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Autore: LeanhaunSidhe    11/09/2010    1 recensioni
"I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi" Con questa frase si dice che una semplice donna riuscì a entrare nel cuore di Death Mask
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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“Mai stato così felice di vederti, principessa.”

Cancer lo derideva paragonandolo all’eroina di una fiaba, una di quelle per bimbette, che finiscono bene. Quella volta era tremendamente sincero, stanco.

Aphrodite finse di ignorare il fatto che la abbracciasse e il sentimento rivelato con quel gesto. Si soffermò a osservare entrambi. Era certo di quello che aveva visto. Non era stupido.

“Che legame c’è tra questa ragazza e il tizio che ti ha attaccato?”

Il Cancro si irrigidì. Gli diede le spalle.

Da quando non erano più amici?

“Che c’è di così grosso dietro da doverlo nascondere persino a me?”

Aphrodite lo agguantò per il braccio. Lo costrinse a voltarsi. Si erano sempre detti ogni cosa, loro. Conoscevano segreti, l’uno dell’altro, che mai e poi mai avrebbero dovuto essere rivelati.

“Da quando non ti fidi più di me?”

C’era risentimento e offesa nella sua voce.

L’amico si decise a prestargli attenzione.

“Non è come le altre volte, tesoro. Quindi aria.”

Aveva enfatizzato le parole con un cenno del capo. Voleva che se ne andasse.

“Te lo sogni! Adesso parla!”

Sbuffò a quella prestesa. Mostrò di nuovo il volto, sfinito. Non aveva più voglia di scappare.

“Sono nella m. … Vuoi finirci con me? Poi non riuscirei a tirarti fuori.”

Il sorriso complice dell’altro lo rassicurò.

“Sbagli a considerarmi impedito come lo sei tu.” Soddisfatto, Pesci si era portato al suo fianco. Gli aveva posato la mano, delicata, sulla spalla. L’altro, come al solito, aveva sbuffato.

“Non mi toccare con quelle dita laccate da donna! Mi fa senso!”

Anche se quelle stesse dita maneggiavano fiori mortali.

Rispose col solito ghigno al sorriso etereo del compagno. Dopo poco, aveva iniziato a raccontare.

Aphrodite aveva sorbito delicato il vino rosso dal bicchiere di cristallo. Girava con una camicia di seta leggera, aperta sul davanti. Il ventre, glabro e perfetto, si intravedeva gentilmente. Era rimasto ad osservare le ultime gocce che si addensavano sul fondo trasparente.

“E’ fuori da ogni logica il tuo racconto. Eppure…”

La sua attenzione fu rivolta alla fanciulla, che dormiva beatamente, rannicchiata in posizione fetale, sul suo divano di pelle bianco.

“A me lei non sembra così agghiacciante. Magari, la tua Mnemosine è meno pericolosa di quanto pensi.”

Aveva sottolineato quel tua con una strana inflessione della voce, ma non ne fu colta la sfumatura. Decise di mostrarsi superiore a quella indifferenza.

“Avvertirai la Dea e gli altri cavalieri d’oro?”

Cancer inarcò un sopracciglio.

“Perché dovrei raccontare i fatti miei? Sono io in difficoltà, non quella cretina col sedere foderato di merletti.”

Il suo tono di voce era andato leggermente salendo. Il bicchiere da cui lui aveva bevuto era già vuoto da un pezzo. Si era passato una mano sulla faccia e poi tra i capelli.

“Io ho agito sempre e solo per me stesso. Gli altri non mi aiuterebbero, mai. Anzi, sono io che non accetto l’aiuto di nessuno di quegli ipocriti.”

Aphrodite tacque. Era consapevole che, qualsiasi parola fosse uscita dalla sua bocca, non sarebbe mai stata ascoltata. Tentò comunque.

“In ogni caso, il loro aiuto sarebbe utile. La dea ti proteggerebbe. Rimani sempre uno dei suoi paladini.”

Mentre parlava Cancer riuscì ad andare in bagno, passare dalla cucina, aprire una nuova bottiglia di vino e vuotarla fino alla metà.

Da tempo rassegnato a certe cafonaggini, il custode della dodicesima si era riempito da solo il proprio bicchiere.

“Cosa posso fare per te?”

Era serio. Una volta tanto lo fu pure il suo interlocutore.

“Proteggila fino a quando non torno.”

“E dove hai intenzione di andare, di grazia?”

