mente era chissà dove. Si cambiò anche lui, non avrebbe lasciato che suo padre andasse da solo, poi fece alzare il suo gemello dal letto.
-Io devo stare qui, devo aspettare la lettera- fece, vagamente infastidito, sedendosi di nuovo
-Lettera?- ripeté l’altro, sollevato che si fosse accorto di qualcosa, anche se le sue parole non avevano senso
-La partecipazione, no?- lo fissò negli occhi, inclinando leggermente la testa, confuso -Ah, tu non lo sai, vero. Nemmeno io lo sapevo, pensa un po’! Invece chissà lui da quanto tempo lo sapeva-
-Lui chi?-
-Axel. Non mi ha detto niente. Vabbè… forse non aveva il coraggio. Eppure bastavano due parole-
-E cosa doveva dirti?-
-“Mi. Sposo.” Sono due, no? Questo, solo questo- sospirò
-Vuoi che lo chiamo?-
-No! Non può… non voglio rivederlo- cominciò di nuovo a canticchiare e dato che ora Sora aveva sentito quelle cose, si rese conto che era il canticchiare della marcia nuziale -Gli ho detto addio… e poi parte tra due ore-.
Si alzò dal letto, camminando distrattamente nella stanza, guardando il pavimento, poi ritornò indietro, fissando il cielo fuori. Non gli aveva chiesto dove sarebbe andato, peccato, ma non aveva importanza perché non voleva sentire. Si girò verso la stanza, alzando un sopracciglio.
-Dov’è Sora?- poi fece spallucce, continuando a guardare fuori, ignorando il fatto che il suo gemello fosse proprio dietro di lui e che a quelle parole fosse rimasto pietrificato.
 Non sentì nemmeno la voce del gemello che chiamava il padre, urlandogli che era meglio che facevano in fretta, preso com’era dal nulla. Cominciò a far dondolare la testa a destra e a sinistra, trovandola stranamente pesante. Sbuffò, girandosi e sorrise tristemente.
Axel era proprio bello con lo smoking, i capelli sempre sparati all’indietro ma un po’ più corti, aspettava la sua sposa ed era felice o almeno così pareva. Erano in un giardino stupendo, a suonare la marcia nuziale c’era Demyx che lo guardava tristemente. Cominciò a far dondolare i piedi, aspettando impaziente la sposa, guardando indietro per aspettare che arrivasse. Tra gli invitati notò anche gli altri amici dello sposo e sorrise per salutarli, poi tornò a guardare l’altare, sistemandosi meglio sulla panca. Era una bella giornata, il sole splendeva ed era tiepido, illuminava il tappeto rosso facendolo sfavillare come se fosse stato un rubino, illuminava anche i fiori candidi che erano nei vasi, che circondavano l’arcata che c’era avanti l’altare, sotto la quale Axel e la sua sposa si sarebbero dichiarati eterna fedeltà. Fissò l’ormai diciottenne sposo che lo fissava a sua volta e che gli si avvicinò, prendendolo per il polso e portandolo via, sotto gli sguardi sconcertati di tutti.
-Prima di essere fedele per sempre, ho bisogno di averti un ultima volta-.
Lo baciò con foga, piangendo tutte le lacrime che si erano accumulate nel fondo della sua anima, come se fosse stato un pozzo. Piangeva anche di felicità, perché era felice in quel momento, tra le braccia di Axel, felicità che avrebbe voluto per sempre ma che non gli era stata concessa. Guardò il rosso rinfilarsi lo smoking e pianse ancora, senza farsi sentire, perché non voleva che fosse in pena per lui. Non voleva che sapesse quanto stava male.

