Nota. Gli eventi narrati nel flashback
di questo capitolo si svolgono nei luoghi in cui sono ambientate le vicende dell’anime Kyōryū bōken Jura Tripper, noto in Italia come “I Segreti dell’Isola Misteriosa”. Da piccolo adoravo questo
cartone, così ho deciso di omaggiarlo. Buona
lettura!^_^
61
Il monastero nel deserto ormai era alle spalle, ma non la
montagna di domande che il finto ologramma aveva portato con sé.
Erik non sapeva cosa pensare: era
andato lì per trovare delle risposte, ma fino a quel momento quel viaggio gli
aveva portato più domande che altro.
A Koichi e Sanae non aveva detto
nulla: meglio non angustiarli, dando loro nuovi motivi di preoccupazione. Anche
perché i ragazzi ultimamente sembravano avere dei problemi tutti loro; da che
avevano lasciato il monastero non si erano parlati e, a momenti, neppure
guardati in viso.
Si evitavano l’un l’altro, e se uno
dei due ad un certo punto provava a trovare la forza
per aprire un dialogo o rompere la barriera che sembrava separarli l’altro
prontamente trovava una scusa poco più che pietosa e se la dava immediatamente
a gambe.
In mezzo, Lily, che sembrava
trovare la cosa di estremo divertimento.
Erik sapeva di cosa si trattava e
capiva la situazione, e proprio per questo non interveniva in alcun modo; aveva
imparato in prima persona che in casi simili bisogna fare da soli, perché solo
chi era coinvolto poteva sapere se e come la situazione si sarebbe evoluta.
Lasciato il deserto, il gruppo
aveva attraversato un’area di vaste praterie prime di immergersi nuovamente in
una zona di fitte foreste di bambù intervallate piuttosto spesso da grandi
risaie che riempivano intere pianure.
La regione di Sinca,
a sentire le parole del padre superiore del tempio, era situata nell’oriente più estremo, e per poterla raggiungere erano necessari come
minimo due anni di cavallo, anche di più volendo andare a piedi.
Forse, più avanti, Erik e gli altri
avrebbero trovato il modo per rendere il viaggio più veloce e scorrevole, ma
almeno per il momento non si poteva fare altro che armarsi di buona volontà e
confidare nelle proprie gambe; e poi, viaggiando a piedi c’era la possibilità
di imbattersi in qualche altro laboratorio segreto di Clow in cui poter
sperare, magari, di trovare qualche altra risposta.
Qui e là si incontravano
anche molti villaggi, ma i ragazzi preferivano tenersene lontani, onde evitare
problemi di qualche sorta. La marcia procedeva a ritmo piuttosto lento, e non
solo perché Erik e i suoi compagni evitavano le strade principali così da
rendere più difficile ai Suura seguire i loro
movimenti. Koichi, ultimamente, aveva cominciato ad allenarsi sul serio, e le
soste, anche di qualche giorno, si erano fatte piuttosto frequenti.
Erik si stava rivelando un maestro
severo e molto esigente, che pur parlando solo in rarissime occasioni si faceva
capire semplicemente con un cenno o uno sguardo particolare, ma il suo
allenamento si stava rivelando ben diverso da quello che Koichi pensava di
dover seguire. Per il giovane samurai era come essere tornato bambino, all’epoca
dei primi addestramenti: tecniche elementari, esercizi da principiante e altre
cose di questo tipo costituivano i suoi esercizi quotidiani, e guai se solo
osava sollevare una parola di obiezione.
L’ultima volta che lo aveva fatto
Erik lo aveva invitato a farsi avanti a spada tratta e
a tentare di ucciderlo, e quando Koichi, pur titubante, ci aveva provato, al
suo maestro erano bastati pochi decimi di secondo e un bastoncino raccolto sul
momento per disarmarlo e metterlo al tappeto.
«Sei come un bambino.» gli aveva
detto dopo quella lezione «E come un bambino intendo
trattarti».
All’inizio Koichi aveva trovato
questa situazione alquanto irritante. Sperava di ricevere insegnamenti
superiori, che gli permettessero di avvicinarsi anche di poco all’apparentemente
inarrivabile abilità del suo maestro, ma per ora sentiva di non ricevere niente
di più né di meno di quello che avrebbe appreso in qualsiasi dojo del suo Paese.
Dopo quel giorno però, aveva capito
tutto: quanto era stato immaturo, e superbo, e quanto a lungo si fosse
dichiarato un guerriero pur non essendone neanche lontanamente paragonabile.
Per questo, aveva obbedito, e aveva ricominciato tutto daccapo, cercando di
padroneggiare quelle basi del combattimento che forse non aveva mai davvero
posseduto. Si allenava duramente, per ore ed ore,
arrivando a passare intere notti in bianco, e faticando a tal punto da crollare
svenuto.
Sanae aveva cercato di aiutarlo, di
offrirgli un po’ di aiuto, ma Erik l’aveva fermata,
dicendole che per il momento Koichi avrebbe dovuto fare da solo, almeno fino a
quando non fosse veramente cresciuto.
Tuttavia, qualche risultato si
stava cominciando a vedere; avendo capito di possedere veramente una piccola
scintilla di potere magico dentro di sé, una quantità irrisoria ma comunque
sufficiente a rendere speciale un guerriero, Koichi stava cercando di ottenerne
il controllo. Aveva anche dato un nome alla sua
tecnica di fuoco, la sola che possedeva, almeno per ora: Kazehi,
Onda di Fuoco.
«Sono stanca morta.» disse Lily a
metà dell’ennesimo giorno di marcia «Ho fame e sete, e
anche tanto sonno. Quand’è che ci fermiamo a riposare?»
«Cerca di resistere un altro po’,
Lily.» disse Sanae «Abbiamo fatto poca strada in
questi ultimi giorni. Bisogna recuperare tutto il tempo perduto.»
«Sì, però…»
«Koichi.»
«Sì, maestro?»
«Dove ci troviamo in questo
momento?»
«Se ho tenuto bene il conto della
strada fatta, dovremmo essere entrati già da tempo
nell’Impero di Kyo, chiamato anche l’Impero di Mezzo.
Si trova quasi al centro di questo continente, è per questo che lo chiamano
così.»
«Ed è un Paese tranquillo?»
«Non troppo. La famiglia imperiale
cambia di nome piuttosto spesso, e i nobili sono perennemente in conflitto tra
loro per ottenere il potere. Le guerre civili sono frequenti.»
«Allora, sarà meglio lasciarlo al
più presto.»
«C’è un servizio di trasporti che
collega tra di loro le varie città dell’Impero. Potremmo prendere un carretto.»
«Per ora limitiamoci ha raggiungere
un centro abitato. Lily ha ragione, sono giorni che non facciamo una pausa.»
