Capitolo 17
Helinor infilò un dito in uno dei buchi
dei pantaloni. Sospirò e dopo esserseli stesi davanti agli occhi per valutare
il loro stato, se li infilò. Mentre si allacciava la cintura alla vita, si
disse che gli strappi li avrebbero resi più alla moda. Estrasse il pugnale
dalla guaina, lo fissò per un istante rigirandolo tra le dita, poi lo ringuainò
con un gesto annoiato. Era l’unico elemento rimasto intatto tra tutto ciò che
indossava.
Preferì non indagare sullo stato del
corpetto e lo indossò senza guardare. In
ultimo, raccolse da terra il guanto nero e ci infilò dentro la mano sinistra.
Sbadigliò e uscì dalla tenda.
Era tardo pomeriggio, e il cielo già
volgeva all’imbrunire. L’aria era ancora secca, ma la frescura serale iniziava
a dare i primi segnali del suo imminente arrivo.
Uriah era fermo al centro del ring e
guardava il cielo. Forse stava pensando ad una strategia per battere Nara? O
forse stava pensando a Nhat?
Helinor si rattristò. Se Uriah fosse
riuscito ad uccidere Nara, Gammon gliel’avrebbe fatta pagare con il sangue. E
se non ci fosse riuscito, Nara non glielo avrebbe certamente perdonato...
In entrambi i casi, Uriah avrebbe
sofferto. E lei con lui.
Chissà com’era aver avuto una madre, una
famiglia, e poi perderla. Cosa si provava? Helinor non ricordava precisamente cos’aveva
provato quando sua madre l’aveva lasciata. Non ricordava neanche cos’aveva
fatto. Forse aveva pianto e aveva cercato disperatamente Karima.
Guardò il padiglione centrale. Gammon
era lì dentro, e sicuramente non immaginava cosa gli sarebbe piombato addosso
da un momento all’altro.
(...)
-Se tutto andrà secondo i miei calcoli,
i Soldier dovrebbero arrivare qui da un momento all’altro.-
Nara terminò di ripulire la spada e
guardò il suo maestro, che stava seduto con la testa riversa all’indietro e lo
sguardo puntato verso l’alto.
-È sicuro di volerlo fare?- domandò
Nara.
-Tanto sarebbe finita comunque, prima o
poi- disse Gammon, in tono tranquillo.-Niente dura in eterno.-
Il ragazzo ringuainò la spada e fece un
passò verso Gammon, che abbassò la testa e lo guardò. Sembrava che avesse
qualcosa da dire.
-Io la proteggerò da qualsiasi cosa,
maestro.- Disse Nara, stringendo l’elsa della spada.-Lo giuro sulla mia vita.-
Gammon sollevò una mano e ci appoggiò il
mento, mentre guardava Nara con aria assorta, intento a pensare ad un modo
efficace per servirsi di lui.-Per adesso, ho bisogno che combatti contro Uriah.
Devi ucciderlo, sono stato abbastanza chiaro?-
Il ragazzo fece un singolo cenno con il capo,
poi sorrise.-E per quanto riguarda Helinor?-
-Porterò avanti ciò per cui ho vissuto
questi diciassette anni. Sarà il mio modo di vendicarmi e di sbarazzarmi di un
peso.- Affermò Gammon, assottigliando gli occhi.-Avere una figlia non è mai
stata mia intenzione, ma neanche avere una moglie traditrice, dopotutto...-
-E allora perché sposare Karima?-
domandò Nara, che pendeva dalle labbra del suo maestro.
-Non so, Nara. Non so cosa mi fosse
preso in quel periodo- ammise il gran maestro, scrollando lievemente la testa.-Lei
era... una donna molto particolare, e io... io ero come te.-
Gli occhi di Nara brillarono.-Come
me...-
-Ero forte, abile, spietato. Doti
essenziali per un guerriero- si vantò Gammon, sorridendo sornione.-Ogni tanto
mi piaceva divertirmi con una delle donne dell’accampamento. Allora ce n’erano
due: la madre di Helinor e quella di Gofna.-
-La madre di quella cornacchia abitava
qui?- osservò Nara con una smorfia di disgusto.
