Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Carlos Olivera    31/08/2010    2 recensioni
Ogni cosa ha un suo corso.
I regni sono come gli uomini; nascono, vivono, ed infine muoiono.
Ad ogni impero ne succede sempre un altro, in un ciclo senza fine.
La profezia a lungo dimenticata sta per avverarsi, e la guerra che molti credevano finita è prossima a ricominciare, ma questa volta ci sarà spazio solo per un vincitore.
Gli eroi scelti dal destino, a loro insaputa, si sono imbarcati in un'impresa che li porterà a varcare le porte di una realtà ignota, incredibile, ma anche piena di pericoli, pericoli sconosciuti e letali.
Buona Lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Millennium War'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota

Nota. Gli eventi narrati nel flashback di questo capitolo si svolgono nei luoghi in cui sono ambientate le vicende dell’anime Kyōryū bōken Jura Tripper, noto in Italia come “I Segreti dell’Isola Misteriosa”. Da piccolo adoravo questo cartone, così ho deciso di omaggiarlo. Buona lettura!^_^

 

 

61

 

 

Il monastero nel deserto ormai era alle spalle, ma non la montagna di domande che il finto ologramma aveva portato con sé.

Erik non sapeva cosa pensare: era andato lì per trovare delle risposte, ma fino a quel momento quel viaggio gli aveva portato più domande che altro.

A Koichi e Sanae non aveva detto nulla: meglio non angustiarli, dando loro nuovi motivi di preoccupazione. Anche perché i ragazzi ultimamente sembravano avere dei problemi tutti loro; da che avevano lasciato il monastero non si erano parlati e, a momenti, neppure guardati in viso.

Si evitavano l’un l’altro, e se uno dei due ad un certo punto provava a trovare la forza per aprire un dialogo o rompere la barriera che sembrava separarli l’altro prontamente trovava una scusa poco più che pietosa e se la dava immediatamente a gambe.

In mezzo, Lily, che sembrava trovare la cosa di estremo divertimento.

Erik sapeva di cosa si trattava e capiva la situazione, e proprio per questo non interveniva in alcun modo; aveva imparato in prima persona che in casi simili bisogna fare da soli, perché solo chi era coinvolto poteva sapere se e come la situazione si sarebbe evoluta.

Lasciato il deserto, il gruppo aveva attraversato un’area di vaste praterie prime di immergersi nuovamente in una zona di fitte foreste di bambù intervallate piuttosto spesso da grandi risaie che riempivano intere pianure.

La regione di Sinca, a sentire le parole del padre superiore del tempio, era situata nell’oriente più estremo, e per poterla raggiungere erano necessari come minimo due anni di cavallo, anche di più volendo andare a piedi.

Forse, più avanti, Erik e gli altri avrebbero trovato il modo per rendere il viaggio più veloce e scorrevole, ma almeno per il momento non si poteva fare altro che armarsi di buona volontà e confidare nelle proprie gambe; e poi, viaggiando a piedi c’era la possibilità di imbattersi in qualche altro laboratorio segreto di Clow in cui poter sperare, magari, di trovare qualche altra risposta.

Qui e là si incontravano anche molti villaggi, ma i ragazzi preferivano tenersene lontani, onde evitare problemi di qualche sorta. La marcia procedeva a ritmo piuttosto lento, e non solo perché Erik e i suoi compagni evitavano le strade principali così da rendere più difficile ai Suura seguire i loro movimenti. Koichi, ultimamente, aveva cominciato ad allenarsi sul serio, e le soste, anche di qualche giorno, si erano fatte piuttosto frequenti.

Erik si stava rivelando un maestro severo e molto esigente, che pur parlando solo in rarissime occasioni si faceva capire semplicemente con un cenno o uno sguardo particolare, ma il suo allenamento si stava rivelando ben diverso da quello che Koichi pensava di dover seguire. Per il giovane samurai era come essere tornato bambino, all’epoca dei primi addestramenti: tecniche elementari, esercizi da principiante e altre cose di questo tipo costituivano i suoi esercizi quotidiani, e guai se solo osava sollevare una parola di obiezione.

L’ultima volta che lo aveva fatto Erik lo aveva invitato a farsi avanti a spada tratta e a tentare di ucciderlo, e quando Koichi, pur titubante, ci aveva provato, al suo maestro erano bastati pochi decimi di secondo e un bastoncino raccolto sul momento per disarmarlo e metterlo al tappeto.

«Sei come un bambino.» gli aveva detto dopo quella lezione «E come un bambino intendo trattarti».

All’inizio Koichi aveva trovato questa situazione alquanto irritante. Sperava di ricevere insegnamenti superiori, che gli permettessero di avvicinarsi anche di poco all’apparentemente inarrivabile abilità del suo maestro, ma per ora sentiva di non ricevere niente di più né di meno di quello che avrebbe appreso in qualsiasi dojo del suo Paese.

Dopo quel giorno però, aveva capito tutto: quanto era stato immaturo, e superbo, e quanto a lungo si fosse dichiarato un guerriero pur non essendone neanche lontanamente paragonabile. Per questo, aveva obbedito, e aveva ricominciato tutto daccapo, cercando di padroneggiare quelle basi del combattimento che forse non aveva mai davvero posseduto. Si allenava duramente, per ore ed ore, arrivando a passare intere notti in bianco, e faticando a tal punto da crollare svenuto.

Sanae aveva cercato di aiutarlo, di offrirgli un po’ di aiuto, ma Erik l’aveva fermata, dicendole che per il momento Koichi avrebbe dovuto fare da solo, almeno fino a quando non fosse veramente cresciuto.

Tuttavia, qualche risultato si stava cominciando a vedere; avendo capito di possedere veramente una piccola scintilla di potere magico dentro di sé, una quantità irrisoria ma comunque sufficiente a rendere speciale un guerriero, Koichi stava cercando di ottenerne il controllo. Aveva anche dato un nome alla sua tecnica di fuoco, la sola che possedeva, almeno per ora: Kazehi, Onda di Fuoco.

«Sono stanca morta.» disse Lily a metà dell’ennesimo giorno di marcia «Ho fame e sete, e anche tanto sonno. Quand’è che ci fermiamo a riposare?»

«Cerca di resistere un altro po’, Lily.» disse Sanae «Abbiamo fatto poca strada in questi ultimi giorni. Bisogna recuperare tutto il tempo perduto.»

«Sì, però…»

«Koichi.»

«Sì, maestro?»

«Dove ci troviamo in questo momento?»

«Se ho tenuto bene il conto della strada fatta, dovremmo essere entrati già da tempo nell’Impero di Kyo, chiamato anche l’Impero di Mezzo. Si trova quasi al centro di questo continente, è per questo che lo chiamano così.»