Cancer scrollò le spalle.

“Dal bibliotecario, credo. Di vecchie leggende e stupidate simili è un esperto. Nei suoi vaneggiamenti troverò certo qualcosa.”

Aphrodite annuì distrattamente e sospirò. Mnemosine dormiva ancora e lui era rimasto solo.

Death Mask, curvo sulle panche della grande sala, decifrava i segni che aveva sotto agli occhi. Non gli era mai piaciuto studiare, ma era sveglio. Il greco antico lo aveva imparato subito, con una scioltezza che i suoi pari ancora gli invidiavano. Non lo sapeva declamare, perché era troppo rozzo. Ma pure con le pergamene più arcaiche, dove pure i sacerdoti avevano dubbi, lui intuiva il significato nascosto. Lui sapeva leggere tra le righe, svelare ciò che è celato.

Gli si era dipinto un sorrisetto particolare mentre avanzava nella storia. Non si accorse subito del piatto che gli era stato posto vicino.

Alzò solo un attimo il viso, seccato, verso il servetto tremante.

“Che c’è?”

“Mi manda il bibliotecario. Dice che ne avrete per tutta la notte e, così, mi ha incaricato di mandarvi la cena.” “Posalo e vattene.”

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e sgusciò veloce nelle ombre lunghe della sera che si facevano strada nell’ampio salone, in mattoni a pietra viva, illuminato solo da candelabri e bracieri.

Dalle finestre, immense, si potevano quasi toccare le stelle che brillavano in cielo. Il vecchio gli si avvicinò con passo stanco. Ci vedeva poco e si appoggiava a un bastone lavorato, col manico in avorio a formare una testa di nottola.

“Trovato ciò che cercate?”

Un mugugno con la bocca piena fu la risposta affermativa. Lo conosceva fin da piccolo e amava la sua mente brillante. L’aveva visto spesso rifugiarsi tra quelle mura. Era convinto che fosse il suo modo per sopportare la solitudine: quella di Cancer, di un ragazzo che vedeva i morti, era particolarmente difficile da sopportare.

Il vegliardo, avvolto nella sua tunica azzurro pallido, allungò il viso verso i fogli che allettevano tanto il lettore. Impallidì e quella reazione colpì il cavaliere.

“Ne sai qualcosa?”

Trasse per sé una sedia.

“Non molto in verità. Ci sono leggende più belle.”

“A me interessa questa.”

Si lisciò la barba. Esibì uno sguardo strano.

“Posso ardire a chiedervi perché? C’entra per caso la straniera, la ragazza che parla solo a voi?”

Cancer l’afferrò per il collo.

“Sono vecchio. Non temo la morte. E nella parte più scura di Ade ci finirei comunque.“

Boccheggiò.

“Farò in modo di rendere terribile quel poco che ti resta.”

Cercò di divincolarsi e fu lasciato andare. Capì, però, che non ci sarebbe stato un secondo avvertimento. Trovò il coraggio di sostenere lo sguardo del sacro custode, lo vide inarcare un sopracciglio.

“C’è un altro, come lei, che ogni anno torna sempre a visitare un punto preciso del grande tempio.”

Il vecchio sfogliò il tomo che c’era sul tavolo e indicò una figura con l’indice rugoso.

“Ha gli stessi occhi e gli stessi capelli della straniera, ma è alto, possente. Ha il passo più leggero delle vestali, lineamenti delicati quasi come quelli del sommo cavaliere di Pisces, però ha una cicatrice a destra.“

L’indice battè di nuovo sulla carta ingiallita. Cancer si accorse di sudare freddo e di essere diventato titubante.

“Sicuro di non aver solo visto uno che gli somiglia?”

“La prima volta che l’ho visto ero bambino: un apprendista. Era il tramonto e dovevo ancora acchiappare un maledetto coniglio, dalla mattina. L’animale entrò nel bosco e io lo seguii. C’era qualcosa di strano, nell’aria.

All’improvviso trovai uno seduto su una pietra. Portava un mantello scuro, rovinato. E quei capelli... Davvero mi parvero sangue. Di sangue aveva la bocca sporca.

Rimasi immobile a quella vista, paralizzato. Lui si pulì le labbra con una mano, sporca anch’essa. Nell’altra teneva qualcosa di straziato. Non so… un altro coniglio credo. So solo che lo stava mangiando crudo. Gli si muoveva ancora sotto le fauci quella povera bestia. Me lo ricordò ancora che spalancava la bocca per staccare la carne. Aveva canini lunghi quanto il mio naso.”

