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Autore: Marselyn    19/08/2010    8 recensioni
I Malandrini alle prese con un oggetto per loro alquanto strano, così strano da scambiarlo addirittura per un molliccio...
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Gloria alla demenzialità! (comica.)'
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«Questa è...» disse Remus e osservò soddisfatto gli sguardi curiosi e trepidanti dei tre amici puntati su di sé, prima di continuare. Assaporò quei pochi secondi di miracoloso silenzio – accadeva così raramente in loro presenza – e proseguì, scostandosi dalla scatola nera alle sue spalle e accompagnandosi con un gesto teatrale per presentarla: «Una televisione».
James, Sirius e Peter osservarono avidi il cubo nero per qualche secondo, poi le loro espressioni si neutralizzarono. James si alzò gli occhiali lungo il naso, che gli erano scivolati quando poco prima si era curvato in avanti grondante di curiosità; Peter tirò su col naso perplesso e Sirius corrugò la fronte, concentrando lo sguardo sull’oggetto.
«E che diamine è?» domandò secco, confutando la grande eleganza che l’aspetto lasciava presagire.
«Che diamine è?» ribatté Remus, accorato. «Dovresti mostrare un po’ più di rispetto per le scappatoie che i Babbani riescono ad escogitare per sfuggire alla vita abbastanza... ordinaria, che si ritrovano» proseguì, perforando con lo sguardo tutti e tre i presenti, indugiando infine su Sirius, che aveva dato voce al loro comune scetticismo.
Loro non replicarono: non avrebbe avuto senso, visto che Remus ne sapeva di gran lunga più di loro.
«Dunque,» continuò poi, constatando il silenzio e recependolo come un tacito interesse. «Vi faccio vedere come funziona, dovete solo guardare. Dal nero», pescò dalla tasca del mantello un piccolo oggetto rettangolare, punteggiato da tasti e numeri, e lo puntò sull’apparecchio. «apparirà qualcosa» concluse, pigiando un tasto.
Sotto gli occhi stupiti dei tre, dal nero apparve un gatto. Un gatto che miagolava e si strusciava sulle gambe di una donna.
Poi sentirono Peter fremere e tirare fuori la bacchetta.
«Riddikulus» urlò, e l’incantesimo colpì in pieno il gatto, che tuttavia rimase immutato. In compenso, il cubo nero inviò qualche scintilla.
«Per Godric! Che stai facendo?!» urlò Remus.
«Hai paura dei gatti?» lo incalzò Sirius, inorridito.
«No!» ribatté Peter, agitandosi accanto a loro. «Non ho paura dei gatti! E’... è per mia nonna!»
«D’altronde, che ti aspettavi, Felpato, è un topo» buttò lì James, con noncuranza.
«E’ per mia nonna!» continuava Peter, poco convinto delle sue stesse parole. «Aveva un sacco di...» poi si fermò, e guardò James esterrefatto. «Scusa, che hai detto?»
«Che sei un topo» ripeté James, piatto, come se gli sembrasse la cosa più ovvia del mondo. Peter parve sorpreso, e lo guardò qualche secondo, senza tuttavia vederlo.
«Allora era per questo...» mormorò tra sé e sé.
«Come, come? Stavi dicendo che era per tua nonna!» esclamò Sirius, ridendo di gran gusto. «Non dirmi che non ci avevi mai pensato, Codaliscia! Hai paura dei gatti e non sapevi neanche perchè! Altro che nonna!» continuò, piegato in due dalle risa.
Peter si agitò ancora sulla sedia. «No,» protestò, «certo che è per mia nonna! Lei aveva un sacco di...»
«Cosa ci avresti detto? Che ti faceva mangiare gatti per cena?» continuò il moro, soffocandosi di risate.
«Dunque questo coso ci mostra le nostre paure...» osservò James, grattandosi pensierosamente il mento.
«Fatela finita!» sbottò Remus. «Peter, metti via quella bacchetta!» Ma Peter guardava ancora le immagini del cubo nero, con sospetto.
«Proviamo ancora» sbuffò Remus, irritato. Pigiò ancora sul rettangolo e l’immagine cambiò: c’erano un letto, un armadio e una voce di donna che parlava. Su un angolo dello schermo campeggiava la scritta “Eminflex”. L’immagine si fermò sull’imponente armadio.
«Riddikulus!» L’immagine si frammentò in grosse fasce per pochi secondi, ancora qualche scintilla volò, per poi lasciare nuovamente il posto alla normalità. Adesso l’immagine si era di nuovo trasformata in un letto, e c’era anche una bella ragazza che vi si strusciava sopra. Remus spense il cubo.
Tre di loro ci misero un po’ ad associare la voce che aveva appena urlato all’impensabile faccia a cui apparteneva. Remus, Sirius e Peter si voltarono di scatto verso James, che si era irrigidito e teneva ancora la bacchetta alzata in aria, gli occhi sgranati.
«James, era solo un armadio! Hai paura di un armadio?» sentenziò Sirius, bruto.
«Certo che no! Anche per me è... perchè sono un cervo» replicò, sostenuto, alzando il mento nobilmente.
«Questo non c’entra niente» ribatté, Peter, difendendo le proprie ragioni. «Tu, James Potter, hai paura degli armadi, e la tua identità di cervo non c’entra assolutamente niente questa volta!»
James lo fulminò con gli occhi, e Peter abbassò lo sguardo, impaurito come un cucciolo bastonato.
«Volete piantarla adesso?!» sbottò Remus, senza ricevere però alcuna attenzione.
«Hai paura degli armadi, amico!» esclamò Sirius, battendogli con forza una mano sulla spalla. Poi scoppiò a ridere nuovamente.
«Non è certo paura, cane pulcioso!» sbottò, mentre Sirius rideva. «E’ semplicemente avversione. Nobile avversione per quelle claustrofobiche scatole di legno, che ti osservano oscure dai piedi del letto, e chissà cosa possono contenere» continuò, la voce percossa da una nota di paura, e fissando un punto indefinito di fronte a sè ad occhi sgranati. «Di notte, di notte poi, per Godric! Ci si può nascondere di tutto lì dentro!» Sirius piangeva dalle risate. «Piantala idiota!» sbottò James, lanciandogli un pugno.
Quello si cinse il fianco con un braccio e si piegò in avanti... colto da un nuovo attacco di risa.
«Volete piantarla?!» abbaiò Remus. «Non è un molliccio, razza di idioti!»
«Ma funziona ancora meglio» biascicò Sirius, tra le risate. James gli mollò una librata di Storia della Magia in testa.
«AH!» urlò Sirius, afferrandosi la testa con le mani. «Mi hai fatto male!»
«Ben ti sta!»
«Volete chiudere il becco?!» sbraitò Remus furioso, facendoli sobbalzare tutti e tre. «Non è un molliccio! E se non la piantate vi trasfiguro tutti e tre in una televisione!»
Sirius lo guardò perplesso. «E cos’è?»
«E’ questa, razza di idiota!» sbottò, puntando l’indice sul cubo nero accanto a sé.
«Ah, già...» mormorò Sirius. «Che razza di nome» borbottò, accigliato.
«Se non la piantate di urlare come chiocce lo faccio» proseguì, puntando gli occhi ambra, gelidi come fossero vitrei, sui tre davanti a lui. I tre tacquero, per grazia di Merlino. «Proviamo ancora, e speriamo di non trovare altre paure» proseguì aspro, lanciando un’occhiata glaciale a Peter e James. Sirius ghignò divertito. Remus gli tolse la bacchetta di mano, guadagnandosi un’occhiata truce.
«Sta tranquillo, io non ho paura di niente. Sono un Black, io» disse Sirius, gonfiando il petto.
Remus puntò ancora una volta il rettangolo nero sul cubo, e schiacciò un pulsante.
Il nero divenne ancora una volta colorato... di rosso.
C’era sangue, sangue dappertutto.
Sirius abbaiò orripilato e scattò in piedi, dirigendosi in una corsa sfrenata verso le scale del Dormitorio. Remus pigiò un tasto in fretta e il cubo divenne ancora nero. I tre puntarono lo sguardo esterrefatto sul Black, che correva su per le scale, uggiolando come un cane. Giunto a metà inciampò e cadde, rimanendo inerme afflosciato sui gradini.
James scattò in piedi e lo raggiunse.
«Dunque abbiamo paura del sangue?» disse in tono derisorio, chinandosi su di lui e infilandogli le braccia sotto le ascelle per tirarlo su.
«No, no, no» protestò Sirius, con la faccia ancora schiacciata sul gradino e le gambe scosse da tremolii. «Sto benissimo così, lasciami qui» continuò, biascicando.
«Oh, e piantala! Tirati su, razza di smidollato!»
Dopo qualche mormorata protesta, Sirius si mise finalmente in piedi, sorreggendosi sul passamano delle scale: le gambe ancora gli tremavano. Guardò il cubo nero, prontamente spento da Remus, e si fece bianco in volto.
«Devo vomitare» impastò, e si fiondò in bagno.