«Ed è un Paese tranquillo?»

«Non troppo. La famiglia imperiale cambia di nome piuttosto spesso, e i nobili sono perennemente in conflitto tra loro per ottenere il potere. Le guerre civili sono frequenti.»

«Allora, sarà meglio lasciarlo al più presto.»

«C’è un servizio di trasporti che collega tra di loro le varie città dell’Impero. Potremmo prendere un carretto.»

«Per ora limitiamoci ha raggiungere un centro abitato. Lily ha ragione, sono giorni che non facciamo una pausa.»

«Evviva, finalmente ci si riposa!».

D’un tratto, i tre ragazzi cominciarono a sentire un rumore di cavalli al galoppo, accompagnati da imprecazioni e urla scomposte.

«Che sta succedendo?» domandò Koichi.

Poco distante da lì, un piccolo manipolo di soldati a cavallo aveva circondato una casetta di legno e pietra che sorgeva in una radura nel fitto del bosco di bambù; la loro vittima era il padrone di casa, un vecchio dall’aria apparentemente gracile e malmessa, con una postura leggermente gobba e una pronunciata calvizie, ma che tuttavia sembrava determinato a fronteggiare i suoi aggressori brandeggiando un grosso martello da fabbro.

«Sono stanco della tua testardaggine, vecchio!» disse il capo del plotone «Vieni con noi senza fare altre storie!»

«La mia risposta l’avete già avuta! Andate a dire a quell’ubriacone guerrafondaio del vostro signore che può andare all’inferno se spera di avere qualcosa da me.»

«Allora non mi lasci altra scelta. Dovremo essere drastici. Forse mozzarti tutte e due le gambe basterà a renderti più collaborativo. Dopotutto, per forgiare spade, le gambe non ti servono.

Uomini, prendetelo».

Due soldati scesero da cavallo e si avvicinarono al vecchio con fare minaccioso; il primo scavalcò facilmente la sua debole difesa e lo colpì violentemente allo stomaco con il manico della sua lancia, ma prima che potessero infierire ulteriormente una selva di frecce di luce li investì in pieno, lasciandoli agonizzanti a terra.

«Ma cosa…» disse il capo, e subito dopo Erik e Koichi sbucarono dalla foresta parandosi in difesa del vecchio, che venne soccorso da Sanae e aiutato da lei a rimettersi in piedi

«Va’ tutto bene, signore?» domandò la ragazza

«Sì, più o meno».

Koichi aveva già la spada sguainata, e osservava gli aggressori con fare minaccioso.

«Levatevi di mezzo, stranieri. Questi non sono affari che vi riguardano.»

«Che cosa ha fatto quest’uomo per meritare un simile trattamento?» domandò Koichi

«Come ho già detto, non vi riguarda. Levatevi se non volete finire nei guai.»

«Non lo faremo.» rispose calmo Erik

«Se volete fare del male a lui, dovrete prima vedervela con noi.»

«In questo caso ve la siete cercata! Uomini, fateli a pezzi!»

«Nobile Sanae, voi state indietro!».

Il resto della truppa si lanciò alla carica urlando a squarciagola, ma né Erik né Koichi arretrarono di un centimetro. Un tempo il giovane samurai si sarebbe gettato a sua volta nella mischia senza pensarci due volte, ma la prima cosa che aveva imparato dal suo durissimo addestramento era che lanciarsi allo sbaraglio contro avversari di cui si ignorava ogni cosa era un aperto invito a farsi ammazzare.

Solo all’ultimo secondo si mosse a sua volta, una scelta puramente istintiva della quale si pentì quasi subito, non tanto per la pericolosità del nemico, decisamente risibile, persino per lui, quanto piuttosto perché contravveniva a quanto gli era stato insegnato.

Tuttavia, fin da subito, emerse la grande differenza nel suo modo di combattere rispetto al passato; gettate via l’intraprendenza esagerata, l’avventatezza e la prevedibilità, si batteva ora a mente lucida e in modo molto più “professionale”, dimostrando, con sua stessa sorpresa, di aver finalmente fatto proprie, se non del tutto almeno in buona parte, le basi dell’arte della spada.

Erik si era visto arrivare contro la più alta concentrazione di nemici, ma teneva loro testa senza difficoltà, limitandosi ad assestare loro colpi abbastanza gravi da costringerli alla resa; di colpo, uno dei soldati che credeva di avere steso si rimise in piedi e cercò di colpirlo alle spalle, ma il giovane se ne avvide e, voltatosi, materializzò la spada d’oro con cui respinse l’attacco.

La comparsa della spada fu accolta dal vecchio fabbro con un’espressione di puro stupore, e dopo poco, ulteriormente spaventati da un Kazehi di Koichi, il primo usato nel corso di una battaglia, i soldati abbandonarono la battaglia e scapparono a tutta velocità, richiamati inutilmente all’ordine dal loro comandante.

«Non finisce qui, la pagherete!» gridò il capo prima di andarsene a sua volta.

«Siete ferito?» domandò Koichi al vecchio a pericolo scampato

«No, per fortuna.» rispose quello mentre Sanae lo aiutava a rialzarsi «Vi sono debitore.»

«Chi erano quegli uomini?» chiese Erik

«Servi di un signore della guerra. Uno dei tanti che insozzano questo Paese.»

«E cosa volevano da voi?» domandò Sanae

«Quello che vogliono tutti. Che mi metta a forgiare spade per ogni maledetto soldato dei loro eserciti.»

«Forgiare spade!?» ripeté Koichi

«Comunque, vi devo la vita. Il vostro nome, se posso chiedere?»

«Io mi chiamo Sanae. Questi sono i nobili Koichi ed Erik, lei invece è Lily.»

«Ciao.» disse la fata salutando con la mano.

Il vecchio la guardò con curiosità ed attenzione, passandosi una mano sul mento; Lily si spaventò un pochino, tanto che andò a nascondersi leggermente tra la veste di Sanae.

«Una fata. Era da un pezzo che non ne vedevo.»

«E voi signore, siete?» chiese Erik

«Ah, scusate. Non mi sono neanche presentato. Il mio nome è Ippei. Ippei Nihira.»

«Ippei Nihira!?» esclamò Koichi pieno di stupore «Non sarete per caso quell’Ippei Nihira!? Il leggendario maestro forgiatore!?»

«In carne ed ossa, ragazzo. O forse dovrei dire semplicemente in ossa, visto che di carne su questo vecchio corpo ne è rimasta ben poca.»

«Non avrei mai pensato di potervi incontrare. Dicono che le spade che create siano indistruttibili, e rendano invincibile chiunque le usi.»

