«Voglio
sentirlo dalla tua voce.»
Poggiò
sul tavolo della cucina il secondo pacchetto di patatine: da quando
si era ritrovato a vivere da solo nella sua vasta casa, la sua dieta
comprendeva meno cibo salutare di quanto non fosse abituato. Qualche
insalata, qualche frutta e verdura... Ma tutto rigorosamente crudo o
per lo meno che non implicasse l'uso dei fornelli; era una frana in
materia.
Quando
era piccolo, adorava cimentarsi in nuove invenzioni culinarie,
caratterizzate di stravaganze, a volte anche eccessive, ma pur sempre
di un bambino. Da qualche anno, quell'entusiasmo era lentamente
scemato. Gli mancava il tempo o forse solamente la voglia.
«Adrianne,
vieni a mangiare?» esclamò, sperando che la ragazza in
questione – nonché sua sorellastra – l'avesse sentito. Non
si sorprese nell'udire il silenzio come risposta. Da qualche anno,
quella casa aveva assistito solamente a lunghi monologhi, tenuti
pazientemente da lui, nella speranza che anche Adrianne vi prendesse
parte, ma invano.
Tre
anni prima, la ragazza aveva subito un forte trauma: aveva perso
l'intera sua famiglia in un mostruoso incendio appiccatosi a casa
loro. Adrianne era stata l'unica ad uscirne viva, seppur ferita. Non
appena le era stata comunicata l'orribile sorte che avevano dovuto
affrontare i suoi cari, si era chiusa in un religioso e definitivo
silenzio.
Tre
anni senza fiatare; tre anni senza che una misera parola fosse uscita
anche solo per sbaglio dalle sue labbra. Tom aveva fatto di tutto –
a partire dall'ospitarla a casa sua - e stava tutt'ora facendo
l'impossibile per scovare l'animo della ragazza che vi era una volta
in lei; eppure questo sembrava timido e cocciuto, ostinato a
nascondersi nel profondo.
Il
rumore dei passi di Adrianne annunciò al ragazzo che stava
arrivando. Sistemò le posate affianco ai due piatti
posizionati sul tavolo, uno di fronte all'altro, ed attese che la sua
amata sorellina facesse il proprio ingresso in cucina. Non passò
molto, prima che questo avvenne.
Tom
si premurò di accoglierla con un radioso sorriso e le si
avvicinò per stamparle un tenero bacio sulla fronte, al che la
mora si illuminò.
«Oggi,
pomodoro e mozzarella, ti va?» propose con l'entusiasmo di uno
chef che presenta il proprio capolavoro di ostriche, astice o
quant'altro ai clienti. Adrianne annuì sorridendo mestamente:
le era sempre andata bene qualunque cosa avesse preparato Tom, perchè
sapeva che lo faceva con amore, nonostante tutto. Si era prestata
anche, molte volte, nel cucinare qualcosa di suo, ma purtroppo le
capacità culinarie le aveva ereditate tutte da suo fratello.
Si
sedettero a tavola e presero a mangiare ciò che i piatti
offrivano. Dopotutto non era male: semplice ma buono. Inoltre, ormai,
i loro stomaci vi avevano fatto tranquillamente l'abitudine.
«Com'è
andata a scuola, oggi?» domandò improvvisamente Tom, con
premura, pur essendo consapevole che non avrebbe mai ricevuto la
risposta che desiderava. Per l'appunto, sua sorella annuì
semplicemente, facendogli intendere che era andata bene. Nemmeno con
quel tipo di domande riusciva a tirare fuori dalla sua bocca qualche
parola più interessante di un semplice cenno con la testa.
Sua
sorella aveva quattro anni in meno di lui: presto ne avrebbe compiuti
diciotto e lui ventuno. Era iscritta al liceo artistico ed era anche
molto brava.
