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Autore: Night Sins    21/09/2010    4 recensioni
Raccolta di oneshot sui sette vizi capitali (come l'originalissimo titolo non avrebbe mai fatto sospettare, eh?). Sono 'preda' di questi vizi Peter o Neal (Peter E Neal per uno solo), ma non tutte le storie sono slash (e alcune potrebbero essere considerate Peter/Neal/El).
1.Lussuria - 2.Superbia - 3.Ira - 4.Invidia - 5.Avarizia - 6.Gola - 7.Accidia
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Seven Sins. (Lussuria)
Fandom: White Collar
Personaggi:  Neal Caffrey, Peter Burke
Pairing: Peter/Neal
Rating: PG15? R?
Genere:  introspettivo, slice of live
Avvertimenti: one-shot, slash
Timeline irrilevante
Spoiler  nessuno
Conteggio Parole: 1401 (FDP)
Prompt: lussuria scritta per il contest sui sette vizi capitali indetto da AkaneMikael sul forum di EFP.
Betareader: nessie_sun  ♥ ♥
& ioio10 (per l'IC, è una mano santa ♥)
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale. 
Note: Intanto voglio ringraziare Akane per aver indetto il contest. Mi ero iscritta per riprendere l'ispirazione, pensavo di scriverne al massimo una, e invece ho finito la raccolta e con storie che, la maggior parte, mi piacciono. XD
Per seconda cosa devo ringraziare la moglia e ioio, senza di loro sarei persa. ù.ù
Infine, oggi è martedì. T_T E' la seconda settimana senza White Collar ed io mi sento triste. ;O; Quindi comincio oggi a postare queste fic, e comincio con la lussuria per più di un motivo (nello specifico: perché è la prima che ho scritto e perché è inutile, non si può guardar WC senza aver pensieri impuri, quindi dato che oggi è/era il giorno dedicato a WC mi pareva l'ideale XD).
Ora la smetto.
Enjoy.




Era sempre stato un uomo irreprensibile e un marito fedele, soprattutto un marito fedele. Non aveva mai pensato di tradire sua moglie, non certo perché non avesse avuto a che fare con donne bellissime o per qualche banale motivo morale, semplicemente amava Elizabeth e non trovava piacere nell’immaginarsi a letto con qualche altra ragazza, per quanto affascinante potesse essere.
Era sempre stato così, eppure ultimamente qualcosa era cambiato. In modo talmente repentino e improvviso che ne era stato travolto senza possibilità di difendersi, senza poter nemmeno tentare di opporsi o trovare un’alternativa.
Semplicemente, un giorno, si era reso conto che voleva portarsi a letto un'altra persona -beh, a questo punto, se doveva dire tutta la verità, se lo sarebbe volentieri fatto lì, sul tavolo della sua scrivania, senza troppi complimenti.
Lo, esatto, un uomo e non uno qualsiasi, ma colui che aveva inseguito per tre anni prima di riuscire a catturare e che ora girava per le strade di New York sotto la sua custodia.
Ma non poteva per un’infinita lista di motivi che non avrebbe saputo nemmeno da dove partire a elencare; non poteva e, si diceva, non doveva. Non doveva nemmeno volerlo; doveva almeno far finta di non volerlo e continuare come sempre: lavorare, tenerlo d’occhio, andare a casa da sua moglie e non pensare più a lui. L’ultima parte era ancora fattibile, ma il primo punto si rivelava sempre più difficile.
Lavorare significava averlo accanto, davanti, intorno per otto e più ore al giorno, tutti i giorni, e diventava sempre più difficile non ritrovarsi a fissarlo (almeno quando lui non lo vedeva) o sfiorarlo (fingendo solo una semplice casualità) o reprimere l’istinto di togliergli dalle labbra quel suo sorriso strafottente e compiaciuto con un bacio e poi non fermarsi certo a quello.
Tutto questo era troppo da sopportare perfino per lui.
Accasciò la testa sulle braccia incrociate sul tavolo, nonostante fosse in riunione con la sua squadra e Hughes, quando lo vide entrare nella divisione White Collar con il suo solito andamento disinvolto e alzare appena una mano a salutarlo. Non sapeva se fosse stata solo la sua immaginazione, ma gli era parso che il sorriso di Neal fosse ancora più luminoso del solito.

