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Autore: Guardian1    10/09/2010    2 recensioni
[Completa, riveduta e corretta.]
Sono passati tredici anni dagli eventi di Final Fantasy IX, ed ecco che la vita di Eiko Carol viene stravolta di nuovo da un nemico creduto morto da tempo. Che cosa può fare una ragazza sola per cambiare le cose?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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capitolo otto
del fermarsi



Let
me keep fury
to stay against
pain; if it
is given me
to learn I mean
to know it all
the way, to bear
it like a woman.


Fammi
trattenere la rabbia
per contrastare
il dolore; se mi
viene dato per imparare
voglio conoscerlo
fino in fondo, per
sopportarlo
come una donna.


- phillip booth



Mia madre una volta mi aveva detto che odiare era come essere innamorati. Era lo stesso scricchiolio del cuore, lo stesso calore alle guance, lo stesso dolore lancinante che persiste in corpo e sfrigola le giunture degli organi; ma ciò che provavo io era freddo come un pezzo di ghiaccio, che si ispessiva e si muoveva dentro di me crepandosi sempre di più ogni volta che lo guardavo.

Avevo letto le favole. Il giovane che scompare poi cresce e diventa il forte, vigoroso e bellissimo principe; è nobile, un salvatore, ha i muscoli guizzanti e una lunga chioma liscia di capelli color carbone che ti scorre tra le dita come acqua. Non diventa un lurido pazzo sporco di sangue e scurrile con i capelli unti e gli occhi da mentecatto che sui tralicci del tetto alterna pianti a canti stonati e rotti che a stento sono comprensibili e che parlano di ricordi. Se anche lo facesse, il giovane principe non dimenticherebbe il testo inserendo parole a casaccio a metà strada.

Poi, magari, la bambina tratta in salvo dai pericoli del deserto diventa di solito una libera, bellissima principessa. È pudica, gentile, e ha la pelle chiara come farina di riso. Non ha i capelli corti, non è un’ingegnere spigolosa tutta ossa e zero curve che traccia calcoli matematici nella polvere con la punta delle dita.

Non avevo la minima idea di come comportarmi in quei giorni, nelle settimane che seguirono il ritrovamento del dolce maghetto della mia infanzia nell’assassino dagli occhi animaleschi del presente. Ero smarrita e lui lo sapeva; si crogiolava nella mia confusione. Scappare? Avrei potuto; avevo ancora la mia bacchetta, e se c’era abbastanza potere in me da richiamare una Trance allora ce n’era pure per evocare Fenril in mio soccorso. Ma una cosa del genere avrebbe significato lasciare Rain e gli altri, e avrebbe significato lasciare Vivi.

Non sapevo cosa volesse dire lasciare Vivi. Forse significava abbandonare la vendetta nei confronti di un traditore e un omicida. Forse significava disertare il capezzale di un uomo perso. Forse significava entrambe le cose.

A volte posavo lo sguardo fuori dalla mia finestra e piangevo; in quelle occasioni mi ripetevo caparbiamente che era tutta colpa del ciclo, che i miei ormoni erano armati e ruggivano in compagnia dello stress. Però il mio ciclo ormai era irregolare e scarso; poteva andare bene un mese, e poi mancare quello successivo, e poi piegarmi in due dal dolore in quello dopo ancora, mentre Tide e Sunny cercavano affannosamente una cura alle erbe. Mi sentivo sgualcita, fuori forma.

Principe? Era più che altro un demone, uno spirito furioso che mi costringeva a ballare una danza vivace senza che io potessi reagire in alcun modo: un classico. Non ci andai piano. Volevo potere. Volevo rompergli ripetutamente qualcosa in faccia, volevo farlo sparire, volevo farlo tacere, volevo immobilizzarlo. Muori, Tango, muori-

Era sempre a Tango che auguravo la morte. La prima volta che assaporai la parola muori accostandola al suo nome mi si gelò il sangue nelle vene; desideravo che Vivi morisse?

Ero sentimentale e stupida e non potevo farci niente.

Oh, le favole. Eccovi il vostro principe e la vostra principessa. Lunga vita al Re dei Mostri e alla Regina della Disperazione!

Posso riavere quei libri, mamma?



« Come ti ha creato? » chiesi un giorno.