«Evviva, finalmente ci si riposa!».
D’un tratto, i tre ragazzi
cominciarono a sentire un rumore di cavalli al galoppo, accompagnati da
imprecazioni e urla scomposte.
«Che sta succedendo?» domandò
Koichi.
Poco distante da lì, un piccolo
manipolo di soldati a cavallo aveva circondato una casetta di legno e pietra
che sorgeva in una radura nel fitto del bosco di bambù; la loro vittima era il
padrone di casa, un vecchio dall’aria apparentemente gracile e malmessa, con
una postura leggermente gobba e una pronunciata calvizie, ma che tuttavia
sembrava determinato a fronteggiare i suoi aggressori brandeggiando un grosso
martello da fabbro.
«Sono stanco della tua
testardaggine, vecchio!» disse il capo del plotone «Vieni con noi senza fare
altre storie!»
«La mia risposta l’avete già avuta!
Andate a dire a quell’ubriacone guerrafondaio del vostro signore che può andare
all’inferno se spera di avere qualcosa da me.»
«Allora non mi lasci altra scelta.
Dovremo essere drastici. Forse mozzarti tutte e due le
gambe basterà a renderti più collaborativo. Dopotutto,
per forgiare spade, le gambe non ti servono.
Uomini, prendetelo».
Due soldati scesero da cavallo e si
avvicinarono al vecchio con fare minaccioso; il primo scavalcò facilmente la
sua debole difesa e lo colpì violentemente allo stomaco con il manico della sua
lancia, ma prima che potessero infierire ulteriormente
una selva di frecce di luce li investì in pieno, lasciandoli agonizzanti a
terra.
«Ma cosa…» disse il capo, e subito
dopo Erik e Koichi sbucarono dalla foresta parandosi in difesa del vecchio, che
venne soccorso da Sanae e aiutato da lei a rimettersi
in piedi
«Va’ tutto
bene, signore?» domandò la ragazza
«Sì, più o meno».
Koichi aveva già la spada
sguainata, e osservava gli aggressori con fare minaccioso.
«Levatevi di mezzo,
stranieri. Questi non sono affari che vi riguardano.»
«Che cosa ha fatto quest’uomo per
meritare un simile trattamento?» domandò Koichi
«Come ho già detto, non vi riguarda.
Levatevi se non volete finire nei guai.»
«Non lo faremo.» rispose calmo Erik
«Se volete fare del male a lui,
dovrete prima vedervela con noi.»
«In questo caso ve la siete cercata!
Uomini, fateli a pezzi!»
«Nobile Sanae, voi state
indietro!».
Il resto della truppa si lanciò
alla carica urlando a squarciagola, ma né Erik né Koichi arretrarono di un
centimetro. Un tempo il giovane samurai si sarebbe gettato a sua volta nella
mischia senza pensarci due volte, ma la prima cosa che aveva imparato dal suo
durissimo addestramento era che lanciarsi allo sbaraglio contro avversari di
cui si ignorava ogni cosa era un aperto invito a farsi
ammazzare.
Solo all’ultimo secondo si mosse a
sua volta, una scelta puramente istintiva della quale si pentì quasi subito,
non tanto per la pericolosità del nemico, decisamente
risibile, persino per lui, quanto piuttosto perché contravveniva a quanto gli
era stato insegnato.
Tuttavia, fin da subito, emerse la
grande differenza nel suo modo di combattere rispetto al passato; gettate via
l’intraprendenza esagerata, l’avventatezza e la prevedibilità, si batteva ora a mente lucida e in modo molto più
“professionale”, dimostrando, con sua stessa sorpresa, di aver finalmente fatto
proprie, se non del tutto almeno in buona parte, le basi dell’arte della spada.
Erik si era visto arrivare contro
la più alta concentrazione di nemici, ma teneva loro testa senza difficoltà,
limitandosi ad assestare loro colpi abbastanza gravi da costringerli alla resa;
di colpo, uno dei soldati che credeva di avere steso si rimise in piedi e cercò
di colpirlo alle spalle, ma il giovane se ne avvide e, voltatosi, materializzò
la spada d’oro con cui respinse l’attacco.
La comparsa della spada fu accolta
dal vecchio fabbro con un’espressione di puro stupore, e dopo poco,
ulteriormente spaventati da un Kazehi di Koichi, il
primo usato nel corso di una battaglia, i soldati abbandonarono la battaglia e scapparono a tutta velocità, richiamati
inutilmente all’ordine dal loro comandante.
«Non finisce qui, la pagherete!»
gridò il capo prima di andarsene a sua volta.
«Siete ferito?» domandò Koichi al
vecchio a pericolo scampato
«No, per fortuna.» rispose quello
mentre Sanae lo aiutava a rialzarsi «Vi sono debitore.»
«Chi erano quegli uomini?» chiese
Erik
«Servi di un signore della guerra.
Uno dei tanti che insozzano questo Paese.»
«E cosa volevano da voi?» domandò
Sanae
«Quello che vogliono tutti. Che mi
metta a forgiare spade per ogni maledetto soldato dei loro eserciti.»
«Forgiare spade!?»
ripeté Koichi
«Comunque, vi devo la vita. Il
vostro nome, se posso chiedere?»
«Io mi chiamo Sanae. Questi sono i
nobili Koichi ed Erik, lei invece è Lily.»
«Ciao.» disse la fata salutando con
la mano.
Il vecchio la guardò con curiosità ed attenzione, passandosi una mano sul mento; Lily si
spaventò un pochino, tanto che andò a nascondersi leggermente tra la veste di
Sanae.
«Una fata. Era da un pezzo che non
ne vedevo.»
«E voi signore, siete?» chiese Erik
«Ah, scusate. Non mi sono neanche
presentato. Il mio nome è Ippei. Ippei
Nihira.»
«Ippei Nihira!?» esclamò Koichi pieno di
stupore «Non sarete per caso quell’Ippei Nihira!? Il leggendario maestro forgiatore!?»
«In carne ed
ossa, ragazzo. O forse dovrei dire semplicemente in ossa, visto
che di carne su questo vecchio corpo ne è rimasta ben poca.»
«Non avrei mai pensato di potervi
incontrare. Dicono che le spade che create siano indistruttibili, e rendano
invincibile chiunque le usi.»
«Alla gente comune piace raccontare.
Mi limito a fare del mio meglio.»
«Beh, noi ora ce ne andiamo.» disse
Erik voltandosi verso il sentiero «Abbiamo già perso abbastanza tempo.»
«Quanta fretta, nobile Erik. Come
mai avete tutta questa premura?
Mi avete salvato la vita, lasciate
almeno che mi sdebiti.»
«Non ce n’è bisogno. Abbiate cura di
voi.»