Tom
era stato a scuola per un colloquio con gli insegnanti: aveva dovuto
spiegare – per forza di cose – la situazione che si era venuta a
creare da qualche tempo; e per tutti quegli anni, Adrianne non seppe
più cosa fosse un'interrogazione orale. Tutto rigorosamente
riportato su carta... Ogni parola, ogni emozione, qualsiasi cosa.
Tom
era dannatamente stufo di tutto quello: voleva risentire la voce
della sua sorellastra e bearsene fino all'infinito. Voleva recuperare
tutti quegli anni persi, parlando con lei senza sosta, tutto il
giorno, tutta la notte, per poi riaffrontare un'ennesima lunga
giornata assieme a lei. Voleva poter parlare di tutto con Adrianne,
senza tralasciare nulla.
«Cosa
vorresti fare per i tuoi diciotto anni, Adrianne?» chiese per
l'ennesima volta, speranzoso che a quella domanda desse una risposta
soddisfacente. La ragazza scosse la testa in segno di negazione,
fissando cupa il suo piatto. «Non vuoi fare nulla? Ma scherzi?
Sono i tuoi diciotto anni, arrivano una volta sola.» obiettò
Tom piuttosto accigliato. Sapeva che da quando Adrianne aveva perso
la sua famiglia, tutto era passato in secondo piano. Tutto aveva
perso di importanza, eccetto lui che rappresentava un appiglio ancora
stabile nella sua vita.
Adrianne
scrollò le spalle evitando di sollevare gli occhi su di lui.
Tom si rattristò e, senza proferire altra parola, riprese a
mangiare in quella stanza immersa nel silenzio, spezzato solo dal
lieve tintinnio delle posate.
Quella
notte il temporale si era appropriato di Lipsia e Tom, rannicchiato
nel suo letto, non riusciva a chiudere occhio. Aveva sempre odiato il
rumore dei tuoni; non che gli incutesse paura, semplicemente non lo
faceva dormire.
Sbuffò,
per l'ennesima volta, voltandosi sul lato sinistro – dopo che aveva
già sperimentato ogni tipo di posizione – e provò a
chiudere gli occhi. Immaginò Adrianne dormire profondamente
nel proprio letto, rifugiata nella stanza affianco alla sua:
ricordava che, sin da piccola, i temporali – non sapeva come –
l'avevano sempre rilassata, conciliandole il sonno. Sua sorella era
un tipo alquanto strano, molto difficile da comprendere.
Aveva
vissuto tutto con lei; l'aveva vista mentre sua madre le cambiava il
pannolino; l'aveva vista piangere, ridere e urlare e lui le era
sempre stato vicino, in tutto questo. Le era stato vicino il primo
giorno in cui Adrianne aveva scoperto di essere venuta indisposta –
momenti imbarazzanti ma anche terribilmente teneri –; le era stato
vicino alla sua prima delusione d'amore e dopo aver vissuto la sua
prima volta. Aveva assistito al suo esame di terza media, l'aveva
aiutata a studiare – cosa che faceva tutt'ora -; l'aveva sempre
sostenuta con grande amore. Adrianne lo aveva definito il suo “Angelo
Custode” e ciò non poteva che renderlo felice.
Amava
profondamente quella ragazza.
Improvvisamente
le sue orecchie intercettarono il lieve rumore della porta della sua
stanza che, con lentezza disarmante, si apriva emettendo un lieve
cigolio. Il buio continuava ad invaderla, senza infastidirlo. Era
voltato di spalle e non sapeva chi potesse essere, ma diede per
scontato che si trattasse di sua sorella.
«Adrianne?»
domandò in un sussurro, fino a che non sentì le coperte
che giacevano sul suo corpo, scostarsi appena da esso. Si voltò
nella direzione di quella presenza e subito riconobbe il profumo
della ragazza. «Hey, piccola, non riesci a dormire?»
domandò di nuovo, con dolcezza, mentre sentiva sua sorella
sdraiarsi sotto le candide lenzuola, assieme a lui. Gli venne
spontaneo sorridere, quando la mora gli si accoccolò al petto,
stringendolo con forza da non farlo scappare e delicatezza per
trasmettergli tutto l'affetto che provava, allo stesso tempo. Le
circondò il corpo snello e piccolo rispetto al suo con le sue
braccia possenti e le stampò un bacio sui capelli odoranti di
pesca. «Strano, solitamente il temporale ti rila...» si
bloccò istintivamente, quando sentì quel corpicino
indifeso tremare appena. Sembrava stesse singhiozzando in silenzio.