Eravamo in cucina. Lui stava appollaiato come un corvo sul tavolo dove mangiavano i maghi neri; passava dal Tango coperto di cenere al Vivi dal volto perlaceo con lo stesso atteggiamento veloce e confusionario con cui mio padre si toglieva e rimetteva gli occhiali quando si svegliava strano. Rain ci aveva preparato il pranzo. Io accarezzavo la mia zuppa col cucchiaio, mentre lui mangiava la sua direttamente dalla scodella. Tra di noi cadde un lungo silenzio; sembrava titubante su cosa dire, e in quel periodo stavo perdendo la mia capacità di giostrarmi con le parole. Comunicavamo, ma eravamo monotematici.

I suoi occhi si illuminarono; era umano, almeno in quell’istante, e riuscii a scorgere i suoi enormi occhi d’oro da sotto il cappello. (Mangiava come un maiale. Faceva rumore mentre beveva, e di tanto in tanto emergeva una lingua rosa a leccargli la crema verde dai contorni delle labbra. Era disgustoso.) Completamente esposto alla luce, aveva gli occhi più strani che avessi mai visto: svelavano un colore viola, l’ambra della sua forma da mago nero cedeva il passo a quel profondo, bellissimo viola dei fiori dei prati. L’avevo già visto, quel viola. « Linden-bloom, sapevi che la pelle contiene delle annotazioni? Se ti graffiassi il braccio, anche poco, potrei usare la pelle che ne ricaverei per far crescere piccoli pezzi di te in un piatto. Kuja aveva diversi figli-piatto. Io sono stato il quarto, tesoro. »

Quarto. Valzer Nero numero Uno, Valzer Nero numero Due, Valzer Nero numero Tre. E poi Vivi.

« Se ti coltivassi, poi avrei una nuova Eiko Carol, piccola e luccicante. » Mi squadrò, con fare calcolatore. « Potrei avere una piccola Eiko bambina se lo volessi. Tutta per me. I tuoi capelli di quand’eri bambina, la tua faccia di quand’eri bambina… »

Io rabbrividii.

« … i tuoi raccapriccianti vestiti di quand’eri bambina… »

« Che cosa? » Sollevai lo sguardo, infuriata. « Cosa avevano di male i miei vestiti? Me li sceglievano i miei moguri. »

« Si vedeva » ribatté ambiguamente Vivi prima di bere un altro sorso della sua zuppa. Immerse un dito con tutto il guanto per acciuffare un pisello spiaccicato; mia madre sarebbe svenuta. « Giallo, Carol? Una salopette gialla senza la parte frontale? »

« Sei veramente una creatura di Kuja » sbottai. « Schifoso bastardo. »

Come se lui potesse parlare. E poi cosa c’era di tanto brutto nei miei vestiti? Garnet se n’era andata in giro con una tuta senza maniche del colore delle arance marce, e nessuno aveva mai avuto nulla da ridire su di lei.

Lui si strinse nelle spalle, sogghignando; mi ero irrigidita, in attesa forse di un piatto lanciato alla testa. Invece le sue ali palpitarono mentre le risistemava dietro la schiena.

« È così che hai fatto i maghi neri? »

Shiny, Sun e Tide stavano pulendo pentole tutti vicini nel fondo della stanza, il più lontano possibile da noi. Le espressioni agonizzanti con cui di solito mi guardavano ogni volta che sbraitavo contro il loro Signore mi straziavano il cuore; il modo in cui le loro mani tremavano quando mi picchiava faceva ancora più male. Tide stava asciugando una padella, e le sue mani si stavano afflosciando; gli era venuto mal di schiena, nell’ultimo periodo, e avevo notato che spesso gli altri gli massaggiavano furtivamente le spalle da sopra al cappotto doppio. A giudicare dal modo in cui Tango spintonava indiscriminatamente i suoi bambini per i corridoi, ero sorpresa che gli facesse male solo la schiena.

È buffo. Quando ero arrabbiata con lui, per me era sempre Tango. Quando – quando dentro di me mi accorgevo di non essere arrabbiata – solo allora poteva essere Vivi.