«Alla gente comune piace raccontare. Mi limito a fare del mio meglio.»

«Beh, noi ora ce ne andiamo.» disse Erik voltandosi verso il sentiero «Abbiamo già perso abbastanza tempo.»

«Quanta fretta, nobile Erik. Come mai avete tutta questa premura?

Mi avete salvato la vita, lasciate almeno che mi sdebiti.»

«Non ce n’è bisogno. Abbiate cura di voi.»

«Quella che usate.» disse il vecchio con una strana luce negl’occhi «È un’arma spirituale, non ho ragione?».

Erik si fermò di scatto, rimanendo immobile come una statua di sale; non voleva mostrarlo, ma da quel suo sguardo parzialmente celato dalle frange dei suoi lunghi capelli d’argento traspariva un misto di meraviglia ed incredulità.

Anche Sanae, Lily e Koichi restarono molto sorpresi. D’accordo, Ippei l’aveva vista apparire dal nulla, ma come faceva a conoscere il vero nome di quel tipo di armi? Per Koichi, un’ulteriore dimostrazione dell’indubbia abilità che contraddistingueva il leggendario Fabbro Celeste.

«Posso vederla?».

Erik temporeggiò un momento, poi, senza apparente esitazione, fece ricomparire la spada d’oro e la lanciò al vecchio. Questi la prese al volo, poi, cavata da una tasca della sua veste scucita una sorta di piccolo monocolo prese ad osservarla attraverso di esso.

«Come immaginavo.» disse dopo un po’

«Che succede?» chiese Koichi

«Guardate voi stessi».

Erik recuperò la spada e assieme ai suoi compagni la osservò a sua volta attraverso il monocolo; fu così che, dinnanzi ai loro occhi, comparve un fitto reticolo di crepe, piccole o grandi, che attraversavano come una maglia l’intera superficie della lama, che al contrario ad occhio nudo sembrava lucida e liscia come appena forgiata.

«Ma che significa?» chiese Lily

«Le armi spirituali sono create in modo da mascherare l’usura del tempo dietro un aspetto perennemente florido e scintillante, ma non sono immuni all’usura del tempo e agli effetti delle battaglie.

Anche loro si danneggiano, e se trascurate per troppo tempo potrebbero finire per perdere il loro grande opere, o addirittura per distruggersi.»

«E non si può fare proprio niente?» domandò Koichi «Non la si può riparare?»

«Un’arma spirituale non è qualcosa che si possa semplicemente riparare, come una qualsiasi altra spada. Ci sono solo due modi per riportarla al suo fulgore originario.

Il primo è aspettare, dando tempo al metallo speciale di cui sono fatte queste armi di riparare da sé i danni che lo affliggono, il secondo è di affidarsi ad un procedimento molto particolare e delicato che passa attraverso molteplici stadi.

Come potete immaginare la seconda strada è la più veloce, ma anche la più insidiosa. Può bastare una piccola disattenzione perché il filo sottile su cui poggia l’integrità di uno di questi oggetti venga reciso, e a quel punto l’arma sarà perduta per sempre.»

«Sapete molte cose su questo tipo di armi.» disse Sanae.

Erik ascoltò con molto interesse, e comprese che quel vecchio dall’aria bizzarra e un po’ svampita, ma con un’indubbia e sconfinata saggezza di fondo, aveva ragione.

La spada d’oro, l’arma di rappresentanza della tribù di Nepthys al grande torneo, esisteva da almeno duemila anni, ma nessuno in realtà sapeva con certezza quando e come fosse stata creata.

Tra una competizione e l’altra la spada riposava piantata nell’altare del tempo attiguo al palazzo reale, e in questo modo aveva tutto il tempo di ripararsi in vista del momento in cui un nuovo guerriero l’avrebbe reclamata.

Solitamente veniva usata al massimo tre o quattro mesi ogni duecento anni o più, ma ormai erano già più di otto anni, da quando cioè Toshio l’aveva estratta in vista dell’ultimo torneo, che non faceva ritorno al suo luogo di riposo, e da allora non era mai stata tenuta lontana dalle battaglie abbastanza a lungo da potersi rigenerare.

«Facciamo così.» disse Ippei dandosi dei colpetti alla schiena per cercare di restare un po’ più dritto «Visto che mi avete aiutato, in cambio io vedrò cosa posso fare per rimettere in sesto questa spada.»

«Davvero lo potete fare!?» esclamò Lily

«Sono o non sono il Fabbro Celeste?» rispose lui sorridendo

«Maestro, avete sentito?».

Erik restò in silenzio, poi diede le spalle al vecchio.

«Faccia come crede.»

«Molto bene. Nell’attesa, fate come se foste a casa vostra. Non è un castello provvisto di ogni comodità, ma è calda e pulita.»

«Mi dispiace mettervi fretta, nobile Ippei.» disse Koichi «Ma purtroppo noi andremmo piuttosto di fretta. Pensate di potercela fare in tre giorni?»

«Tre giorni?» rispose lui con un tono di strano risentimento «Ma per chi mi avete preso?».

Koichi abbassò il capo, ma poi si avvide che il vecchio stava sorridendo.

«Sarà pronta domani mattina».

 

Ippei si mise al lavoro immediatamente, rinchiudendosi come un’eremita nella sua forgia e dando in via ad un incessante lavoro che continuò anche dopo il tramontare del sole, fino a notte fonda.

Koichi, che aveva sentito tante storie sul conto del leggendario fabbro, faceva da spettatore restando in disparte, dove era sicuro di non disturbare.

«Davvero potete ripararla?»

«Le armi spirituali sono speciali, ma di base sono uguali a tutte le altre. Occorre solo seguire qualche accorgimento in più».

In definitiva era una manutenzione come qualunque altra; la lama veniva riscaldata, battuta e raffreddata più e più volte, così da renderla più flessibile e aver quindi mondo di richiudere le crepe. L’unica differenza era che il vecchio Ippei versava su di essa, ad intervalli regolari, una strana polvere minerale di colore blu iridescente che aveva la particolarità, una volta inserita nella forgia, di rendere le fiamme che la investivano di colore azzurro brillante.

«È quello il vostro segreto?»

«È una polvere speciale, la cui composizione è nota solo ai capostipiti della mia famiglia. Un retaggio di mio padre, che a sua volta la ricevette da suo padre, e così via lungo gli ultimi cinquecento anni. Grazie a questa, le armi spirituali e altri oggetti simili diventano lavorabili.»

«Mi è dato almeno di conoscere il componente principale di questa polvere miracolosa?»

«È orichalcum

«La pietra magica dell’est?»