«Quella che usate.» disse il
vecchio con una strana luce negl’occhi «È un’arma
spirituale, non ho ragione?».
Erik si fermò di scatto, rimanendo
immobile come una statua di sale; non voleva mostrarlo, ma da quel suo sguardo
parzialmente celato dalle frange dei suoi lunghi capelli d’argento traspariva
un misto di meraviglia ed incredulità.
Anche Sanae, Lily e Koichi
restarono molto sorpresi. D’accordo, Ippei l’aveva
vista apparire dal nulla, ma come faceva a conoscere il vero nome di quel tipo
di armi? Per Koichi, un’ulteriore dimostrazione
dell’indubbia abilità che contraddistingueva il leggendario Fabbro Celeste.
«Posso vederla?».
Erik temporeggiò un momento, poi,
senza apparente esitazione, fece ricomparire la spada d’oro e la lanciò al
vecchio. Questi la prese al volo, poi, cavata da una tasca della sua veste
scucita una sorta di piccolo monocolo prese ad
osservarla attraverso di esso.
«Come immaginavo.» disse dopo un
po’
«Che succede?» chiese Koichi
«Guardate voi stessi».
Erik recuperò la spada e assieme ai
suoi compagni la osservò a sua volta attraverso il monocolo; fu così che, dinnanzi ai loro occhi, comparve un fitto reticolo di crepe,
piccole o grandi, che attraversavano come una maglia l’intera superficie della
lama, che al contrario ad occhio nudo sembrava lucida e liscia come appena
forgiata.
«Ma che
significa?» chiese Lily
«Le armi spirituali sono create in
modo da mascherare l’usura del tempo dietro un aspetto perennemente florido e
scintillante, ma non sono immuni all’usura del tempo e agli effetti delle
battaglie.
Anche loro si danneggiano, e se
trascurate per troppo tempo potrebbero finire per
perdere il loro grande opere, o addirittura per distruggersi.»
«E non si può fare proprio niente?»
domandò Koichi «Non la si può riparare?»
«Un’arma spirituale non è qualcosa
che si possa semplicemente riparare, come una qualsiasi altra spada. Ci sono
solo due modi per riportarla al suo fulgore originario.
Il primo è aspettare, dando tempo
al metallo speciale di cui sono fatte queste armi di riparare da sé i danni che
lo affliggono, il secondo è di affidarsi ad un
procedimento molto particolare e delicato che passa attraverso molteplici
stadi.
Come potete immaginare la seconda
strada è la più veloce, ma anche la più insidiosa. Può bastare una piccola
disattenzione perché il filo sottile su cui poggia l’integrità di uno di questi
oggetti venga reciso, e a quel punto l’arma sarà
perduta per sempre.»
«Sapete molte cose su questo tipo
di armi.» disse Sanae.
Erik ascoltò con molto interesse, e
comprese che quel vecchio dall’aria bizzarra e un po’ svampita, ma con
un’indubbia e sconfinata saggezza di fondo, aveva
ragione.
La spada d’oro, l’arma di
rappresentanza della tribù di Nepthys
al grande torneo, esisteva da almeno duemila anni, ma nessuno in realtà sapeva
con certezza quando e come fosse stata creata.
Tra una competizione e l’altra la
spada riposava piantata nell’altare del tempo attiguo al palazzo reale, e in
questo modo aveva tutto il tempo di ripararsi in vista del momento in cui un
nuovo guerriero l’avrebbe reclamata.
Solitamente veniva
usata al massimo tre o quattro mesi ogni duecento anni o più, ma ormai erano
già più di otto anni, da quando cioè Toshio l’aveva estratta in vista
dell’ultimo torneo, che non faceva ritorno al suo luogo di riposo, e da allora
non era mai stata tenuta lontana dalle battaglie abbastanza a lungo da potersi
rigenerare.
«Facciamo così.» disse Ippei dandosi dei colpetti alla schiena per cercare di
restare un po’ più dritto «Visto che mi avete aiutato,
in cambio io vedrò cosa posso fare per rimettere in sesto questa spada.»
«Davvero lo potete fare!?» esclamò Lily
«Sono o non sono il Fabbro
Celeste?» rispose lui sorridendo
«Maestro, avete sentito?».
Erik restò in silenzio, poi diede
le spalle al vecchio.
«Faccia come crede.»
«Molto bene. Nell’attesa, fate come
se foste a casa vostra. Non è un castello provvisto di ogni comodità, ma è
calda e pulita.»
«Mi dispiace mettervi fretta,
nobile Ippei.» disse Koichi «Ma
purtroppo noi andremmo piuttosto di fretta. Pensate di potercela fare in tre
giorni?»
«Tre giorni?» rispose lui con un
tono di strano risentimento «Ma per chi mi avete preso?».
Koichi abbassò il capo, ma poi si
avvide che il vecchio stava sorridendo.
«Sarà pronta domani mattina».
Ippei si mise al lavoro immediatamente,
rinchiudendosi come un’eremita nella sua forgia e dando in via ad un incessante lavoro che continuò anche dopo il
tramontare del sole, fino a notte fonda.
Koichi, che aveva sentito tante
storie sul conto del leggendario fabbro, faceva da spettatore restando in
disparte, dove era sicuro di non disturbare.
«Davvero potete ripararla?»
«Le armi spirituali sono speciali,
ma di base sono uguali a tutte le altre. Occorre solo seguire qualche
accorgimento in più».
In definitiva era una manutenzione
come qualunque altra; la lama veniva riscaldata,
battuta e raffreddata più e più volte, così da renderla più flessibile e aver
quindi mondo di richiudere le crepe. L’unica differenza era che il vecchio Ippei versava su di essa, ad
intervalli regolari, una strana polvere minerale di colore blu iridescente che
aveva la particolarità, una volta inserita nella forgia, di rendere le fiamme
che la investivano di colore azzurro brillante.
«È quello il vostro segreto?»
«È una polvere speciale, la cui
composizione è nota solo ai capostipiti della mia famiglia. Un retaggio di mio
padre, che a sua volta la ricevette da suo padre, e così via lungo gli ultimi
cinquecento anni. Grazie a questa, le armi spirituali e altri oggetti simili
diventano lavorabili.»
«Mi è dato almeno di conoscere il componente principale di questa polvere miracolosa?»
«È orichalcum.»
«La pietra magica dell’est?»
«La compro dai mercanti. È molto
cara, perciò cerco di usarla il meno possibile. Con le comuni spade le rende
più resistenti ed efficaci, mentre con le armi spirituali è l’unica cosa che
renda il metallo soffice e facile da lavorare.»
«Capisco».
Come la lama venne
immersa nell’acqua fredda questa, oltre che sprigionare vapore, si caricò anche
di una forte luce blu, una luce carica all’inverosimile di potere magico.