Ci fu un lungo silenzio. Vivi – così diverso, nuovo, strano – rivolse lo sguardo alla sua zuppa, come se fosse una palla di cristallo. Non sapeva come svuotare d’espressione i suoi lineamenti; il suo viso si contrasse, trasformandogli la fronte in un reticolato di rughe di preoccupazione prima che la collera cedesse il posto alla – rassegnazione? « No. »

« Come- »

« Fai domande stupide, Carol » mi interruppe bruscamente. « Non ripeterle più. »

« Io faccio ogni stramaledetta domanda che mi pare, e lo sai anche tu. »

Il mago rise; nonostante ridesse di frequente, non lo faceva quasi mai perché era divertito. Ogni tanto rideva di me come se gli facessi ridere sul serio, come se mi reputasse una barzelletta esilarante, e non sapevo mai se ridere insieme a lui o spezzargli subito le rotule con qualcosa di pesante approfittando della sua distrazione.

Portò la scodella alle labbra, prosciugando quel che rimaneva della zuppa prima di rimetterla sul tavolo. Con le mani vuote, dopo poco prese a muoverle e si tolse il cappello per pungolare qualche buco sul bordo di cuoio. Ora potevo vedergli pienamente il volto, e le profonde cicatrici infiammate che glielo solcavano da orecchio a orecchio, dalla fronte al mento. Aveva ancora qualche graffio rosso dalla volta che eravamo saltati fuori dalla finestra. Il nastro che gli legava i capelli era solitamente molto stretto, ma le pinze che doveva essersi messo stavano cedendo da settimane. La coda di cavallo era sprofondata all’altezza del collo, e lunghe ciocche morbide, sudicie e grasse gli sfioravano le guance. Non avevo idea di quale dovesse essere il colore originale; erano castano chiaro come una macchia di caffè, e avevo la sensazione che in origine non fossero così.

Finii anch’io il mio pasto, incapace di staccare gli occhi dai suoi capelli. Sciolti e arruffati com’erano stavano riprendendo rapidamente la loro piega naturale; c’era persino una grossa ciocca soffice in cima che stava prendendo le sembianze di una cresta.

« Senti » esplosi, finalmente. « vieni qui. »

Vivi sbatté le palpebre come un uccellino. Aveva delle ciglia lunghissime e trasparenti. « Linden-bloom? »

Per essere l’uomo che mi aveva scaraventato dall’altro lato della stanza senza preavviso, fu docile al mio tocco. Lo strattonai giù dal bancone, le mani ferme sui suoi polsi; con i maghetti completamente sconvolti a guardarci, lo trascinai dall’altra parte della cucina, verso la pompa dell’acqua. « Da quanto tempo non ti lavi i capelli? Fermo, scommetto che non ti lavi – ma quanto tempo è passato da quando ti è piovuto addosso? Oh, santi numi, siamo in un deserto, direi mai- »

Cominciò a starnazzare immediatamente come una cornacchia patetica, come un uccello marino terrorizzato. Lo ignorai, sbottonandogli il cappotto di cuoio e buttandolo a terra con disgusto. « Carol! No- »

Pinze? Quali pinze? I suoi capelli erano talmente untuosi che si reggevano da soli. Afferrai il nastro scricchiolante e lungo chissà quanto e iniziai a srotolarlo dal nodo. « Ma è disgustoso. » Finalmente lo sciolsi; me lo lanciai alle spalle, inorridita, e il pasticcio di capelli gli scrosciò giù sulla schiena, in mezzo alle ali. Scoloriti, scarmigliati, ingarbugliati oltre l’ingarbugliabile, assomigliavano a un cespuglio di rovi e gli arrivavano fino alle ginocchia. Provai a infilarci un dito, ma era impossibile pure quello. Arricciai il naso. « Avete delle forbici? »

« Eiko! »

Qualcuno frugò in un armadio; in un battibaleno, Shiny me ne porse un paio luccicante e affilato. Tango gli recapitò un’occhiataccia, e il mago si ritirò nel suo angolino. Infilai di nuovo le dita, stavolta con maggiore ferocia; Vivi provò a girarsi per vedere quello che stavo facendo, ma era troppo tardi: avevo già afferrato una grossa manciata della sua zazzera.

Alla mia forbiciata a un paio di dita al di sotto delle sue scapole seguì l’elaborato rumore di qualcosa che si lacera, e metri di capelli bianchi caddero al suolo.

« Ecco. Così va già meglio. » Per tutta risposta lui aprì e richiuse la bocca come un pesce. Prima che potesse riprendersi, io abbassai la manovella della pompa e gli spinsi la testa sotto il flusso di purissima acqua fredda. Lo osservai con notevole soddisfazione mentre sbatteva convulsamente le ali e emetteva grugniti incoerenti.

