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Autore: alicyana    20/08/2010    5 recensioni
"Pretendere di dimenticare era impossibile, imporsi di poterlo fare, inammissibile." Frammenti di una storia d'amore oscurati dal tempo.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cissnei, Zack Fair
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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[Prologue] - Facing her past



C’era stato un tempo in cui non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita a vivere in un posto così lontano dalla sua città. Non avrebbe mai nemmeno lontanamente pensato di lasciare il suo lavoro, i suoi colleghi – o meglio, la sua famiglia - , il suo piccolo appartamento nei pressi del centro della metropoli.

C’era stato un tempo in cui aveva creduto che la corporazione che aveva servito, per cui aveva rischiato diverse volte la vita, e a cui doveva quella stessa vita, fosse nel giusto, nonostante i suoi metodi non proprio pacifisti.

C’era stato un tempo in cui aveva indossato il rigido completo nero dei Turks, impugnato il suo fidato Rekka e aveva combattuto, catturato, ferito, ucciso per il bene della Shin-Ra.

Quella stessa Shin-Ra che l’aveva raccolta da un sudicio e polveroso angolo del Settore 6, le aveva teso la mano, le aveva offerto con grandi sorrisi e melliflue promesse la felicità, l’aveva condotta verso un barlume di speranza fra le ombre scure di Midgar.

Quella stessa Shin-Ra che l’aveva delusa, disgustata, tradita.

Che le aveva semplicemente dato tutto e con la stessa facilità gliel’aveva sottratto.

Tutto ciò che era stato, tutto ciò che aveva avuto e fatto, erano ormai solo lontani ricordi custoditi nei meandri della sua mente, offuscati dalla nebbia del tempo.

Una nebbia di quindici anni passati a cambiare continuamente città, nome, identità, senza mai dare spiegazioni, senza mai dare conto a nessuno, senza mai affezionarsi troppo, senza mai lasciare indizi utili a rintracciarla. Perché era una ricercata. E la Shin-Ra non si dimenticava delle foto sotto cui veniva imposto il timbro con scritto “Mandato di cattura”. Nemmeno dopo quindici anni.

Era una fuggitiva, e lo sarebbe stata per tutta la vita.

Il suo continuo peregrinare, da qualche mese a quella parte, l’aveva condotta all’estremo occidente del Pianeta, dopo uno scomodo viaggio su una barchetta a remi comprata per due soldi a Rocket Town. Era una bagnarola, ma era l’unica cosa che aveva potuto permettersi, date le sue scarse finanze.

In città, a Wutai, era conosciuta come Lena. A Rocket Town invece come Jackie, anche se a Icicle Inn tutti la chiamavano Meg. Aveva trovato ospitalità presso una famigliola non proprio ricca, ma molto cordiale, che possedeva un piccolo orto poco fuori il paese e un negozietto di souvenir caratteristici nel centro. I due figli stravedevano per lei e le chiedevano spesso di giocare con loro o di aiutarli coi compiti. Lei annuiva, col sorriso, e faceva tutto questo volentieri.

Faceva qualunque cosa pur di riempirsi il più possibile la giornata, per non lasciare spazio ai pensieri.

Ma fu proprio durante una delle sue innumerevoli faccende che i ricordi, più dolorosi che mai, tornarono a farle visita, diradando la nebbia che si era addensata su di loro.

Pensava di averla persa molto tempo prima, in realtà. Una vecchia foto rovinata e un po’ ingiallita, scattata una calda mattina di luglio, sulla spiaggia di Costa del Sol.

Yue, il figlio minore della coppia che le aveva offerto alloggio, era corso da lei una sera. Era sceso giù per le scale facendo i gradini a due a due, sventolando il piccolo pezzo di carta per aria.

<< Lena-san!>> l’aveva chiamata, avvicinandosi al tavolino presso cui si era seduta per leggere <>

I grandi occhi a mandorla di Yue la fissavano dritto sul viso, le manine stringevano la foto dietro la schiena, i piedini si muovevano irrequieti facendo scricchiolare le grandi assi di legno scuro.