-Sì, abitava qui. Mi piaceva spassarmela
con lei.-Rise Gammon.-Era disponibile per qualsiasi cosa. Sua figlia è
completamente diversa da lei, devo ammetterlo. Harila era una donna molto
passionale, anche se a volte tendeva ad essere un po’ idiota, mentre Gofna è
solo un’ingenua ragazzina che si atteggia come la madre. Ma è una romantica, e penso
che da quando è nata non abbia mai conosciuto il vero carattere di sua madre.
Dopotutto, Harila riusciva a nascondere a tutti le sue sembianze di serpe.-
Nara guardò il maestro con ammirazione.
-Karima era tutta un’altra storia. Era
imprevedibile. Una volta mi trattava come un dio, l’altra non mi degnava di uno
sguardo. Era... interessante.
Inoltre, aveva un coraggio fuori dal comune ed era molto versatile.-
-Versatile? Cosa vuol dire?- domandò
Nara.
-Poteva essere spietata e dolce. Mi
interessava molto, e non c’era mai da annoiarsi.- Rispose Gammon,
tagliente.-Forse è questo che mi ha catturato di lei, e ho deciso di sposarla.
Credo di aver pensato che se anche avessimo avuto un figlio, avrebbe potuto
succedermi nel comando dell’organizzazione. Naturalmente, questo prima che mi
tradisse.-
Nara sorrise crudelmente.
-Helinor è un po’ come lei.
Imprevedibile, a volte spietata a volte sensibile. Mi ricorda troppo una parte
del mio passato che desidero soltanto cancellare.-
Gammon si crogiolò un po’ nel guardare
l’espressione rapita di Nara, e capì che stava covando qualcosa dentro di
sé.-Qualcosa non va?- gli domandò infine.
Il ragazzo scosse la testa.-No, maestro.
Tutto a meraviglia.-
-Credevo che dovessi chiedermi qualcosa,
ma forse è solo una mia impressione...- e lasciò in sospeso la frase per
sostituire un sorriso incoraggiante alle parole.-Sai che con me puoi parlare di
tutto, mio caro allievo?-
-Non ho niente da chiedere, maestro. Ma
la ringrazio comunque.- Disse Nara, con un profondo inchino.
-Allora devi fare una cosa per me.-
Rispose Gammon, alzandosi dallo scranno.
Nara sorrise.
(...)
Era sera.
Le torce che illuminavano l’accampamento
correvano per tutto il perimetro delineato dalle tende, e il focolare che era
stato acceso contrubuiva in modo sostanziale all’illuminazione della piazza
centrale. Intorno al grande fuoco si erano raggruppati quasi tutti i ragazzi
dell’Ombra, la maggior parte con un calice di vino o di birra in mano, altri,
quelli più seri, stavano in disparte e guardare il proseguire allegro della
festa. Tra quelli c’erano Uriah e il timido Kay, che quella sera sembrava anche
nervosissimo e si torceva le mani. Adrian e Genesis stavano in mezzo ad un
gruppetto di persone a giocare a carte. Genesis faceva il finto cieco e
sbirciava le carte degli altri per poi suggerire a Adrian, raccimolando una
buona manciata di Guil.
Shon tentava di vendere qualche oggetto
inutile a James, approfittando del fatto che fosse un po’ brillo.
Tutto era musica e festa, Loi aveva
preso a cantare poco più in là, seguito a ruota da alcuni ragazzi della sua
compagnia.
Alcuni più sensibili, che sentivano il
lutto di Nhat in modo particolare, erano rimasti nella propria tenda a
criticare quel modo così irrispettoso di comportarsi.
Nara e Gammon dovevano ancora essere nel
padiglione centrale, perché non si trovavano da nessuna parte.
