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Autore: _Ella_    01/09/2010    6 recensioni
Era gay, bene, ed era innamorato di una persona che aveva odiato fino a poco tempo prima. Meglio ancora. "And so the prince bite the princess and they lived happily forever"
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Contesto generale/vago
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*_______________* Sono commossa... quanti mi seguono!!!! *O* sono stra contenta!!! Comunque mi scuso per il "ritardo" ma ero impegnata a versare lacrime sul Nintendo DS dopo aver finito KH 358/2 days... ç___________ç è così ingiusto quello che succede tra Axel e Roxas... è ovvio che poi li amiamo alla follia ù.ù La smetto sennò piango ancora e poi non interessa a nessuno!
Vi lascio al capitolo :D recensite che mi gaso! ù.ù

 

Dentro

Fece sbattere la porta, il gelo della notte lo colpì in piena faccia. La luce del lampione all’altro lato della strada lo accecò. Bastardo. Colpì più volte la porta, il pugno chiuso, aveva le chiavi ma voleva trovarselo subito di fronte quel maledetto. Sentì dei passi dietro di sé, tre voci distinte che lo chiamavano ma non le ascoltò, bussando ancora. Quando la porta si aprì, mostrandogli un Reno infastidito entrò dentro, socchiudendo la porta alle sue spalle, sorridendo tranquillamente.
Non c’è peggior sorriso di quello che circonda un odio ed una rabbia accecanti. Non c’è peggior calma di quella che nasconde un putiferio.
Hai fatto abbastanza cattiverie. Ed era arrivato il momento per lui, di fare una vera cazzata, dopo che non ne aveva fatte da tempo. Scoprì i denti appuntiti, sorridendo più apertamente, poi ridacchiò, chiudendo la porta con il piede per evitare che i tre entrassero.
-Mi chiedo con quale coraggio tu m’abbia guardato in faccia- disse, guardandosi la mano, muovendola appena.
Quella risata lo costrinse ad alzare gli occhi, puntandoli in quelli talmente simili ai suoi – troppo simili.
-Con il coraggio di sempre, Axel-.
Si girò, dandogli le spalle, avviandosi sulle scale per entrare nel suo studio. Dove probabilmente era anche prima. Lo seguì, stranamente calmo, mentre la rabbia si attanagliava in un angolo del petto, facendosi sentire meno presente. Esploderà tra poco. E sarebbe stata peggio di una bomba.
Fissò suo padre, seduto sulla sedia tranquillamente, che lo fissava. Non c’era parecchia luce in quella stanza e vedeva solo grazie a quella che entrava dal corridoio illuminato, nonostante la finestra fosse socchiusa non entrava la luce dei lampioni fuori. Non sapeva che non era abbastanza, quello che vedeva. La sua calma, fu la scintilla che fece accendere la miccia.
-Sei un bastardo!- urlò, battendo un pugno sulla scrivania -MI FAI SCHIFO!- l’altro si alzò, mettendosi al suo fianco, poggiandogli la mano sulla spalla che – come tutto il resto del corpo – tremava.
-E non sai quanto mi è piaciuto…- sussurrò al suo orecchio.
Non si controllò più e lo spinse con le spalle contro il muro, tirandogli un cazzotto nello stomaco, sorridendo al rivolo di sangue che uscì dalla bocca di Reno. Godendosi quel sangue. Quello lo guardò impassibile, pulendosi con il dorso della maglia.
Non voleva vederlo sorridere, non anche adesso che lo stava facendo sanguinare, diamine! Scommetteva che anche se gli avesse spaccato la faccia, quel sorrisino non se ne sarebbe andato. Non si scompose nemmeno un po’, quando si sentì qualcosa premere sul petto, non si scompose nemmeno quando vide di che si trattava.
-Non avresti il coraggio-
-Sai bene che ne ho sempre avuto, Axel-
-Allora fallo, così non mi costringerai a guardare più la tua faccia- sibilò, guardandolo negli occhi.
