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Autore: Dira_    04/09/2010    26 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Okay, capitolo lungo, dove si mettono a posto le cose. Per l’azione vera e propria dovremo aspettare un po’. Avete fretta? :D
Ah, e grazie anche alle ragazze del gruppo di FB dedicato a DP. Vi leggo, vi adoro, saltello sul posto!
@MadWorld: Tu dici eh? XD
@ElseW: Ovvio, mi smentisco mai! XD Grazie per le segnalazioni!

@ZetaSev: Evviva, sono contento che ti piaccia, specie se hai un nick del genere, cara la mia Zeta:P E grazie per l’affetto a Cordula, e sugli spoiler Lily et Soren… nada, non posso dirti niente”! XD
@Agathe: Essì, per via del torneo Jamie si sta divorando le mani! Vedrai… su Soren mi riservo il diritto di non rispondere! ;D
@LauraStark: Essì, tra poco la banda sarà tutta tutta al completo! Argh, quanto mi faranno penare! XD E per Soren… come ho detto, mi riservo!  :P  MA no, non è un cattivone, anche se spesso non serve per fare cose cattive -_-

@Herys: Ciao Herys benvenuta e grazie per i complimenti! Essì, ci saranno un po’ di capitoli normali, ma … credimi, Hogwarts non è fatta per la normalità!
@SimoMart: Colpo di fulmine! XD Ma grazie! Beh, credo aiuti anche il faccino di Ben Barnes, non credi! XD Essì, mi hai sgamato. Ho sempre apprezzato la coppia impossibile Lily/Sev anche perché la Row ha fatto capire che avrebbe potuto esserci qualcosa, se solo Sev non fosse stato così attaccato alle arti oscure. Però poi non ci sarebbe stato un certo Harry, quindi va bene così XD E certo che leggo i tuoi commenti, non me ne perderei neanche uno! :D Per quanto riguarda Meike e Cordula sicuramente si rivedranno. Tom deve loro troppo, e non è tipo ingrato, quando capisce che è stato aiutato davvero. Meike credo verrà inserita in seguito. Speriamo che Lily, come dici tu, regga la situazione! ;D
@Lilyylunap: Ehi, nessun problema! Ti capisco benissimo, io sono tornata tipo adesso dalle vacanze! Grazie per i complimenti a Soren, e non mi pronuncio! ^^ Però sì, in effetti non era proprio il tipo da amici di penna, no? XD E su Silente… è una figura umana, ma non la definirei buona. Era uno stratega, e se fossi stata in Harry l’avrei preso a calci nel culo. Però vabbeh, la Row non sono io! XD
@Nicky_Iron: Essì, ci hai preso, anche se più che altro è suo cugino ;) E sul campione di Hogwarts… niente spoiler! :P
@Cloto: Essì, è proprio imparentato con Piton, che per parte di madre era un Prince, infatti. Ahaha, aspetta e vedrai!

@Altovoltaggio: Oh, se adoro le tue recensioni! *_* Dunque, il grado di parentela è questo. Eileen Prince aveva un fratello (minore) di nome Elias (non è stato mai detto che fosse figlia unica esplicitamente) … questo, per sfuggire all’infamia caduta sui Prince a causa del matrimonio della figlia maggiore con un babbano, è andato a sposarsi, già in tarda età (magari anche quaranta, cinquant’anni) la sorella di Alberich Von Hohneim, che ha dato alla luce Sören. Quindi il fu Piton e Sören sono cugini di primo grado. Piton non risulta nell’albero genealogico dei Prince, tanto che Sören non è a conoscenza della sua esistenza (se non forse come eroe del mondo magico britannico). Quindi no, non ti eri incartata! :P Su Meike… credo forse tu abbia ragione, ma bisogna anche notare il fatto che ha undici anni ed ha a disposizione una tv! Di sicuro sa cos’è un ragazzo gay, e vedendo i due ragazzi baciarsi come fidanzati ha fatto due più due. Questo non significa che sappia, in dettaglio, tutto. Lo spazio della famiglia adottiva l’ho dato, potevo mai? Del resto sono Thomas fa Dursley di cognome, eh! Per quanto riguarda Lily e il profumo di gigli, Lily è il tipo di ragazzina che tiene molto all’immagine che dà di sé. Quindi è probabile che usi un profumo a base di giglio. Perché lei, beh, è un giglio. xD
@SasyHerm: Ciao e benvenuta! Che belle recensioni che mi hai lasciato! :D Grazie per i complimenti a Lily e Al… beh, un pochino è maturato. Capita. XD Ginny è comprensiva… perché Ginny è la mamma. xD Purtroppo Meike deve andare a Durmstrang per forza di cose, ma non è detto che ci rimarrà. Del resto la Row ha fatto capire che gli studenti possono scegliere la scuola, anche se vengono iscritti a quella della loro area regionale di appartenenza. ;D

@MissBlackSpots: Non preoccuparti, le vacanze bloccano un po’ tutti! ;D
@Trixina: Ehi, mi eri mancata! Ma non preoccuparti, quando i pc si rompono è sempre una tragedia! :/ Al donna della coppia? Aahaha, beh, sicuramente dei due è quello che sembra di più, perché più comprensivo e sentimentale… ma rimangono due ragazzi,e  Al difende il primato di sportivo! XD Grazie per continuare a seguirmi!
@Hale_y: Wow, prima di tutto benvenuta e poi… grazie! Che impresa! O_O Capisco benissimo come ti senti, comunque, mi è capitato spesso con un sacco di fic, di canzoni e di film, quindi l’idea che tu abbia provato questo per una mia bagatella mi riempe di gioia! I momenti Al/Tom ci saranno non preoccuparti!
@Lunitari: Ciao e benvenuta! :D E grazie mille! Fa sempre piacere sapere che le proprie cavolate vengono apprezzate! ^^ Mastro Zabini e Loki Nott… beh, loro torneranno, in vari cameo. Non sono protagonisti principali, ma si farà quel che si può! ;D Sì, Scorpius serpeverde era troppo scontato, e poi Rose non mi sa di strafiga entrante, quindi… niente DraMione Reprise qui! XD Quando vuoi, recensisci, no prob!
@Lu_Pin: Sìsì, hai scritto giusto e benvenuta! Oh, wow, persino un personaggio così immanente? XD Beh, accidenti grazie! Continua a seguirmi! Ciao!
@MikyVale: Non preoccuparti, la recensione va benissimo! XD E no, a Lily non può resistere! E sono cugini! ;D
 
****
 
Capitolo VII
 


 
 
La casa è quel posto dove, quando ci andate, vi accolgono sempre.
(David Frost)
 
 
Inghilterra, Devon
Casa Potter Weasley. Pomeriggio.
 