Lei alzò lo sguardo dal piccolo volume poggiato sul ripiano, e perplessa ricambiò lo sguardo impaziente del bimbo << Sono qui, Yue. >> indicò con un cenno del capo le piccole braccia che reggevano la refurtiva << Cosa hai combinato stavolta?>>

Orgoglioso di ciò che aveva trovato, glielo mostrò senza troppi convenevoli, esibendo un sorrisone sdentato.

Spalancò i grandi occhi castani, quando il piccolo le mise davanti il bottino.

<< Dove l’hai trovata, questa?>> chiese, incredula.

<< Era nel giardino, Lena-san. Incastrata tra le piante.>> il bambino mutò espressione, forse capendo che sarebbe stato meglio non avergliela portata.

Doveva essere volata via, trascinata dal vento, forse quando aveva disfatto quei pochi bagagli che aveva portato con sé.

<< Ero sicura di non averla più.>> se la rigirò fra le mani, quasi ad esaminarla in ogni sua piccola parte, in ogni suo minimo dettaglio, incapace di credere che fosse davvero lei.

Sul retro, una piccola dedica. Due semplici parole, un cuoricino, un nome.

Quel nome che aveva cercato di dimenticare, che non aveva mai davvero lasciato la sua mente.

Si portò una mano alla bocca, mentre la poggiava accanto al libro, Yue che la fissava preoccupato dal basso.

<< Stai male, Lena-san?>> le chiese il piccolo, sporgendosi verso di lei.

Lei non rispose, continuando a fissare le due figure sorridenti e felici che facevano segno di vittoria davanti all’obbiettivo.

Era l’unica.

La sola che avessero mai scattato assieme.

Di colpo, tutto tornò nitido. Ebbe la sensazione di precipitare nuovamente in quell’abisso scuro da cui era uscita così faticosamente, costruendosi una vita fittizia che non le apparteneva.

Perché lei non era una contadina, né una negoziante, né una baby-sitter, né qualunque cosa fosse stata da quando era fuggita da sé stessa.

Si passò una mano sul viso, lo sguardo vitreo che fissava il nulla. Il fiato le si mozzò, gli occhi le diventarono umidi: nella sua mente immagini di una ragazza sorridente, dai fluenti capelli ramati, amica di tutti, dedita al suo lavoro, sempre pronta a mettersi in gioco.

Decine di corpi feriti, inermi. Fiamme, spari, il rombo fastidioso degli elicotteri, il rumore dei passi sulla ghiaia dei pesanti scarponi dei soldati. Sangue.

Flash che avrebbe preferito tenere rinchiusi lì dove avevano giaciuto per tutti quegli anni, rinchiusi nella cassaforte della sua memoria. Incubi che l’avevano tormentata per mesi, che l’avevano indotta a pensare molte volte che sarebbe stato meglio mollare tutto, trovare un altro lavoro, condurre una vita normale.

Eppure, nonostante tutti i momenti di sconforto, nonostante le debolezze, le difficoltà, era sempre rimasta.

Perché c’era lui.

Era stata un Turk, una spia, una mercenaria, un’assassina.

Ed era stata innamorata. Terribilmente innamorata di un uomo come lei.

Si alzò in piedi, barcollando appena, frastornata dalla moltitudine di fotogrammi sbiaditi che si erano susseguiti nella sua mente, troppi, troppo velocemente. Fece scorrere con troppa violenza il fragile fusuma che dava sull’engawa sul retro.

Aria. Ne aveva un assoluto bisogno.

Yue la osservò stranito, gli occhi sgranati, incapace di comprendere cosa fosse successo, mentre varcava la soglia e si incamminava a passi incerti lungo lo stretto corridoio in legno di ciliegio laccato.

Un incontrollabile senso di nausea le pervadeva tutto il corpo. Sentiva un gelo tremendo nelle ossa, le tempie pulsavano dolorosamente.

Quasi si trascinò ai piedi del grande albero secolare che la famiglia Seto custodiva nel suo giardino perfettamente curato. Si accasciò fra le nodose radici che facevano capolino fra l’erba smeraldina e umida della sera. Respirò a fondo, più volte, facendo entrare ed uscire l’aria fresca e limpida con ritmo regolare.

A quell’ora, stare all’aperto, soprattutto d’estate, era un perfetto toccasana per la mente e per il fisico. La fresca brezza del tramonto sulla pelle, e nei polmoni, sembrava liberare da tutti i problemi del mondo.