Il vecchio si sistemò gli occhiali. Non vantava certo il classico profilo greco, col naso storto e aquilino che gli troneggiava in mezzo alla faccia.

“Le sue dita brillarono agli ultimi raggi del sole e mi accorsi che aveva anche gli artigli, più lunghi dei denti.

Si curò di me solo dopo qualche istante, quando aveva finito. Stava per dire qualcosa, ma sono scappato. Da allora non ho più voluto assaggiare carne di coniglio.”

Aveva già raccontato quella storia, in verità, e ogni volta l’avevano preso per matto. Rendendosi conto che l’ascoltatore teneva le sue parole in gran conto, continuò.

Si protese dalla sedia, verso le pagine sgualcite. Andò avati di un paio di capitoli. Indicò un’altra immagine. Lo stesso personaggio carezzava, di profilo, una strana pietra.

“Che rappresenta?”

Il vecchio, sorpreso, gli rispose con ovvietà.

“Una tomba. Si dice che vi sia sepolta una antica abitante di Rodorio: una vestale macchiata di ignominia.”

Cancer si soffermò di più sul disegno a china. Più vi poggiava lo sguardo, più gli sembrava che in esso aumentasse il numero dei dettagli. Si massaggiò le palpebre, autoconvincendosi che fosse un effetto della stanchezza.

“Che c’entra la vestale con lui?”

“La ragazza fu uccisa per una condanna infamante: era incinta, quando, invece, doveva restare pura.”

Il cavaliere sorrise in un gesto d’apprezzamento.

“Il bambino era di quell’essere.”

Il vecchio annuì e girò la pagina. La nuova illustrazione mostrava un campo di battaglia e un cavaliere in armatura nera che avanzava tra i cadaveri.

“Lui tornò a vendicarsi. Fece strage dei carcerieri e dei cavalieri accorsi. Non risparmiò neppure le vergini vestali, compagne della donna. Fece tutto da solo, in una notte appena.”

“Finisci.”

Gli intimò a quel punto Cancer. Il racconto era quasi completo.

“Al mattino trovarono sangue e il segno di artigli che graffiavano le porte degli appartamenti privati di Athena. Era arrivato fino a li, e la sua furia avrebbe ucciso, se il sole non fosse nel frattempo sorto. Si narra, infatti, che il suo potere sia presente solo di notte.”

Dall’altra parte c’era solo la copertina logora.

“Zeus riuscì a fermarlo. Lo ferì al viso: la cicatrice. Gli infierì una condanna, per l’ardire che aveva avuto, a lui e alla sua gente.

Gli intimò di non tornare mai più al Santuario di Athena, sua figlia prediletta. Lui accettò, ma c’è un giorno, ogni anno, in cui trasgredisce quell’ordine.

Il giorno in cui ricorre l’anniversario della morte della fanciulla che aveva amato. In quel giorno torna a piangere sulla tomba. Il giorno cade oggi. Sono sicuro che adesso è alla zona destinata ai traditori.

Aspettando qulache minuto, lo troverò la. Io faccio così da quando sono bambino e lo trovo ogni anno. Magari è anche per questo che dicono che sono matto. Mi passa ogni volta un po’ della sua follia.”

Il cavaliere fissò stralunato il vecchio, che si era alzato dalla sedia, ignorandolo.

“Dove credi di andare, ora?”

L’uomo, confuso, si fermò un altro momento.

“Ve l’ho detto: a trovare lui, come ogni anno.”

Sul suo viso rugoso si delineò un alone sinistro.

“Venite con me?”

Chiuso con un gesto secco il libro, del tutto consapevole, davvero impaurito e soprattutto incazzato, Death Mask aveva deciso di andare. La notte stava per finire e, se quel che affermava il vecchio era vero, con essa i poteri del demone.

Quella poteva essere una delle poche occasioni per farlo fuori. A lui, di certo, non mancava il coraggio per rischiare.

Perdonate il ritardo dell'aggiornamento, ma non è semplice, per me, riuscire a terminare una storia. Spero che il seguito piaccia e, per critiche o apprezzamenti sono qua. Scrivo per me, ma anche per migliorare. Spero a presto: l'ispirazione non è mai un'ospite fissa a casa mia.

Baci Lenna

   
 
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