Tom si ricordava l’odore esatto dei campi attorno a casa Potter.
Era un odore di fieno, di bosco e di legna bruciata. Era l’odore di campagna inglese e gli era sempre piaciuto. Gli ricordava l’estate e gli ricordava che c’era un posto dove la magia era una cosa di tutti i giorni e dove c’erano persone come lui.

Era un tipo di casa, anche se non era essere a casa.
Non appena la passaporta li aveva materializzati sulla collina di fronte al cottage, Al era quasi crollato a terra, ma Harry, pronto, l’aveva afferrato al volo.
“Tutto a posto Albie?”
“No, grazie.” Rispose tirandosi su malfermo e pallido. “Odio le passaporte. Perché non possiamo inventare qualcosa di meno traumatico per spostarci velocemente?”
Harry rise brevemente. “Tu, Tom? Tutto bene?”
“Sì.” Mentì mentre tacitava a colpi di orgoglio la nausea. “Ma sono d’accordo con Al, dovrebbero fare dei passi avanti nel trasporto magico.”

Al sorrise sotto i baffi e guardò con palese sollievo la staccionata bianca di casa sua e l’albero di melo. Le cicale frinivano impazzite e il sole gli bruciava la testa e le spalle. Era ancora pomeriggio inoltrato: dovevano essere tutti a casa, ad aspettarli.
“Andiamo?” Chiese.
“Sì.” Confermò Harry, infilandosi la passaporta scarica nella tasca dei jeans. “Ci aspetta del succo di zucca fresco e credo anche una torta, se tua madre mi ha perdonato.” Ci rifletté. “Forse, ehm… in effetti solo per voi due.”
Tom sentì un brivido gelato corrergli lungo la spina dorsale. Non credeva fosse giusto; non essere tornato in Inghilterra, quello lo era naturalmente.

Ma non devo bere succo di zucca e stare con loro. Non adesso e  non ancora.
Ci sono altre cose che devo fare.
“Ti ringrazio zio, ma vorrei tornare a casa.” Esitò, poi continuò più sicuro. “Dalla mia famiglia.”
Harry lo guardò per un attimo quasi con sorpresa poi si sciolse in un sorriso comprensivo. “Ovvio, scusa Tom… hai ragione. Ti ci porto subito.”
Sembrava anche imbarazzato, notò; lo sembrava sempre quando si parlava della famiglia Dursley intera, con particolare attenzione verso suo padre. Gli passò in testa un pensiero.  
“Loro lo sanno?” Chiese. “Che sono qui… che sono…?”

Vivo?
Harry si passò una mano trai capelli, evidentemente a disagio. Ma non era nella sua politica temporeggiare con delle scuse, quindi gli disse subito la verità. “No. Avrei dovuto, ma dovevo farvi anche tornare a casa, ed era importante soltanto questo.” Fece un sorriso stanco. “Come padrino e come cugino, lo so, sono pessimo.”
“Non quanto me come figlio.” Gli assicurò, mentre sentiva un peso spiacevole allo stomaco all’idea che quella famiglia, la famiglia che l’aveva cresciuto, la sua famiglia aveva sofferto persino più dei Potter. Dovevano aver avuto meno informazioni a disposizione a causa dello Statuto di Segretezza, e questo significava solo angoscia in più; lui lo sapeva bene. “Non sei tu quello che si deve scusare.” Lanciò uno sguardo ad Al, che si limitò ad inarcare le sopracciglia, come a volergli confermare che sì, aveva molto di cui farsi perdonare visto che era stato un cretino egoista.

E me lo ricorderai fino al letto di morte non è vero?
Sospirò.
“Devi tornare subito a casa, Tom…” Intervenne Al a quel punto, con tono ragionevole e sguardo poco contento. “Credo che sia anche più sicuro, no papà?”
“Sì, in attesa che il Ministero sia informato di tutti i fatti e…”
“Mi convochi?” Lo anticipò: sarebbe andato tutto bene, si tenne a mente, sarebbe andato tutto bene e sarebbe tornato ad essere un mago. “Va bene… ma vorrei sapere… la mia bacchetta?”

Harry scosse la testa. “Ho cercato di riaverla indietro, ma…” Continuava a sembrare comprensivo e dispiaciuto. Del resto per un mago non avere la propria bacchetta era come camminare con scarpe non della propria misura.
Ed io al momento sono scalzo.
“Adesso dov’è?”
Doe non l’ha distrutta, vero?
“Fa parte delle prove. È al Dipartimento.” Spiegò Harry. Tom frenò il desiderio di chiederla indietro, di pretenderla. Era sua, e non andava bene che rimanesse a prendere polvere in qualche scaffale nelle viscere di Londra. Contrasse e decontrasse il pugno, sentendolo vuoto e sentendosi nudo. Al sembrò indovinare i suoi pensieri, perché gli strinse il polso.

“Non ne può avere una… chessò, provvisoria papà?”
Harry scosse di nuovo la testa. “No, non finché la situazione non sarà…” Cercò di trovare la parola giusta. “… chiarita. È la procedura ed… è meglio se ci atteniamo ad essa, vista la situazione.”

“Capisco.” Si sentiva un sapore amarognolo in fondo alla bocca, come se avesse masticato qualcosa di sgradevole.
C’è un prezzo da pagare per quello che hai fatto. Chiudi il becco e pagalo.
“Meglio se andiamo adesso, zio.” Si voltò verso Al: non ricordava se l’aveva ringraziato abbastanza. Forse l’aveva fatto, forse non sarebbe riuscito a farlo mai. E comunque non poteva ringraziarlo come si doveva davanti a Harry.
“Ci vediamo.” Gli disse, cercando di suonare il più possibile incolore. Harry li guardò perplesso.
Troppo incolore?
Albus a quel punto, perché aveva più cervello di lui in certe cose, lo abbracciò stretto. Lo strinse di rimando, sentendosi scomodo sotto lo sguardo divertito e ignaro del padrino.
Se sapessi come ci siamo stretti l’ultima volta…
Nascose suo malgrado un sogghignetto, perché era davvero un giovane mago malvagio e ingrato. E Albus aveva un buon odore, qualcosa che si mischiava al sale marino di Rügen e all’odore di erba medica. Gli aveva detto che lavorava al San Mungo adesso.
Sentì le sue labbra sfiorargli l’orecchio. “Ti vengo a trovare stanotte.” Gli disse.
Tom si impose di non arrossire o mandare al diavolo tutte le sue buone intenzioni e rapirlo. Quello avrebbe definitivamente insospettito Harry.