La paura fu allucinante, riuscì perfino a coprire il botto della pistola, ma non fu abbastanza forte per impedirgli di sentire quella maledetta risata. Tutto era successo troppo in fretta.

Si allontanò dalla finestra come se avesse preso la corrente, Sora e Demyx erano già a metà scale. Non era l’unico ad avere una paura accecante. Con un balzo volteggiò sulla ringhiera, risparmiandosi alcuni scalini e superando gli altri due, poi corse verso la porta, aprendola di botto. L’acqua gli bagnò in poco tempo tutti i vestiti, appiccicandogli i capelli alla fronte. Ma non importava. Non importava niente ora. I tre che li avevano preceduti cercavano di aprire la porta, senza riuscirci. Porco Dio che situazione di merda! Fece il giro, finendo al lato della casa e, ringraziando il cielo, Roxas si arrampicò verso la finestra aperta. Avrebbe benedetto le rampicanti un giorno o l’altro, avrebbe fatto un monumento in loro onore usando oro puro, nonostante le spine delle rose lo stessero graffiando. Scivolò col piede, imprecando contro la pioggia, mantenendosi forte con le mani, sentendo il sangue uscire fuori e colare fin sotto la manica. Riuscì finalmente ad arrivare in cima alla rampicante, prendendo coraggio per saltare fino al davanzale della finestra. Uno, due, tre! Saltò, mantenendosi per miracolo e tirandosi su, aiutandosi con i piedi che erano appoggiati al muro. Un altro piccolo sforzo e fu dentro. Mio Dio…! Non urlò, non respirò, non mosse un muscolo. Tutto il suo corpo, la sua mente erano troppo sconvolti per farlo.
Gli occhi verdi gli si puntarono contro, fissò il corpo per terra, ansante, il sangue rosso più dei capelli.
-Che cosa hai fatto?!- urlò, riuscendo finalmente a far uscire la voce.
Non era possibile.
Stava sognando.
La sirena della polizia si fece mano a mano più forte, riempiendo il silenzio che c’era, non aveva il coraggio di dire nulla e si avvicinò velocemente a Reno, tirando un sospiro di sollievo vedendo che respirava e gli posò la testa sulle sue gambe, sentendo le mani bagnarsi di qualcosa di più consistente dell’acqua.
-Io…- balbettò Axel, senza battere nemmeno ciglio, era congelato dal terrore.

L’ambulanza non ci mise molto ad arrivare, ne arrivarono due a dire il vero. Una per portare immediatamente Reno all’ospedale, l’altra per far riprendere Axel da quello stato di coma apparente. Non diceva una parola, sbatteva le palpebre con una calma esasperante. Lui era ancora in piedi, la pioggia che lo bagnava l’ennesima volta, che gli aveva pulito le mani dal sangue, che però non era riuscita a togliere la sensazione di quel liquido viscoso, non era riuscita a togliergli l’odore pungente e metallico dal naso. Era lì da circa dieci minuti, nessuno sembrava accorgersi di lui, troppo impegnati a parlare con la polizia o cercare di far riprendere Axel. Tra questi c’era Demyx. Lui… lui non aveva il coraggio di muoversi. Era tutta colpa sua. Perché per l’ennesima volta si era dimostrato debole, perché non era riuscito a sopportare il peso dell’anima sporca e si era sfogato, mettendo in pericolo la vita di una persona, compromettendo l’amicizia di due migliori amici. Se fosse stato zitto, se davvero avesse avuto il coraggio di prendere di petto le conseguenze alle sue scelte, nessuno ci avrebbe rimesso nulla. Ma un'altra volta ancora non era riuscito a fare niente, se non a peggiorare la situazione, come se non fosse già abbastanza delicata.
