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Autore: Alydia Rackham    20/09/2010    1 recensioni
Questa storia non appartiene a me ma a Alydia Rackham. L'intera storia di quello che successe a Peter e Sylar durante la loro prigionia dietro Il Muro-la loro lotta per mantenere la loro umanità e sanità mentale mentre realizzano che l'unica via d'uscita è attraverso la penitenza e il perdono.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Petrelli, Sylar
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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                                                                                                                               Parte quattro

Il costante ritmo del martello rimbombava per l’intera città. Sì, il martello. Singolare. Perché Sylar aveva smesso di lavorare ore prima.

“Non lo stai nemmeno scalfendo.” Commentò Sylar alle spalle di Peter. “Senti. Lo stai colpendo con tutta la tua forza e non succede niente.”

“Forse qualcosa succederebbe,” grugnì Peter, mandando il martello a scontrarsi con il muro nello stesso identico punto di prima “se tu aiutassi come avevi detto di voler fare.”

Sylar gli si mise di fianco e incrociò le braccia sul petto. Lo guardò.

“L’ho fatto. Stesso risultato. Ed è mezzanotte adesso.”

“Ti ho detto―” Clang. Clang. “di non dirmi che ora pensi che sia.”

“Non me la sto inventando.” Sylar gli mostrò il polso. “Indosso tre orologi―e poi, io sono un orologio. So che ora è.”

“Non è molto utile.” Rispose Peter. Aumentò il ritmo delle sue braccia. Colpì più forte, più veloce.

I ripetuti colpi tintinnavano per le sue ossa. Era una bugia. Non stava passando il tempo. Per niente. E se fosse riuscito a buttar giù questa roba…se Sylar avesse preso in mano quello stupido martello e―

“Mi piacerebbe essere d’aiuto. Ci ho già provato―entrambi ci abbiamo provato. Ma di certo questo metodo non sta funzionando, e poi mi fa male una spalla.” Disse Sylar, appoggiandosi al muro e incrociando le braccia. “Una volta mi hai placcato, forte, e sono caduto male a terra. Ho sempre pensato che fossi tu il più forte, lo ammetto―l’ho sempre detto, Pete, che sei tu fra i due che preferisce sporcarsi le mani.”

Peter gettò a terra il martello e lo colpì. Forte. Prima con il pugno destro, poi con il sinistro, dritto in faccia. I colpi andarono a segno duramente, scioccando Sylar contro il muro.

“Quello è Nathan!” Ruggì Peter, colpendolo di nuovo, sul petto, poi in pancia. Sylar si piegò in due, gli occhi sbarrati. Peter lo colpì alla mascella con la mano destra. Volò sangue. Il vento si alzò e passò fra i loro capelli e fra i vestiti mentre Sylar crollava sulle ginocchia, soffocando. Peter, gli occhi che vedevano solo rosso, si chinò su di lui e lo colpì ancora e ancora, sul retro del collo, sulla testa e sulle spalle. Peter continuò a colpire sempre più forte. Sylar si ruppe sotto di lui come un sottile strato di ghiaccio che ricopre una pozza. Le nocche di Peter diventarono lucide di sangue.

Sylar collassò, schermandosi il viso con le mani tremanti. Peter si fermò, respirando pesantemente. Sylar espirò tre penosi respiri, cercando di sollevarsi sui gomiti. Il sangue scorreva dal suo naso e dalle labbra. Peter stava respirando così pesantemente che quasi mandò in crisi il funzionamento del suo corpo. Arretrò di due passi. Il sangue dal naso di Sylar cadde a terra.

Sylar si agitò sulla sabbiolina che copriva il cemento per un momento e tossì, sputando debolmente sangue. Un suono strangolato gli sfuggì, e finalmente si tirò su e incespicò nell’oscurità. Peter gli voltò le spalle, passandosi le mani fra i capelli, le pulsazioni che battevano in modo erratico contro le sue tempie. Appoggiò la bollente fronte contro il muro di mattoni con la gola serrata. Ascoltò, ma i passi di Sylar erano svaniti.

                                                                                                                                                  VVV

Clang. Clang. Clang.

Peter continuò a lavorare, la mente vuota. Colpì lo stesso punto, ancora e ancora, innumerevoli volte. La notte continuò ad avanzare.

Clang. Clang. Clang.

Non sapeva da quanto tempo stava martellando prima di realizzare che il vento era cambiato.

Si fermò. Cadde il silenzio. Abbassò il martello e si voltò. Al di là del fioco bagliore emanato dalla lampada che si era portato dietro per lavorare, l’oscurità lo circondava come un sudario.