“Sì, naturalmente.” Replicò, mentre si rendeva conto che il groppo di angoscia si era un po’ allentato. Gli arruffò i capelli, per demistificare il fatto che avrebbe voluto baciarlo. 
“Allora…” Intervenne Harry. “Pensa tu a dire… ehm. Più o meno tutto alla mamma. Che stiamo bene e che tornerò tra un po’. Per cena. Okay Albie?”
“È Al, papà.” Lo corresse con affetto, perché era suo padre. Come avrebbe reagito Dudley a vederlo invece? L’avrebbe rivoluto indietro?

“Andrà tutto bene Tom, sono sicuro.” Gli sorrise il suo ragazzo, o se avesse voluto meglio definirlo il suo. Tutto. “Ci vediamo… presto.”
Se non vieni stasera vengo io a rapirti – Gli comunicò con lo sguardo. Al piegò le labbra in un sorrisetto imbarazzato e arrossì. Però annuì.

Tom si avvicinò ad Harry, che gli mise una mano sulla spalla. “Zio, so materializzarmi.”
“Sì, ma non hai la licenza. Vediamo di cominciare a rigare dritto, mmh?” Lo riprese con pazienza. “A dopo Al.”
Sentì uno strappo all’ombelico e pochi istanti dopo si materializzarono con uno schiocco secco in un vicolo che Tom ricordava fosse a pochi passi da casa sua. Una volta vi aveva beccato Alicia e i suoi amici a spartirsi una sigaretta con aria nervosa, come se fosse un grande e terribile segreto. Un gatto, oltraggiato dal rumore, corse via ad infilarsi dietro una macchina.

Harry si rimise la bacchetta in tasca, aggiustandosi gli occhiali. “Allora…” Cominciò. Sembrava la sua parola preferita quel giorno.
“Puoi andare, zio.” Lo fermò: sapeva che doveva farlo da solo. Faceva parte della sua espiazione, o qualcosa del genere. O più semplicemente sapeva che quella era la sua famiglia, e avevano bisogno di spiegazioni da lui, e da nessun altro.
E poi papà odia il Mondo Magico.
“Ma che dici?”
“Conosco papà.” Lo fermò. “Sono certo che ha preso male questa storia… e con prenderla male intendo dire che se l’è presa con te. Mi sbaglio?”

“Questo non ha importanza! Sono il tuo padrino e…”
“È una cosa che devo fare da solo.” Ripeté, perché era importante che capisse. “È la mia famiglia. Non posso farmi giustificare da te. Non sarebbe giusto.” Se doveva chiedere scusa doveva iniziare dai suoi genitori. “E poi non sono più un bambino.”
Harry a quel punto sorrise, stringendogli la spalla. “No, è vero. Non lo sei. Se è quello che vuoi, allora va bene.” Sospirò: non era convinto, si vedeva, ma non avrebbe preso quella decisione per lui. Gliene fu grato. “Ma non puoi chiedermi di andarmene. Me ne starò in disparte, tutto qui.”
Tom annuì, infilandosi le mani in tasca. Non voleva che cominciassero a tremare.
Poi lo guardò. In quegli otto mesi Harry sembrava invecchiato. C’era una piega amara vicino alle labbra, che era sicuro di non aver mai visto prima. Gli occhi però erano sempre gli stessi, limpidi e fermi. Ti assicuravano che potevi fidarti.

“Grazie.” Disse.
Harry smise di sorridere e sembrò persino sorpreso. Fece una smorfia amara. “E per cosa, Tom? Ho fatto degli sbagli. E che Merlino mi perdoni, non ho voluto ascoltarti…”
“Non che avresti potuto, considerando che non parlavo.” Ironizzò. “Non c’è nulla che tu debba farti perdonare.” Scosse la testa. Avrebbe voluto fargli capire quanto gli dovesse, e che questo non l’avrebbe dimenticato mai. “Tu mi hai regalato questa vita.” Si risolse a dire, forzandosi per farlo, perché continuava a sembrargli una cosa da deboli. “Mi hai dato la possibilità di essere una persona decente.”

“Tom…”
“È più di quanto meritassi, forse.” Si guardò attorno, perché riconosceva tutto, e tutto gli era mancato. Perché quella era casa sua. Fece un mezzo sorriso, che sicuramente Albus avrebbe classificato come un ghigno. “Ma non intendo lamentarmene.”

Harry sorrise.
 
Harry osservò la linea magra delle spalle del suo figlioccio allontanarsi per poi varcare il vialetto del numero 4 di Privet Drive. Teneva le mani in tasca, ma la schiena era dritta; era certo che Thomas non avrebbe mai esitato prima di premere il campanello.
Probabilmente perché qualcuno lo sta guardando.
Lo premette senza incertezze infatti. Lo guardò attendere e si fece forza per non comparirgli al fianco.
La porta si aprì, e c’era Robin. Sorrise quando vide la donna dapprima smarrita cacciare un grido e stringere tra le braccia Tom, che doveva esserselo aspettato da come riuscì a mantenere la presa sulla madre senza indietreggiare. Le grida avevano attirato gli altri, e pochi attimi dopo vide la massa corpulenta di Dudley oscurare l’intelaiatura della porta. Tom dovette dire qualcosa, perché Dudley rispose, molto lentamente, come se non riuscisse a capire bene cosa stesse succedendo e stesse cercando di radunare le idee, proprio come quando era ragazzo. Poi si riscosse, mettendo una mano sul braccio di Tom, stringendo, quasi a volersi sincerare che fosse reale.
Harry poteva sentire solo i singhiozzi di Robin da lì, ma andava bene, perché erano di gioia.
Poi Dudley parve accorgersi della sua presenza, perché guardò nella sua direzione: si squadrarono, poi il cugino gli fece un cenno con la testa, che poteva voler dire tutto, persino ringraziare, oppure solo attestare che sì, sapeva che era lì.
Harry lo ricambiò, poi tirò fuori la bacchetta per smaterializzarsi. In quel momento lui era un estraneo, e da estraneo doveva ritirarsi ordinatamente. Si infilò nuovamente nel vicolo e si permise un piccolo sorriso.
Le cose stavano cominciando a tornare al suo posto. Non per merito suo: ed era giusto così, finalmente.
 

****
 
 
Cornovaglia, vicino a Tinworth. Cottage di Andromeda Tonks.
Prima di cena.