Respirò a pieni polmoni, battendo più volte gli occhi per non venire accecato dalla luce delle sirene che gli facevano vedere macchie rossastre ovunque. Sembravano tanto le macchie di sangue che coprivano il pavimento. Sentì dei passi, poi lo chiamarono ed alzò lo sguardo quando bastava. Un uomo, dai capelli corti e presumibilmente biondo platino – ma con tutte quelle luci di colore diverso non lo poteva capire chiaramente – diversi orecchini, un pizzetto che lo rendeva più grande di quello che magari era in realtà; al suo fianco c’era un ragazzo poco più altro di lui, un lungo ciuffo di capelli che gli copriva metà del volto, aveva un taccuino in una mano ed una penna nell’altra, pronto a prendere appunti e – notò – le unghie erano smaltate di nero.
-Sei tu Roxas?- chiese ancora e lui annuì, frastornato -Luxord dovrebbe farti delle domande-
-Chi?-
-Io, ragazzo, io. Me medesimo- fece, spazientito.
Le domande durarono circa cinque minuti e lui rispondeva quasi senza riflettere, il freddo che gli era entrato nelle ossa, aveva i vestiti che grondavano di acqua e la polo gli si era incollata addosso, diventando trasparente. Starnutì, stringendo le braccia al petto, il poliziotto lo salutò mugugnando, mentre l’altro intascò il taccuino e la penna, fissandolo da sotto il suo ciuffo. Smise di sentire la pioggia battergli sulla testa dopo qualche minuto e si rese conto che aveva un ombrello a coprirlo.
-Hai bisogno di qualcosa?- scosse la testa, anche se a dire il vero avrebbe voluto che qualcuno gli portasse qualcosa di asciutto o che almeno gli desse da bere qualcosa di bollente -Seguimi- e lui obbedì non sapendo nemmeno perché.
Si avvicinarono ad una macchina della polizia e il ragazzo tirò fuori da una borsa – probabilmente la sua – un termos e gli riempì il bicchiere di caffè bollente. Lo prese e bevve, lasciando che il caldo della bevanda lo riscaldasse almeno in parte e gli sorrise.
-Chi devo ringraziare?- chiese
-Non devi ringraziare nessuno. In ogni caso io sono Zexion- gli porse il bicchiere ormai vuoto  -Dovresti cambiarti, con questo freddo una febbre alta non te la leverà nessuno- annuì e si allontanò, si voltò quando il ragazzo stava per entrare in auto
-Comunque grazie, Zexion-.
Se non fosse stato che era un perfetto sconosciuto, se non fosse che non era solito esternare troppo le emozioni, gli sarebbe saltato addosso e l’avrebbe abbracciato: quel caffè era stato capace di riprenderlo. Non osò comunque avvicinarsi agli altri che erano vicino ad Axel… non riusciva a guardarlo dopo quello che era successo. Si era poggiato sul cofano di un auto non occupata, quando il suo gemello gli si avvicino, prendendogli la mano gelida e stringendola nelle sue così calde.
-Dovresti parlargli, sai? Lo aiuteresti- sussurrò, ricevendo in risposta un silenzio che non diceva granché
-È tutta colpa mia, Sora. Da quando mi conosce non ho fatto che creargli problemi ed ora… adesso ha tentato di uccidere suo padre-
-Quindi… è stato lui?-
-Non lo so. Non so in realtà cosa ho visto ma… perché Reno avrebbe dovuto colpirsi da solo? Poi… diciamo che Axel non era molto in sé quando è uscito dalla villa di Demyx- sospirò -Io non voglio crederci che lo abbia fatto-
-Devi parlargli- ripeté ancora; come si sa, una delle abilità innate di Sora era di riuscire a convincere chiunque con il suo faccino adorabile, ma convinceva Roxas solo perché quest’ultimo non voleva vederla quella faccia, lo stizziva.
Si alzò lentamente, avviandosi sotto la tettoia della casa dove si trovavano tutti gli altri. Lo lasciarono passare, scostandosi ed allontanandosi in silenzio. Gli sfiorò il viso pallido con la sua mano ghiacciata e si sentì morire quando si accorse che non era caldo ma gelido, più di quanto non fosse lui stesso. Lo chiamò in un sussurro, mettendogli anche l’altra mano sulla guancia e per la prima volta fu lui a costringerlo a guardarlo negli occhi, non il contrario. Lo abbracciò, sentendo il corpo di Axel muoversi in risposta.