«Davvero incredibile».
All’esterno intanto, Sanae e Lily
erano già andate a dormire, approfittando dell’ospitalità offerta loro dal
vecchio Ippei, Erik invece sedeva sotto la lampada ad olio accesa davanti alla porta d’ingresso e osservava
l’immensa vastità del cielo stellato.
Quanto tempo era passato, si
diceva, dall’ultima volta che aveva viaggiato tra le stelle.
Quando ancora era un Rinnegato al
servizio di quello che credeva un sovrano giusto e saggio, per suo conto era
stato su decine e decine di mondi, quasi sempre per
scopi esplorativi.
Era una prassi che i nuovi arrivati
nella Sala del Giudizio, tra coloro che venivano
scelti per essere i comandanti supremi dell’esercito dell’Imperatore, avessero
tra i loro primissimi incarichi quello di visitare pianeti esterni e
sconosciuti, così da sapere se e come era possibile, e soprattutto conveniente,
organizzare un’operazione di conquista.
Erik era stato mandato in missione
una sola volta, ma ricordava bene quei momenti.
Sette anni prima
Il pianeta classificato come X1M-309 non aveva mai
catturato particolarmente l’attenzione dell’Imperatore e del suo esercito.
Situato ai margini dei territori
confederati, aveva pressappoco le dimensioni di Shinari e un Ilya abbastanza
sviluppato, ma non certo di livelli eclatanti, tanto
che senza ombra di dubbio i suoi abitanti non erano in grado di usare la magia.
Già da qualche tempo l’Imperatore
aveva abbandonato l’assimilazione e la distruzione di pianeti desertici il cui
Ilya andava a rinvigorire quello, ora completamente
rinvigorito, di Genesis, in favore di una strategia votata
prevalentemente sull’occupazione militare al fine di garantirsi un ampio
dominio, ma quel pianeta, per molteplici aspetti, non aveva mai fatto parte
della sua lista.
Questo, fino al giorno in cui
alcune pattuglie di velivoli da ricognizione inviati a perlustrare i confini
della confederazione non avevano segnalato un sempre maggiore interessamento a
309 da parte di Shinari, il che era quanto mai insolito;
I generali giunsero
alla conclusione che doveva esserci qualcosa su quel pianeta, qualcosa
che andava oltre il livello evolutivo dei suoi abitanti e di importanza tale da
giustificare un comportamento tanto insolito, e così venne deciso di inviare
qualcuno a dare un’occhiata per vedere se, dopotutto, valeva la pena di
annoverare 309 tra le possibili future prede. L’incarico fu affidato all’ultimo
arrivato, Ali del Deserto, Erik.
Giunto sul pianeta grazie alla
propria abilità nel teletrasporto, il ragazzo si guardò un momento attorno. Era
arrivato in quella che sembrava una vasta ed
incontaminata foresta pluviale, con alte palme, erba molto alta e ogni sorta di
pianta tropicale, alcune delle quali non ricordava di averle mai viste.
In lontananza si vedeva un vulcano,
probabilmente spento o comunque non in attività, e il terreno era informe,
molto frastagliato, con alture e rupi a volte molto alte che spuntavano qua e
là.
«Sembra un paesaggio da
giurassico.» disse tra sé e sé.
Lo aveva detto così, tanto per fare
quasi una battuta, ma dovette ricredersi quando, attirato da uno strano rumore,
intravide un branco di giganteschi diplodochi intenti a pascolare in una vicina
pianura come tante grosse mucche.
Tuttavia, girando lo sguardo nella
direzione opposta, gli era possibile scorgere un piccolo villaggio, forse di
pastori, adagiato su una vallata e recintato da una robusta palizzata di legno,
sufficiente a tenere indietro i predatori più bellicosi.
«Quindi questo pianeta è abitato da
uomini e dinosauri insieme. Davvero strano».
A prima vista non sembrava esservi
niente di insolito o strano in quel pianeta, a parte
naturalmente la sua particolarità dell’ospitare due specie che in altri pianeti
come
Erik era quasi sul punto di
ripartire verso un altro punto del pianeta, alla
ricerca magari di qualche informazione in più, quando udì distintamente un
grido femminile di aiuto, accompagnato da urlacci,
schiamazzi e risate divertite.
«Qualcuno tenga ferma
quest’anguilla che salta come una ranocchia e morde come un dinosauro!».
Seguendo quelle voci Erik raggiunse
rapidamente un gruppetto di uomini, soldati a giudicare dal vestiario, che,
messisi a cerchio, stavano insediando senza sosta e senza pietà una ragazza di
venti anni o poco più che correva da tutte le parti nel vano tentativo di
sfuggirgli.
Erik restò nascosto tra la macchia,
indeciso sul da farsi. Gli ordini erano chiari, mai interagire con gli abitanti
di un pianeta esterno, ma situazioni del genere gli facevano salire sempre il
sangue alla testa. Non voleva certo passare per il cavaliere dalla luccicante
armatura, o per un paladino della giustizia, anzi; semplicemente, detestava chi
abusava della propria forza o della propria posizione per porsi al di sopra degli altri.
Per un po’ cercò di trattenersi, ma
quando vide uno di loro tentare di aggredirla dopo che lei, cercando di
scappare, aveva perso l’equilibrio ed era caduta, non ci vide più, e nello
spazio di neanche un secondo si intromise nello
scontro, assestando al soldato un calcio al petto che lo lasciò a terra
svenuto.
«Chi
diavolo sei?» gridò un altro mentre lui e tutti i suoi compagni mettevano mano
alle armi «Sei un soldato di questo regno?».
Anche la ragazza era molto stupita,
e guardava il suo salvatore con gli occhi carichi di meraviglia.
Altri due soldati cercarono di
attaccare alle spalle, ma Erik fu molto più veloce di
loro e con un doppio calcio li stese entrambi senza neanche fare la fatica di
voltarsi. A quel punto i superstiti si mossero all’attacco
tutti insieme, ma Erik, disteso il braccio, materializzò la propria
spada, e gli servì un solo, potentissimo fendente orizzontale per tranciare in
un sol colpo le armi di tutti i suoi nemici, che a quel punto, terrorizzati da
tanta potenza, si diedero alla fuga in sella a piccoli dinosauri usati al posto
dei cavalli.
Rimasto solo, Erik tornò dalla
ragazza, che ancora restava ad osservarlo seduta per
terra.
«G… grazie.» gli disse prima di
stringere i denti, come per una improvvisa fitta di
dolore.
Erik si inginocchiò,
accorgendosi che la ragazza si era slogata la caviglia, forse a causa della
caduta. Delicatamente, passò la mano sul gonfiore, sprigionando una tenue luce
rossa, e come per incanto tutto svanì nell’arco di un batter di ciglia.