Il viso di Adrianne si rifugiò sul suo petto coperto di una
semplice maglietta che sentì velocemente inumidirsi delle sue
lacrime.
Era
spiazzato: sua sorella non piangeva da tre lunghi anni, da quella
maledetta tragedia. Aveva deciso di reprimere ogni tipo di sbalzo
d'umore, aveva disperatamente cercato di rifugiarsi dietro una
maschera fredda ed insensibile a tutto ciò che le accadeva
attorno. Che avesse deciso, finalmente, di distruggerla?
Il
silenzio era spezzato solamente dai respiri accelerati e strozzati
della ragazza che riversava il proprio dolore sul suo petto caldo e
rassicurante.
Il
suo stomaco venne pervaso da degli strani crampi: provava infinita
tenerezza nell'osservarla in quello stato, ma sapeva che le faceva
bene. Troppa rabbia e dolore repressi e bisognosi di essere scaricati
in qualche modo.
Non
desistette dallo stringerla ancora di più a sé,
cercando di farle capire che ci sarebbe sempre stato per lei e che
avrebbe potuto sfogarsi tutta la notte lì con lui, senza porsi
problemi.
«Sfogati,
piccola mia. Sfogati...» le sussurrò, continuando a
carezzarle la pelle liscia al di sotto della sua maglia e sfiorandole
continuamente i capelli con caldi e rassicuranti baci.
Non
l'avrebbe mai abbandonata; con lui era al sicuro.
La
matematica era sempre stata il suo forte e di questo ne andava fiero.
Il poter aiutare sua sorella in quella materia, che la mandava
letteralmente fuori di testa, lo faceva sentire ancora più
importante per lei.
Tom
si era fermato molte volte a pensare ad un possibile nome da
affibbiare a quel profondo legame e a quello strano sentimento che
aveva instaurato con la ragazza, da anni, eppure non riusciva a
venirne a capo. Sapeva solamente che non era semplice affetto. A
chiunque, ai suoi amici, ai semplici conoscenti aveva sempre detto di
amare sua sorella. Ma era un amore diverso; era strano, particolare.
Era un qualcosa impossibile da spiegare. Era dipendente da lei;
qualunque cosa facesse, le voleva sempre stare accanto. Si era
spaventato, a volte, degli strani pensieri che gli attraversavano
spesso la mente. Aveva paura di dover andare in contro ad una realtà
piuttosto scomoda. Più che per lui, per la gente attorno.
Improvvisamente
Adrianne gli allungò un bigliettino sulla scrivania, mentre
lui era intento a spiegarle come si risolvesse un sistema.
“Fermati un secondo. Non ci sto capendo niente.”
Si
voltò a guardarla e le sorrise.
«Cosa
non hai capito?» le domandò. La mora si accinse a
scrivere la risposta sul foglietto.
“Un po' di tutto. Faccio prima a dirti l'unica cosa che ho capito.”
«E qual'è?» indagò sempre più curioso di sapere cos'avesse finalmente appreso sua sorella della matematica. Quando gli allungò di nuovo il foglietto, il suo cuore perse un battito.
“Che mi sono innamorata di te.”
Sgranò
gli occhi, leggendo e rileggendo quella frase, per paura di non aver
inteso bene. Il suo stomaco si stava contorcendo in quanti più
modi possibili potesse. Una strana sensazione di calore pervase il
suo corpo e d'improvviso sentì il bisogno di prendere una
boccata d'aria.