Taiji era seduto davanti alla tenda dei
prigionieri, e chiacchierava con uno dei ragazzi. Si vedeva lontano un
chilometro che non aveva nessuna voglia di parlare, ma si sforzava ugualmente
di essere gentile.
Sephiroth lo fissò perplesso. Se non
aveva voglia di parlare, non avrebbe dovuto affaticarsi nel farlo. Cosa lo
costringeva ad essere gentile anche quando non voleva?
Intravide Gofna farsi avanti in mezzo
alla folla con il cilindro in mano e l’aria di chi ha la seria intenzione di
combinare qualcosa. Rabbrividì e cercò un posto dove scappare. Le feste non
facevano per lui, e tantomento gli show di Gofna. Si ricordò di quel piccolo slargo
dove si rifugiava Helinor e se ne andò in quella direzione.
Si infilò nello stretto spazio tra la
tenda di Nara e quella di Taiji, ora di Gofna, e sbucò nel piccolo spiazzo.
Era rimasta poca legna da ardere a
terra, ma si accontentò e si lasciò cadere su di essa sbuffando. Quanto ci
mettevano i Soldier ad arrivare? Eppure
da lì a Midgar non era poi tutta questa strada. E poi, dov’era finito
Tseng? Non si faceva vedere da almeno due ore, era come scomparso.
Un rumore di passi.
-Ah, ci sei tu qui!- esclamò Helinor,
apparsa improvvisamente a coprire la luce, con un calice in mano.-Che fai? Hai
deciso di provare a tagliare i bastoncini?-
-Non credo proprio.-Replicò Sephiroth,
sprezzante.-Ma forse tu sei qui per questo, quindi credo che ti lascerò
sola...- e fece per alzarsi, ma Helinor lo fermò muovendo una mano
freneticamente.
-No, no! Rimani pure dove sei, tanto io
non devo fare niente qui! Volevo soltanto andarmene da quella confusione... ai,
che mal di testa...- bofonchiò, e caracollò fino alla piccolla catasta di
legno.
Sephiroth la guardò perplesso mentre
inciampava e si sedeva per terra.-Sei ubriaca?- chiese.
-Solo un po’ brilla- rispose Helinor,
sorridendo.-Vuoi un goccio?-
-No.- Borbottò Sephiroth.
La
ragazza si avvicinò il calice alle labbra stringendosi nelle spalle, mandò giù
il liquido tutto d’un sorso e si passò il dorso della mano sulle labbra per
asciugarle. Il guanto di cuoio si scurì leggermente laddove l’umido lo aveva
toccato, e lei rimase a guardare la macchia con intensità.
-Helinor...-
Lei
fece un grosso sbadiglio.-Sì?-
-Perché
non hai detto a Gammon di noi?- chiese tutto d’un fiato il platinato.
-Perché
mi andava - fu la semplice risposta, abbinata ad una scrollata delle spalle.
-“Perché
mi andava”? Tu sei in squadra con lui, no? Sbaglio o si prende cura di te da
sempre? Bel modo di ripagarlo- fece Sephiroth,
stizzito.
Un
grido di stupore si levò dalla piazza centrale. Helinor si voltò verso il fumo che si alzava verso il cielo
notturno, e immaginò che lo spettacolo di Gofna stesse coinvolgendo tutti.
-Forse-
rispose Helinor, in tono asciutto.
Sephiroth
esitò.- Ma... vivi con loro. Combatti con loro.-
-Ho
ucciso della gente per loro.- mugugnò Helinor, gettando il calice a terra con
un gesto annoiato. Quello tintinnò fastidiosamente e rotolò ai piedi di
Sephiroth.- Non mi sono mai sentita parte del loro gruppo, perché mi hanno
sempre e solo vista come una pedina.-
-Una
pedina...- ripetè Sephiroth, sottovoce.
Lei
sorrise placidamente.- Esatto. E la cosa non mi è mai piaciuta. Tuttavia...
stando qui, ho avuto la possibilità di avere qualcosa di simile a dei
compagni.- Aggiunse, iniziando a giocare con una ciocca dei suoi capelli
castani.