Roxas era sul pavimento della sua stanza e piangeva, piangeva quasi senza un motivo, dicendo parole senza alcun senso. Frasi sconnesse, sussurrate appena. Non si accorgeva nemmeno delle braccia del fratello che lo stringevano, le carezze di sua madre. Lui continuava a guardare Axel che si aggiustava gli abiti, la sua immagine riflessa allo specchio. Cosa mi hai fatto?!
-Cosa mi hai fatto?!- urlò, subito dopo averlo pensato, la voce disperata, strozzata dal pianto.
La sua voce alta lo strappò da quella finzione, i suoi occhi focalizzarono quello che lo circondava e il cervello divenne di nuovo presente, informandolo che non l’avrebbe più visto. Mai più. Ricambiò l’abbraccio del gemello, piangendo sulla sua spalla, stringendo la sua maglia tra le dita, dita che si lasciavano sfuggire tutte le cose più importanti, come se fossero state fumo.
Dovevano essere le sette passate quando si calmò, abbandonandosi contro il muro. Fissò la sua mano, togliendosi furioso gli anelli e il polsino, scaraventandoli lontano; si strappò la collana dal collo, ferendosi sia il collo che le dita e la sbatté contro il muro a fare compagnia alle cose precedenti. Tirò una testata nel muro, sentendo poi la nuca fargli male ma non importava, per qualche assurdo motivo il dolore fisico non faceva mai male come quello dell’anima. Trattenne un urlo, stringendo i pugni e conficcandosi le unghie nel palmo, la stessa cosa che i denti facevano col labbro. Si sentiva morire, lui poteva permettersi di fare il paragone. Forse Axel è davvero come suo padre. Era stato lui ad ucciderlo, anche se inconsciamente.
-Roxas basta!- urlò il suo gemello, prendendogli il volto tra le mani -Chiamalo, parlagli!-
-A che scopo, eh?! PER QUALE FOTTUTISSIMO SCOPO?!- si fissarono, lo sguardo di Sora lo fece imbestialire più di quanto non era -Non voglio la tua pietà!-
-Non cel’hai, non avrò mai pietà di te. Sono solo preoccupato, va bene? Stai delirando, diamine!-.
Il biondo aprì la bocca, poi la richiuse, zittendosi. Aprì i pugni, notando quello che si era fatto, gli venne in mente il morso di Axel. Che stronzo, non gli avrebbe permesso di dimenticarlo. Un sospiro più forte, si alzò finalmente dal pavimento, non guardò ma di sicuro c’era la forma del suo sedere e le sue gambe.
-Scusa-.
Ormai non faceva altro che quello, scusarsi, anche senza un motivo ben preciso, anche se non era dalla parte del torto. Era troppo insulso per ricevere delle scuse. Doveva chiedere anche scusa a Demyx per avergli vomitato in macchina, per essere stato la causa del trasloco del suo migliore amico. Sempre colpa sua, il dolore di tutti non era altro che una sua causa. Avrebbe voluto tornare indietro, avrebbe voluto piangere per due mesi sentendo la mancanza di Axel ma senza arrivare al momento in cui, disperato, gli aveva chiesto di morderlo. L’amore sarebbe passato prima o poi. E avrebbe voluto dimenticare i due sogni, pensando così che uno come quel bullo non avrebbe provato lo stesso suo sentimento, l’avrebbe odiato di nuovo e tutto sarebbe stato normale. Così anche se Axel si fosse sposato a lui non sarebbe importato più di tanto, gli sarebbe rimasto solo il dubbio e l’amarezza di non aver scoperto come sarebbe andata, pensando con ottimismo che magari sarebbero vissuti felici e contenti. Mai come quel momento odiò le favole. E se la vita non era una favola, ma un filo sottile tra il paradiso e l’inferno – con brevi attimi di bene e molti più di male – avrebbe cominciato definitivamente a camminare tra le fiamme, a stare nella parte del torto. Forse Dio, quella volta, aveva voluto davvero.
Mancavano un paio d’ore al pranzo quando uscì dalla porta, diretto a casa del migliore amico del suo ex, dello sposo. Voleva sapere dov’era, voleva farlo cedere, voleva farlo soffrire come soffriva lui adesso, voleva che anche lui fosse dalla parte del torto, voleva che una volta finito tutto si incontrassero all’inferno. Almeno lì sarebbero stati per sempre insieme.
Bussò più volte al campanello, ora che ci pensava non era mai entrato a casa di Demyx. Aprì una donna, probabilmente sua madre, anche perché gli assomigliava, aveva gli stessi lineamenti gentili.
-Buongiorno, signora, sto cercando Demyx. È in casa?-
-È in camera sua, vieni ti accompagno- ringraziò e la seguì, guardando distrattamente l’interno della villa, stupendosi che fosse intatta nonostante le numerose feste del Notturno Melodico; la donna bussò, aprendo la porta -Dem, hai visite-.
Roxas entrò, accennando un saluto con la mano. L’altro era seduto sul letto, la schiena poggiata al muro, i piedi che penzolavano fuori, aveva il sitar in mano e sicuramente aveva suonato fino a un attimo prima.
-Sen’è andato-
-Lo so-.
Si accomodò di fianco al più grande, dopo che quello aveva battuto la mano sul materasso. La stanza era davvero bella, le pareti e il pavimento bianchi, come i mobili, ma tutto il resto, dai tappeti alle tende, alla televisione alle sedie, erano celesti. Dava una sensazione di fresco.
-La cosa che non so, è dove sia andato- Demyx lo fissò, poi scosse la testa
-Non lo so, non lo sapeva nemmeno lui… suo padre l’ha portato via e basta. Mi… mi dispiace che debba sposarsi-.
Roxas si strinse nelle spalle, poi gli chiese scusa per l’auto, facendolo ridacchiare.
-Come se potesse importarmene qualcosa, ora. Il mio migliore amico è stato portato via e non so se lo rivedrò…- sospirò -E io che speravo che suo padre non l’avesse più fatto soffrire… senza di me, senza di noi, crollerà, stanne certo-
-Che significa, che tornerà a fare il violento?- azzardò, una punta di ilarità nella voce
-Non farebbe mai male a quella donna. Non dopo quello che suo padre ha fatto a sua madre…-.
Sospirarono entrambi
-Con che coraggio di fa questo?-
-Con lo stesso che ha usato per tradire sua moglie. Lo stesso che ha usato per uccidere di botte tuo padre. Sempre che possa chiamarsi coraggio-
-Non credo. C’è qualcosa con cui può essere denunciato?! Sembra che tutto quello che abbia fatto non gli riguardi- fece, stizzito
-Forse… forse un modo ci sarebbe-.
Si alzò dal letto, cominciando a rovistare nei cassetti, sorrise mostrandogli una chiave. Demyx era un genio. Tutti i documenti erano ancora nella casa, forse c’era qualcosa di compromettente, qualche prova, qualsiasi cosa! Anche una pistola, magari, pure che fosse di Axel, tanto lui non era maggiorenne e la colpa sarebbe stata recapitata a suo padre e senza Reno tra i piedi non ci sarebbero stati problemi.
Abbracciò con foga il Notturno Melodico, baciandogli la guancia, poi cominciarono a correre giù per le scale. Qualcosa lo avrebbero trovato, a costo di metterci ore, giorni o mesi. 

 

Questo capitolo è molto ma molto macabro... ù.ù Potrebbe avervi ispirato al suicidio ed in tal caso mi dispiace non avervi avvertito. *si inchina* quello dopo sarà peggio putroppo... e mi ammazzerete ma io non mi farò trovare! muahaha
In ogni caso non temete... ognuno avrà quel che si merita! ù.ù (potrebbe essere anche una minaccia)

   
 
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