«La compro dai mercanti. È molto cara, perciò cerco di usarla il meno possibile. Con le comuni spade le rende più resistenti ed efficaci, mentre con le armi spirituali è l’unica cosa che renda il metallo soffice e facile da lavorare.»

«Capisco».

Come la lama venne immersa nell’acqua fredda questa, oltre che sprigionare vapore, si caricò anche di una forte luce blu, una luce carica all’inverosimile di potere magico.

«Davvero incredibile».

All’esterno intanto, Sanae e Lily erano già andate a dormire, approfittando dell’ospitalità offerta loro dal vecchio Ippei, Erik invece sedeva sotto la lampada ad olio accesa davanti alla porta d’ingresso e osservava l’immensa vastità del cielo stellato.

Quanto tempo era passato, si diceva, dall’ultima volta che aveva viaggiato tra le stelle.

Quando ancora era un Rinnegato al servizio di quello che credeva un sovrano giusto e saggio, per suo conto era stato su decine e decine di mondi, quasi sempre per scopi esplorativi.

Era una prassi che i nuovi arrivati nella Sala del Giudizio, tra coloro che venivano scelti per essere i comandanti supremi dell’esercito dell’Imperatore, avessero tra i loro primissimi incarichi quello di visitare pianeti esterni e sconosciuti, così da sapere se e come era possibile, e soprattutto conveniente, organizzare un’operazione di conquista.

Erik era stato mandato in missione una sola volta, ma ricordava bene quei momenti.

 

Sette anni prima

 

Il pianeta classificato come X1M-309 non aveva mai catturato particolarmente l’attenzione dell’Imperatore e del suo esercito.

Situato ai margini dei territori confederati, aveva pressappoco le dimensioni di Shinari e un Ilya abbastanza sviluppato, ma non certo di livelli eclatanti, tanto che senza ombra di dubbio i suoi abitanti non erano in grado di usare la magia.

Già da qualche tempo l’Imperatore aveva abbandonato l’assimilazione e la distruzione di pianeti desertici il cui Ilya andava a rinvigorire quello, ora completamente rinvigorito, di Genesis, in favore di una strategia votata prevalentemente sull’occupazione militare al fine di garantirsi un ampio dominio, ma quel pianeta, per molteplici aspetti, non aveva mai fatto parte della sua lista.

Questo, fino al giorno in cui alcune pattuglie di velivoli da ricognizione inviati a perlustrare i confini della confederazione non avevano segnalato un sempre maggiore interessamento a 309 da parte di Shinari, il che era quanto mai insolito; la Confederazione era solita rivolgere le proprie attenzioni solo a pianeti particolarmente sviluppati, e 309 sviluppato non lo era di sicuro.

I generali giunsero alla conclusione che doveva esserci qualcosa su quel pianeta, qualcosa che andava oltre il livello evolutivo dei suoi abitanti e di importanza tale da giustificare un comportamento tanto insolito, e così venne deciso di inviare qualcuno a dare un’occhiata per vedere se, dopotutto, valeva la pena di annoverare 309 tra le possibili future prede. L’incarico fu affidato all’ultimo arrivato, Ali del Deserto, Erik.

Giunto sul pianeta grazie alla propria abilità nel teletrasporto, il ragazzo si guardò un momento attorno. Era arrivato in quella che sembrava una vasta ed incontaminata foresta pluviale, con alte palme, erba molto alta e ogni sorta di pianta tropicale, alcune delle quali non ricordava di averle mai viste.

In lontananza si vedeva un vulcano, probabilmente spento o comunque non in attività, e il terreno era informe, molto frastagliato, con alture e rupi a volte molto alte che spuntavano qua e là.

«Sembra un paesaggio da giurassico.» disse tra sé e sé.

Lo aveva detto così, tanto per fare quasi una battuta, ma dovette ricredersi quando, attirato da uno strano rumore, intravide un branco di giganteschi diplodochi intenti a pascolare in una vicina pianura come tante grosse mucche.

Tuttavia, girando lo sguardo nella direzione opposta, gli era possibile scorgere un piccolo villaggio, forse di pastori, adagiato su una vallata e recintato da una robusta palizzata di legno, sufficiente a tenere indietro i predatori più bellicosi.

«Quindi questo pianeta è abitato da uomini e dinosauri insieme. Davvero strano».

A prima vista non sembrava esservi niente di insolito o strano in quel pianeta, a parte naturalmente la sua particolarità dell’ospitare due specie che in altri pianeti come la Terra erano separate da milioni e milioni di anni di storia evolutiva. Forse era solo questo ad interessare Shinari, ma una semplice occhiata non poteva certo dirsi sufficiente per esprimere un giudizio completo.

Erik era quasi sul punto di ripartire verso un altro punto del pianeta, alla ricerca magari di qualche informazione in più, quando udì distintamente un grido femminile di aiuto, accompagnato da urlacci, schiamazzi e risate divertite.

«Qualcuno tenga ferma quest’anguilla che salta come una ranocchia e morde come un dinosauro!».

Seguendo quelle voci Erik raggiunse rapidamente un gruppetto di uomini, soldati a giudicare dal vestiario, che, messisi a cerchio, stavano insediando senza sosta e senza pietà una ragazza di venti anni o poco più che correva da tutte le parti nel vano tentativo di sfuggirgli.

Erik restò nascosto tra la macchia, indeciso sul da farsi. Gli ordini erano chiari, mai interagire con gli abitanti di un pianeta esterno, ma situazioni del genere gli facevano salire sempre il sangue alla testa. Non voleva certo passare per il cavaliere dalla luccicante armatura, o per un paladino della giustizia, anzi; semplicemente, detestava chi abusava della propria forza o della propria posizione per porsi al di sopra degli altri.

Per un po’ cercò di trattenersi, ma quando vide uno di loro tentare di aggredirla dopo che lei, cercando di scappare, aveva perso l’equilibrio ed era caduta, non ci vide più, e nello spazio di neanche un secondo si intromise nello scontro, assestando al soldato un calcio al petto che lo lasciò a terra svenuto.

«Chi diavolo sei?» gridò un altro mentre lui e tutti i suoi compagni mettevano mano alle armi «Sei un soldato di questo regno?».

Anche la ragazza era molto stupita, e guardava il suo salvatore con gli occhi carichi di meraviglia.

Altri due soldati cercarono di attaccare alle spalle, ma Erik fu molto più veloce di loro e con un doppio calcio li stese entrambi senza neanche fare la fatica di voltarsi. A quel punto i superstiti si mossero all’attacco tutti insieme, ma Erik, disteso il braccio, materializzò la propria spada, e gli servì un solo, potentissimo fendente orizzontale per tranciare in un sol colpo le armi di tutti i suoi nemici, che a quel punto, terrorizzati da tanta potenza, si diedero alla fuga in sella a piccoli dinosauri usati al posto dei cavalli.