E il vento gli girò attorno come un combattente e gli corse per i vestiti, facendo rabbrividire il suo corpo sudato e serrandogli i muscoli. Peter mise giù il martello.

Il vento non era mai cambiato prima. Perché adesso?

I suoi occhi scrutarono nuovamente l’oscurità. Una fitta gli percorse la mano destra. Trasalì, tenendola stretta al petto di riflesso. Le dita della sua mano sinistra accarezzarono il sangue incrostato sulla destra. Congelò.

Se n’era dimenticato. Nonostante il suo continuo mantra ‘questo non è reale―questo è un sogno’…

Si era dimenticato che questa non era la sua casa.

Il vento soffiò e turbinò, e il cielo sembrò precipitare come un tetto in caduta libera.

“Oh, no.” Peter raccolse la lampada e corse nell’oscurità. I suoi passi martellavano sulla strada, ma il vento copriva quasi ogni suono. “Sylar? Sylar!” Chiamò. Il vento gemette in risposta, ma la sua voce era vuota. Aumentò il ritmo dei suoi passi, la lampada che ondeggiava mentre svoltava l’angolo dell’edificio di Sylar. Aprì la porta, corse su per le scale e si fiondò nella stanza di Sylar.

Tick, tick, tick.

Peter si fermò sulla soglia, la luce che proiettava ombre misteriose.

Tick, tick, tick.

Deglutì pesantemente. Gli orologi suonavano minacciosi. Persino maligni.

“Sylar!” Alzò ancora di più la voce. Il vento fischiò contro le finestre. “Sylar!

Non rispose nessuno. Peter lasciò la stanza e continuò a salire, e salire, fino al tetto. Il fiato gli si serrò in gola, la mente volava. Sylar non stava…non poteva

Perché no?

“Merda, no.” Disse Peter a denti stretti. Aprì violentemente la porta del tetto, uscendo nel freddo, potente vento. Si fermò di colpo.

Sylar era in piedi dove spesso si metteva Peter―proprio sul bordo del tetto, rivolto verso l’esterno. Teneva le braccia distese lungo i fianchi. Aveva la testa china in avanti, come in contemplazione della strada sotto di lui. Non indossava il suo cappotto.

“Hey, amico, che stai facendo?” Chiese Peter, ansimante.

“È così che va, giusto? È così che dovrebbe andare―lui ha detto così.” Le parole di Sylar vennero fuori di corsa, calme e tremanti.

“Di che stai parlando?” Peter si arrischiò ad avvicinarsi di qualche passo. “Vieni giù da lì.”

“Le profezie trovano sempre un modo di realizzarsi.” Continuò Sylar, come se non avesse sentito. “Anche se provi a cambiarle―il tuo provare ad alterarle potrebbe farle realizzare. Questo è inevitabile. Non posso combatterlo.”

All’improvviso tutta l’aria nei polmoni di Peter lo abbandonò. Immagini degli ultimi secondi con Nathan lo assalirono, scatenate dal tetto quasi identico e dal vento che soffiava―

“Vieni giù.” Comandò Peter, avvicinandosi e l’asciando la lampada su uno degli impianti dell’aria condizionata. “Questo è stupido. Non stai usando il cervello.” Si affiancò a Sylar e lo guardò. Si immobilizzò.

La faccia di Sylar era ancora insanguinata, e la guancia sinistra era contusa e gonfia. E lacrime scorrevano, lasciando segni nel sangue rappreso. Peter impallidì e si sentì male. Le nocche gli dolevano.

“Non ho potuto farne a meno.” Gracchiò Sylar. “Anche i peggiori dei suoi ricordi…sono piacevoli a  confronto con i miei migliori.”

“Sylar, che hai in mente di fare quassù, eh?” Domandò Peter. “Questo è un sogno. Non sei―”

“Posso sanguinare.” Sylar sorrise brevemente al nulla davanti a lui, e piegò un po’ indietro la testa. “Sento dolore. Quindi a rigor di logica ne sentirò un sacco se colpisco l’asfalto quaggiù, giusto?”

“Perché diavolo vorresti farlo?” Il cuore di Peter accelerò. Sylar guardò nuovamente la strada vuota.

“Perché è giusto. Perché ne ho bisogno. Dovrei,” disse debolmente, con calma.

“Vuoi ucciderti?” Gridò Peter. Sylar non disse niente. Sbatté le palpebre, e due lacrime caddero.

“Spingimi, Peter.”

Peter rimase senza fiato. Il petto gli si strinse.

“Cosa?” Disse, la voce bassa.

“So che lo vuoi. Ci stavi provando, solo pochi minuti fa. E dovresti. Questo porrà fine alla mia vita, e tu ti sveglierai e andrai a salvare Emma.” Sylar oscillò pericolosamente in avanti. Peter combatté contro l’istinto di prenderlo.