-Non
lo sono?- chiese Sephiroth, incuriosito.
Per
qualche strano motivo riusciva a capire il dolore di Helinor. Questo lo
spaventava, ma al tempo stesso era bello e misterioso, e lui avrebbe voluto
sondare quanto potere avesse su di lui quel mistero.
-Non
direi.- Rispose Helinor, e i suoi occhi blu incontrarono quelli verdi di
Sephiroth.- I compagni, gli amici, ti perdonano se fai un errore. Loro no. Non
mi hanno mai perdonato alcun errore. Ho portato i segni della loro rabbia per
così tanto tempo...-
Sephiroth
vide un’ombra velare gli occhi di lei, e per un attimo non riuscì a guardare
altro che quelli, perché aveva avvertito che il dolore di Helinor era simile al
suo, perché attraverso quel contatto visivo, lui la sentiva vicina.
-Io
sono il frutto di un rapporto tra una donna e un uomo che neanche conosco!-
disse Helinor, dando un calcio al calice in terra, che rotolò via.-Sono stata
abbandonata quando ero molto piccola. Non ho mai capito qual era stata la mia
colpa per essere trattata in quel modo... e poi c’era il maestro...-
-Una
colpa...-
-Sì.
Una colpa.- Annuì Helinor, senza far trapelare nessuna traccia di tristezza o
di dolore dalla sua voce.- Gammon mi ha accolta con sé. Gli sono sempre stata
grata per ciò che ha fatto.-
Sephiroth
la interruppe.- Perché non gli hai detto di noi?- era solo quello che gli
interessava sapere.
-Perché
ad un certo punto, mi sono accorta che il suo interessamento nei miei confronti
era soltanto una finzione.- Tagliò corto Helinor, dopodichè sbuffò
sonoramente.- Non capisco perché venga a dirle proprio a te, queste cose.-
Sephiroth
dischiuse un po’ le labbra e fece per rispondere, poi ci ripensò e rimase in
silenzio.
Lei
lo guardò attentamente e sorrise cupamente.- Com’è stare alla ShinRa?-
Il
Soldier trattenne il respiro e chinò il capo in avanti.-Più o meno la stessa
situazione. Noi Soldier viviamo per servire la ShinRa... e io non ho mai avuto
altra casa che quella.- Disse in un mormorio.
-Noi
due siamo proprio simili, eh?- fece una pausa, poi proseguì.- Eppure... ti sei
mai sentito come se quella non fosse la tua vera casa? A volte... hai mai desiderato
sapere perché ti hanno lasciato solo al mondo?- chiese, in tono solenne.
Lui
era confuso.- Io...-
Sì, molte volte.
Helinor
lo fissò, e fece scivolare una mano su quella di lui, che rimase pietrificato.
-Forse
un giorno noi due troveremo la nostra casa, non trovi? Tutti ne hanno una.-
-E
se non dovessimo riuscirci?-
Lei
scosse il capo, come a voler dire che non lo sapeva.-Ma cosa vuol dire
veramente avere una casa?-
Sephiroth
abbassò lo sguardo a terra e non rispose. Dopotutto, capiva che non era una
domanda a cui Helinor non voleva ancora una risposta.
-Quando
avremo scoperto cos’è una casa, forse potremo averne una, non trovi?- domandò
lei, sorridendo.
Lui
si limitò a perforarla con uno sguardo intenso, poi ritrasse la mano e appoggiò
i gomiti sulle ginocchia.
Dopo
un attimo di silenzio, Sephiroth domandò:-Non ricordi chi fosse tuo padre? Hai
abitato qui per due anni, come puoi essertelo dimenticato?-
Helinor
si alzò da terra e sbadigliò sonoramente, facendogli capire che non aveva
alcuna voglia di rispondere.
Sephiroth
si tirò su a sua volta.-Possibile che tuo padre fosse Nhat?-
-No.