Rimasto solo, Erik tornò dalla ragazza, che ancora restava ad osservarlo seduta per terra.

«G… grazie.» gli disse prima di stringere i denti, come per una improvvisa fitta di dolore.

Erik si inginocchiò, accorgendosi che la ragazza si era slogata la caviglia, forse a causa della caduta. Delicatamente, passò la mano sul gonfiore, sprigionando una tenue luce rossa, e come per incanto tutto svanì nell’arco di un batter di ciglia.

«Vattene a casa.» disse dopo esserci accertato che la ragazza fosse in grado di rialzarsi «E dimentica di avermi incontrato.»

«Aspettate.» disse prima che se ne andasse «Io… io mi chiamo Serena. Posso sapere il vostro nome?»

«Ali del Deserto.» rispose lui prima di andarsene «Se vuoi chiamami così».

Quello che accadde di seguito alla ragazza Erik non poteva saperlo, né mai lo avrebbe saputo.

Rimasta sola, Serena, che prima di essere raggiunta dai soldati stava raccogliendo funghi in una zona notoriamente sicura dalla minaccia dei dinosauri carnivori, corse a casa veloce come il vento. Ritornata al suo villaggio, quello che Erik aveva visto dopo il suo arrivo, poco dopo aver valicato i cancelli incontrò due suoi compaesani, forse marito e moglie, lui gigante biondo con barbetta lei decisamente più minuta e molto bella con capelli sempre biondi raccolti dietro la nuca e occhi azzurri.

«Serena, che cosa è successo?» domandò la donna vedendo la sua espressione stravolta e spaventata «Non ti abbiamo più vista tornare, ed eravamo in pensiero.»

«Sono stata aggredita da un gruppo di soldati di Asante, ma un ragazzo mi ha salvata

«Dannati invasori.» disse lui serrando il pugno «Si credono già i padroni. Ma se pensano di avere vita facile si sbagliano di grosso. Questa è la nostra terra, e non ce la faremo portare via.»

«Ormai sono settimane che avanguardie dell’esercito di Asante imperversano nella regione.» disse la donna «Perché il re non interviene?»

«Il sovrano si è da poco imposto nel conflitto contro suo fratello Huagon per la successione, e ha bisogno di tempo per raccogliere altre truppe. Fino a quel momento, dobbiamo cercare di resistere.»

«Speriamo solo che non decidano di attaccare in forze. Il nostro villaggio non avrebbe possibilità contro una grande armata.»

«Scusate.» intervenne Serena «Ora sarà meglio che io vada a casa».

La ragazza fece quindi ritorno alla propria casa, una delle più piccole di tutto il villaggio, e come entrò trovò Minu, la sua sorellina di dieci anni, intenta a leggere per l’ennesima volta il suo libro di favole seduta in cucina.

Da quando i loro genitori erano morti durante l’ultima grande epidemia, Serena era rimasta sola a prendersi cura della sorella, e da allora cercava di tirare avanti come poteva: lavorava nei campi, teneva i bambini, e quanto altro potesse servirle ad avere di che mangiare o a racimolare qualche soldo. Gli abitanti del villaggio le davano una mano, ma lo spettro della guerra contro Asante e le continue scorrerie dei soldati avevano reso la vita difficile un po’ a tutti.

Quel libro era stato l’ultimo regalo che la loro madre aveva fatto a Minu subito prima di ammalarsi. Più che di favole di trattava di storie e leggende del loro regno, narrate e illustrate per poter essere lette anche dai bambini più piccoli. Minu non aveva più parlato da quando i loro genitori erano morti, e il suo libro sembrava costituire ormai l’unica ancora che la teneva legata al mondo reale.

La sua storia preferita, la stessa che a suo tempo aveva avuto Serena, era quella legata alla leggenda del Cavaliere Nero, un coraggioso soldato con due grandi ali nere apparentemente minaccioso ma dall’animo nobile che attraversava il regno offrendo il proprio aiuto a chiunque ne avesse bisogno.

Serena, rievocando quella fiaba, non poté fare a meno di pensare al giovane che l’aveva appena salvata dai soldati di Asante, ma quasi subito le venne da scacciare quel pensiero. Ormai era abbastanza grande da sapere che cavalieri senza macchia e senza paura che aiutavano la povera gente erano solo favole e superstizioni buone per sovreccitare la fantasia di bambini come Minu, che in quei personaggi forse vedevano l’unica cosa in grado di offrir loro un senso di sicurezza in un momento come quello, con lo spettro della guerra a gravare su ogni cosa.

Nel frattempo Erik, spostatosi verso ovest, era giunto sulla sommità di un’alta montagna che dominava l’intera vallata su cui si trovava il villaggio di Serena. A guidarlo, una strana corrente di energia magica, in un pianeta dove, teoricamente, non vi era Ilya sufficiente a permettere a chicchessia l’uso della magia.

L’emanazione lo condusse infine all’interno di una grotta grande e profonda che si immergeva nel ventre della montagna, ma fatte poche centinaia di metri la sua camminata venne fermata da un muro di realizzazione chiaramente umana; era coperto di iscrizioni e disegni, e furono proprio i disegni ad attirare maggiormente l’attenzione del ragazzo. Raffiguravano strani oggetti circolari sospesi apparentemente in cielo e circondati di luce, con al di sotto, sulla terra, schiere di uomini inginocchiati e in apparente atto di venerazione.

Un sospetto gli attraversò la mente.

Si trattava indubbiamente di navi spaziali, ma non rassomigliavano neanche lontanamente a quelle usate dalla confederazione. Inoltre, Shinari aveva iniziato a dedicarsi intensamente all’esplorazione spaziale solo negli ultimi cinquecento anni, e quella parete era senza ombra di dubbio molto più antica.

Per la verità, ricordavano molto di più le navi usate dai Dark Lord, i Rinnegati signori della guerra, ma nessuno di loro aveva mai mostrato interesse per quel pianeta, per non parlare del fatto che si trovava in una zona molto al di fuori dei loro abituali territori di conquista.

Con un semplice colpo del taglio della mano Erik sbriciolò il muro, scoprendo, come aveva sospettato, che dietro di esso la caverna proseguiva, perciò, sempre illuminato dalla luce emessa da un’ocarina magica che aveva evocato prima di entrare, si addentrò ancor più in profondità.

Dovette fare solo pochi passi perché alla roccia cominciasse a sostituirsi il metallo, e prima di rendersene conto si ritrovò a camminare in un grande corridoio quadrangolare le cui luci si accendevano al suo passaggio una per volta, illuminando il suo cammino.

