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Autore: tinta87    17/09/2010    2 recensioni
"Succede tutto così, in una manciata di secondi... Secondi che valgono una vita." L'attentato che Callen subisce, il risveglio, la riabilitazione ed il ritorno alla normalità..il tutto raccontato dai suoi pensieri.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!
Posto l'ultimo capitolo della ff Five. Ovviamente ancora tutto incentrato su G, o meglio è G il protagonista ed il narratore.
Non mi resta che augurarvi buona lettura e ringraziarvi per aver seguito la storia.
Baci
ps: il capitolo non contiene spoiler, si basa sui fatti avvenuti nella puntata 1x05 Alina



Capitolo 4: LA MIA SORELLINA



Sono passati sei mesi dall’attentato. Non è stato così facile riprendere la vita di sempre. Venti giorni dopo la sparatoria, ho avuto il permesso di alzarmi da quel benedetto letto di ospedale, ma la cosa non fu molto piacevole, anzi i primi tempi era una tortura. Le ferite tiravano ancora e fare tre passi era una fatica. Ma non ho mollato e dopo due mesi sono tornato a fare una corsa con Sam; avevo il fiato di un settantenne, ma stavo pur sempre riprendendo in mano la mia vita.
Il mese successivo ho ripreso a lavorare nel nuovo ufficio. Di nuovo alle direttive di Hetty ed ancora con Sam, Kensi, Nate, Eric e Dom, l’ultimo arrivato. Posso dire di essere tornato in famiglia, finalmente.
Sono rientrato con un mese in anticipo, non ce la facevo più; mi sentivo inutile senza il mio lavoro ed ero pronto per rimettermi in gioco. Non avevo nemmeno una vera casa; dopo l’attentato avevo lasciato l’appartamento di Venice e da allora mi sposto da un motel all’altro, senza aver trovato ancora il mio posto.
E poi, mi ero ripromesso che avrei scoperto i colpevoli dell’attentato, un’altra verità da inseguire nella mia vita, sembra diventata un’abitudine per me.
Non avevo mai smesso di indagare, tra un caso e l’altro. Cercavo di rimettere insieme i pezzi, ma continuavo a brancolare nel buio: non avevo idea di chi avesse potuto fare questo, pur sapendo che almeno un centinaio di persone mi volevano morto. Ma nessuna di queste sembrava avere colpe. In definitiva il caso era fermo. Almeno fino a stamani.
Quando ho ricevuto la chiamata del direttore non avrei immaginato che il caso mi avesse riguardato così da vicino e mai avrei pensato che si sarebbe concluso in questo modo. Scoprire che, chi mi voleva morto, era un compagno e non un nemico mi ha lasciato un po’ stordito.
Nate mi ha osservato da lontano per tutto il caso. Un po’ come tutta la squadra, era preoccupato di come avrei potuto affrontare tutta la situazione. So che era in parte era contrario al mio coinvolgimento - troppo personale - ma in questi mesi ha avuto a che fare parecchio con me, un po’ per obbligo, un po’ per necessità, e sicuramente ha visto la mia determinazione ad arrivare fino in fondo, se mi avesse estromesso, non gliel’avrei perdonata, e lui lo sapeva. Ma non l’ha fatto, e forse c’è pure lo zampino di Hetty in tutto questo. Lei mi conosce e sa che, anche se mi avesse allontanato formalmente, avrei continuato ad indagare comunque. Come sapeva che, in parte, tutto questo mi avrebbe aiutato a chiudere almeno un capitolo della mia vita e di questo ne era consapevole anche Nate.
Ed avevano ragione.
Già, Alina.
Ed io che pensavo che quella bella ragazza russa fosse una complice. Con l’aiuto di Sam avevo cercato di rintracciarla, ma non aveva lasciato traccia del suo passaggio a Venice. Il proprietario dell’appartamento che aveva affittato, ci aveva detto che se n’era andata il 5 maggio, il giorno in cui dovevo essere morto, come lei credeva.
La mia sorellina.
Arcadi l’aveva mandata per avvisarmi, per proteggermi come io facevo sempre con lei quando eravamo piccoli. Ero affezionato a quella famiglia. Di tutte le 37 case a cui sono stato affidato forse, la sua, era l’unica che posso chiamare famiglia. Sua madre era gentile e premurosa; era una brava cuoca. Il papà lavorava tutto il giorno e quando rientrava a casa prendeva in braccio la sua bambina e le dava un bacio sulla fronte, riservando a me una pacca sulla spalla. Io osservavo e piano paino capivo cosa volesse dire avere l’affetto dei propri cari. Passai tre mesi con loro e se mai un giorno avrò una famiglia tutta mia, in parte sarà grazie a loro.
Hetty mi ha dato la foto che Arcadi mi ha inviato. Nemmeno mi ricordo chi l’abbia scattata.
Io e Alina.
Le piaceva salire a cavalcioni sulle mie gambe ed io la sollevavo facendola volare. Lei era una bambina ed io avevo solo quattordici anni.
Ho accusato il colpo.
Lo stomaco si è stretto e si è formato un nodo in gola. Ma non voglio piangere, voglio solo ricordare quel periodo felice, uno dei pochi.
Per questo sono venuto qui, nella loro casa. Sembra tutto come allora. La chiave di scorta era ancora nel vaso dei fiori vicino alla porta. Sono entrato e mi è sembrato di tornare indietro nel tempo. Mi sono immaginato il papà sul divano mentre leggeva il giornale, la mamma in cucina a preparare una delle sue specialità ed io e Alina sulla sedia a dondolo, quella della foto.
Ho poi percorso il corridoio ed ho aperto l’ultima porta a destra, quella che, allora, era la mia stanza.. Mi sono seduto sul letto e ho guardato fuori. Sono ancora lì. Chissà se altri bambini hanno dormito in quella stanza. Io, però, avevo lasciato il segno. Apro la porta del guardaroba e trovo la mia incisione: G Callen ’83. Sorrido, ma è un ricordo che fa male.
Immagino che gli occhi siano diventati rossi, ma non voglio piangere. Guardo fuori e sorrido di nuovo.
Ciao Alina.

FINE





..magari è un tantino malinconico come fianle, ma oggi lo sono un pò anch'io...chiedo venia!
Grazie ancora a tutti! :)
Sarò felice di leggere i vostri commenti ;)
   
 
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