Te lo assicuro. Non era lui- disse Helinor con sicurezza.
-Capisco...-
mormorò Sephiroth. Avevano sbagliato...
-Hai
visto Tseng, a proposito?-
-No-
rispose Sephiroth.
Lei
corrugò le sopracciglia.-Vado a cercarlo. Ci vediamo, Sephiroth!- e se ne andò
muovendo una mano con fare gioviale.
Prima
di sbucare nella pizza centrale, Helinor esitò, e le prese una forte fitta alla
testa.
Gente. Tanta
gente.
Era un miscuglio
di colori e di luci che si mescolavano e si rendevano indistinguibili,
confondendo Helinor e costringendola ad andare in giro a tentoni, con le mani
allungate in avanti e un nome sulle labbra. Quello di sua madre.
Molti voli si giravano e la guardavano, alcuni con pena,
altri con disgusto.
Solo uno ebbe il
coraggio di raffiorare tra la confusione, e le porse la mano con uno sguardo
gentile negli occhi. Il sorriso gli illuminava il viso. Era un sorriso da lupo,
ma Helinor non se ne sarebbe mai resa conto.
Finalmente era
salva...
-...-
Lui scosse la
testa.
La
Helinor del presente trasalì perché qualcuno l’aveva presa per mano.
-Vieni,
Helinor! Uriah sta per cominciare a combattere!- gridò Gofna.
-Come...?-
domandò Helinor, ancora troppo scossa da quello stralcio di ricordi. Era sicura
di aver detto qualcosa a Gammon, prima che la portasse via, ma non riusciva a
farselo venire in mente.
Aveva
come l’impressione che se l’avesse ricordato, la sua vita sarebbe crollata, e
per un attimo si concentrò su Gofna per non pensarci. Si lasciò trascinare
dalla ragazza fino al ring e, con la vista annebbiata, riuscì a capire solo
indistintamente che l’aveva portata in prima fila. Girò la testa a destra e a
sinistra per distinguere i volti dei compagni, ma vedeva soltanto colori
confusi e lontani, esattamente come era successo quindici anni prima al Gold
Saucer.
E
poi una musica irritante e ripetitiva. Un carillon... un pagliaccio. Rosso,
bianco, verde... si posò le mani sulle orecchie per non sentire quella musica
tintinnante e cadde in ginocchio.
-Helinor!-
Respirò
affannosamente. Doveva riprendere il controllo... cosa sarebbe successo se
avesse ricordato? Mosse gli occhi intorno a sé convulsamente, come a cercare
qualcosa su cui concentrarsi e ritrovare l’equilibrio. Alzò lo sguardo...
Gammon
era in piedi dall’altro lato del ring e la fissava.
Proprio
come quel giorno di quindici anni fa, aveva qual sorriso da lupo e gli occhi
gentili. Intorno a lui solo colori confusi e la musica che si faceva sempre più
fastidiosa e rimbombante. Fu come se il Gammon del passato si staccasse dalla
figura di quello del presente. Lo vide venire verso di lei come fece a suo
tempo, allungare la mano...
Helinor
sbarrò gli occhi. Le sue labbra si mossero, ma dalla sua gola non uscì alcun
suono.
La
sagoma scomparve.
I
colori tornarono chiari e distinguibili.
La
musica del carillon si trasformò nelle grida dei compagni.
Solo
una cosa sentì Helinor prima di tornare in sé: la risata diabolica dell’uomo
che l’aveva salvata.
La
risata cessò in un rumore metallico, e stavolta Helinor riprese il controllo
del suo corpo in meno di un secondo. Si alzò di scatto, tremante.
-Helinor...-
La
voce preoccupata di Gofna la chiamava, e le sue mani avevano preso a tormentare
il braccio di Helinor, muovendolo come se ciò avesse dovuto riportarla in sé.