Andò avanti così per alcuni minuti, poi il corridoio finì, questa volta per davvero, fermandosi contro quella che sembrava una parete di vetro aperta sul nulla. Erik si guardò un momento intorno, e come scorse una sorta di pannello sul muro alla propria destra vi passò la mano sopra.

Una serie di luci si illuminarono sull’apparecchiatura, e un istante dopo un numero incalcolabile di luci illuminarono ciò che si trovava al di là del vetro, riuscendo a lasciare senza fiato anche uno come Erik. La camera, di forma cilindrica, ricordava un gigantesco silos di lancio, al centro del quale svettava, in tutta la sua imponenza, quella che aveva tutta l’aria di essere un’enorme torre di forma piramidale, non molto diversa da come gli esseri umani immaginavano la leggendaria Torre di Babele.

Erik rimase un attimo con la bocca spalancata, e lo stupore gli comparve sul viso.

Ora si spiegava tutto.

Ecco cosa cercava la confederazione su di un pianeta che, a prima vista, non aveva nulla di significativo da offrire. Si trattava senza dubbio alcuno una costruzione realizzata interamente di krylium, ma nessuno, neppure Shinari o l’Imperatore, disponevano delle conoscenze e delle tecnologie necessarie a plasmare un simile prodigio. La sua funzione a prima vista non era ben chiara, ma era risaputo che il krylium, per sua stessa natura, era il materiale indispensabile per la costruzione di tutto ciò che in qualche modo interagiva con la magia.

Ma se nessuno in tutta la galassia poteva essere in grado di cerare qualcosa del genere, chi poteva essere stato? Gli abitanti del pianeta no di certo, visto che vivevano ancora nel medioevo.

Erik fece due più due, e concluse che qualcun altro doveva essere stato lì, forse gli antenati degli attuali abitanti, forse qualcuno venuto prima di loro; quale che fosse la loro origine, si trattava senza ombra di dubbio dei rappresentanti di una civiltà a dir poco avanzatissima, in possesso di conoscenze distanti anni luce da quelle di Shinari e dell’Imperatore.

Erik sentì un brivido lungo la schiena: se si fosse trattato di un’arma, il potenziale che era in grado di esprimere doveva essere certamente qualcosa di immenso.

Di sicuro Shinari non sapeva dell’esistenza di quella torre, o avrebbe certamente dispiegato un intero esercito in sua difesa ed eseguito su di essa ogni possibile analisi scientifica; forse, anzi, sicuramente, avevano trovato qualcos’altro, qualche altro indizio che li aveva portati alle stesse conclusioni di Erik, e quindi seguitavano a tenere d’occhio quel pianeta proprio per tentare di conoscere e comprendere la civiltà che era stata capace di raggiungere un simile livello di evoluzione.

Erik non sapeva cosa fare, né come comportarsi.

Se avesse informato l’Imperatore di ciò che aveva scoperto questi sicuramente avrebbe mandato al più presto una forza d’invasione a conquistare il pianeta, e nessuno sapeva cosa ne sarebbe stato dei suoi abitanti. Fino a quel momento le occupazioni erano state piuttosto pacifiche, e i pianeti attaccati, schiacciati dalla incolmabile differenza tecnologica, avevano in breve accettato la proposta degli invasori di unità, pace e immunità in cambio della sottomissione, ma era già successo che sacche di resistenza più o meno grandi o pianeti che non si erano voluti arrendere fossero stati spazzati via senza alcuna pietà.

Inoltre, attaccare un pianeta posto sotto il controllo della confederazione avrebbe significato senza dubbio la guerra, quella guerra che già da tempo si andava preparando e che, comunque, era dietro l’angolo.

Erik metteva la fedeltà sopra ogni altra cosa, ma in quel momento non aveva proprio idea di cosa pensare e si riservò di prendere una decisione sulla strada del ritorno.

Abbandonata l’installazione e fatto ritorno alla caverna ricostruì il muro che aveva distrutto e che, si augurava, nessuno avrebbe mai più dovuto tentare di abbattere, e come tornò all’esterno evocò un portale che lo riconducesse direttamente a casa. Stava quasi per entrarci, quando si accorse di uno strano ed inquietante nuvolone di polvere che, fendendo il terreno come una ferita su di un corpo umano, avanzava a grande velocità verso il villaggio nella vallata, distante ma ancora visibile.

Pensò a quella ragazza, a cosa sarebbe potuto accaderle, ma poi, tra sé e sé, si disse che non valeva la pena di farci troppo caso. Aveva salvato quella ragazza perché la stavano importunando, ma la guerra era la guerra, e quando di mezzo c’era la guerra cose del genere erano più che naturali. Gli ordini erano chiari, evitare il più possibile contatti con gli autoctoni, e lui aveva già contravvenuto abbastanza.

Inoltre, pensò dando un’ultima occhiata alla nube, sempre più lontana da lui ma sempre più vicina al villaggio, quelli non erano affari suoi.

Gli uomini che Erik aveva visto erano la prima ondata del gigantesco esercito che Asante aveva radunato per attaccare il regno vicino, e tutto ciò che si trovava lungo la sua strada sarebbe stato inesorabilmente spazzato via, che si fosse trattato di animali, villaggi o persone.

Il loro arrivo venne notato dalle vedette del villaggio di Serena, che immediatamente fecero scattare l’allarme. Il villaggio disponeva di una piccola guarnigione, troppo piccola per affrontare una simile armata, e comunque non era in grado di sostenere un assedio, quindi, a malincuore, la sola cosa da fare era andarsene il più velocemente possibile, prima che l’onda li investisse.

«Dobbiamo andarcene di qui subito!» gridava il sindaco dall’alto della collinetta che dominava la piazza, mentre tutto attorno a lui la gente fuggiva terrorizzata «Lasciate tutto quello che non vi serve e scappate verso est!».

Nel panico, ognuno pensava per stesso. Ogni famiglia, raccolte quelle poche cose di valore, e a volte neanche quelle, fuggiva via senza curarsi minimamente degli altri.

Serena, però, non poteva fuggire.

Subito dopo essere rientrata, l’essersi dovuta svegliare presto per andare nel bosco, unito allo spavento che aveva preso, l’avevano fatta assopire, e quando l’allarme l’aveva svegliata si era accorta, terrorizzata, che Minu non era in casa.

Disperata, vagava per il villaggio chiamandola a gran voce e chiedendo a chiunque le capitasse a tiro se l’avesse vista, ma nessuno la degnava della minima attenzione, pensando solo a salvare la propria vita. Alla fine, nel suo peregrinare affannoso, ostacolato dalla marea di gente che la urtava da tutte le parti, incontrò la giovane coppia che l’aveva accolta al suo rientro, anche loro già pronti ad andarsene.