 
Teddy Lupin era il tipo di ragazzo che gioiva delle fortune altrui, perché gli piacevano le persone serene, meglio ancora se felici. Gli piacevano, insomma, le buone notizie, anche quelle che non lo coinvolgevano direttamente.
Il ritorno di Thomas era la migliore delle notizie, e quando si era congedato dai Potter, poco dopo che Albus era tornato carico di notizie, aveva lasciato un’atmosfera distesa e persino allegra. Sarebbe rimasto volentieri, specie perché James gli aveva dato calci sotto il tavolo piuttosto espliciti … ma sua nonna pretendeva assoluta puntualità a cena se, come diceva lei, si onorava di farle compagnia.
E non mi va di lasciarla sola.  
Quindi quando aveva varcato la porta di casa sua era di ottimo umore. Era passato anche in una pasticceria babbana a Ottery St. Catchpole per prendere una serie di pasticcini di cui sua nonna era tremendamente golosa.
C’era da festeggiare, sebbene per riflesso.
Si pulì le scarpe sullo zerbino e tenendo in mano il pacchetto flagrante andò fino in cucina. Sua nonna stava finendo di cucinare con il rumore soffuso della tv, su cui veniva proiettato il telegiornale. Teddy non l’aveva mai vista guardarla con interesse; era semplicemente uno di quei piccoli riti che onoravano le memoria di suo nonno.
“Ah, bentornato!” Esclamò con un cenno distratto, chiudendo il coperchio dove sobbolliva dello stufato di pesce a giudicare dall’odore. Sorrise con uno sbuffo trattenuto quando vide il pacchetto colorato. “Tu mi vizi. Lo sai che alla mia età dovrei evitare i dolci.”
“Quale età?” Le sorrise baciandole la guancia. “Sei una ragazzina.”
“E tu un pessimo bugiardo.” Gli tirò con dolcezza una ciocca di capelli blu. “Pensavo rimanessi a cena dai Potter…”

“Stasera era più una cosa di famiglia.” Spiegò. Voleva aspettare prima di dare la notizia. “E poi non mi andava di lasciarti mangiare dell’ottimo stufato da sola. Ginny cucina raramente il pesce, e sai che ne vado matto.” Stornò con un sorriso. Era un delicato castello di diversioni il suo. Sua nonna le accettava sempre con un gesto secco della testa e un sorriso trattenuto. Era una codice segreto il loro.
“Jamie?” Chiese dandogli le spalle per spegnere la fiamma del fornello. “Come sta?”
“L’esame di ammissione si avvicina… è piuttosto… elettrico, direi.” Scherzò.
“Lo passerà.” Decretò Andromeda con quella sicurezza un po’ arrogante tipica dei Black. “Quel ragazzo è nato per fare l’auror. È un piccolo pazzo incosciente con una gran predisposizione a agitare in aria la bacchetta. Cos’altro dovrebbe fare?”
Teddy ridacchiò perché era vero.

“Thomas è tornato.” Esordì poi, mentre gustavano l’ottimo stufato di pesce e sua nonna fingeva di interessarsi ad una pubblicità sulla telefonia mobile. “Thomas Dursley, sai.”
“Oh!” La donna lasciò perdere le immagini sullo schermo. “Davvero? L’hanno trovato?”
“È stato Albus a rintracciarlo. Era in Germania…”
“In Germania? E come diavolo ci è arrivato laggiù con una passaporta rotta?” Chiese stralunata, spegnendo definitivamente la tv. Teddy ne fu contento: proprio non riusciva a piacergli quella cacofonia di suoni e immagini colorate.

Sono un vecchietto bibliofilo, lo so.
“Non ne ho idea.” Ammise rimestando il cucchiaio nella zuppa. “In ogni caso sta bene, e adesso dovrebbe essere tornato a casa dai suoi genitori. Zio Harry l’ha accompagnato. È una bella notizia.”
“Davvero.” Convenne, ma sembrava dubbiosa. “Quel ragazzo ha sempre avuto qualcosa di strano… Non mi stupisce che fosse finito in Germania o in qualche paese lontano.”
“Strano?” Chiese, ma era retorico. Lo pensavano praticamente tutti. Era più un impressione, visto che neppure lui sapeva tutto sulla vicenda che aveva coinvolto Thomas, i Doni della Morte e Harry. Sembrava che il padrino stavolta volesse obbedire al veto del Ministero sul parlarne. “In che senso?”
“Oh, lo sai. C’è tutto questo gran mistero su Thomas…” Diede un’energica scrollata di spalle, mentre sorseggiava vino elfico. Teddy era sempre affascinato dalle maniere impeccabili di sua nonna, nonostante fossero in una cucina rustica in mezzo alla campagna brulla. “Harry se lo coccola come un gattino traumatizzato da che ho memoria. Siete entrambi suoi figliocci, ma con te è sempre stato più rilassato.”

Teddy convenne con un cenno della testa. Harry era stato un ottimo padrino, e lo era tutt’ora visto che non l’aveva ancora torturato per essersi messo con il suo primogenito.
Il genere di padrino a cui chiedere consiglio o un giocattolo nuovo che tua nonna non vuole comprarti.
Gli voleva bene, ma non erano mai stati come padre e figlio, anche se da bambino l’aveva segretamente sperato. Il punto era semplice: Harry quando era stato nominato suo tutore era un ragazzo, e si era occupato di lui come un fratello maggiore, un compagno di giochi. Tom era venuto dopo, quando Harry era già un padre, un marito… e un adulto praticamente completo. Se per lui Harry era uno zio con diciassette anni di differenza, per Tom era praticamente un secondo padre. Lo sapevano tutti.
“Comunque sono contento che sia tornato… Albus era raggiante.” Aggiunse. “Avresti dovuto vedere la faccia di Harry! Sembrava ringiovanito di dieci anni.”
“Mi pare ovvio. Se ne dava tutta la colpa.” Osservò Andromeda, mentre tagliava con un colpo di bacchetta il pacchetto e ne estraeva un pasticcino. Se lo gustò con calma aristocratica. “Ci voleva una bella notizia.” Soggiunse. “I Potter hanno trascorso un periodo pessimo.”
“Già…” Non fece in tempo a sentirsi in colpa che gli arrivò un colpo di bacchetta sulle dita, secco e spietato. “Ahi! Nonna!” Protestò. “Non stavo…”
“Se fai quella faccia bastonata sono costretta a bastonarti.” Replicò con un sorrisetto indulgente ma gli occhi di pietra. “Devo spiegare proprio a te che non puoi sentirti in colpa per quello che sei?”