«Vattene a casa.» disse dopo
esserci accertato che la ragazza fosse in grado di rialzarsi «E dimentica di
avermi incontrato.»
«Aspettate.» disse prima che se ne
andasse «Io… io mi chiamo Serena. Posso sapere il
vostro nome?»
«Ali del Deserto.» rispose lui
prima di andarsene «Se vuoi chiamami così».
Quello che accadde di seguito alla
ragazza Erik non poteva saperlo, né mai lo avrebbe saputo.
Rimasta sola, Serena, che prima di
essere raggiunta dai soldati stava raccogliendo funghi in una zona notoriamente
sicura dalla minaccia dei dinosauri carnivori, corse a casa veloce come il
vento. Ritornata al suo villaggio, quello che Erik aveva visto dopo il suo
arrivo, poco dopo aver valicato i cancelli incontrò
due suoi compaesani, forse marito e moglie, lui gigante biondo con barbetta lei
decisamente più minuta e molto bella con capelli sempre biondi raccolti dietro
la nuca e occhi azzurri.
«Serena, che cosa è successo?»
domandò la donna vedendo la sua espressione stravolta e spaventata «Non ti
abbiamo più vista tornare, ed eravamo in pensiero.»
«Sono stata aggredita da un gruppo
di soldati di Asante, ma un ragazzo mi ha salvata.»
«Dannati invasori.» disse lui
serrando il pugno «Si credono già i padroni. Ma se pensano di avere vita facile si sbagliano di grosso.
Questa è la nostra terra, e non ce la faremo portare via.»
«Ormai sono settimane che
avanguardie dell’esercito di Asante imperversano
nella regione.» disse la donna «Perché il re non interviene?»
«Il sovrano si è da poco imposto nel
conflitto contro suo fratello Huagon per la
successione, e ha bisogno di tempo per raccogliere altre truppe. Fino a quel
momento, dobbiamo cercare di resistere.»
«Speriamo solo che non decidano di
attaccare in forze. Il nostro villaggio non avrebbe possibilità contro una
grande armata.»
«Scusate.» intervenne Serena «Ora
sarà meglio che io vada a casa».
La ragazza fece quindi ritorno alla
propria casa, una delle più piccole di tutto il villaggio, e come entrò trovò Minu, la sua sorellina
di dieci anni, intenta a leggere per l’ennesima volta il suo libro di favole
seduta in cucina.
Da quando i loro genitori erano
morti durante l’ultima grande epidemia, Serena era rimasta sola a prendersi
cura della sorella, e da allora cercava di tirare avanti come poteva: lavorava
nei campi, teneva i bambini, e quanto altro potesse servirle ad avere di che
mangiare o a racimolare qualche soldo. Gli abitanti del villaggio le davano una
mano, ma lo spettro della guerra contro Asante e le
continue scorrerie dei soldati avevano reso la vita difficile un po’ a tutti.
Quel libro era stato l’ultimo
regalo che la loro madre aveva fatto a Minu subito
prima di ammalarsi. Più che di favole di trattava di storie e leggende del loro
regno, narrate e illustrate per poter essere lette
anche dai bambini più piccoli. Minu non aveva più
parlato da quando i loro genitori erano morti, e il suo libro sembrava
costituire ormai l’unica ancora che la teneva legata al mondo reale.
La sua storia preferita, la stessa
che a suo tempo aveva avuto Serena, era quella legata alla leggenda del Cavaliere Nero, un coraggioso soldato con due grandi ali
nere apparentemente minaccioso ma dall’animo nobile che attraversava il regno
offrendo il proprio aiuto a chiunque ne avesse bisogno.
Serena, rievocando quella fiaba,
non poté fare a meno di pensare al giovane che l’aveva appena salvata dai
soldati di Asante, ma quasi
subito le venne da scacciare quel pensiero. Ormai era abbastanza grande da
sapere che cavalieri senza macchia e senza paura che aiutavano la povera gente
erano solo favole e superstizioni buone per sovreccitare la fantasia di bambini
come Minu, che in quei personaggi forse vedevano
l’unica cosa in grado di offrir loro un senso di sicurezza in un momento come
quello, con lo spettro della guerra a gravare su ogni cosa.
Nel frattempo Erik, spostatosi
verso ovest, era giunto sulla sommità di un’alta montagna che dominava l’intera
vallata su cui si trovava il villaggio di Serena. A guidarlo, una strana
corrente di energia magica, in un pianeta dove, teoricamente, non vi era Ilya
sufficiente a permettere a chicchessia l’uso della magia.
L’emanazione lo condusse infine
all’interno di una grotta grande e profonda che si immergeva
nel ventre della montagna, ma fatte poche centinaia di metri la sua camminata
venne fermata da un muro di realizzazione chiaramente umana; era coperto di
iscrizioni e disegni, e furono proprio i disegni ad attirare maggiormente
l’attenzione del ragazzo. Raffiguravano strani oggetti circolari sospesi
apparentemente in cielo e circondati di luce, con al
di sotto, sulla terra, schiere di uomini inginocchiati e in apparente atto di
venerazione.
Un sospetto gli attraversò la
mente.
Si trattava indubbiamente di navi
spaziali, ma non rassomigliavano neanche lontanamente a quelle usate dalla
confederazione. Inoltre, Shinari aveva iniziato a dedicarsi intensamente
all’esplorazione spaziale solo negli ultimi cinquecento anni, e quella parete
era senza ombra di dubbio molto più antica.
Per la verità, ricordavano molto di
più le navi usate dai Dark Lord, i Rinnegati signori della guerra, ma nessuno
di loro aveva mai mostrato interesse per quel pianeta, per non parlare del
fatto che si trovava in una zona molto al di fuori dei loro abituali territori di conquista.
Con un semplice colpo del taglio
della mano Erik sbriciolò il muro, scoprendo, come aveva sospettato, che dietro
di esso la caverna proseguiva, perciò, sempre illuminato dalla luce emessa da
un’ocarina magica che aveva evocato prima di entrare, si addentrò ancor più in
profondità.
Dovette fare solo pochi passi
perché alla roccia cominciasse a sostituirsi il metallo, e prima di rendersene
conto si ritrovò a camminare in un grande corridoio quadrangolare le cui luci
si accendevano al suo passaggio una per volta, illuminando il suo cammino.
Andò avanti così per alcuni minuti,
poi il corridoio finì, questa volta per davvero, fermandosi contro quella che sembrava una parete di vetro aperta sul nulla.
Erik si guardò un momento intorno, e come scorse una sorta di pannello sul muro
alla propria destra vi passò la mano sopra.