«Serena, che ci fai ancora qui?» domandò lei «Le truppe di Asante saranno qui tra poco!»

«Non riesco a trovare Minu, è sparita!»

«Che cosa!?»

«Non posso andarmene a lasciarla qui! Mamma e papà l’hanno affidata a me.»

«Dannazione.» disse lui «Allora era davvero lei.»

«Selim, che stai dicendo?»

«Circa un’ora fa ho avuto l’impressione di vederla mentre si allontanava dal villaggio».

Serena sentì un colpo al cuore.

Fin da piccola, Minu aveva sempre avuto l’abitudine di andare a raccogliere frutta nello stesso piccolo frutteto selvatico dove era solita accompagnarla sua madre, e quel frutteto si trovava proprio tra il villaggio e l’armata nemica in rapida avanzata.

«Devo andarla a salvare!»

«No, Serena! Ci vado io!»

«Caro, aspetta! Non vorrai farlo davvero?»

«Non abbiamo scelta. Non la possiamo abbandonare.»

«Non andrai senza di me.»

«Serena, potrebbe essere molto pericoloso.»

«Non importa. Minu è mia sorella».

Selim tentò di protestare ulteriormente, ma alla fine dovette arrendersi alla testardaggine e alla fierezza della ragazza. Marito e moglie si guardarono, scambiandosi un bacio; sapevano che poteva essere l’ultimo.

«Voi andate con gli altri. Ci rivedremo presto.»

«Ti aspetto, amore mio. Siate prudenti».

Selim e Serena a quel punto lasciarono il villaggio nella direzione opposta, dritto in bocca al nemico. Corsero entrambi a perdifiato, mentre il frastuono dei dinosauri da guerra che trasportavano le truppe di Asante si faceva sempre più vicino e minaccioso, e quando finalmente arrivarono al frutteto videro Minu arrampicata su un albero intenta ad osservare, senza rendersi contro del pericolo, quella marea umana giunta ormai ad un tiro di lancia. La chiamarono, ma la bambina era troppo in alto per poterli sentire, e all’improvviso una freccia scoccata da una balestra nemica le arrivò molto vicina, facendole perdere l’equilibrio.

«Minu!» gridò terrorizzata la sorella.

Selim, colto alla sprovvista, fu incapace di muoversi, Serena invece corse il più velocemente possibile e all’ultimo momento spiccò una falcata, riuscendo a prendere al volo la sorella prima che potesse precipitare a terra.

Solo a quel punto, quando tutto si era risolto bene, l’uomo riuscì a recuperare un po’ di raziocinio, e rapidamente raggiunse le due ragazze. Minu era priva di sensi, forse a causa dello spavento, ma stava bene.

«Minu. Grazie al cielo sei salva.»

«Ora andiamocene, prima che sia tardi».

Purtroppo, quando Serena fece per alzarsi, la stessa caviglia che solo poche ore prima le era stata medicata prese nuovamente a farle male; probabilmente, la corsa e il brutto volo avevano riacutizzato la ferita, ridandole forza.

«Tu porta in salvo Minu.» disse mettendo la sorella in braccio a Selim «Non pensare a me.»

«Non se ne parla, non ti lascio qui».

Selim si caricò dunque Minu sulle spalle e sollevata Serena da terra la aiutò a camminare sorreggendola con l’unico braccio libero. Ma anche lui, nonostante il suo fisico possente, era un essere umano, e un simile fardello era più di quanto potesse sopportare, e alla fine, fatti pochi metri, inevitabilmente rovinò a terra senza più un barlume di forze.

Le truppe di Asante intanto avevano abbandonato la prateria ed erano entrate nel bosco; erano talmente tanti che era impossibile contarli, e la carica dei loro dinosauri faceva tremare la terra.

Un gruppetto di loro, tra quelli che stavano in prima linea, caricò le balestre per tirare ai tre fuggitivi, ormai a distanza più che sufficiente per poter essere colpiti senza possibilità di errore. Selim e Serena osservarono impotenti i soldati puntargli contro le armi, e come videro i dardi partire dalle balestre si coprirono il volto con le mani, pensando che fosse la fine.

Ma nessuna delle tre frecce lanciate contro di loro colpì il bersaglio; vennero tutte intercettate dalla spada di Erik, comparso dal nulla come un angelo dal cielo, che con pochi e precisi fendenti ne respinse una metà e ne tagliò l’altra metà.

«Ali del Deserto… voi qui?»

«Mettetevi al riparo!» disse lui.

Selim non stette certo a farselo ripetere, e afferrate nuovamente le due ragazze andò a nascondersi assieme a loro dietro una grossa formazione rocciosa. Contemporaneamente Erik si inginocchiò, e come fece urtare violentemente a terra la punta della spada una accecante luce rossa simile ad una fiamma lo avvolse interamente accecando i soldati, che furono costretti a fermarsi.

Quando il bagliore si dissolse, i tatuaggi a forma di fiamma erano comparsi sul volto di Erik, e le grandi ali nere si erano materializzate dietro la sua schiena. Minu riprese i sensi per un istante, e vedendolo le tornò subito alla mente la figura del Cavaliere Nero che c’era sul suo libro illustrato.

I soldati di Asante, spaventati, arretrarono un momento, poi, pur con evidente timore, ripresero la loro carica; ed Erik andò loro incontro, veloce e silenzioso, usando le sue maestose ali per compiere vere e proprie planate a livello del terreno.

Erano vicini, vicinissimi, e intanto Selim e Serena guardavano. Poi, il contatto. Erik passò tra di loro nel più assoluto silenzio, come un angelo della morte. Nessuna armatura venne scalfita, né fu versata alcuna goccia di sangue.

Semplicemente, i nemici caddero morti dalle loro cavalcature, senza un lamento o un gemito, come se la vita fosse stata letteralmente sfilata via dai loro corpi terreni.

Nessuno si salvò, nessuno si rese conto di cosa stava accadendo. Passarono cinque, forse dieci secondi, poi la carica, così come era iniziata, si fermò, lasciando sul terreno un’immensa distesa di corpi senza vita.

Selim e Serena si alzarono attoniti e sconcertati, ritrovandosi a camminare in quella che era a tutti gli effetti una immensa distesa di corpi senza vita. I dinosauri da guerra, privati dei loro fantini, brucavano tranquillamente l’erba che spuntava tra corpo e corpo: a nessuno di loro era stato fatto alcun male, ed ora che non caricavano sembravano così indifesi, così innocui.

Ci volle molto tempo perché potessero trovare la forza di cercare con lo sguardo l’artefice della loro salvezza. Avrebbero voluto parlargli, ringraziarlo, ma nel tempo che impiegarono a riacquistare la padronanza di sé il forestiero se ne era già andato.