Lo diceva sempre lui.



Zack Fair – SOLDIER di Prima classe.

Ucciso sul campo.



Una calda lacrima le rigò la guancia sinistra. Lei sapeva. Non era andata così. Zack non era morto durante quella dannata missione a Nibelheim. Non era stato ucciso quel giorno.

Il PHS nero come la notte riportava false notizie, in un ammasso di pixel insensati.

Chiuse gli occhi, mentre il sapore salato del dolore gli lambiva le labbra secche.

I pezzi tornarono al loro posto, ricostruendo lentamente, frammento per frammento, ogni cosa.

Le baracche, ancora ostinatamente in piedi, tra le vie polverose e dimenticate da tutti; il palazzo della Shin-Ra, sotto il cielo senza stelle della squallida Midgar, attorniato dalla luce sinistra del Mako; le luci al neon e il pavimento in marmo, le scrivanie e le scartoffie; le porte degli ascensori che si aprivano e lasciavano entrare ogni giorno centinaia di impiegati; le segretarie sorridenti, strette nel loro tailleur firmato, che ticchettavano fastidiosamente con le loro scarpe alte.

Il presidente, con la sua aria austera, che se ne stava sulla sua grande poltrona in pelle, affiancato dal suo biondo erede; Reno con la sua faccia annoiata, Rude impassibile dietro gli occhiali scuri, Tseng che riferiva l’obbiettivo della prossima missione, il direttore Lazard che le sorrideva, Angeal che la salutava con un cenno rispettoso della testa, Genesis che se ne stava vicino alle grandi vetrate in compagnia della sua adorata lettura, Sephiroth seduto su in divanetto assorto nei suoi pensieri.

Tutto prese forma, colore, consistenza quasi reale, come se fosse stato tutto lì, davanti a lei.


<< Ehi, Cissnei! >>


La sua schiena da ragazzo, ma già più muscolosa del normale. Le sue braccia possenti, i suoi capelli corvini e spettinati. I suoi occhi innaturalmente azzurri, luminosi e vivaci. Il suo sorriso da furbetto, col piccolo canino appuntito che prepotente si metteva in mostra.

La sua voce ancora un po’ infantile che la chiama.

Zack che cercava le sue attenzioni, agitando la mano da lontano.

Le scappò un sorriso, fra le lacrime che ormai copiose le scivolavano lungo il viso, sui vestiti.

Memorie di risate, di scherzi, di chiacchierate, di baci, di carezze, di momenti felici, di abbracci.

Memorie che facevano male, ma che nonostante tutto erano più importanti forse della sua stessa vita.

Quasi con un’ansia febbrile, andò alla ricerca di ogni singolo brandello strappato dalle pagine che parlavano di lui, del loro amore.

Pretendere di dimenticare era impossibile, imporsi di poterlo fare, inammissibile.


Eppure hai tentato.


Frugò in ogni più remota parte della sua mente, negli angoli più nascosti e reconditi, fra mille parole, gesti e sensazioni. Ed infine, li trovò.

Tutti i momenti più importanti che aveva vissuto al suo fianco.

Pian piano fecero capolino, in una sequenza precisa, ricostruendo la loro storia.

La storia del loro amore sfortunato.

Note dell'autrice:
Questa fan fiction assieme a One thousand needles, è forsela mia preferita.
Mi sono impegnata molto nello scriverla, e spero riusciate adapprezzare il mio lavoro : )
Il pairing non ha molto fandom (o forse non ne ha), però chinon ha mai pensato a quanto sarebbero stati carini assieme?
Cissnei poi <3 Io l'ho adorata da subito, anche se ha un ruolomarginale. Necessita di più amore leiè__é
L'idea per questa storia è stata semplice: all'inizio volevarivedere tutto Crisis Core in una chiave diversa, appunto cambiando irapporti tra Zack, Cissnei ed Aerith.
Ma mi sono presto resa conto che era un'idea decisamente colossale eforse impossibile.
Così mi sono limitata a dei "frammenti" che nonnecessariamente hanno a che vedere con la trama principale del gioco.
A presto con il primo frammento! <3

                                         
   
 
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