Helinor
ansimava ancora, ed era pallida. Dovette fare appello anche alle forze che non
aveva per non cadere a terra o scappare il più lontano possibile. Girò appena
la testa e intravide Sephiroth. Doveva dirgli tutto... doveva cercare Tseng...
Un
altro rumore metallico. Helinor si voltò di scatto verso il ring e distinse la
figura possente di Nara che cercava di rompere la difesa che Uriah aveva
costruito con la spada, parando un colpo venuto dall’alto.
-Si
faranno male!- esclamò Gofna.
-Sì...-
mormorò Helinor, guardando i due. Notò di sfuggita che gli occhi di Nara si
erano girati nella sua direzione.
Uriah
lo respinse con uno sforzo sovraumano e gli gridò:-Stà lontano da lei!-
Nara
indietreggiò di un paio di passi e sguainò la spada con un sorriso felino sulle
labbra.-Non prendo ordini da te, ragazzino- ringhiò con spavalderia.
-Invece
credo proprio che lo farai- ribattè Uriah, preparandosi ad attaccare. Corse
verso Nara e tentò un affondo rischioso, facilmente schivabile e a cui Nara
avrebbe facilmente contrattaccato. Uriah fece appena in tempo a saltare
indietro per evitare che la spada di Nara lo trafiggesse al fianco.
Helinor
si sporse in avanti.-No!- gridò.
Uriah
abbassò lo sguardo e notò che aveva un piede nel ring e l’altro al di là della
linea.
Nel
tempo in cui lo fece, Nara gli diede una spinta così forte da farlo rotolare
completamente fuori dal ring, e in un attimo gli fu sopra, pronto ad abbassare la
spada su di lui.
-Perché
non si fermano?!- si udì gridare.
Le
grida di incitazione si fermarono a poco a poco, e i volti eccitati si
trasformarono in espressioni di puro sgomento.
-Nara!
Hai vinto, fermati!- gridò Loi.
Il
sorriso di Gammon si fece ancor più ampio, ma si spense non appena vide che
Uriah aveva evitato il colpo di Nara rotolando di lato. Schiacciò la terra con
un piede, furioso.
Helinor
scosse la testa e guardò Gofna che si portava una mano alla bocca.-Stai bene?-
Gofna
annuì debolmente.-Si faranno del male!-
-Lo
so- ansimò Helinor. la luce tremolante delle fiaccole aumentava il terrore e la
disperazione che erano tornati a solcare il suo viso.-Adesso cerco di fare
qualcosa, va bene? Non muoverti da qui...!- esclamò.
-Sì...
ti prego, Helinor... non voglio vedere nessuno morire...- la implorò Gofna.
Helinor,
di nuovo, si costrinse a sorridere e si tuffò nella folla per cercare di
raggiungere Gammon. Intanto, Uriah aveva perso la spada, che era finita qualche
metro lontano da lui, ai piedi James. Nara si tentò di nuovo di colpirlo, e
stavolta Uriha fu costretto a prendere la lama tra le mani per non farsi
tagliare la gola. La forza di Nara era incontenibile, e faticò moltissimo per
non permettere che la lama si conficcasse nella sua gola. Era soltanto il suo
istinto di sopravvivenza a guidarlo, in quel momento. Riuscì a dare un calcio
al ginocchio di Nara, che per un secondo perse l’equilibrio, permettendogli di
rotolare all’indietro e di alzarsi.
Uriah
si gettò verso la spada, ma Nara gli saltò addosso, atterrandolo.
James
indietreggiò e guardò il ragazzo a terra allungare il braccio verso la spada.
Le sue dita non arrivavano a sfiorare l’elsa per un centimetro appena.
-James!!-
ansimò Uriah, alzando un poco lo sguardo.-Aiutami!-
Il
giovane guardò prima lui, poi Nara, terrorizzato.
-James!
Aiutalo!- gridò Gofna a squarciagola.
Nel
silenzio attonito che li circondava, la voce della biondina trovò solo qualche
eco qua e là.
-Ei,
ti sei rincoglionito per caso?!- strillò Loi, rivolto a James.