Pochi minuti dopo Erik era al cospetto dell’Imperatore, perennemente celato dietro la tenda che nascondeva l’altare con il trono, nella grande sala del palazzo di Genesis.

C’era anche Lady Yumi, la fedele dama del sovrano.

«Mio signore.» disse il ragazzo inginocchiandosi «Ho portato a termine la missione che mi avete affidato.»

«Hai fatto presto, amico mio. Del resto non avevo dubbi sulla tua efficienza. Allora, che notizie mi porti?».

Erik esitò; i dubbi che lo avevano colto su Noah, come avrebbe scoperto in seguito chiamarsi il pianeta da cui era appena tornato, non si erano dissipati. Guardò Yumi, che gli rivolse uno sguardo strano, poi, anche se ancora non del tutto convinto, prese la sua decisione.

«Sul pianete che mi avete mandato a controllare infuria da anni una sanguinosa guerra che vede coinvolte numerose nazioni. Shinari vorrebbe che si evitasse un ulteriore spargimento di sangue, ed è alla ricerca di un modo per fermare il conflitto.»

«È solo per questo?» domandò l’Imperatore, non sembrando eccessivamente sorpreso

«Sì, mio signore».

Il sovrano restò un momento in silenzio, ed intanto Erik sentiva i battiti del suo cuore farsi sempre più concitati. Poi, sollevando leggermente lo sguardo, ebbe l’impressione di vederlo sorridere.

«Capisco. Del resto, non che la cosa debba sorprendermi. Shinari non ama che si combatta, soprattutto per futili motivi.

Ma sono felice di sapere che laggiù non c’è niente per cui valga la pena accelerare i tempi. In tutta onestà, non mi sentivo ancora pronto ad iniziare la nostra guerra.

Hai agito bene, Ali del Deserto. La mia stima nei tuoi confronti è notevolmente aumentata.»

«Vi ringrazio, mio signore».

Erik non lo avrebbe mai saputo, ma la distruzione di una intera armata nella prima fase dell’invasione ad opera oltretutto, secondo le dicerie del nemico, di un solo uomo, avrebbe portato scompiglio e terrore tra le truppe di Asante, e di lì a breve la riscossa degli attaccati avrebbe fatto il resto.

 

Il mattino dopo, di buon’ora, il vecchio Ippei aveva terminato il suo lavoro, e i ragazzi, ancora seduti attorno al tavolo dove era stata apparecchiata la colazione, erano pronti a ripartire.

«Ecco.» disse porgendo ad Erik la spada d’oro «Ho finito».

Il ragazzo, pur con qualche esitazione, la prese in mano. All’esterno non sembrava essere cambiato niente, ma per chi, come lui, poteva sentirne le vibrazioni, il cambiamento c’era, ed era più che evidente. Se prima il suo potere sembrava in qualche modo offuscato, reso tenue dalle lunghe privazioni a cui il suo ricettacolo era stato sottoposto, ora invece era più vivo e luminescente che mai, tanto che la lama sembrava quasi sfrigolare sotto la sua spinta incontenibile.

Erik eseguì un paio di fendenti, giusto per capire se qualcosa fosse mutato a livello di consistenza e di peso, poi la fece sparire.

«A proposito, ho qualcosa anche per voi.» disse Ippei rivolgendosi a Koichi e Sanae.

Al ragazzo porse la sua spada, che fin da subito Koichi trovò diversa; più viva, per così dire. La estrasse: era stata sicuramente affilata e lucidata, ma c’era anche dell’altro.

«Sei un samurai che usa la magia, vero? Ho pensato di rivestirla con uno scudo di oricalcum. Non solo è diventata più resistente, ma gli incantesimi che lancerà saranno molto più potenti. Certo, a condizione che tu sia capace di utilizzarli.»

«Voi…» disse il ragazzo atterrito «Voi non dovevate disturbarvi.»

«Cerca solo di non esagerare. È vero, la spada è più resistente, ma non indistruttibile. Se farai confluire al suo interno più potere di quanto ne possa gestire rischierà di andare in pezzo».

Koichi a quel punto si alzò, profondendosi in un reverenziale inchino.

«Vi sarò eternamente debitore, nobile Ippei. Grazie infinite.»

«Non preoccuparti di questo. E per te, bambina mia.» disse rivolgendosi a Sanae e porgendole un pregiato ventaglio di tessuto con le asticelle in argento massiccio «Questo è per te».

La ragazza tentennò un momento prima di prenderlo, poi lo aprì, ammirandone il disegno, un grande drago dorato su di uno sfondo blu circondato da numerosi ideogrammi, tra i quali capeggiavano i simboli dei cinque elementi.

«Questo ventaglio mi è stato regalato molti anni fa da un vecchio monaco viandante come ricompensa per il riso che gli avevo offerto. Disse che aveva centinaia di anni, e che possedeva poteri magici. Non so se sia vero, ma se è così penso potrà tornare molto più utile a voi che a me.»

«Io… non credo di meritare tanto.»

«Sciocchezze. A cosa serviamo noi poveri vecchi se non ad aiutare voi giovani?»

«Grazie.» disse commossa la ragazza «Grazie infinite.»

«Ehi, e a me niente?» disse Lily

«Mi spiace piccola, ma non saprei cosa darti.»

«Uffa non è giusto!» sbraitò la fatina volando per tutta la stanza come una scheggia impazzita «Non sono stata così cattiva da non meritare niente!».

Alla fine, dopo quella breve sosta, i ragazzi se ne andarono, ognuno con un nuovo tesoro, anche Lily; Ippei non era certo così cattivo da lasciare da parte solo lei, e le aveva fabbricato un minuscolo pendente di oricalco che amplificava la sua magia, e che ora lei mostrava tutta contenta come una modella in passerella.

Erik guardò un attimo spada. Sicuramente, la cura aveva risvegliato in lei non solo un nuovo potere, ma anche, sicuramente nuove potenzialità, e dentro di sé non vedeva l’ora di scoprirle.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

È passato un mese esatto dal mio ultimo aggiornamento, e io sono più felice che mai! Venerdì, questo venerdì, infatti il mio tirocinio avrà fine, e, anche se le cose da fare resteranno ancora tante (tesi di laurea su tutte) sarà certo un pesante fardello in meno da portare sulle spalle. Prometto solennemente che da dopo la tesi (attorno alla fine di ottobre) e fino ad oltre natale, dedicherò alla scrittura la quasi totalità della mia giornata, anche perché per allora spererei di aver finito il mio tanto agognato primo romanzo.

Con questo è tutto.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Carlos Olivera