Anche i maghi osservavano lo spettacolo assolutamente attoniti. Avevano smesso tutti di lavare le pentole. Feci loro un cenno allegro del capo.

« Sunny? Amore, mi passi il sapone? »

Lo tirai via dal getto, ma lo costrinsi a tenere la testa bassa per passargli una più che gradita saponetta tra i capelli. Canticchiai perfidamente mentre gli pettinavo i nodi meno mostruosi di prima con le dita; lui stramazzò lentamente in ginocchio, bagnandosi i pantaloni. Penso fosse in stato di shock.

« Ho una mezza idea di farti un bagno » Non aveva i pidocchi, per fortuna, ma era davvero una delle persone più sporche che avessi mai incontrato. Mentre lo strofinavo con il forte sapone da cucina, mi pareva quasi di averlo immerso nella calce. La sua pelle chiara si schiarì ulteriormente quando lo pulii furtivamente dietro le orecchie, sentendomi un po’ mia madre; era bianco come il ventre di un pesce morto. Bianco su bianco. « Non riesco a crederci. Sei sporco da far schifo. »

« Sapone » si lamentò lui debolmente, come se fosse appena sceso dalla sedia elettrica. « Negli occhi. »

« Sciocchezze! » Era un castigo profondamente primordiale, e all’improvviso ricordai il perché. Era capitato tantissime volte che, nei vecchi giorni delle nostre avventure, Garnet e Freija avessero fatto il bagno a me. Lo trovavo molto ingiusto, dato che i bagni erano delle torture e la Principessa di Alexandria si prendeva particolare cura delle mie ginocchia.

Vivi invece non si doveva mai fare il bagno. Un paio di volte mi ero offerta di farglielo io, ma lui se ne scappava sempre urlando: « I maghi neri non si FANNO il bagno! »

Col cavolo che non se lo fanno. Eh, eh, eh.

Si voltò bruscamente fino a spostare la faccia al livello del mio stomaco, allontanando le ali dal freddo pungente dell’acqua. Cercò di pugnalarmi con un’occhiataccia torvissima. Io mi limitai ad abbassargli la testa e a radunare un po’ d’acqua tra le mani per sciacquare via il sapone. « Non ti senti meglio, pulito? »

Ci fu un gorgoglio. Con tutta probabilità, si trattava di un “no.”

Gli strizzai allegramente i capelli, liberandogli il collo del loro peso. Aveva un bel collo, ora che era pulito. In generale era cinquanta volte più gradevole, adesso, e profumava un po’ di sapone. Mi domandai di colpo perché l’avevo fatto; aveva coinvolto troppo contatto, mani calde, acqua fredda e sapone sulla pelle. Indietreggiai e lui si raddrizzò, rizzando le ali e fissandomi ancora con qualcosa di molto vicino allo sgomento.

« Perché l’hai fatto, linden-bloom? »

« Avevi i capelli sporchi. Adesso sono abbastanza carini – dovresti vederti allo specchio. »

« Non ci sono specchi, qui. »

« Beh, i tuoi capelli sono quasi bianchi. » Afferrai una ciocca bagnata e gliela portai davanti agli occhi. In silenzio, lui non mi fermò. « È un miglioramento. »

« Perché mi guardi? »

Ci fissammo. Mi si stavano accaldando le guance. Non riuscivo a capire perché mi stesse guardando in quel modo, come se lavargli i capelli fosse stato un gesto più significativo di quanto non lo avessi inteso io. Disegnò lentamente una linea umida e calda dalla mia tempia fino al collo, fermandosi sulla vena alla gola e premendo il dito sul mio battito. Il suo tocco scottava.

