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Autore: Atreius    18/08/2010    7 recensioni
"Come fai a tirare le fila di una vecchia vita? Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro? Ci sono cose che il tempo non può riparare, ferite troppo profonde che lasciano il segno". E' il momento di andare avanti.
Genere: Generale, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Forza pivello, entri per primo.” Ridacchiò il Capitano, sistemandosi con cura la fascia verde brillante sul braccio destro.
Il “pivello”, com'era stato definito, abbozzò un sorriso, allacciandosi l'ultimo bottone della casacca. Il suo numero, uno, luccicava argentato sotto il suo cognome, ricamato sulle sue ampie spalle.
Il ragazzo inspirò il profumo di bucato che emanava quella divisa, color quadrifoglio, così tanto desiderata, osservandosi nello specchio dei bagni, nello spogliatoio. Guardò il Capitano, sentendosi onorato di giocare al fianco di un così grande campione.
Sorrise, pensando a quando, anni prima, aveva trovato la sua figurina all'interno di una confezione di Cioccorane, sdraiato sul letto, nel suo dormitorio, ad Hogwarts.
Era talmente contento che si era persino lasciato sfuggire la ranocchia, ma al momento non gli era importato molto: i suoi occhi di undicenne erano persi ad osservare il mantello verde di quel giocatore. Una dicitura riportava, in basso, la scritta “Irlanda”.
Si incamminò a passi incerti, emozionato, verso la rastrelliera all'imbocco del corridoio, che li avrebbe portati verso il campo da Quidditch.
Il Capitano e il resto della squadra lo imitarono, afferrando ognuno la propria scopa. Il giovane fece scorrere le dita sul legno liscio del manico, restando meravigliato, come fosse la prima volta, della perfezione, della levigatezza con cui era stato intagliato. Osservò la scritta incisa, fatta a mano, senza magia, e lesse piano: “Thunderbolt”. Quello era il manico di scopa della nazionale, come anche quello degli Shamrocks Eire, squadra di prima divisione del campionato britannico in cui militava.
Mentre s'incamminava nel lungo corridoio, una vecchia Comet 260, cavalcata da un se stesso molto più giovane, nei cortili di Hogwarts, fece capolino nella sua testa, e il ragazzo sorrise, con dolcezza, ma anche con un po' di nostalgia.
Erano passati pochi anni, eppure sembrava un secolo. Tanti volti di amici gli apparvero davanti agli occhi, tanti compagni di squadra di una partita ben più importante di un match di Quidditch, oggi non erano più con lui. Il sorriso si trasfigurò in una lieve smorfia di tristezza.
I suoi ricordi tornarono alla sua adolescenza, alle partite combattute fino allo stremo, alle rivalità scolastiche, ai duri allenamenti sotto la pioggia, fino a mezzanotte, a quando spesso sacrificava un po' di divertimento e un po' di studio, per la sua grande passione, il Quidditch.
Si incominciava ad intravedere, intanto, la fine del corridoio, e il rumore della folla, man mano che la squadra si avvicinava al campo, si faceva sempre più assordante. Il giovane si sentì tremare, immaginando le migliaia di persone assiepate nelle tribune dello stadio, sventolanti bandiere, esultanti e pronti a festeggiare l'ingresso in campo dei giocatori.
Non era certo la prima volta che prendeva parte ad una partita importante, ma mai aveva avuto l'onore di militare nella sua nazionale. Quello era sempre stato un sogno, un desiderio così ardente da spronarlo sempre a fare il massimo.
Si sistemò un'ultima volta i guanti e le polsiere di cuoio, con cura, con un gesto meccanico, un po' scaramantico, che ormai era diventato quasi un vizio, prima di qualunque partita.
Il Capitano lo affiancò mentre salivano su quello che sembrava un enorme montacarichi, che li avrebbe portati dal piano seminterrato al campo da gioco.
“Emozionato?” Chiese al ragazzo, cortesemente.
“Un po'”. Ammise quest'ultimo con un sorriso.
“Anche io lo ero al mio esordio, e pensa che non ho nemmeno giocato tutta la partita! Un bolide mi colpì dopo tre minuti.... E mi risvegliai in un lettino con un'infermiera assillante che inveiva contro il Quidditch!” Ridacchiò l'uomo, sornione. Al ragazzo quest'ultima frase ricordò una scena giù vista, come fosse un deja-vù di una conversazione avvenuta molti anni prima.
“Sai Capitano, questa divisa, è l'unica di colore verde che abbia mai desiderato indossare.”
“Uhm... Un orgoglioso Grifondoro!” Esclamò il Capitano, sornione, alzando un sopracciglio.
“Ancora oggi e per sempre”. Disse con aria di sfida il ragazzo fissando la fine del tunnel sopra di loro. La folla era sempre più rumorosa, poteva percepire distintamente il rumore di centinaia di trombette, lo scalpiccio di migliaia paia di scarpe sopra la sua testa. L'odore fresco di erba appena tagliata si impossessò delle sue narici, mentre lo aspirava avido. Aveva sempre amato quel profumo, che sapeva di agonismo, di terra umida, di diluvi così scroscianti da appesantirti al punto da rendere difficile il volo, di nebbie così spesse da non riuscire a distinguere un bolide da una pluffa. Se il Quidditch fosse stato un profumo, probabilmente sarebbe stato quello.
“E ora signori e signore, qui è il vostro Lee Jordan, che vi da il benvenuto alla quattrocentoventitreesima finale della Coppa del Mondo di Quidditch!”
La folla ruggì, mentre il ragazzo si ritrovò nuovamente catapultato nei suoi ricordi di studente, a quella voce così familiare che l'aveva accompagnato in decine di partite. Era ancora squillante, come un tempo, ma il giovane sapeva che Lee, come lui, non era più lo stesso. Dopo quella notte di combattimenti nelle mura del Castello che una volta aveva ritenuto il luogo più sicuro al mondo, niente era più stato come prima. Erano cresciuti, diventati forzatamente adulti in poche ore. Non era stato più tempo per il Quiddtch. Non era stato più il tempo per la gioia, ma per il dolore, per la tristezza. E ora.... Ora era giunto il momento della rinascita, il momento di guardare avanti.
Hogwarts era stato il suo passato, in qualche modo era ancora il suo presente, ma ora, si disse il ragazzo, fissando il campo davanti a sé, le tribune gremite, gli striscioni, i moltissimi volti, che lo fissavano lì, sulla porta di accesso al campo, come in un eterno attimo, ora esisteva solo il futuro, il Suo futuro.
Trattenne il respiro, sentendo ancora una volta Lee Jordan prendere la parola.
“E ora voglio che facciate un grande applauso ad un giovane campione d'altri tempi, in cui il Quidditch era meno Thunderbolt e molto più sudore, un uomo d'altri tempi, per un gioco d'altri tempi! Portiere dei vincitori della Europe League, gli Shamrocks Eire, al suo esordio in nazionale, un bell'applauso a.... OLIVER BASTON!” Tuonò, mentre la folla esplodeva urlando, battendo le mani.
Oliver mormorò, schiudendo appena le labbra, un silenzioso “su”, per poi lanciarsi fuori, in mezzo allo stadio, in volo, come un fulmine verde, con un sorriso. Oggi non esistevano più né Serpeverde, né Grifondoro, oggi era davvero tutto solo suo. Si librò nell'aria, pronto ad affrontare, indipendentemente dall'esito dell'incontro, una nuova fantastica avventura.


  
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