Una serie di luci si illuminarono sull’apparecchiatura, e un istante dopo un
numero incalcolabile di luci illuminarono ciò che si trovava al di là del
vetro, riuscendo a lasciare senza fiato anche uno come Erik. La camera, di
forma cilindrica, ricordava un gigantesco silos di lancio, al centro del quale
svettava, in tutta la sua imponenza, quella che aveva tutta l’aria di essere un’enorme
torre di forma piramidale, non molto diversa da come gli esseri umani
immaginavano la leggendaria Torre di Babele.
Erik rimase un attimo con la bocca
spalancata, e lo stupore gli comparve sul viso.
Ora si spiegava tutto.
Ecco cosa cercava la confederazione
su di un pianeta che, a prima vista, non aveva nulla di significativo
da offrire. Si trattava senza dubbio alcuno una costruzione realizzata
interamente di krylium, ma nessuno, neppure Shinari o l’Imperatore, disponevano delle conoscenze e delle tecnologie necessarie a
plasmare un simile prodigio. La sua funzione a prima vista non era ben chiara,
ma era risaputo che il krylium, per sua stessa natura, era il materiale
indispensabile per la costruzione di tutto ciò che in qualche modo interagiva
con la magia.
Ma se nessuno in tutta la galassia
poteva essere in grado di cerare qualcosa del genere, chi poteva essere stato?
Gli abitanti del pianeta no di certo, visto che
vivevano ancora nel medioevo.
Erik fece due più due, e concluse che qualcun altro doveva essere stato lì, forse gli
antenati degli attuali abitanti, forse qualcuno venuto prima di loro; quale che
fosse la loro origine, si trattava senza ombra di dubbio dei rappresentanti di
una civiltà a dir poco avanzatissima, in possesso di conoscenze distanti anni
luce da quelle di Shinari e dell’Imperatore.
Erik sentì un brivido lungo la
schiena: se si fosse trattato di un’arma, il potenziale che era in grado di
esprimere doveva essere certamente qualcosa di immenso.
Di sicuro Shinari non sapeva
dell’esistenza di quella torre, o avrebbe certamente dispiegato un intero
esercito in sua difesa ed eseguito su di essa ogni possibile analisi
scientifica; forse, anzi, sicuramente, avevano trovato
qualcos’altro, qualche altro indizio che li aveva portati alle stesse
conclusioni di Erik, e quindi seguitavano a tenere d’occhio quel pianeta
proprio per tentare di conoscere e comprendere la civiltà che era stata capace
di raggiungere un simile livello di evoluzione.
Erik non sapeva cosa fare, né come
comportarsi.
Se avesse informato l’Imperatore di
ciò che aveva scoperto questi sicuramente avrebbe
mandato al più presto una forza d’invasione a conquistare il pianeta, e nessuno
sapeva cosa ne sarebbe stato dei suoi abitanti. Fino a quel momento le occupazioni
erano state piuttosto pacifiche, e i pianeti attaccati, schiacciati dalla incolmabile differenza tecnologica, avevano in breve
accettato la proposta degli invasori di unità, pace e immunità in cambio della
sottomissione, ma era già successo che sacche di resistenza più o meno grandi o
pianeti che non si erano voluti arrendere fossero stati spazzati via senza
alcuna pietà.
Inoltre, attaccare un pianeta posto
sotto il controllo della confederazione avrebbe significato senza dubbio la
guerra, quella guerra che già da tempo si andava
preparando e che, comunque, era dietro l’angolo.
Erik metteva la fedeltà sopra ogni
altra cosa, ma in quel momento non aveva proprio idea di cosa pensare e si
riservò di prendere una decisione sulla strada del ritorno.
Abbandonata l’installazione e fatto
ritorno alla caverna ricostruì il muro che aveva
distrutto e che, si augurava, nessuno avrebbe mai più dovuto tentare di
abbattere, e come tornò all’esterno evocò un portale che lo riconducesse
direttamente a casa. Stava quasi per entrarci, quando si accorse di uno strano ed inquietante nuvolone di polvere che, fendendo il terreno
come una ferita su di un corpo umano, avanzava a grande velocità verso il
villaggio nella vallata, distante ma ancora visibile.
Pensò a quella ragazza, a cosa
sarebbe potuto accaderle, ma poi, tra sé e sé, si disse che non valeva la pena
di farci troppo caso. Aveva salvato quella ragazza perché la stavano
importunando, ma la guerra era la guerra, e quando di mezzo c’era la guerra
cose del genere erano più che naturali. Gli ordini erano chiari, evitare il più possibile contatti con gli autoctoni, e lui aveva già
contravvenuto abbastanza.
Inoltre, pensò dando un’ultima
occhiata alla nube, sempre più lontana da lui ma sempre più vicina al
villaggio, quelli non erano affari suoi.
Gli uomini che Erik aveva visto
erano la prima ondata del gigantesco esercito che Asante
aveva radunato per attaccare il regno vicino, e tutto ciò che si trovava lungo
la sua strada sarebbe stato inesorabilmente spazzato
via, che si fosse trattato di animali, villaggi o persone.
Il loro arrivo venne
notato dalle vedette del villaggio di Serena, che immediatamente fecero
scattare l’allarme. Il villaggio disponeva di una
piccola guarnigione, troppo piccola per affrontare una simile armata, e
comunque non era in grado di sostenere un assedio, quindi, a malincuore, la
sola cosa da fare era andarsene il più velocemente possibile, prima che l’onda
li investisse.
«Dobbiamo andarcene di qui subito!»
gridava il sindaco dall’alto della collinetta che dominava la piazza, mentre
tutto attorno a lui la gente fuggiva terrorizzata «Lasciate tutto quello che
non vi serve e scappate verso est!».
Nel panico, ognuno pensava per sé stesso. Ogni famiglia, raccolte quelle poche cose di
valore, e a volte neanche quelle, fuggiva via senza curarsi minimamente degli
altri.
Serena, però, non poteva fuggire.
Subito dopo essere rientrata, l’essersi dovuta svegliare presto per andare nel bosco, unito
allo spavento che aveva preso, l’avevano fatta assopire, e quando l’allarme
l’aveva svegliata si era accorta, terrorizzata, che Minu
non era in casa.
Disperata, vagava per il villaggio
chiamandola a gran voce e chiedendo a chiunque le capitasse a tiro se l’avesse
vista, ma nessuno la degnava della minima attenzione, pensando solo a salvare
la propria vita. Alla fine, nel suo peregrinare affannoso, ostacolato dalla
marea di gente che la urtava da tutte le parti, incontrò la giovane coppia che
l’aveva accolta al suo rientro, anche loro già pronti ad andarsene.
«Serena, che ci fai ancora qui?»
domandò lei «Le truppe di Asante saranno qui tra
poco!»
«Non riesco a trovare Minu, è sparita!»
«Che cosa!?»