Improvvisamente, tremai; rossa di rabbia e di vergogna, scacciai la sua mano e feci un passo indietro. « È difficile camminare a occhi chiusi. »

« Signore? » Una voce interruppe la tensione fredda; era Shiny, esitante, incerto. « Dobbiamo far sdraiare nostro fratello? »

Tide si stava dondolando avanti e indietro, oscillava, come se non riuscisse a stare in equilibrio. Immediatamente in ansia, accorsi subito da loro, allontanando Tide da Shiny e Sun e desiderando con tutta me stessa di poter mettere una mano sulla sua piccola fronte, dovunque si trovasse. « Stai bene? »

Domanda stupida. Certo che no. « S-sì » balbettò. « Ho solo – le vertigini, Eiko- »

Perché Vivi se ne stava lì impalato? Che stronzo. Insinuai la mano in quella del mago nero. Anche attraverso tutti quegli strati di vestiario, era un po’ troppo freddo. « Vieni, angelo, siediti. »

« Lascialo. » Tango. Si era ritratto nella sua forma da mago nero così in fretta che appena me ne resi conto, schiacciandosi il cappello sulla testa prima di raggiungerci in un baleno. C’era una strana sfumatura nella sua voce, monotona, scolpita nel ghiaccio. « Dallo a me- »

Con mani impetuose buttò quasi per l’aria me, Sun e Shiny, e avvicinò Tide a sé prima di sedersi sul pavimento con un tonfo privo di grazia. L’adorazione negli occhi del maghetto era identica a quella che si accendeva in tutti gli altri quando il Signore mostrava loro anche solo un briciolo di amorevolezza. Appoggiò la testa sulla spalla di Tango che, dal canto suo, cominciò a cullarlo, lentamente. « È tutto finito » cantò, sommesso. « Presto sarà tutto finito. »

Incapace di stare lontana, strisciai verso di loro. Gli altri due mi seguirono subito, trotterellando dietro di me. « Che vuoi dire? » chiesi, turbata. « Che cos’ha che non va? È malato? »

Lui mi allontanò con una mano, veloce come un lampo, e mi avrebbe sicuramente colpito sulle ginocchia se Sun e Shiny non mi avessero strattonato indietro in tempo. Non alzò lo sguardo nemmeno per guardarmi cadere sul sedere; aveva gli occhi fissi in quelli di Tide. I maghi dietro di me tremavano, in maniera quasi convulsa. Stavo iniziando a spaventarmi; Tango stava accarezzando delicatamente la spalla di Tide mentre lui gli si curvava in grembo, disegnava cerchi su cerchi col pollice. « È quasi finita. Poi potrai dormire. »

Tide sorrise, gli occhi ridotti a due mezzelune felici, sdraiato mollemente su di lui. « Grazie, padre. »

Fu come se le sue luci si fossero spente; i suoi occhi – i suoi occhi sibilarono, come quando si butta l’acqua sul fuoco. Prima scintillavano come pezzi incandescenti di carbone, poi non ci fu altro che buio. Era la prima volta che vedevo qualcuno Fermarsi, e un urlo incredulo mi uscì dalla gola. La mano di Shiny si serrò con più forza sulla mia quando cercai di scagliarmi su di lui.

« No! » mi disse, e le lacrime che gli risuonavano nella voce mi spezzarono il cuore. « Fermati, Eiko, dev’essere ancora- »

Si zittì quando strillai per l’orrore. Tango aveva affondato la mano dentro la faccia senza vita e senza occhi di suo figlio; sibilava, tirava, torceva, e il suo braccio risplendeva come se aggredito dalle lucciole. Alla fine, trovò quello che cercava.

Madre, madre, non ha mai avuto una madre, avrei voluto fargli io da madre ma non saprei come fare la madre nemmeno se mi si regalassero diamanti – mamma-

Vivi strinse la mano inguantata su qualcosa, plasmandolo con le dita. Era già in piedi e stava andando via, le ali chiuse vicino al corpo. Lasciò la cucina. Solo allora Shiny e Sun mi liberarono; lo seguirono.

Io caddi in ginocchio accanto a quello che era rimasto di Tide – i suoi vestiti, principalmente; e mi dondolai avanti e indietro, gridando.



Era davvero come fermarsi. Fermarsi. Ora capivo perché l’avevano chiamato così. Un motore che si disattiva. Un momento prima era lì, il minuto successivo le luci erano sparite. Sapeva così tanto di fine.

Il mio cuore si ruppe ancora, e con le crepe di prima non era rimasto quasi più niente per ricostruirlo.

Poveri piccoli maghi, sempre buonissimi con me.

Poveri, poveri piccoli maghi. Oh, Tide. Un giorno sì, e poi non più.



