Serie TV > Heroes
Segui la storia  |       
Autore: Alydia Rackham    13/09/2010    1 recensioni
Questa storia non appartiene a me ma a Alydia Rackham. L'intera storia di quello che successe a Peter e Sylar durante la loro prigionia dietro Il Muro-la loro lotta per mantenere la loro umanità e sanità mentale mentre realizzano che l'unica via d'uscita è attraverso la penitenza e il perdono.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Petrelli, Sylar
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                                                                                                                    Parte tre

E ora era peggio. Sylar si era convinto che la cosa più terribile che gli poteva capitare era di essere forzato a vivere nella completa solitudine, per l’eternità, con nessuno con cui parlare.

Non aveva mai preso in considerazione la possibilità di essere completamente solo eccetto per una persona che non voleva parlare con lui.

Detestava Peter per il suo silenzio. Tutto il giorno, Peter vagava per le strade e per gli edifici, aprendo porte e camminando per vialetti, cercando inutilmente un’uscita che non esisteva. Sylar sapeva che Peter era cosciente di essere seguito―Sylar non era mai stato incredibilmente subdolo. E poi, l’assoluto silenzio tradiva qualsiasi movimento. Eppure, Peter non gli disse mai una parola. Ogni tanto lanciava un’occhiata a Sylar, breve e distante…

E una sentenza crollava sempre sul capo di Sylar come una violenta martellata. Colpa e angoscia lo facevano ritirare e andarsene, i piedi che vacillavano per strade che ormai conosceva a memoria. Peter aveva detto che odiava Sylar? Beh anche Sylar odiava Peter.

Eppure non poteva fare a meno di seguirlo, guardarlo da lontano. La vista di un essere umano vivente, in grado di respirare con pensieri e sentimenti indipendenti dai suoi era come una droga. E ora temeva la solitudine così come un tossicodipendente temeva di finire la sua scorta. Odiava Peter, sì. Ma non poteva stare senza di lui. Non più.

Perché in realtà, Sylar desiderava quel freddo, giusto sguardo, quel violento colpo di martello, quell’ondata di vendetta contro di lui. Perché desiderava qualcos’altro―qualcosa che richiamava alla mente un monaco medievale che si fustigava…qualcosa che doveva accadere…qualcosa che avrebbe dovuto accadere…

Peter continuava nella sua ricerca. Ovviamente non avrebbe mai trovato niente. Cosa c’era da trovare? Ma Sylar lo seguiva. Giorno dopo giorno dopo giorno. E anche se Sylar dubitava che Peter lo sapesse o che persino gli importasse, non si scambiarono una parola per un mese.

                                                                                                                                       VVV

Le giornate di Peter erano piene. Era perennemente occupato. Si manteneva tale. Memorizzava, analizzava, scrutava ogni singolo pezzo di quel sogno. Premeva con entrambe le mani contro i muri di cemento, bussava sulle porte, ascoltando. Sedeva nel mezzo di una strada e considerava se il cielo avesse qualche pecca.

Sapeva che Sylar era dietro di lui, sempre. Lo seguiva come uno spettro. Peter lo guardava occasionalmente, giusto per fargli sapere che non poteva nascondersi. Ma la cosa strana era che…non provava nemmeno a nascondersi. Quando Peter lo guardava, Sylar smetteva di camminare e guardava di lato. Ma non si riparava dietro un muro o un cassonetto. Se ne stava là, finchè Peter non riprendeva il suo lavoro.

Peter sapeva che era passato abbastanza tempo in questo modo, in questo scontroso silenzio. Non sapeva quanto tempo―era irrilevante. Tre o quattro giorni, forse. Avrebbe trovato presto una via d’uscita, e sarebbero andati da Emma prima che potesse accaderle qualcosa.

                                                                                                                                      VVV

Sylar non poteva più sopportarlo. Vivere così era intollerabile. Ma doveva trovare un modo intelligente per rompere il silenzio―un modo per trattenersi dallo sconfinare di nuovo in territorio ‘Nathan’. Ciò era difficile dato che automaticamente traeva informazioni su Peter dai ricordi di Nathan. Per lo meno, pensava che fossero ricordi di Nathan. Non riusciva davvero a riordinarli. Presumeva, dopo lo scatto di Peter, che qualsiasi situazione amichevole che ricordava fra lui e Peter non poteva essere accaduta a lui, Sylar. Perché Peter odiava Sylar. Lo aveva sempre odiato.

Quindi, niente più Nathan. Sylar non avrebbe detto più il suo nome. E allo stesso modo, non avrebbe parlato di sé stesso. Ma come iniziare a parlare…?

Doveva fare qualcosa. Uno di loro doveva cedere in un qualche modo. Non lo aveva mai fatto prima, e sapeva che non lo avrebbe fatto nemmeno Peter. Ma aveva deciso di cambiare, no? Avrebbe dovuto mandare giù il suo orgoglio, ma doveva farlo.