Uscì dopo cinque minuti, ben provvisti di conati e cascate di vomito, e ritornò a sedersi insieme agli altri, con nonchalance. Fece finta di non notare gli sguardi divertiti degli altri tre.
«Non sapevo avessi paura del sangue» ridacchiò dopo qualche istante di silenzio James. Sirius gli lanciò un’occhiata selvaggia.
«E io non sapevo che tu avessi paura degli armadi!» sibilò in un tono sprezzante, che lo faceva quasi rassomigliare a Severus.
«Ma io non mi sono dato alla fuga con la coda tra le gambe!» protestò James, avvicinando il viso, minacciosamente.
«Se non avessi avuto anche tu la bacchetta l’avresti fatto!» replicò Sirius, puntandogli un dito contro.
«Non puntarmi il dito, sai!»
«Piantatela tutti e due!» sbraitò Remus, facendoli balzare entrambi sul divano. «Siete tutti e tre dei mocciosi fifoni fino al midollo!»
Sirius, James e Peter gli indirizzarono uno sguardo tagliente. Remus li fermò con gli occhi minaccioso, e loro si ritrassero sullo schienale, incrociando le braccia con disdetta e mettendo su il broncio.
«Ecco!» continuò Remus, implacabile. «Va bene i ragni, i giganti, ancora ancora capisco gli scarafaggi! ma i gatti, gli armadi e il sangue!? Cos’è, la nuova versione de ‘Le Cronache di Narnia’?!» urlò, infischiandosi degli sguardi interrogativi e perplessi degli altri tre. «Dateci un taglio con le vostre sciocche paure, mi sembrate bambini! Abbiate un briciolo di dignità e coraggio! Dovreste essere dei temerari! Dovremo affrontare Voi-Sapete-Chi una volta fuori di qui, lo sapete? Portate il mio stesso nome, per Merlino! Malandrini! Voi sareste i Malandrini?! E allora io che sono?! E adesso guardiamoci questa dannata televisione!» sbottò, pigiando con rabbia il rettangolo nero e dirigendolo al cubo.