Riuscii a singhiozzare solo per cinque minuti, ma bastò. Raccolsi il suo cappello, caldo e spesso tra le dita, e poi corsi fuori dalla stanza con la velocità concessami dai piedi scalzi; in qualche modo, mi condussero all’ala della sezione ovest della Reggia, verso la porticina nel buio, e le vetrate colorate mi macchiarono ancora una volta la pelle lungo il tragitto. Una era ancora rotta; un soffio d’aria calda mi bagnò quando le passai davanti.

L’erba era ancora di quel verde intenso e sfavillante. Sun e Shiny erano all’ombra del primo degli alberi dagli strani frutti; con loro c’erano anche altri, ora. Riuscii a riconoscere Cloud. Tango Nero era rannicchiato in cima all’albero come un corvo maledetto; nero su verde. Tra le mani teneva un bellissimo frutto blu brillante, e lo stava riponendo sul ramo più alto.

Quello era Tide?

Mi avvicinai ai piedi dell’albero. Shiny mi guardò, e poi si mosse per offrirmi le sue spalle; vi salì sopra e mi appesi al primo ramo. Gli alberi avevano un odore familiare, che mi sembrava di aver già sentito; la mia mente accelerò mentre mi arrampicavo, attenta a non disturbare i frutti quando la mia pelle li sfiorava. Pensa, Eiko, pensa-

Ci sei salita insieme a loro, ti sei raggomitolata alla sua base. L’hai guardato mentre richiedeva Gidan per quella che credevi sarebbe stata l’ultima volta. Un antichissimo paradiso tra le pianure del deserto che vomitava Nebbia-

Piccoli alberi di Iifa. Raggiunsi la vetta, la mia testa affiorò accanto a lui. Mi ero spellata sulla corteccia e ansimavo; lentamente, porsi il cappello a Vivi.

Lui lo prese, e se lo rigirò all’infinito tra le mani.

« È di questo che sono fatti i maghi neri, linden-bloom » bisbigliò all’improvviso. « Vestiti, polvere e anima. » Un dito ammantato di cuoio toccò la parte frontale della sfera, bella come un gioiello. « Non sono mai riuscito a creare un guscio di carne per loro, piccola mia. Quando ci ho provato, sono nati gli un-due-tre, i Valzer, orrendi e atroci e li ho schiacciati subito tra le dita. No, Carol, questi sono i materiali dei miei figli. » Se la cullò in una mano, e cominciò a ridere. « Il frutto delle mie mani. »

Rise, e rise; e poi singhiozzò. Posò il cappello sulla punta dell’albero, e mi asciugò le lacrime dalle guance calde e sporche di polvere.

“Voglio fermare questo processo, amore. » Il mago si tolse il cappello, e tornò ad essere Vivi: era di nuovo la morte in mezzo alla vita, bianco, sorridente, e gli occhi dalla parte sbagliata della follia. « Fermerò tutto. Niente più lacrime, niente più morte. Adesso mi odi ancora così tanto, Eiko Carol? Adesso che hai visto cosa diventano i miei bambini, dopo pochi anni? Lui sapeva che stava per morire. Sapeva che stava per morire dal momento in cui è nato. È troppo chiedere un mondo dove posso avere dei figli, e dove i miei figli possono avere dei figli, e non degli scheletri appesi agli alberi? »

È sbagliato, Vivi mi morì sulle labbra. Con gli occhi che pungevano incontrai i suoi, agguantai un paio di rami e provai ad avvicinarmi a lui meglio che potei. « Non ti aiuterò a distruggere il mondo. »

« Di quella parte posso occuparmi io, linden-bloom. Me ne occupo io. »

« Lascia che pensi a qualcosa di meglio. » Mi tirai su, sul ramo vicino al suo, poggiando i piedi sul legno duro. Ero quasi due teste sotto di lui, e lo fissavo in volto; i suoi capelli erano ancora umidicci, qualche ciocca color crema gli si arcuava sul viso. Ero disperata. Devo farlo, devo farlo, ti prego- « Lascia che ti aiuti. »

« Imparerai anche tu, mio cucciolo » La sua voce era infinitamente triste. « Che potremo avere una foresta nuova solo bruciando gli alberi vecchi. »

« Dev’esserci un altro modo. Un modo migliore. » Mi leccai le labbra. « Tide non avrebbe mai voluto che delle persone morissero per il suo bene, e lo sai anche tu, Vivi Ornutia. »

« Un altro modo? Migliore? » E stava ridendo di nuovo, una risata fredda e limpida. « Se ne trovi uno, sarò lieto di ascoltarti, linden-bloom. Tagliati la testa e dimmi che idea ne vien fuori. Imparerai presto. »

Aggrottai la fronte, e iniziai la discesa. Dopo poco lui cominciò a guaire, urlando tutto il suo tremulo dolore, e i maghi neri sotto la pianta emisero piccoli suoni dolci insieme a lui. Io riuscii a fare solo il ruggito di un drago morente, il ringhio di dolore di un animale strozzato.