«Non posso andarmene a lasciarla
qui! Mamma e papà l’hanno affidata a me.»
«Dannazione.» disse lui «Allora era
davvero lei.»
«Selim,
che stai dicendo?»
«Circa un’ora fa ho avuto
l’impressione di vederla mentre si allontanava dal villaggio».
Serena sentì un colpo al cuore.
Fin da piccola, Minu
aveva sempre avuto l’abitudine di andare a raccogliere frutta nello stesso
piccolo frutteto selvatico dove era solita accompagnarla sua madre, e quel
frutteto si trovava proprio tra il villaggio e l’armata nemica in rapida
avanzata.
«Devo andarla a salvare!»
«No, Serena! Ci vado io!»
«Caro, aspetta! Non vorrai farlo
davvero?»
«Non abbiamo scelta.
Non la possiamo abbandonare.»
«Non andrai senza di me.»
«Serena, potrebbe essere molto
pericoloso.»
«Non importa. Minu
è mia sorella».
Selim tentò di protestare ulteriormente,
ma alla fine dovette arrendersi alla testardaggine e alla fierezza della
ragazza. Marito e moglie si guardarono, scambiandosi
un bacio; sapevano che poteva essere l’ultimo.
«Voi andate con gli altri. Ci
rivedremo presto.»
«Ti aspetto,
amore mio. Siate prudenti».
Selim e Serena a quel punto lasciarono
il villaggio nella direzione opposta, dritto in bocca al nemico. Corsero
entrambi a perdifiato, mentre il frastuono dei dinosauri da guerra che
trasportavano le truppe di Asante si faceva sempre
più vicino e minaccioso, e quando finalmente arrivarono al frutteto
videro Minu arrampicata su un albero intenta ad
osservare, senza rendersi contro del pericolo, quella marea umana giunta ormai
ad un tiro di lancia. La chiamarono, ma la bambina era troppo
in alto per poterli sentire, e all’improvviso una freccia scoccata da una
balestra nemica le arrivò molto vicina, facendole perdere l’equilibrio.
«Minu!»
gridò terrorizzata la sorella.
Selim, colto alla sprovvista, fu
incapace di muoversi, Serena invece corse il più velocemente possibile e
all’ultimo momento spiccò una falcata, riuscendo a prendere al volo la sorella
prima che potesse precipitare a terra.
Solo a quel punto, quando tutto si
era risolto bene, l’uomo riuscì a recuperare un po’ di raziocinio, e
rapidamente raggiunse le due ragazze. Minu era priva
di sensi, forse a causa dello spavento, ma stava bene.
«Minu. Grazie al cielo sei salva.»
«Ora andiamocene, prima che sia
tardi».
Purtroppo, quando Serena fece per
alzarsi, la stessa caviglia che solo poche ore prima le era stata medicata
prese nuovamente a farle male; probabilmente, la corsa e il brutto volo avevano
riacutizzato la ferita, ridandole forza.
«Tu porta in salvo Minu.» disse mettendo la sorella in braccio a Selim «Non pensare a me.»
«Non se ne parla, non ti lascio
qui».
Selim si caricò dunque Minu sulle spalle e sollevata Serena da terra
la aiutò a camminare sorreggendola con l’unico braccio libero. Ma anche lui,
nonostante il suo fisico possente, era un essere umano, e un simile fardello
era più di quanto potesse sopportare, e alla fine, fatti pochi metri,
inevitabilmente rovinò a terra senza più un barlume di
forze.
Le truppe di Asante
intanto avevano abbandonato la prateria ed erano entrate nel bosco; erano
talmente tanti che era impossibile contarli, e la
carica dei loro dinosauri faceva tremare la terra.
Un gruppetto di
loro, tra quelli che stavano in prima linea, caricò le balestre per tirare
ai tre fuggitivi, ormai a distanza più che sufficiente per poter essere colpiti
senza possibilità di errore. Selim e Serena
osservarono impotenti i soldati puntargli contro le armi, e come videro i dardi
partire dalle balestre si coprirono il volto con le
mani, pensando che fosse la fine.
Ma nessuna delle tre frecce
lanciate contro di loro colpì il bersaglio; vennero
tutte intercettate dalla spada di Erik, comparso dal nulla come un angelo dal
cielo, che con pochi e precisi fendenti ne respinse una metà e ne tagliò
l’altra metà.
«Ali del Deserto… voi qui?»
«Mettetevi al riparo!» disse lui.
Selim non stette certo a farselo
ripetere, e afferrate nuovamente le due ragazze andò a nascondersi assieme a
loro dietro una grossa formazione rocciosa. Contemporaneamente Erik si inginocchiò, e come fece urtare violentemente a terra la
punta della spada una accecante luce rossa simile ad una fiamma lo avvolse
interamente accecando i soldati, che furono costretti a fermarsi.
Quando il bagliore si dissolse, i
tatuaggi a forma di fiamma erano comparsi sul volto di Erik, e le grandi ali
nere si erano materializzate dietro la sua schiena. Minu
riprese i sensi per un istante, e vedendolo le tornò subito alla mente la
figura del Cavaliere Nero che c’era sul suo libro
illustrato.
I soldati di Asante,
spaventati, arretrarono un momento, poi, pur con evidente timore, ripresero la
loro carica; ed Erik andò loro incontro, veloce e silenzioso, usando le sue
maestose ali per compiere vere e proprie planate a livello del terreno.
Erano vicini, vicinissimi, e
intanto Selim e Serena guardavano. Poi, il contatto.
Erik passò tra di loro nel più assoluto silenzio, come un angelo della morte.
Nessuna armatura venne scalfita, né fu versata alcuna
goccia di sangue.
Semplicemente, i nemici caddero
morti dalle loro cavalcature, senza un lamento o un gemito, come se la vita
fosse stata letteralmente sfilata via dai loro corpi terreni.
Nessuno si salvò, nessuno si rese
conto di cosa stava accadendo. Passarono cinque, forse dieci secondi, poi la
carica, così come era iniziata, si fermò, lasciando
sul terreno un’immensa distesa di corpi senza vita.
Selim e Serena si alzarono attoniti e
sconcertati, ritrovandosi a camminare in quella che era a tutti gli effetti una immensa distesa di corpi senza vita. I dinosauri
da guerra, privati dei loro fantini, brucavano tranquillamente l’erba che
spuntava tra corpo e corpo: a nessuno di loro era stato
fatto alcun male, ed ora che non caricavano sembravano così indifesi, così
innocui.
Ci volle molto tempo perché potessero trovare la forza di cercare con lo sguardo
l’artefice della loro salvezza. Avrebbero voluto parlargli, ringraziarlo, ma
nel tempo che impiegarono a riacquistare la padronanza di sé il forestiero se
ne era già andato.