Quando
sollevò gli occhi su sua sorella, vide che anche lei lo stava
osservando. Gli sorrise teneramente, donandogli una carezza sul viso,
per poi alzarsi dalla sedia ed uscire dalla stanza del ragazzo,
lasciandolo solo con i suoi pensieri.
Sentì
il fiato accelerato ed automaticamente si portò una mano al
cuore: scalpitava furioso.
Senza
pensarci due volte, si alzò velocemente dalla sedia e spiccò
una corsa al di fuori della camera. Arrivato davanti alla porta della
stanza di sua sorella, la spalancò, senza prima chiedere il
permesso: sapeva che sarebbe sempre stata aperta per lui.
Adrianne
si voltò quasi di scatto: era accanto al suo letto.
«Dimmelo.»
quella richiesta era uscita dalle sue labbra senza che questo fosse
stato comandato dal suo cervello. Era l'istinto a parlare. Il fiato
gli si stava smorzando sempre di più e, non appena vide sua
sorella desistere, le si avvicinò lentamente di qualche passo.
«Dimmelo, ti prego.» ripetè in poco più di
un sussurro. Allungò una mano verso il suo viso e la avvicinò
a sé, con gentilezza. Anche l'altra mano era andata a posarsi
sulla sua guancia e la sua fronte premette delicatamente su quella di
Adrianne. Il loro respiri si mischiavano, così come i loro
corpi venivano scossi da comuni tremolii; risultato di un'emozione a
loro del tutto nuova. «Voglio sentirlo dalla tua voce.»
soffiò di nuovo Tom, sulle sue labbra. Voleva sentire sua
sorella tornare a parlare. Voleva sentire quelle due paroline
magiche, che mai nessuno gli aveva detto, da quella voce, il cui
ricordo era rimasto scolpito nel suo cervello e nel suo cuore,
trovandolo dannatamente dolce e melodico.
Quasi
senza accorgersene, le loro labbra si unirono in un bacio casto e
delicato. Aveva sempre immaginato che le labbra di sua sorella
fossero dannatamente morbide, ma il brivido che ciò gli causò
non aveva mai raggiunto il suo cuore, prima di allora. Le sue mani
vagarono fameliche – ma al contempo delicate – lungo il corpo
della ragazza. La conosceva come conosceva se stesso... L'aveva vista
nascere e crescere, ma aveva un soffocante bisogno di scoprirla più
intimamente possibile; sempre di più.
Quando
la fece sdraiare sul letto, la sovrastò con il proprio corpo,
mentre la sua bocca esplorava la chiara e profumata pelle del suo
collo. Risalì con le labbra lungo la sua guancia liscia, fino
a sfiorarle le palpebre semichiuse e tornare a saggiare quella bocca
così perfetta ed invitante.
«Fammi
risentire la tua voce, ti prego, ne ho disperatamente bisogno.»
sussurrò con voce roca, mentre scendeva lungo il suo collo con
baci umidi e teneri. Le sue mani si erano insinuate sotto la sua
maglietta e si stavano da un po' beando di quella pelle così
liscia e bollente. Sentiva i sospiri di sua sorella, ma ancora nessun
suono gli concedeva di essere udito.
Lentamente,
le sollevò la maglietta, sino a gettarla a terra e scoprire
quel corpo fragile ed indifeso. Cercò di non pesarle addosso,
reggendosi sui gomiti, mentre con la bocca tornava a tracciarle
disegni irregolari sul collo. Sentiva le piccole mani timorose e più
inesperte di Adrianne che gli percorrevano la pelle liscia della sua
schiena lievemente abbronzata, al di sotto della maglia. Ben presto,
anche quella andò a fare compagnia a quella precedentemente
gettata a terra.
Sentiva
il fiato mozzarsi sempre di più, mentre il suo cuore
minacciava di sfondargli la cassa toracica. Le sue orecchie erano
perennemente in allerta, pronte a captare qualsiasi piccolo verso o
sospiro della ragazza, cercando di coglierne l'essenza. Si nutriva di
tutto quello, di tutte quelle emozioni che stavano entrando a
capofitto nel suo cuore, come mai era successo prima di allora.