“No, nonna.” Convenne umile, consolandosi con un bignè al cioccolato e nascondendo un sorriso. Sua nonna aveva una mira spietata quando doveva colpire. Lo beccava sempre nei punti più dolorosi. “Tra te e Jamie quest’estate è stata un florilegio di lividi.”
“Quel ragazzo sa che con te valgono solo i fatti. È sempre stato sveglio…” Replicò sua nonna placidamente.  

Passarono un momento in quieto silenzio. Teddy se lo assaporò perché per mesi non avrebbe avuto granché pace, tra ragazzini, compiti e doveri da nuovo Direttore di Tassorosso. La sua nomina era stata ufficializzata qualche settimana prima, tramite Gufo da Hogwarts. James l’aveva preso in giro per due giorni, blaterando sul coronamento dei suoi sogni da secchione. Aveva smesso solo quando l’aveva trascinato a letto e gli aveva tappato la bocca. Certo, dopo aveva cominciato a chiamarlo stallone ed era stato ancora più imbarazzante.
Sentì distintamente i propri capelli sfumare nel rosa. Per fortuna sua nonna non aveva mai collegato quel colore a certi pensieri: di questo doveva ringraziare sua madre, probabilmente.
Alzando lo sguardo dalla tovaglia notò però che aveva a malapena assaggiato i dolci. E sì che di solito non si risparmiava, continuando comunque a brontolare del colesterolo, malattia che affliggeva babbani come maghi.
“Nonna, non li mangi?” Chiese, e quando la vide esitare, capì che c’era qualcosa che non andava.
“Teddy, c’è una cosa che devo dirti.”
Ecco, appunto. Aveva ragione.

“… Cosa? Che succede?” 
Sua nonna sbuffò, prendendogli una mano e dandoci una pacchetta esasperata. “Niente, Teddy, niente… Sto bene, non mi sta succedendo niente. Però …” Si guardò attorno, ed abbracciò con lo sguardo tutta la stanza. “… da quanti anni viviamo qui?” Chiese a bruciapelo.
“Da quando ero bambino, non ricordo… ventitré anni più o meno? Quando ci siamo trasferiti dalla vecchia casa tua e di nonno Ted.” Ricordò confuso. “Perché?”
“Questa casa è diventata troppo grande per me sola.” Tagliò corto, perché non era mai stata una tipa da grandi giri di parole. Purtroppo. “Tu non ci sei che pochi mesi l’anno, e comincio a fare fatica a mandarla avanti…”
“Potremo prendere un elfo domestico.” Suggerì, anche se la voce di Hermione urlava oltraggiata dentro la sua testa in merito a forme di oppressione secolare. “… o qualcuno. Pagato.” Soggiunse.

Lo guardò quasi con compatimento. “Quella Hermione… Lei e le sue idee reazionarie. Sapevo che non avrei dovuto mandarti troppo spesso a casa sua. Comunque no, Teddy. Potrebbe essere una soluzione, ma sono troppo vecchia per abituarmi a qualcuno in casa mia, fosse anche un elfo.”
“Ma…” Non capiva il senso del discorso, ma decise che non gli piaceva.
“Tua zia Narcissa mi ha chiesto di trasferirmi da lei, al Manor.” Sua nonna oltre che diretta a volte era brutale. “Siamo entrambe due donne sole, per quanto poco mi piaccia la definizione. Avrei la mia indipendenza, ma anche qualcuno con cui chiacchierare, anche se è quella stronzetta.” Commentò con un vago sorriso, ma Teddy non l’ascoltava: si sentiva invece spaesato, come se gli avessero tirato via il terreno da sotto i piedi.
No, decisamente non era un tipo che apprezzava i cambiamenti. Poteva farne, ma non repentini. Scoprire la sua sessualità era stato un processo lento e graduale dopotutto.
James lo chiamava omosessuale graduale. Un giorno avrebbe davvero dovuto sculacciarlo.
Ma stava divagando…
“…E  tu cosa le hai risposto?” Chiese, mentre sentiva la sua voce assomigliare orribilmente a quella di un dodicenne a cui era stato negato il primo manico di scopa.
Le hai detto di no, vero?
“Le ho detto di sì.” Gli tenne stretta la mano tra le sue, comprensiva e crudele. “Voglio mettere in vendita la casa, Teddy.”
… Oh, dannazione.
 
 
****
 
Surrey, Little Whinging.
Privet Drive numero 4. Casa Dursley.
Sera.
 
Tom si stava riappropriando della propria stanza.
Era un processo di estrema importanza. Doveva ritornare a pensare a quella come la sua stanza. Il suo letto, la sua scrivania, la sua libreria, i suoi poster, la sua finestra.
Alla fine si era risolto ad operare un metodo che, almeno su di lui, avrebbe dovuto funzionare.
Si era infilato le cuffie wireless dell’impianto stereo e aveva inserito un cd. Fatto questo, si era steso sul letto e ora stava facendo vagare lo sguardo.
Stava funzionando.
Socchiuse gli occhi permettendo ai muscoli, tesi fino a quel momento, di rilassarsi.
Non aveva sperato che i suoi lo avrebbero riaccolto a braccia aperte e senza nessuna domanda. Era una previsione quantomeno idiota, considerando che non erano privi del senso del tempo, e otto mesi per la famiglia Potter erano otto mesi per la famiglia Dursley.
Non aveva potuto raccontare loro tutto, per via dello Statuto, e anche per via del fatto che non gli sarebbe piaciuto spiegare come fosse una sorta di zombie alchemico; aveva quindi puntato sul fattore famiglia psicopatica.
Aveva raccontato loro di Hohenheim come di un mago potente e senza scrupoli e di John Doe. Aveva glissato sulla prigionia e sull’imperius. Aveva escluso tutta la parte dei Doni, visto che probabilmente per un babbano assimilabile agli ufo o ai vampiri di Bram Stoker.
Non ho mentitoHo omesso alcune parti della verità.
Inspirò facendo filtrare l’aria trai denti e facendo una smorfia alla sensazione sgradevole che ne conseguì.
Chissà da chi ho preso i denti sensibili…
Il punto, comunque, non era quello.
Il punto è che sapeva di aver ferito la sua famiglia. A fondo e forse più di quanto avrebbe mai potuto capire o rimediare.
Sua madre Robin si era fatta tenere stretta tra le braccia finché non erano arrivati in salotto, scortati da suo padre, che aveva una stranissima espressione, come di profonda e dolorosa concentrazione.
Poi erano arrivati Vernon e Alicia. Gli erano sembrati cresciuti; Alicia aveva i capelli più lunghi e più trucco sulle palpebre, mentre Vernon gli era sembrato ancora più grosso e goffo.
Allora aveva cominciato a spiegare. Era stata sua madre a fare le domande, a chiedere, a meravigliarsi, a stringergli le mani e accarezzargli il viso. Si era sentito come se avesse di nuovo cinque anni e fosse appena tornato da una smaterializzazione accidentale.
Solo che stavolta ci aveva messo più tempo a tornare. E lo sapevano tutti.
Lo sapeva suo padre, che non aveva aperto bocca per tutta la sera. Per quanto ne sapeva ora era di nuovo di fronte alla tv a seguire qualche quiz a premi con la bottiglia di brandy affianco.
Non aveva detto niente Vernon, che però era stato quasi amichevole. Gli aveva riportato il pc e si era offerto di pagare la riparazione per averlo riempito di virus.
Non aveva detto niente Alicia, o meglio, aveva detto. Tutto.
 