E gli venne in mente un’idea. Non scavò sul perché sapeva questo di Peter, ma lo sapeva. E per la prima volta, non seguì Peter nella sua ricerca giornaliera. Invece, cominciò a scavare nella sua immensa biblioteca.

Gli ci volle quasi un giorno. Il collo gli scrocchiava e la schiena gli doleva per l’aver sollevato libri su libri per sfogliarne le pagine, ma alla fine lo trovò. Sospirò per la soddisfazione, si passò una mano fra i capelli, poi prese il suo trofeo e il suo zaino e uscì a cercare Peter.

                                                                                                                                      VVV

Lo trovò nel solito posto dopo una lunga giornata di ricerca: appollaiato sul bordo del tetto, a osservare le strade vuote. Sylar prese un respiro, sicuro del suo piano.

“Lascia perdere, amico. Non puoi continuare a non parlarmi per sempre.” Scosse le spalle. “Voglio dire, hai resistito un mese. È impressionante.” Si sedette su una delle prese d’aria dell’aria condizionata e guardò gli occhi di Peter che scrutavano le finestre. Sylar alzò la voce, come se stesse chiamando qualcuno. “Non c’è nessuno là fuori! E mai ci sarà.”

Peter si voltò a guardarlo. Sospirò, e parlò francamente.

“Non spenderò il resto della mia vita qui. Da solo. Con te.”

“Oh!” Sylar abbaiò una risata che scomparve in uno sguardo cupo. “Non è che per me sia esattamente il paradiso.” Si morse l’interno guancia per frenare la risposta velenosa che gli era venuta in mente―almeno Peter aveva parlato―e pescò nel suo zaino per quello che aveva cercato a lungo. “Tieni.” Disse, e lanciò il piccolo volumetto a Peter. Peter lo prese, e aggrottò le sopracciglia guardando la copertina.

“So che ti piacciono i fumetti.” Gli disse Sylar. “Non sono riuscito a trovare Dottor Savage o Flash―”

Peter lo gettò giù dall’edificio. Svolazzò e scomparve immediatamente. Il petto di Sylar si strinse e balzò in piedi.

“Che c’è che non va in te?” Gridò, ferito. Peter si alzò e lo guardò ferocemente.

“Devi finirla di fare l’idiota e cominciare a concentrarti.”

“Oh. Concentrarmi, certo,” disse Sylar caustico “perché dobbiamo uscire da qui così possiamo andare a salvare…qual è il suo nome?”

Il pugno di Peter saettò. Un dolore accecante pervase la bocca di Sylar. Guaì, e indietreggiò. La sua mano corse al labbro. Le sue dita incontrarono un liquido caldo. Stava sanguinando. Peter scosse la mano ferita.

“Emma,” disse Peter, la voce calma “si chiama Emma.”

Sylar stava tremando. Quindi anche questa ‘Emma’ era off limits? Oh Cristo Santo, questo ragazzo reagiva violentemente a qualsiasi menzione di qualcuno che amava, vivo, morto o che altro? Sylar si avvicinò a Peter, esasperato del dover camminare sopra a gusci d’uovo a causa della sua ottusità, e sibilò fra i denti.

“È arrivato il momento di affrontare la realtà, Peter. Quella ragazza se ne è andata, e se era destino che uccidesse migliaia di persone, allora sono morti anche loro. Tutti quanti tranne noi sono morti.”

Peter lo affrontò, calmo.

“L’unica cosa reale siamo noi.” Sorpassò Sylar e lasciò il tetto. Sylar, premendosi una mano sulla bocca di nuovo, si mosse per seguirlo.

Ma mentre i passi di Peter risuonavano davanti a lui, la vista di Sylar sfocò e lui rallentò. Quanto faceva pena. Quanto era stupido e debole. Si sentiva come un gatto che tutto orgoglioso aveva portato il suo premio fino alla porta del suo padrone solo per avere il suddetto padrone emergere dalla porta con disgusto per gettare ‘il sudicio topo’ nella spazzatura.

Cosa? Disse quella voce, quella voce che non era propriamente sua. Cos’è, pensi di meritarti qualcosa di meglio? Lo sai perché sei qui. Lo sai cosa hai fatto. Pensaci un momento. Ricordati di cosa hai fatto a lui.

Sylar si ripulì del sangue, si schiarì la gola, e si trascinò dietro a Peter.