-Sei inzuppato- commentò e Roxas lo strinse più forte, finalmente aveva parlato.
-Cos’è successo, Axel?- voleva sapere, come tutti, ma aveva paura di sapere la risposta
-Non sono stato io- sussurrò solo il rosso, posando le braccia attorno al suo corpo freddo e bagnato e – finalmente – lo sentì caldo come sempre, caldo come il sole.
Posò il suo volto tra la chioma rossa, sentendo il naso di Axel sfiorargli il collo e qualcosa di caldo e umido sfiorargli la pelle; lo strinse più forte, cercando di consolarlo. Ma come poteva? In fondo, era lui la causa del suo dolore.
-Andrà tutto bene- sussurrò.

Lo portarono in centrale quando si fu ripreso del tutto, la pioggia non smetteva di scendere ed era diventata anche più fitta e forte, il freddo che aumentava mano a mano che passavano le ore. Restò a guardare le auto e l’ambulanza che andavano via, chiedendosi come stesse Reno, chiedendosi se Axel sarebbe stato in grado di cavarsela. Starnutì di nuovo, sicuramente si era preso la febbre anche perché la testa gli faceva un po’ male, dopotutto erano ore che se ne stava sotto la pioggia senza coprirsi, senza volerlo davvero fare. Si era reso conto che quella pioggia sembrava pulirlo da tutto, ogni cosa che l’aveva sporcato dentro e fuori. Sentì la presa ferrea di Riku sulla sua spalla, non mosse un muscolo.
-È meglio se torniamo a casa, non credi? Anche perché Sora sta diventando intrattabile- ma lui scosse la testa con vigore -Ormai è inutile che rimani qui- sentì la pioggia smettere di bagnarlo e si accorse che era l’unico a non proteggersi dall’acqua; guardò il suo amico, girando appena la testa
-Davvero, non me la sento di tornarmene a casa-.
L’albino sospirò sconfortato e si allontanò lentamente, lasciandolo di nuovo solo. Voglio vomitare. Voleva liberarsi da quel senso di colpa che gli attanagliava lo stomaco, stringendolo in una morsa dolorosa. Avrebbe voluto vomitare per sfinirsi e non riuscire più a pensare. E se il suo corpo non si decideva ad agire involontariamente, sarebbe stato lui a ficcarsi due dita in gola. Sono impazzito. Un mezzo sorriso sulle labbra, amaro, ci mancava solo che si desse alla depressione. Si lasciò scivolare per terra, seduto sul marciapiede ormai zuppo, non che potesse peggiorare la situazione, no. Le voci degli altri gli arrivarono alle orecchie, superando di poco lo scrosciare dell’acqua e il rumore del vento che gli batteva sui padiglioni lividi dal freddo. Forse – no, sicuramente – stavano urlando.
-Ma non vedi che sta male?!-
-Che qualcuno lo tolga da sotto la pioggia, con le buone o le cattive, porco Dio! È incredibile che non sia morto assiderato!-.
Morire congelato. Forse gli sarebbe piaciuto. No, non forse. Dopotutto da un po’ di tempo a questa parte aveva imparato ad amarlo il freddo. Non si accorse dei passi dietro di sé, quando improvvisamente venne preso di peso come un sacco di patate. Di dibatté dalla presa di Xaldin che però non lo mollò, dopotutto che fastidio poteva dare una mosca ad un dinosauro?
-Mettimi giù!-
-Funghetto, sei sotto la pioggia da tre ore e mezza! Mi sembri un pulcino bagnato ed infreddolito-.