La cena era stata intramezzata dalle chiacchiere di Robin, dal suo sollecitarsi a riempirgli il piatto più volte di quanto fosse necessario. Gli occhi di Vernon invece erano incollati alla tv, come quelli di suo padre, anche se lo beccava spesso a lanciargli lunghe occhiate. Quelli di Alicia invece erano fissi sul piatto e sembravano volergli dire qualcosa da un momento all’altro.
Non sapeva se gli sarebbe piaciuto ascoltarlo però. Non che fosse questo il punto, certo.
“Mamma, davvero. Sono pieno.” Le aveva sorriso.
“Ma non hai mangiato quasi nulla! Sei troppo magro, hai mangiato come si deve? Quella donna… quella Cordula, cucinava cose…”
“Cucinava benissimo, anche se certo, niente a che vedere con la tua cucina.” La blandì. “E sono sempre stato magro.”

“Sì, questo è vero…” Aveva capitolato infine. “Hai uno spazietto per il dolce? Se sapevo che saresti tornato avrei fatto il tuo preferito, ma…”
“Ho uno spazietto per il dolce.” Aveva confermato, perché era giusto così, anche se sentiva lo stomaco urlare pietà, chiedendogli perché avesse maturato la  smania di ingozzarsi.

La sedia di Alicia si era scostata di colpo, facendo distogliere lo sguardo a tutti dalle proprie faccende.
“Io esco.” Aveva proclamato, infilando il cellulare dentro la tasca dei pantaloni. Tom aveva pensato che alla lunga avrebbero potuto portarle problemi seri alla circolazione.
“Esci?” Aveva esclamato sua madre. Sembrava incredula e ferita. Si era sentito male lui. “Stasera?”
“È sabato, ho un appuntamento con Matt giù in centro. Forse andiamo a Londra, forse no.” Si era voltata verso Vernon. “Tu vieni?”
Il ragazzo era sembrato per un attimo sulle spine. Doveva aver percepito la tensione che si tagliava con un coltello. “Io…”

“È tornato tuo fratello!” Sua madre continuava a tenere il coltello a mezz’aria come se quello fosse un grosso scherzo imbarazzante. Era arrabbiata. “Non credi che per una sera potresti farne a meno? Specialmente stasera?”
A quel punto Alicia aveva rotto il voto del silenzio. “E perché?! Lui di noi se n’è ampiamente fottuto!” Aveva sbottato e finalmente l’aveva guardato. Le tremavano le lacrime sulle ciglia e Tom si era sentito come se gli avessero piazzato un capo d’accusa di circa dieci anni ad Azkaban. Si era ricordato come nell’ultima lettera Alicia gli avesse parlato di un Anthony. Ora era un Matt, e forse non aveva più bisogno di consigli su gruppi musicali da ascoltare per far colpo su di lui. “Com’è, se lui può farsi i suoi affari in Germania senza dare uno straccio di notizie, facendoci credere che è morto, io non posso uscire col mio ragazzo e i miei amici per una sera?”
“Alicia, siediti subito!” Sua madre non era riuscita a ribattere. “Dudley, dille qualcosa!”

“Robin, lasciala andare.” Era stata la risposta, prima di riportare gli occhi allo schermo. “Che differenza farebbe fuori con i suoi amici o chiusa in camera sua?”
Tom a quel punto sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa. Aveva guardato la sorella, e forse anche lei se l’aspettava, anche se più che altro aveva l’aria di volerlo picchiare. “Mi dispiace.” Gli era uscito. Sembrava la sua frase standard di quegli ultimi due giorni.
Si era visto arrivare il tovagliolo addosso e l’aveva parato con un braccio.
“Vaffanculo!”
Non che non se lo fosse aspettato.

 
Tom sospirò. La stanza stava prendendo di nuovo i contorni  della sua camera, e sarebbe andato tutto bene.
Avrebbe riavuto la sua bacchetta e forse un giorno la sua famiglia lo avrebbe perdonato.
Si passò una mano sullo stomaco, assente, mentre in loop ripartiva il cd.
Niente di deprimente ovviamente era un’utopia nella sua collezione.
(E non era in vena da Who.)
 
Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No one ever said it would be this hard.
Oh take me back to the start…¹
 
… Forse avrebbe dovuto cambiare canzone. Ma al momento attuale si sentiva piacevolmente infossato dentro il proprio materasso.
Sentì bussare la porta.
“Avanti.” Disse, perché non poteva essere il solito egoista misantropo. Non quella sera almeno.

Sua madre entrò, reggendo una cesta di panni puliti con in cima una pila di riviste. Le riconobbe come quelle contenenti il programma artistico dell’estate di Little Whinging. Gliele portava ogni anno, quando tornava da scuola.
“Ti ho portato la biancheria pulita!” Esclamò posandola sulla scrivania. “È tutto in ordine, ma non avresti nulla da metterti, e non credo tu dorma nudo adesso, no?” Sorrise e Tom sentì che avrebbe dovuto abbracciarla o dirle che le voleva bene. Un figlio, anche se adottivo, avrebbe fatto una cosa così.
“Grazie.” Si limitò. “È il programma estivo?” Offrì, abbassando le cuffie sul collo e alzandosi.
“Mmh-mm.” Annuì sua madre, piegando una serie di slip neri. Non aveva mai capito come Al riuscisse invece ad avere delle mutande con motivi imbarazzanti senza volersi seppellire da qualche parte. Le ultime che aveva visto avevano un boccino davanti.
Mi sono dimenticato di prenderlo in giro.
“Al caffè c’è una rassegna di poesie di Whitman molto carina. È domani alle quattro, ci vieni?” Gli chiese riportandolo all’attenzione. Aveva un tono disinvolto, come se fosse tornato da Hogwarts solo il giorno prima. Le domande erano finite, per il momento, e avrebbe dovuto davvero ringraziarla. Ma non poteva continuare all’infinito, sarebbe suonato falso. “Ci saranno anche tua sorella e i suoi amici.”
“Se non rischio la vita tramite il lancio di qualche oggetto contundente…” Ironizzò. “Comunque sì, vengo.”