Pochi minuti dopo Erik era al
cospetto dell’Imperatore, perennemente celato dietro la tenda che nascondeva
l’altare con il trono, nella grande sala del palazzo di Genesis.
C’era
anche Lady Yumi, la fedele dama del sovrano.
«Mio signore.» disse il ragazzo
inginocchiandosi «Ho portato a termine la missione che mi avete affidato.»
«Hai fatto presto,
amico mio. Del resto non avevo dubbi sulla tua efficienza. Allora, che notizie
mi porti?».
Erik esitò; i dubbi che lo avevano
colto su Noah, come avrebbe
scoperto in seguito chiamarsi il pianeta da cui era appena tornato, non si
erano dissipati. Guardò Yumi, che gli rivolse uno sguardo strano, poi, anche se
ancora non del tutto convinto, prese la sua decisione.
«Sul
pianete che mi avete mandato a controllare infuria da anni una sanguinosa
guerra che vede coinvolte numerose nazioni. Shinari vorrebbe che si evitasse un
ulteriore spargimento di sangue, ed è alla ricerca di
un modo per fermare il conflitto.»
«È solo per questo?» domandò
l’Imperatore, non sembrando eccessivamente sorpreso
«Sì, mio signore».
Il sovrano restò un momento in
silenzio, ed intanto Erik sentiva i battiti del suo
cuore farsi sempre più concitati. Poi, sollevando leggermente lo sguardo, ebbe
l’impressione di vederlo sorridere.
«Capisco. Del resto, non che la cosa
debba sorprendermi. Shinari non ama che si combatta, soprattutto per futili
motivi.
Ma sono felice di sapere che laggiù
non c’è niente per cui valga la pena accelerare i tempi. In tutta onestà, non
mi sentivo ancora pronto ad iniziare la nostra guerra.
Hai agito bene, Ali del Deserto. La
mia stima nei tuoi confronti è notevolmente aumentata.»
«Vi ringrazio,
mio signore».
Erik non lo avrebbe mai saputo, ma
la distruzione di una intera armata nella prima fase
dell’invasione ad opera oltretutto, secondo le dicerie del nemico, di un solo
uomo, avrebbe portato scompiglio e terrore tra le truppe di Asante,
e di lì a breve la riscossa degli attaccati avrebbe fatto il resto.
Il mattino dopo, di buon’ora, il vecchio Ippei aveva terminato il suo lavoro, e i ragazzi, ancora
seduti attorno al tavolo dove era stata apparecchiata la colazione, erano
pronti a ripartire.
«Ecco.» disse porgendo ad Erik la spada d’oro «Ho finito».
Il ragazzo, pur con qualche
esitazione, la prese in mano. All’esterno non sembrava essere cambiato niente,
ma per chi, come lui, poteva sentirne le vibrazioni, il cambiamento c’era, ed
era più che evidente. Se prima il suo potere sembrava in qualche modo offuscato,
reso tenue dalle lunghe privazioni a cui il suo
ricettacolo era stato sottoposto, ora invece era più vivo e luminescente che
mai, tanto che la lama sembrava quasi sfrigolare sotto la sua spinta
incontenibile.
Erik eseguì un paio di fendenti,
giusto per capire se qualcosa fosse mutato a livello di consistenza e di peso,
poi la fece sparire.
«A proposito, ho qualcosa anche per
voi.» disse Ippei rivolgendosi a Koichi e Sanae.
Al ragazzo porse la sua spada, che
fin da subito Koichi trovò diversa; più viva, per così dire. La estrasse: era
stata sicuramente affilata e lucidata, ma c’era anche dell’altro.
«Sei un samurai che usa la magia,
vero? Ho pensato di rivestirla con uno scudo di oricalcum.
Non solo è diventata più resistente, ma gli incantesimi che lancerà
saranno molto più potenti. Certo, a condizione che tu sia capace di
utilizzarli.»
«Voi…» disse il ragazzo atterrito
«Voi non dovevate disturbarvi.»
«Cerca solo di non esagerare. È
vero, la spada è più resistente, ma non indistruttibile. Se farai confluire al
suo interno più potere di quanto ne possa gestire
rischierà di andare in pezzo».
Koichi a quel punto si alzò,
profondendosi in un reverenziale inchino.
«Vi sarò eternamente debitore,
nobile Ippei. Grazie infinite.»
«Non preoccuparti di questo. E per te,
bambina mia.» disse rivolgendosi a Sanae e porgendole un pregiato ventaglio di
tessuto con le asticelle in argento massiccio «Questo è per te».
La ragazza tentennò un momento
prima di prenderlo, poi lo aprì, ammirandone il disegno, un grande drago dorato
su di uno sfondo blu circondato da numerosi ideogrammi, tra i
quali capeggiavano i simboli dei cinque elementi.
«Questo ventaglio mi è stato
regalato molti anni fa da un vecchio monaco viandante come ricompensa per il
riso che gli avevo offerto. Disse che aveva centinaia di anni, e che possedeva
poteri magici. Non so se sia vero, ma se è così penso
potrà tornare molto più utile a voi che a me.»
«Io… non credo di meritare tanto.»
«Sciocchezze. A cosa serviamo noi
poveri vecchi se non ad aiutare voi giovani?»
«Grazie.» disse commossa la ragazza
«Grazie infinite.»
«Ehi, e a me niente?» disse Lily
«Mi spiace piccola, ma non saprei
cosa darti.»
«Uffa non è giusto!» sbraitò la
fatina volando per tutta la stanza come una scheggia impazzita «Non sono stata
così cattiva da non meritare niente!».
Alla fine, dopo quella
breve sosta, i ragazzi se ne andarono, ognuno con un nuovo tesoro, anche Lily; Ippei non era certo così cattivo da lasciare da parte solo
lei, e le aveva fabbricato un minuscolo pendente di oricalco che amplificava la
sua magia, e che ora lei mostrava tutta contenta come una modella in
passerella.
Erik guardò un attimo spada.
Sicuramente, la cura aveva risvegliato in lei non solo un nuovo potere, ma
anche, sicuramente nuove potenzialità, e dentro di sé non vedeva
l’ora di scoprirle.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
È passato un mese
esatto dal mio ultimo aggiornamento, e io sono più
felice che mai! Venerdì, questo venerdì, infatti il
mio tirocinio avrà fine, e, anche se le cose da fare resteranno ancora tante
(tesi di laurea su tutte) sarà certo un pesante fardello in meno da portare
sulle spalle. Prometto solennemente che da dopo la tesi (attorno alla fine di
ottobre) e fino ad oltre natale, dedicherò alla
scrittura la quasi totalità della mia giornata, anche perché per allora
spererei di aver finito il mio tanto agognato primo romanzo.
Con questo è tutto.
A presto!^_^
Carlos Olivera