Un pulcino non sapeva, ma di certo bagnato e infreddolito lo era. Riuscì a tirargli un calcio nello stomaco, purtroppo cadendo venne afferrato per i piedi e per le braccia da Xigbar e Riku. Maledizione. Sbuffò e si lasciò portare dentro, dove Demyx gli diede una sua maglietta e un paio di pantaloni che gli andavano leggermente – ma solo “leggermente” – lunghi. Si accomodò sul divano, sorseggiando a forza la tazza bollente di caffèlatte che gli aveva portato il suo gemello, pregandogli di bere tutto, altrimenti si arrabbiava. Incredibile, era davvero preoccupato se aveva la forza di pregarlo per cinque minuti di fila, risparmiandosi di dormire accucciato contro Riku. Portò le gambe al petto, schiacciando lo stomaco, sperando che facesse meno male. Dopotutto quando Naminè aveva le cose sue strava sempre a pancia in giù o con qualcosa che le schiacciasse il ventre. Doveva ammettere che serviva davvero. Fissò il fumo che usciva dalla tazza, ormai dopo la doccia bollente si sentiva un po’ meglio. Xigbar era tornato a casa da un po’ accompagnato da Xaldin, il russare beato di Sora e il respiro pesante di Riku erano gli unici rumori. Si abbandonò con la testa sullo schienale del divano, guardando sottecchi Demyx, distogliendo subito lo sguardo.
Che cazzo pensi, Rox?! Non ti basta tutto quello che hai combinato?! Vuoi infierire?!
Eppure, baciarlo sembrava l’unica cosa che aveva importanza in quel momento. Ma non poteva, non ancora! Sospirò, no, non doveva, lui lo amava Axel e Demyx lo vedeva come un fratello, niente di più… eppure…
Bevve tutto d’un sorso per distrarsi, sentiva il volto in fiamme e stava cominciando a sudare, non sapeva se per l’eccessivo calore che gli aveva dato quella bevanda o per quello che stava cominciando a pensare. Senza nemmeno che se ne accorgesse scivolò con la testa sulla spalla del più grande che – come se se lo fosse aspettato – non sembrò molto sorpreso e gli cinse le spalle col braccio.
-Vorrei anch’io, credimi- sussurrò e Roxas sgranò gli occhi, ma come?! -Hai la stessa faccia che avevo io quel giorno e che ho anche adesso- rispose, forse era capace di leggere nel pensiero o forse era lui troppo banale
-Non… non sarebbe giusto. Per Axel e Xaldin-
-Già, per loro non lo sarebbe di certo- sospirò -Abbiamo già fatto abbastanza un casino, non credi?-
-Sicuramente- rispose, accomodandosi meglio contro il suo petto, aveva la stessa sensazione di assoluta tranquillità di quando dormiva con Sora e socchiuse gli occhi; se non poteva baciarlo, avrebbe incamerato affetto dormendoci assieme, nient’altro.
E senza nemmeno che se ne accorgesse si addormentò, la mente svuotata, lo stomaco che quasi non faceva più male, cullato dal respiro leggero di Demyx.
Quando si svegliò un tiepido sole filtrava dalle tapparelle semichiuse, formando delle strisce di luce poco più lontano dal divano. Chiuse ancora gli occhi per un po’, poi li aprì di scatto, rendendosi conto che era praticamente addosso al Notturno Melodico. Era con la testa sul suo petto, la mano di fianco che sfiorava il capezzolo da sopra la maglia del pigiama, le gambe intrecciate con le sue, una mano di Demyx che gli cingeva la vita, mentre l’altra che ciondolava giù dal divano. Si rilassò, non era niente di che, giusto? Ora che ci notava era l’unica notte dopo sette che ne erano passate in cui non faceva incubi. Un brivido gli attraversò la schiena quando la mano di Demyx si intrufolò sotto la maglietta, solleticandogli la pelle nella zona lombare; inconsciamente cominciò a strusciarsi addosso al più grande, come a fargli le fusa.