Helinor
riaffiorò tra la folla con il cuore in gola, al fianco di Gammon.-Maestro, deve
fermarli!-
Gammon
stava fissando la scena impassibile. Quando la ragazza arrivò, lui si limitò a
girare la testa verso di lei senza dire niente.
-Maestro!-
lo pregò Helinor, con occhi supplicanti.
Gammon
si voltò di nuovo.
-Maestro!!-
gridò Helinor, seguita da molti altri.
Nara
esibì un sorriso animalesco verso James, che scappò via urlando di perdonarlo,
poi alle sue grida si sovrapposero quelle di Uriah.
Gli
occhi di Helinor catturarono con orrore un bagliore, e seppe per certo che Nara aveva affondato la
sua spada da qualche parte nel corpo del suo amico. Il suo cuore smise di
battere.
La
urla dei compagni esplosero come una bomba mentre Nara si rialzava e ritraeva
la spada sanguinante.
Gammon
sorrise soddisfatto.
-Signore!
Signore!-
Altri
voci, stavolta provenienti da un uomo che era stato incaricato di sorvegliare
il perimetro esterno all’accampamento.
-Soldier,
signore! Soldier nell’accampamento!-
Helinor
si gettò tra la folla urlante che iniziava a disperdersi per la piazza. La
gente si accalcava e la confusione era troppa.
In
un attimo fu addosso a Nara con il coltello sguainato e una voglia
incontenibile di trapassargli il cuore da parte a parte. Riuscì a scalfirgli
solo un fianco, accecata com’era dalla rabbia. Si sentì afferrare e trascinare
verso il terreno duro.
Nara
le cadde sopra con tutto il peso e la bloccò a terra, afferrandole il polso con
il coltello in modo che non potesse più fargli del male. Lo strinse così forte
che Helinro, dopo un po’ lasciò andare la presa sull’elsa. Il coltello scivolò
a terra.
Helinor
avvertì un vago odore di sangue. Era Uriah... Uriah era lì vicino... forse era
ancora vivo... forse poteva salvarlo!
Tentò
di divincolarsi e uscire dalla presa di Nara, ma per tutta risposta, lui
afferrò saldamente la spada e si preparò a colpire, assaporando già la sua
prossima e agognata vittoria. La seconda della serata.
Possibile
che nessuno fosse in grado di aiutarla? Erano tutti troppo occupati?
Sentì
una rabbia sorda e un ronzio alle orecchie, e spinta da quella furia colpì Nara
al viso con un pugno. Lui fece una smorfia e arricciò il naso, poi fece per
trafiggerla con la spada, ma si fermò a metà del movimento, con gli occhi
spalancati e la bocca mezza aperta. Sembrava che stesse annaspando, cercando di
trarre un respiro che gli riempisse l’ampio petto.
La
spada gli cadde la mano, e i suoi occhi cercarono la fonte del dolore al petto.
Girò la testa e il viso di Uriah apparve dietro la sua nuca.
-Tu...-
ringhiò Nara.
-Ti...
avevo... detto... di starle lontano- rantolò Uriah.
Helinor
approfittò per calciarlo via e tirarsi in piedi, terrorizzata.
Il
corpo di Nara rotolò due volte e si fermò bocconi, e Helinor potè vedere il proprio
pugnale conficcato nella sua schiena.
Sotto
di lei c’era Uriah, che si era girato di schiena e si teneva lo stomaco, dove
si stava allargando una macchia rossa. Helinor rabbrividì e si inginocchiò
accanto a lui, mentre i suoi occhi saettavano dalla mano sulla ferita agli
occhi quasi vitrei di Uriah.
Il
suo caro amico...
Sollevò
una mano e gli spostò i riccioli fulvi dagli occhi, mentre sentiva gli occhi
bruciare di lacrime, quelle che le scendevano calde e copiose sulle guance.
-Uriah...-
mormorò Helinor, senza riuscire ad andare avanti. La voce le tremava, ed era
spezzata dal dolore.