                                                                                                                                           VVV

Il primo pensiero di Peter dopo il colpo iniziale era stato ‘Merda, spero di non essermi rotto la mano’. Finché non aveva ricordato a sé stesso―cosa che si rivelava sempre più difficile―che non si trovava realmente qui. Questa non era la sua vera mano. E mentre si convinceva di questo, il dolore svaniva. E le parole che aveva detto a Sylar servivano a convincere tanto lui quanto Sylar. Non poteva distrarsi. Non poteva perdere di vista la verità. Sylar credeva alle menzogne che diceva―le bugie sul fatto che tutti erano morti. Parkman voleva che lui ci credesse. Ma l’idiota doveva sapere che era meglio non sputargli in faccia quelle bugie facendo il sarcastico circa la sua missione.

Scese le scale, sentendo la sua fedele ‘ombra’ dietro di lui. Solo che questa volta, i passi si fermarono brevemente, poi ripresero, così che Sylar fosse proprio dietro di lui. Peter sospirò mentre lasciavano l’edificio incamminandosi per il vicolo con il gabbiotto.

“Tu pensi di essere rimasto qui per anni, ma questo è solo un sogno.” Disse di nuovo Peter.

“Se questo è tutto un sogno, com’è che ci sono dei libri, huh?” Controbatté Sylar, raccogliendo il giornaletto da dove l’aveva lanciato Peter. “Come ha fatto Parkman a fare dei libri?”

Peter non lo guardò. No voleva che vedesse il lampo di incertezza.

“Questo è il tuo sogno.” Azzardò Peter.

“Come posso sapere tutte le parole de ‘I Pilastri della Terra’ o ‘Comma 22?” Ribatté Sylar.

“Non lo so―forse li hai letti da qualche parte e ora sono nel tuo subconscio.” Replicò Peter, la voce che si alzava.

“Sì, beh io non l’ho mai letto Ninth Wonders!” Gridò Sylar, gettando via il fumetto.

“Io sì.” Disse Peter con calma.

“Quindi ora siamo nella tua testa?” Domandò Sylar.

“Non lo so!” Peter si voltò, esasperato. “Io non lo so come funziona questa assurdità!” Cambiò pista, concentrandosi su Sylar. C’era qualcosa nell’espressione di Sylar ora―qualcosa di crudo. Peter corrugò le sopracciglia. “Non vuoi andartene da qui?”

“Sì, certo!” Disse Sylar troppo in fretta, chiudendosi poi, respirando pesantemente. Per un momento, Peter non poté parlare. Era impossibile. Non poteva essere―nessuno sano di mente avrebbe voluto…

“Tu non vuoi, vero?” Realizzò Peter. “Tu non vuoi uscire di qui.”

Sylar si voltò verso di lui ma senza guardarlo negli occhi. La sua testa stava mezza china, come se si aspettasse un altro colpo.

“Senti, forse me la merito tutta questa solitudine―questo Niente.” Gridò, con la voce rotta. “Forse me lo sono meritato.”

Peter esitò, permettendo alle sue parole di penetrare a fondo.

“Sì, forse è così.” Si fermò, voleva chiudere il suo prossimo pensiero in un angolino della mente―ma era la verità. “Ma io non posso farcela da solo.” Confessò alla fine, il rimorso che gli nasceva nel petto fino ad arrivargli alle nocche. “Ho bisogno che mi aiuti. Capito?”

Sylar lo guardò finalmente, insicuro, spezzato―come se stesse guardando Peter per la prima volta. Poi scosse le spalle, e gettò a terra il suo zaino in segno di resa. Aprì le braccia ai fianchi.

“Va bene, Peter.” Mormorò. Camminò verso di lui e gli si fermò davanti, guardandolo negli occhi. “Vuoi che ti aiuti.” Guardò in basso, come se stesse affrontando una lotta interna, e chiuse brevemente gli occhi. Annuì, la voce che si calmava. “Voglio aiutare.”

Peter, guardandolo, annuì.

E poi…

Qualcosa cambiò.

I due uomini si girarono mentre un’ombra si allargava davanti a loro.

“Da dove è venuto fuori quello?” Disse Sylar, avanzando e lasciando Peter indietro…

Per avvicinarsi lentamente alla base di un imponente muro di mattoni rossi. Un muro che non c’era pochi secondi prima.

Gli occhi di Peter si spalancarono.

“È il muro nel seminterrato di Parkman.”

“Cosa ci fa qui?” Domandò Sylar, perso. Peter riempì i polmoni di aria fresca.

“Questa è la nostra via d’uscita.”

“Cosa?”

“Non ci arrivi? Dobbiamo riuscire a buttarlo giù!” Peter avanzò. “Prendiamo qualcosa per…per colpirlo.”

“Come cosa?” Sylar premette le mani contro il muro.

“Non puoi dirmi che in tre anni non hai trovato un singolo martello in questo posto dimenticato da Dio.”

Sylar si voltò verso di lui, e sollevò un sopracciglio.

“Ce ne sono due.”

 

 

Grazie a Domino per il suo commento : )

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Heroes / Vai alla pagina dell'autore: Alydia Rackham