Robin sospirò, lisciando con le mani la piega di una maglietta. “Tua sorella…” Iniziò, mordicchiandosi l’interno del labbro. “È stata molto male per la tua scomparsa. Lo sai com’è fatta. È orgogliosa… è tutta vostro padre. Incamerano e non lasciano uscire. Pensano che sia inutile e da …” Alzò gli occhi al cielo. “Da deboli. Lo sai.”
No, non lo sapeva. O meglio, non se lo ricordava.

Ecco da chi ho preso.  
“Non volevo…” Ancora una volta. Se non altro, tutta quella storia gli aveva insegnato a chiedere scusa. “Non era mia intenzione farvi stare male …” Sua madre gli mise una mano sul braccio, accarezzandoglielo con quel tocco che forse avevano solo le madri. Anzi, probabilmente.
“Thomas.” Lo fermò con il suo accento australiano, un musicale va-e-vieni. “Harry ci ha spiegato. Non è facile per nessuno passare quello che hai passato tu. Non fartene una colpa.” Concluse facendogli una carezza. “A Alicia passerà, non appena starai un po’ con lei e le farai parlare di ragazzi. Sai che tiene molto alla tua opinione.”
“Va bene.”
Sua madre lo strinse in un nuovo abbraccio. Le persone erano calde. Come aveva fatto Voldemort a non volerlo per sé?
“Ora sei qui, Thomas. È questa la cosa importante. Va bene, tesoro?” Gli prese il viso tra le mani e gli sorrise. “Ed è anche il caso che ti tagli i capelli. Fanno un po’ maudit e ti stanno bene, ma ti vanno a finire sugli occhi. Non ti danno fastidio?”
Tom ricambiò il sorriso. “Già. È proprio il caso che li tagli mamma.”

 
 
****
 
Il cancello era aperto. Aperto su una bruma fitta e scura.
Lo varcò, perché era aperto ed era un sogno.
Il parco si contorceva in scheletri di alberi che sembravano raffigurare uomini in agonia. Il castello era un moloch di pietra, dalle guglie gotiche a malapena distinguibili.
Sapeva che doveva entrarci. Non era una questione di potere, ma di dovere.
Da lontano, il rumore del mare.
Poi un picchiettare ritmico.
 
Un picchiettare ritmico come sassolini…
 
Che diavolo…?
Tom si svegliò di colpo, con le cuffie incollate alle orecchie e il silenzio stereo di un cd finito.
Il rumore non se l’era immaginato però. C’era veramente ed era alla sua finestra.
Si alzò stordito, ancora aggrappato al ricordo del sogno. Aprì la finestra.
“Ehi! Era ora!”
Albus era in giardino e aveva in mano un pugno di ghiaia che stava evidentemente per lanciare.

“Vuoi sfondarmela?” Gli chiese a quel punto.
“Se serve!” Replicò stizzito. “È mezz’ora che sono qui!”
Gli venne da ridere, prima di ricordarsi che se l’avesse fatto, Al avrebbe potuto tirargliela addosso. Aveva una mira da cecchino con tutto quel Quidditch.
“Stavo dormendo. Aspetta, ti faccio salire…” Inarcò un sopracciglio. “O vuoi smaterializzarti direttamente in camera mia?”
“Fammi salire, se la faccio male finisco dentro un muro. Eviterei. Non sono bravo negli spostamenti dentro e fuori casa.”
Tom sbuffò, ma obbedì. Andò ad aprirgli la porta di casa e lo fece entrare dentro, mentre i genitori dormivano e Alicia era fuori. Sentirono della musica soffusa da camera di Vern invece, quando ci passarono. Probabile se la sparasse in cuffia mentre giocava alla console. 
Al quando fu in camera si guardò attorno. “Certo che non si nota se ci sei o non ci sei…” Ironizzò. “Ma lasci almeno l’impronta sul letto?”
“Io non sono un confusionario come te.” Replicò. La sola presenza di Al lo fece sentire di colpo meno spaesato. Non che lo volesse ammettere, e comunque non glielo avrebbe detto. “Sei in ritardo.” Quello invece glielo disse senza problemi.
“Non sei l’unico che è sparito nel nulla ultimamente, sai?” Replicò sedendosi sul letto e prendendo a giocherellare con le cuffie. “Mamma mi ha fatto una predica infinita prima di lasciarmi andare.”

“Ti ha lasciato andare?” Un giorno o l’altro Ginny avrebbe voluto delle risposte.
E non gliele avrebbe date lui, decise. Le madri protettive erano qualcosa che gli gettava addosso una discreta inquietudine.
“Gliel’ho dovuto dire, se non mi avesse trovato domattina mi avrebbe ucciso, e non mi andava di fare una levataccia per batterla sul tempo.” Alzò lo sguardo e lo squadrò. “Ma sono le undici. Dormivi davvero?”
“Giornataccia.” Ironizzò, facendolo ridacchiare. Si sedette accanto a lui, mentre Albus si infilava le cuffie. “Al, il cd è finito.”
“Rimettilo.” Gli chiese sorprendentemente. Obbedì, giusto per vedere cosa aveva da dire sulla musica babbana.

Non molto, considerando la sua propensione a canticchiare Celestina Warbeck.
“Oh, questi mi piacciono! Coldplay!” Esclamò contento. Poi arrossì, sotto il suo sguardo inquisitorio. “Se non sai dov’è il tuo lettore mp3… beh, ce l’ho io. L’ho ascoltato, tipo… un po’.”
“Questo è molto romantico. Da ragazzina, oserei dire.”
“Va’ all’inferno!”
“Già fatto.” Gli mise una mano sulle labbra, quando provò a scusarsi. “… e mi è servito. Vieni qui.”
Al fece un sorrisetto e senza togliersi le cuffie si sporse a baciarlo. Dovevano proprio piacergli i Coldplay. Fu un bacio casto, e morbido. Non ne fu particolarmente soddisfatto, ma c’era tempo.