Quando
le sganciò il reggiseno, fu sicuro di percepire il corpo della
sorella fremere. Forse anche lei aveva paura di quello che stava per
succedere tra loro due. E non dell'atto in sé, ma di ciò
che avrebbe comportato. Eppure, entrambi sembravano non pensarci e
godersi il momento a pieno.
Dopo
che si fu occupato con infinita dolcezza del suo seno, scese sul suo
ventre, cospargendolo di baci leggeri, mentre le sue mani andavano a
slacciare – quasi in una lenta agonia – ogni singolo bottone dei
jeans attillati che la mora indossava.
«Piccola,
ti voglio sentire parlare.» sussurrò con voce roca il
ragazzo, con la bocca sulla sua pelle rovente. Non perdeva la
speranza. Voleva convincersi che non sarebbe rimasta muta per
l'eternità. Solo il pensiero lo faceva sprofondare nell'oblio
più profondo.
Si
inginocchiò sul materasso, mentre le sfilava i jeans dalle
gambe. Successivamente, si slacciò i suoi e li gettò in
un luogo sconosciuto della stanza, assieme a tutti gli altri
indumenti. Tornò a sovrastare il corpo di sua sorella con il
proprio e le sorrise appena, posando di nuovo le labbra sulle sue.
«Tu
sei importante per me, ma voglio sentire dalla tua voce che anche io
lo sono per te.» soffiò appena, accarezzandole il viso,
mentre con una mano liberava la parte più intima di lei. Notò
le sue gote arrossarsi repentinamente, nel guardarlo negli occhi. Una
pioggia di baci cadde su quel viso delicato, mentre Tom si
preoccupava di sfilarsi l'ultimo indumento divenuto di troppo.
La
loro unione fu dolce e calma; il ragazzo si sentì scosso da
delle forti scariche elettriche, accentuate nel momento in cui si
guardarono. Il suo volto così rilassato, così
estasiato, lo mandava fuori di testa.
I
suoi movimenti erano lenti e gentili, mentre le sue dita si
insinuavano fra i capelli neri di Adrianne, la quale sospirava
pesantemente al suo orecchio.
Se
lei non glielo avesse sussurrato in quel preciso istante, sarebbe
impazzito. Desiderava con tutto il cuore che ciò accadesse e
pregava mentalmente per un miracolo. La strinse forte a sé,
mentre la loro passione continuava ad essere espressa con infinita
premura e infinito amore. Tom non aveva mai provato nulla di simile
e, quando arrivarono entrambi all'apice di quella danza amorosa, le
mordicchiò una spalla, confessandole ciò che il suo
cuore provava da tanto ma si era sempre rifiutato di ammettere:
«Anch'io mi sono innamorato di te.»
Sentì
le mani della ragazza accarezzargli delicate la schiena umida ed un
sospiro intriso di tante preoccupazioni al suo orecchio.
«Ti
amo.»
Un
sussurro, una scarica elettrica. Gli occhi di Tom si sgranarono in
pochi secondi e si posarono su quelli sinceri e quasi spauriti di sua
sorella. Aveva parlato? Se l'era immaginato?
Il
suo cuore prese a battergli ferocemente in petto.
«Ripetilo.»
chiese con voce tremante, implorandola con lo sguardo, ma dalle
labbra di Adrianne non fuoriuscì più nessun suono.
Voleva risentirlo, voleva convincersi di non essersi immaginato tutto
quanto. Voleva che glielo dicesse mentre lo guardava negli occhi e
soprattutto che continuasse a farlo ogni giorno. Ma nulla.
Le
lacrime gli inondarono presto gli occhi e non passò molto
prima che il ragazzo si lasciò andare in un pianto liberatorio
e disperato, nascondendo il viso nell'incavo della spalla di sua
sorella.
Quel
giorno fu l'ultimo in cui Tom poté risentire la voce di
Adrianne.