*

«Avanti Remus, vieni fuori»
«Non ti succederà niente, è solo una... com’è che si chiamava, James?»
«Vele... mele... perevisione»
«Ah, già, perevisione... E’ soltanto una perevisione, Remus»
«No... no...» Remus uggiolava da sotto il tappeto nel quale si era avvolto, accucciato ad un angolo della stanza. «Non ce la faccio, non ce la faccio... »
«Remus, vieni fuori, non ti farà niente. Vedi? Se ne sta lì, tranquillo, e non si muove neanche»
«Spegnetela... spegnetela...»
«Lunastorta, per l’amor del cielo, e chi sa come si spegne quel dannato coso!»
«Allora non esco...» piagnucolò. «Resterò qui per tutta la vita! Addio, ragazzi, ci rivediamo all’altro mondo!»
«Sirius, dici che stavolta neanche il cioccolato può funzionare?»
La risposta venne direttamente da Remus: «No!».

Sirius, James e Peter sbuffarono, e si voltarono affranti verso lo schermo illuminato. Un uomo con il sorriso largo e bagnato e lo sguardo un po’ da rimbambito ammiccava al di là del vetro.
Sirius alzò un sopracciglio perplesso, scrutando sottecchi l’uomo.
«Ma che ci avrà di così spaventoso ‘sto Mr Bean


FINE


***


Bene, è la prima volta che mi cimento in una one-shot demenziale-comica-e-aggiungerei-malata, perciò sì, lo so, mi merito il linciaggio.
Vi basti solo pensare che io e il povero Remus abbiamo la stessa paura ç_ç quindi immaginatevi per un momento quanto mi è costato scrivere la conclusione di questa storia. Paura di... quello lì, ecco. E’ una idiozia, vero? Eppure è così! Non posso farci niente, è più forte di me, non riesco a guardarlo ç_ç
E adesso... vado raggomitolarmi sotto il tappeto, come il povero Remus, e aspetterò pazientemente la vostra condanna al rogo.
Addio ç_ç

...e se vi va, recensite :)
   
 
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