“Non posso salvare Emma senza di te, ricordi?” Disse invece.

“Me?” Sylar fece un sorriso affettato e scosse la testa. “Non servo né a te né a nessuno. Lo sai. Ho detto che ti avrei aiutato. Ti aiuterò così. Sbrigati.”

Peter scosse la testa.

“Non ti spingerò.”

Perché no?” Ruggì Sylar, voltandosi finalmente verso di lui. Peter fece un passo indietro.

“Lo sai che è la cosa giusta, lo sai che bisogna farlo!” Gridò Sylar, la voce rotta, le sopracciglia corrugate, il vento che si era trasformato in raffiche. “Non ce l’ho con te per questo.” Si puntò la faccia. “Lo merito. E la miglior punizione è che sia tu a uccidermi, ora. Fallo, Peter―proprio ora, fallo!”

“No!” Urlò Peter. “Anch’io ho fatto cose di cui mi vergogno nella vita. Le rimpiango. Anche ora. E sì, avrei potuto fare qualcosa di stupido dopo tipo farmi saltare il cervello, ma non l’ho fatto. Invece, ho provato con tutto me stesso a fare la cosa giusta la volta dopo.”

“Questo perché,” disse Sylar debolmente, guardandolo per metà “non hai mai fatto quello che ho fatto io. Neanche lontanamente. E poi…tu probabilmente avevi qualcuno con cui parlarne per tirarti indietro dal baratro.”

“Cosa pensi che stia facendo?” Controbatté Peter. Sylar lo fissò. Il vento scuoteva i loro capelli e i colletti delle loro maglie. Peter preso un respiro, e un passo verso di lui.

“Saltare giù da un palazzo è un modo di morire da codardi―anche peggio è fare sì che sia io a spingerti. So che non sei un codardo, Sylar, fra le altre cose. Sì, puoi sguazzare nell’autocommiserazione se vuoi, ma questo non sarà d’aiuto per la situazione.”

“Perché no? Ti libererò e il mondo sarà libero di me.” Puntualizzò Sylar.

“Davvero?” Peter scosse la testa. “Le nostre menti sono collegate―chi ti dice che quando il tuo cervello si spiattellerà al suolo io non finirò in coma per il resto della mia vita?”

Gli occhi di Sylar lampeggiarono. Grazie a Dio―Peter doveva averlo raggiunto. Sylar si voltò, guardando nuovamente la strada.

“Non lo so.” Mormorò Sylar. Deglutì. “Ma per te è una ragione più che valida per volermi tenere in vita. Immagino.” Oscillò di nuovo in avanti. Peter sospirò.

“Non avrei dovuto farlo, va bene?” Confessò.

“Cosa?”

Peter prese un profondo respiro.

“Non avrei dovuto colpirti.”

“Non importa.” Disse Sylar debolmente.

“Si che importa. A me.”

Sylar lo guardò. Peter gli sorrise lievemente.

Le sopracciglia di Sylar si corrugarono in confusione, poi la sua espressione si schiarì. Deglutì e prese un respiro. Peter gli afferrò il polso.

Il vento si fermò.

“Adesso vieni giù da lì.” Disse Peter.

Sylar rabbrividì. Lentamente, la sua gamba sinistra si mosse, e il suo piede strisciò indietro. Il suo equilibrio si inclinò, e lui cadde in piedi sul pavimento del tetto. Ora Sylar respirava profondamente, anche se lentamente, gli occhi lucenti.

“Mi dispiace tanto, Peter.” Riuscì a dire. “Mi dispiace per Nathan.”

Peter ricacciò indietro la rabbia, prese la spalla di Sylar e lo guidò verso la porta.

“Solo non farlo di nuovo.”

                                                                                                                                                    VVV

Sylar si lasciò condurre all’interno. Non aveva più forza. Infatti, si sentiva come se fosse all’esterno del suo corpo, come uno spettatore. Ma la mano di Peter non lasciò mai la sua spalla mentre scendevano le scale, tornando nella stanza di Sylar piena di libri e orologi. Peter lo condusse fino ad una sedia dove collassò, le spalle piegate in avanti. Ritornò improvvisamente nel suo corpo, sentendo ogni singola fitta di dolore corrergli per la testa le spalle e il petto. Gli tremava il labbro inferiore ed ogni respiro gli provocava dolore.

Peter si spostò e accese due lampade da tavolo e un lampadario.