-Buongiorno- mugugnò quello, sbadigliando sonoramente e guardando Roxas negli occhi, ancora lucidi di sonno -Devo dire che svegliarmi mentre mi facevi le fusa è stato quasi inquietante- ridacchiò, facendolo arrossire e balbettare un imbarazzato “scusa” -Nh, figurati. Ora capisco perché Axel mi diceva che amava dormire con te-
-Davvero?-
-Già- sorrise, sbadigliando ancora -Guarda quei due- ammiccò con lo sguardo all’altro divano, leggermente più piccolo di quello che occupavano loro.
Il più piccolo girò la testa in quella direzione, sorridendo nel vedere Riku e Sora dormire accoccolati dolcemente sul divano, il suo gemello che sorrideva nel sonno. Cosa strana, dato che mentre dormiva aveva la faccia di un cretino.
-Finalmente- commentò, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano chiuso a pugno.
Posò lo sguardo sull’orologio che era sopra la televisione, era l’alba e di Axel nemmeno una notizia, sospirò sconfortato, il dolore allo stomaco ricomparso improvvisamente, quella morsa che faceva dannatamente male. Si contorse improvvisamente, facendo sobbalzare l’altro, che gli disse di stendersi.
-Ora mi diventi anche ansioso, Roxas?- fece e lui lo guardò con il sopracciglio alzato, senza capire -Questo mal di stomaco è venuto per l’ansia e lo stress. È capitato ad Axel un sacco di volte dopo che la mamma è morta-
-Fa malissimo- si lamentò e si accorse che aveva un groppo in gola e una voglia incredibile di piangere, le lacrime che salivano agli occhi ma cercò di ricacciarle indietro, premendoci i palmi delle mani sopra; Demyx gliele prese tra le sue, guardandolo negli occhi
-Fallo, piangi, altrimenti è peggio-.
Ma lui n tutta risposta si morse il labbro, serrando gli occhi quasi con violenza, mentre la morsa allo stomaco si intensificava, togliendogli il fiato. Un singhiozzo doloroso, soffocato, poi un altro e le lacrime cominciarono a scendergli. Non sapeva nemmeno lui perché diamine stava piangendo ma capì che lo faceva solo perché non lo aveva fatto prima. Afferrò un cuscino, piantandoci la faccia dentro per soffocare i singhiozzi forti e si accorse di piangere anche per il dolore incredibile che aveva allo stomaco. Aveva pianto così forte solo una volta, no, la disperazione che aveva dentro adesso non era nemmeno pari a quella volta che aveva pianto preda ad un allucinazione. Sembrava impossibile ma la morsa allo stomaco si stava facendo più forte, aveva un terribile presentimento.
-Che ha?!-.
La voce acuta di Sora gli arrivò alle orecchie, sentì la mano di Demyx sfiorargli la nuca delicatamente
-Resta con lui, vado a fargli una camomilla-.
Gli ci vollero circa trenta minuti per calmarsi, molti di più per fargli passare il dolore allo stomaco. E quella voglia, quel desiderio di vomitare anche l’anima era ritornato. Si abbandonò con la schiena contro il divano, il braccio sugli occhi, il buio sembrava calmarne il bruciore. Si tirò a sedere di scatto, quando squillò il telefono. Fa che non sia come temo. Pregò, pregò con tutto se stesso, senza nemmeno accorgersi di sussurrare le sue preghiere, le mani che si intrecciavano spasmodicamente.
-Axel!- esclamò Demyx e lui – come Sora e Riku – gli puntò gli occhi addosso; il biondo annuì un paio di volte, poi sgranando leggermente gli occhi sospirò -Per quanto tempo?- scosse con vigore la testa, poi parlò di nuovo -Va bene, ci sentiamo prima possibile e… cerca di non metterti nei guai, ti prego-.
Lo squadrò con le sue iridi azzurre, spaurite, terrorizzate. Gli occhi di Demyx, invece, non riuscivano a stare ferme e vagavano ovunque, poi sospirò, passandosi le mani in faccia.
-Se lo tengono dentro, finché non si accertano della sua innocenza-.


NO!
-Non possono arrestarlo!-
-Diciamo solo che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso… la fedina penale di Axel non è particolarmente candida-.

È tutta colpa mia!

   
 
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