Lui
spostò la mano dalla ferita, rivelando un taglio ampio e profondo che gli aveva
praticamente squarciato lo stomaco da parte a parte.
Helinor
sbarrò gli occhi.-No... non sono pronta... non posso accettarlo...-
-Devi...-
ansimò Uriah, a fatica.
-Credevo
che sarei andata avanti, ma no!- pianse Helinor.-Non posso perdere anche te...-
si portò le mani davanti agli occhi e continuò a singhiozzare
disperatamente.-Tu sei la mia famiglia!-
-Basta...-
mormorò Uriah, scuotendo lievemente la testa.
-Ti
sbagli Uriah... io non sono forte...- disse Helinor, tra le lacrime.-Sto
piangendo...-
Uriah
alzò una mano lentamente e le posò l’indice sotto un’occhio per catturare le
lacrime che scendevano interrotte.
-Piangere...
non vuol dire essere deboli... Helinor... vuol dire soltanto... essere umani-
ansimò.
-Allora
non voglio essere umana!- gridò Helinor con quanto fiato aveva in corpo.
Lo
guardò piangendo in silenzio per un po’. Era sfinito, e la vita abbandonava i
suoi occhi attimo dopo attimo, mano a mano che il sangue zampillava dalla sua
ferita. Le sorrise.
Helinor
deglutì.
Uriah
era felice. Era felice di poter porre fine al suo dolore...
Anche
lei voleva quella felicità.
La
guardò un’ultima volta. Non riuscì a dire niente, ma Helinor sapeva che voleva
comunicarle tutti i suoi sentimenti con quell’unico, ultimo, sguardo. Le parole
non sarebbero mai bastate.
Si
guardò le mani sporche di sangue.Vide il corpo di Nara steso a terra poco
lontano, si avvicinò strisciando, sfilò il coltello dal corpo inerme e fissò la
lama brillare invitante. Il corpetto di pelle era interamente macchiato di
sangue fresco, e anche la sua pelle era maculata di rosso. Forse era il sangue
di Nara, misto a quello di Uriah.
Lasciarmi
andare, ecco cosa devo fare... se non posso vivere in pace... voglio morire.
Rivolse
la punta del coltello verso il proprio cuore. Dal riflesso sulla lama vide le
lacrime riprendere a scenderle sulle guance. Erano così belle e brillanti. Il
punto che aveva toccato Uriah era sporco di sangue, e il rubino sull’elsa
sembrava catturare sulla sua superficie ogni riflesso scarlatto.
Un guerriero non
piange.
Le
mani presero a tremarle. La sua volontà, che non aveva vacillato neanche un
attimo fino a quel momento, ora le stava scivolando via dal corpo, e per quanto
provasse ad avvicinare il pugnale nel punto vitale, non ci riusciva.
Lasciò
che il pugnale cadesse di nuovo a terra, producendo un suono metallico. Finì
vicino alle sue ginocchia.
Lo
guardò con odio.
Non
riusciva neanche più a suicidarsi, ora?
Si
accasciò a terra, avvicinando il viso al pavimento, e si piantò le dita tra i
capelli castani, colta dalla disperazione.
La
sua unica colpa...
Era
soltanto quella di essere nata!
Respirava
a fatica, il corpetto le impediva di riempire i polmoni come avrebbe voluto, le
mancava l’aria.
Vide
i suoi capelli che le pendevano a pochi centimetri dagli occhi, legati nella severa
treccia come sempre, e si sentì travolgere da una rabbia cieca. Allungò una
mano verso il coltello, lo afferrò saldamente e tranciò di netto la treccia,
scoppiando di nuovo a piangere.
Un
pianto disperato unito ad una rabbia e un’amarezza senza precedenti.
Helinor
tirò il pugnale lontano e si lasciò andare a terra, si girò su un fianco e
raccolse le ginocchia al petto, singhiozzando.
Sono solo una
bambina che si è sbrigata a crescere.