“Qualcosa non va?” domandò Hughes preoccupato.

Peter non rispose subito, non aveva la forza per rispondere, nella sua testa solo il volto di quel dannato truffatore e il pensiero di come sarebbe la sua voce sotto i suoi tocchi.
Decisamente non poteva andare avanti così.

“Scu-scusate”, disse alzandosi e uscendo velocemente; non poteva restare lì.



Con le mani puntate contro la ceramica del lavandino, osservò il proprio riflesso nello specchio: aveva dovuto disfare l’aspetto sempre composto per prendere un po’ d’aria ed ora la cravatta pendeva lente sulle sue spalle; la camicia aperta di un paio di bottoni mostrava il neo alla base del collo, di solito sempre nascosto, e non poté evitare di chiedersi se -quanti- nei non aveva mai visto, ma si trovavano sul corpo di Neal; non poté evitare di desiderare di poterlo sapere.
Cosa gli stava succedendo? Quando era diventato così debole? Quando si era perso così tanto dietro a quell'uomo?

“Ehi, come stai?”

Lo sguardo scattò spaventato al riflesso di Neal, dietro di sé. Quando era entrato? Perché lo aveva seguito?

“Ti senti male? Hai spaventato tutti…” continuò avvicinandosi.
“Fermo!” ordinò abbassando la testa e stringendo la presa sul lavandino.
Il più giovane obbedì istintivamente, allarmato dal tono che l’altro aveva usato, osservando la sua schiena come se questa potesse rispondere alle decine di domande che gli si stavano affollando in testa.
“Peter…”

L’agente dell'FBI sospirò sconsolato; non doveva essere umanamente possibile avere certi pensieri solo per il suono della sua voce, per come lo aveva chiamato preoccupato.
Deglutì a vuoto, aveva la gola e le labbra secche.

“Niente. Vai via”, riuscì a dire a fatica.
“Non credo sia il caso di lasciarti solo, mi sembri molto provato.”

Ancora quella preoccupazione nel suo tono, non la sopportava più.

“Sei tu il problema!” sbottò serio e alzò la testa solo per vederlo aprire la bocca un paio di volte prima di riuscire a chiedere un debole: “Io?”
“Tu, la tua voce, il tuo corpo. Tutto”, rispose voltandosi lentamente e nascondendosi il volto tra le mani prima di lasciarle scivolare tra i capelli.
“Tutto? Peter…” ripeté riprendendo la sua avanzata.
Lui alzò la testa di scatto. “Non farlo”, implorò e si ritrovò suo malgrado a fissarlo negli occhi, incapace di far altro se non inumidirsi le labbra.

“Non farlo, non avvicinarti,” continuava a ripetersi mentalmente, e, poi, “non devo.”
Non doveva cedere, anche se oramai riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba e la volontà lo stava abbandonando velocemente.
Troppo velocemente; non riusciva nemmeno a seguire quello che l’altro gli stava dicendo.
Si stava ripetendo per l’ennesima volta che non doveva lasciarsi andare, quando già aveva posato una mano sul volto di Neal e l’altra dietro la sua schiena, attirandolo a sé e baciandolo con foga.
Solo quando sentì le sue mani aggrapparsi alla propria schiena si rese conto di quanto, esattamente, tutto quello fosse reale, di quanto non ne potesse più fare a meno.

“Pet- Ah!
La voce gli era morta in gola quando l’uomo era sceso a baciargli il collo, mentre con le mani stava andando a liberarlo dai vestiti.
“Te lo avevo detto di andare via”, gli ricordò facendolo indietreggiare fino al muro, prima di baciarlo nuovamente mentre si strusciava contro di lui.
Si faceva pena; si rendeva conto di quanto dovesse far pena a ricercare in modo così spasmodico e unilaterale un contatto sempre più profondo, ma non poteva evitarlo.