E poi me ne andai.



Come la maggior parte delle risposte, mi giunse nel cuore della notte, mentre non riuscivo a dormire.

Rimanevo spesso insonne a cercare di sentire, quelle notti. Nei primi giorni, volevo sentire Fenril, Carbuncle, Fenice. Volevo essere salvata dai miei spiriti d’evocazione. Non sapevo come salvarmi da sola. Quando avevo avuto finalmente i mezzi per farlo, non ci ero riuscita. Ero stata risucchiata troppo a fondo in quel mondo, in quella situazione. Lacrime sul cuscino per Tide. Lacrime sul cuscino per Vivi. Lacrime sul cuscino per me.

Mio nonno mi aveva detto che uno sciamano è collegato ad ogni cosa. Gli sciamani dei tempi antichi erano temibili e potenti; alle loro Chiamate non rispondevano solo i mostri del mondo. Quando si evoca, ci si trova come sull’orlo di un profondissimo abisso. E lo Chiami, Chiami il nome del tuo Eidolon, il nome che hai trovato scritto nel tuo ventre.

Non Chiami le cose senza nome. Ci sono molte cose in quello strapiombo, e se venissero Chiamate, strapperebbero le viscere del folle e le userebbero a mo’ di sciarpa appariscente.

Gli sciamani dei tempi antichi sapevano chiamare qualunque cosa avesse un nome.

Il pensiero mi accarezzò spontaneamente, e mi fece sudare le mani.

Eiko, sei pazza. No, ancora peggio, sei stupida. Ti sopravvaluti, proprio come ti ha sempre detto tuo padre. È come tentare di costruire un’aereonave senza possederne il motore. Non può funzionare, non funzionerà, e metteresti tutto in pericolo solo per egoismo, stupidità e stoltezza-

Io sono stupida, egoista e stolta! Fammi godere il mio momento!


Mi alzai; mi infilai la camicia da notte, che era grande, piena di bottoni e fatta di lino fresco. Avrebbe dovuto essere blu, ma nel buio era grigia, e nonostante sotto non avessi niente aprii la porta senza far rumore. Mi rimboccai le maniche fino alle spalle e scesi le scale.

Nemmeno lui era andato a dormire. Si trovava sulle travi del piano inferiore, e canticchiava dolcemente fra sé, stonato e inquietante.

« … nei miei ricordi più cari… »

I miei piedi non produssero alcun suono sul tappeto consumato dei gradini.

« … te lo ricordi che mi hai ucciso… »

I versi facevano sempre cagare.

« Vivi? »

« … credo ancora che tu sappia chiamare – Carol? »

La sua voce era ingrossata dalle lacrime, come se avesse pianto fino a quel momento. E probabilmente era così. Dentro di sé conteneva più lacrime di intere città, quasi ogni giorno, solo che invece di versarle gli ribollivano dentro e uscivano sotto forma di vapore.

« So come possiamo fare » dissi.

Non avevo gli occhiali; ai miei occhi lui non fu che un’ombra vaga che piombava dal soffitto finché non mi si avvicinò. Il suo viso era coperto, i suoi occhi erano i soliti spicchi d’ambra. « No che non lo sai, linden-bloom, non c’è nulla su cui non abbia riflettuto più e più e più volte. »

« Fammi evocare Trivia. »

Vivi mi fissò. Nessuno riesce a fissarti come un mago nero: grandi, lucenti occhi privi di pupilla che ti fissano senza lasciarti scampo. Poi scosse la testa, una volta sola, liberandosi della nebbia nera e togliendosi il cappello. Non si era ancora legato i capelli, e si erano finalmente asciugati; una ciocca corposa, ribelle e soffice si era alzata nel mezzo. Al buio, con gli occhi d’ambra tramutati in viola, era Kuja ridisceso in terra.