“Mangiamo qualcosa, va bene?” Disse Peter. “Sembra che tu abbia alcune scatole ed altra roba in giro, e…un microonde. Fantastico. Oh, e hey, cosa…? Bene, bene.” Peter si chinò e prese un kit di pronto soccorso da sotto un tavolo. Aprì il coperchio, scrutò il contenuto e poi tornò da Sylar con esso. “Sembra completo. L’antisettico pungerà, ma assicurati di occuparti di quel taglio sull’occhio o ti rimarrà una cicatrice.” Lasciò la scatola in grembo a Sylar.

“Pensavo avessi detto che tutto questo è un sogno…” Mormorò Sylar. Peter scosse le spalle.

“Okay, il viso del tuo sogno avrà una cicatrice. Devi lo stesso guardarti in viso.” Peter tornò a curiosare tra i barattoli. Malsicuro, Sylar tirò fuori i tamponi antisettici, strappò la loro confezione e cominciò a tamponarsi il naso, la bocca e le guancie. Fece una smorfia quando il dolore gli attraversò la faccia arrivando fino all’occhio sinistro, ma non si fece scappare un solo gemito. Sentì quanto erano gonfie le guancie e le labbra, e non poteva respirare con il naso. Era sorpreso di poter parlare.

“Okay.” Peter indietreggiò e si mise le mani sui fianchi mentre osservava la mensola sulla quale aveva appoggiato quattro barattoli. “Zuppa di patate, pomodori, vegetali o zuppa di pesce.”

“Me lo stai chiedendo?” Chiese Sylar con la voce roca.

“Sì.”

“Non…masticare non…” Mormorò Sylar, toccandosi con la punta delle dita l’interno bocca percorso da un lungo taglio.

“Giusto. Okay. Quindi questo elimina patate e vegetali.” Lo guardò. “Pomodoro?”

Sylar lo guardò, sconcertato.

“Io…sì?”

“Fantastico. Cosa usi per aprire i barattoli da queste parti?”

“Nel cassetto in alto a sinistra.” Mormorò Sylar, serrando gli occhi mentre premeva il tampone contro le guancie. Sentì Peter sferragliare nel cassetto, poi il coperchio di un barattolo che si apriva.

“Uh…come…” Peter si raddrizzò, il barattolo in una mano.

“Il microonde.” Disse Sylar, gettando via un tampone e prendendone un altro.

“Aha.” Si sentì un rumore di stoviglie quando Peter versò la zuppa in un piatto, mise il coperchio e mise la zuppa fredda a cuocere. Il piccolo forno ronzò mettendosi a lavoro. Sylar guardò Peter gettare via il barattolo, poi incominciare a cercare qualcos’altro.

“Tavolo. Secondo cassetto di destra.” Disse Sylar. Peter si chinò e aprì il secondo cassetto, poi alzò gli occhi e lo guardò in modo strano.

“Come facevi…?”

Sylar sorrise in modo affettato.

“Fortuna.”

Peter lo guardò, poi tirò fuori due scodelle di plastica e due cucchiai anch’essi in plastica. In pochi minuti, il microonde suonò. Peter tirò fuori la zuppa, la versò nelle scodelle, e ne portò una a Sylar.

“Tieni. Attento―è calda in questa scodella di plastica.”

Sylar, stupito, riuscì a malapena a prenderla senza versare tutto il contenuto per terra. Chiuse il kit di pronto soccorso e ci mise sopra la zuppa, poi accettò il cucchiaio.

“Il caldo probabilmente ti farà un male cane sulle labbra, quindi io aspetterei.” Consigliò Peter, tornando al tavolo e sedendosi con la sua scodella. Iniziò immediatamente a mangiare, e Sylar sentì che la conversazione era finita. L’intera testa di Sylar rimbombava, ma la zuppa aveva un buon profumo.

Peter bevve rumorosamente il brodo. Poi, si alzò, si mise la mano nella tasca posteriore e tirò fuori un piccolo opuscolo ripiegato. Gli occhi di Sylar lampeggiarono, ma Peter non lo guardò. Spiegò l’opuscolo, lo mise sul tavolo e cominciò a leggerlo mentre mangiava. Sylar sbatté le palpebre.

Era il fumetto che aveva trovato―Ninth Wonders. Peter doveva averlo raccolto mentre Sylar era andato a prendere i martelli.

Peter non lo guardò più per tutta la durata della cena. Ansiosamente, Sylar si mise in bocca una cucchiaiata di zuppa. Serrò gli occhi e deglutì. Peter aveva ragione―faceva un male cane. Ma una volta passata oltre il taglio, lo scaldò fin nelle ossa, e il brivido mortale che aveva sentito per tutta la sera scomparve.

 

Grazie tanto a Cristie per il suo commento^^

  
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