Era tutto talmente forte e improvviso e lo desiderava così tanto che il piacere si mischiava al dolore e non riusciva a capire più nulla, talmente era ebbro di lui. Non aveva altri termini per descrivere come si sentiva se non ubriaco, e dire che erano settimane che non toccava una birra per paura che anche solo quel poco d’alcool avesse potuto fargli commettere qualche sciocchezza. E invece era bastata la sua sola presenza a fargli perdere la testa definitivamente.

“Peter. Peter!” chiamò Neal stringendo la presa sulle sue spalle.
L’uomo si riscosse dai propri pensieri, come se non fosse stato pienamente cosciente di sé fino a quel momento, e lo fissò negli occhi; occhi azzurri, grandi, spalancati, così come le labbra che cercavano più ossigeno.
“Fammi respirare”, chiese con un leggero sorriso che fece passare un lampo di puro terrore nello sguardo dell'altro.
“Peter?”
“Oddio…” mormorò cominciando a tremare. “Oddio, oddiooddiooddio”, continuò a ripetere poggiando la fronte contro il muro, poco sopra la spalla del truffatore. Le sue mani erano ancora sui suoi fianchi, ma ora la sua pelle scottava più di quanto fosse immaginabile, e non per l’eccitazione. Le scostò e cercò di risistemargli la camicia, anche se non aveva ancora pieno controllo di sé. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare -non voleva pensarci-, ma non sarebbe stato niente di buono.
“Mi dispiace, Neal… Mi dispiace.”
Il giovane lo abbracciò, stringendolo sicuro. “Va tutto bene, sul serio, non mi hai fatto niente di male”, lo tranquillizzò.
Peter si scostò, anche se non riusciva a guardarlo in faccia, e sospirò. “Te ne avrei fatto.”
Neal gli prese il volto tra le mani e lo obbligò a incrociare i propri occhi con i suoi; “Non lo hai fatto,” ripeté serio, “e poi…” continuò mordendosi il labbro inferiore, “lo avrei voluto anche io. Lo voglio anche io”.
“Co-cosa?”
Il truffatore sorrise malizioso e questa volta fu lui a baciarlo, anche se più dolcemente. “Però non è il caso ora, di là sono tutti preoccupati. Ce la fai a resistere fino a stasera?” chiese ridacchiando.
Peter annuì, ancora troppo sconvolto da quella scoperta perfino per arrabbiarsi del -più o meno- velato modo in cui lo stava prendendo in giro.
“Bene, ora sistemiamoci”, disse andando ad abbottonargli la camicia.
“Ehm… è meglio se faccio da solo”, lo interruppe il federale fin troppo serio, tanto che Neal rise nuovamente.
“È meglio”, concordò allontanandosi per specchiarsi e sistemarsi a propria volta.

Peter rimase a fissare il muro in silenzio finché non sentì la porta del bagno che si chiudeva, segnando l’uscita definitiva del truffatore, e andò a sua volta davanti al lavandino; prima di ogni altra cosa, si sciacquò il viso. Non riusciva a credere a quanto era appena successo e gli sembrava tutto assurdo, quasi un sogno, anche se avvertiva ancora la sensazione del suo corpo contro il proprio e delle sue labbra sulle proprie.
Scosse la testa, non avrebbe dovuto pensarci se avesse voluto riuscir ad arrivare fino a quella sera. Controllò un’ultima volta lo specchio, per accertarsi che fosse tutto a posto e uscì, lasciando finalmente da parte qualsiasi pensiero che non riguardasse il lavoro.




Nota finale: il neo sul collo di Tim esiste sul serio e appare in questa fic solo perché ioio me l'ha fatto notare/mi ci ha fatto ossessionare in modo quasi impossibile, per esser un neo. XD #questaèunanotamoltoutileu_u
   
 
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