Ce ne sarebbe sempre stato d’ora in poi.
Lo acchiappò per la vita, e lo ribaltò sul letto, facendolo ridere. Lo fece in modo che dopo poco Al, per evitare di stare scomodo, fu costretto a accocolarglisi contro.
“Possiamo usare un engorgio? Il letto è troppo piccolo!”
“No.”
“Pervertito, lo fai solo per palparmi…” Borbottò, avendo cura di passargli le mani lungo il petto e dietro la schiena. Tom sogghignò. 

Perché tu no?
“Domani c’è una rassegna di poesie al caffè di mia madre. Vieni?”
Al inarcò le sopracciglia, alzando la testa dal suo petto. “Beh, non capisco granché di poesie babbane. Lo sai che non sono quel genere di ragazzo…”
“Ma sei il mio ragazzo.” Fece una pausa, in cui si divertì a contare i secondi in cui Albus da roseo diventò di nuovo paonazzo, specialmente quando gli rimarcò il fatto passandogli le mani sul sedere. Aveva la pelle meravigliosamente trasparente. “Devi venire.”

“Non devo lavorare all’ospedale, quindi… okay.” Lo squadrò meditabondo. “Cos’è, non vuoi restare solo con tutti quei babbani e quelle ragazze?” Lo prese in giro.
“No… ma potrebbero esserci ragazzi. Whitman, l’autore, era omosessuale. È una discreta icona gay.”

Ci fu una breve pausa in cui sentì le dita di Al artigliargli la maglietta del pigiama con la gentilezza di una Veela inferocita. “Verrò.”
“Lo supponevo.”
“Stupido stronzo!” Si sentì apostrofare, mentre finalmente riusciva a togliergli le cuffie. Nel tempo che si sporse per metterle sul comodino, si sentì nuovamente strattonare sul letto e poi Albus lo baciò così appassionatamente che quasi gli diede una testata.

“Ahi.”
“Tom, rovini l’atmosfera!”
“Mi hai quasi rotto il naso.”
“Sei un insopportabile lamentoso…” Si lamentò,  facendolo ridacchiare. Seppe con certezza, in quel momento, che quella notte avrebbe dormito bene. Gomito ossuto di Al conficcato in parti tenere del suo corpo o meno.
Tom poi gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. “Ho fatto un sogno.” Esordì, ma non c’erano connotazioni romantiche. Il sogno di prima l’aveva lasciato… perplesso.

Non angosciato, quello no. Ma era stato un sogno… straordinariamente chiaro, reale. Gli incubi che aveva avuto l’anno prima a causa del medaglione era stati molto diversi.
Al batté le palpebre, curioso. “Che sogno?”
“Ho sognato di entrare in quel castello. Quello a Putgarten, nella foresta vicino a casa di…”
“Meike e Cordula?” Ci rifletté. “Beh, era… era un incubo?”
“No…” Si stese accanto a lui, puntellandosi con un gomito. “Non direi. Sono arrivato fino all’ingresso. Poi mi hai svegliato. Ma non era angosciante.”

Lanciò uno sguardo sul muro di fronte a sé, casuale. Rimase sorpreso quando si accorse che l’unico ornamento presente, una foto incorniciata che si era fatto sviluppare da Robin, ritraeva una scogliera calcarea simile a quella di…
Rügen…
Non ci aveva più pensato a quella foto, ma davvero assomigliava ai panorami che aveva ammirato sull’isola. Solo una coincidenza?
È pur sempre un luogo turistico molto battuto. 
“Dici che vuol dire qualcosa… quel sogno?” Lo riscosse Al.
Tom rifletté. “I sogni possono voler dire tutto o niente. Probabilmente in questo caso è niente.” Sospirò. “In tutta franchezza, non sono dell’umore adatto per farmi domande del genere.”

Al ridacchiò. “Beata ignoranza quindi? È strano sentirlo dire da te.”
“Pensavo più al beato oblio.”
Al gli si spalmò di nuovo contro, con una grazia che Tom sospettava avesse solo in rarissimi momenti… di grazia, appunto. “Mmh.” Gli disse, perché non era tipo da avanzare proposte. “Quindi dormiamo?” Chiese con le orecchie curiosamente paonazze.
“Ce l’hai la bacchetta?”
“Beh… sì?”
Io no.

Ma non voleva pensare a quello in quel momento. “Incantesimo silenziante.” Disse.
“Quindi non dormiamo.”

Tom lo ribaltò di nuovo sotto di sé. Quel letto avrebbe avuto una lunga nottata. “Giusta osservazione, signor Potter…”
 
 
****
 
Germania del Nord.
Notte.
 
Sören si appoggiò alla sedia. Era una robusta sedia di legno intarsiato che faceva da pendant con la scrivania di quercia. E pure con il calamaio.
Non c’era nessun dettaglio lasciato al caso nella vita di un Hohenheim. Tutto doveva esprimere classe, nobiltà, austerità.
Si sgranchì le dita per forse la ventesima volta. Meditò di prendere un altro bicchiere di vodka incendiaria, la cui bottiglia silente e panciuta era sulla mensola del camino, ma lasciò perdere.
Non aggiungiamo l’alcolismo al carico misero della mia esistenza.
Lo scoppio di un ciocco nel camino gli fece prendere finalmente la decisione di intingere il pennino nel calamaio e vergare i primi centimetri della pergamena. Si era esercitato a lungo per imitare la scrittura sgraziata e largheggiante del suo omonimo.
Dopo molti tentativi, c’era riuscito.
 
Cara Lily,
Ho buone notizie. Quest’anno, finalmente, potremo vederci…
Infatti quest’anno si terrà il Torneo Tremaghi.
 
 
Sospirò e poi appallottolò con frustrazione il foglio, squadrando la foto della ragazzina posata sulla pila di lettere.
Doveva essere una di quelle popolari a giudicare dal largo sorriso solare, sicuro di sé e senza un’ombra.
Come poteva capirla? Come poteva avvicinarsi senza essere smascherato?
Come poteva farle credere di essere suo amico?
E soprattutto, quello avrebbe fatto in modo da ridare Thomas alla Thule?
Fece una smorfia e spianò la lettera.

Non era questione di potere, o farsi domande: doveva. Perché erano ordini.
E gli ordini vanno eseguiti, Sören…
Represse un brivido mentre vari punti dentro e fuori al suo corpo bruciavano. Distolse lo sguardo dalle fiamme del camino e riprese a scrivere.

Lui non aveva mai sorriso così, comunque.
 
 
****
 
 
Note:
 
1. Qui la canzone. Ah, i Coldplay. T_T
Ah, la favolosa Eleazar81 si è cimentata in una nuova meravigliosa fan-art. Brotherhood. Lasciatele un commentino, se vi va.
  
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