« Linden-bloom, non puoi. Non riesci nemmeno ad evocare i tuoi Eidolon. »

E lui questo come lo sapeva? « Dammi un po’ di tempo. »

« Carol, l’hai visto Tide sì o no? Il tempo non è una cosa che abbiamo. »

« Sei mesi » supplicai, disperata. « Posso farcela se mi dai sei mesi. »

« Non sai più evocare e pensi di riuscire a portare qui colui-che-divora in un paio di mesi? » L’espressione di Vivi era piattissima. « Non essere sciocca, Eiko, ti facevo più intelligente. »

Io pestai il piede, perdendo la calma. « Tango, un tempo ero una delle più potenti sciamane di Gaya! Ero più forte persino di Garnet, e lo sai anche tu! Ed ero solo una bambina! Sì, wow, ora ho perso il mio potere. Ma indovina un po’? Sono stata un pochino-ino stressata di recente! Se dico che faccio qualcosa lo faccio, e lo evocherò! Per cui non osare mai più darmi della sciocca! »

« Come puoi anche solo pensare di potercela fare? »

« Lui ha un nome » spiegai, cupamente. « È stato abbastanza stupido da dircelo. »

Lui si mordicchiò il labbro inferiore. Si era screpolato di nuovo, e sanguinava. Qualche ciocca bianca gli nascose la fronte, alla luce della luna; le scansò con una mano per togliersele dagli occhi. « … Cinque mesi, linden-bloom. »

« Sei. »

« Quattro. »

« Vivi! »

Indietreggiò, tornando nel buio; il suo viso ben definito, quasi duro e spigoloso, fu oscurato da un’ombra. Vivi era molto più vorace, slanciato e sgraziato di Kuja, che aveva addolcito i propri lineamenti fino a renderli deliziosi a forza di trucco, ciglia lunghe, guance incipriate e labbra di rugiada che non si sarebbe mai permesso di mordere.

« Cinque » ripeté dopo un po’ in un tono che non ammetteva repliche, prima di riavvicinarsi. « Eiko, evocheresti la Morte per me? La chiameresti e la combatteresti? Se fallisci, il prezzo che il mondo pagherà sarà lo stesso del mio metodo. Distruggerebbe tutto, e Gidan è troppo vecchio e rammollito per essere ancora l’eroe di Gaya. »

« Lo farò. » Alzai lo sguardo per incrociare il suo, lasciando cadere le braccia da conserte attorno ai fianchi. « Ma non per te, Vivi. Lo faccio per loro. »

« Tu lo fai per me » – E mi afferrò i polsi; prima che avessi anche solo il tempo di pensare, mi aveva premuto contro il suo corpo. Il cuoio dei suoi vestiti era freddo come la neve, e mi diede i brividi. Le sue labbra erano ancora più fredde mentre mi accarezzavano innumerevoli volte le guance. « E io ti ringrazio. » Allontanò la bocca da me, incollandomi gli occhi addosso. Mi diede un bacio su naso. « Grazie. » E un altro, sul mento. « Grazie. » E poi-

L’interno della sua bocca era molto più caldo delle sue labbra, un vero inferno. Era stato tutto troppo repentino perché potessi ricordarmi di chiudere la mia. Sapeva di sangue e di lingua e di un qualcosa che poteva essere tanto vomito quanto zucchero; le sue mani strinsero tanto forte le mie braccia che le sue dita divennero lividi e la sua bocca una preghiera. Mi spinsi via da lui con veemenza, troppa veemenza, e slittai all’indietro fino ad atterrare sul freddo pavimento di mattonelle. Era come se la gola mi si fosse riempita di aghi; mi rimisi in piedi, e sputai come una bambina piccola.

Nemmeno mamma si era mai drizzata in piedi con una tale freddezza e una tale dignità. « Non ti ho ancora perdonato, né penso che lo farò mai. Quindi non baciarmi mai più, Tango Nero, o m’impadronirò delle tue maledettissime rotule. »

Non lo guardai negli occhi. Mi fiondai in camera mia, serrai la porta a chiave, e mi trascinai nel letto tra i singhiozzi isterici.

Mia madre una volta mi aveva detto che odiare era come essere innamorati. Non ho la più pallida idea di che cosa abbia provato lei.





Note della traduttrice: dove io ho tradotto “non ci andai piano” l’originale è: “I did not go gently.” : D
   
 
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