Ad personam:
Cara Melisanna, grazie della tua rapidissima recensione. Hai perfettamente ragione a dire che Adariel ricorda Elyon come potrebbe essere per i prossimi due-trecento anni. Anni di Meridian, naturalmente. Sono contento che ti piaccia la mia interpretazione dell'Oracolo, che ho cercato di mantenere fedele a quello del fumetto nei suoi momenti migliori. Spero sempre di poter leggere il finale di Terra magica. Cara Silen, grazie delle tue recensioni, sulle quali so di poter contare, e per l'aiuto datomi a suo tempo nel rileggere le bozze di tutta questa storia. Per Phobos, poverino, c'è un'altra sberla in vista, e ancora una volta sarà Cedric a fare da testimone e da sfogo. Miriadel e Yan Lin sono tra i miei personaggi preferiti, tra quelli che rivedrei più volentieri in ipotetici futuri lavori, anche se Miriadel, sia nel fumetto che nel cartone, rimane un personaggio molto marginale. Yan Lin invece segue una sorte diversa nel fumetto e nel cartone; in quest'ultimo, infatti, resta al suo ristorante, viva a tutti gli effetti, dando luogo a diverse sottotrame simpatiche. Cara Atlantislux, ti ringrazio per seguire costantemente questa fiction. Per quanto riguarda Nerissa, immagino che la pena di morte non fosse contemplata da Kandrakar. Il fumetto racconta che fu sigillata in un sarcofago, non è chiaro se viva o più probabilmente in animazione sospesa, visto che le persone vive devono mangiare, bere e fare anche i loro bisognini. L'incantesimo che la sigillava fu scioccamente formulato in modo da rompersi qualora si fosse verificato un evento ritenuto impossibile, che puntualmente si realizzò in WITCH n.14. A questo punto non è chiaro perchè non l'avessero tenuta nella Torre delle Nebbie. La spiegazione che potrei immaginare è che in origine, dopo il processo, fosse stata destinata lì, da dove però ha tentato di evadere. Potrebbe avere realizzato un talismano materializzando una copia semi-inerte del cuore di Kandrakar (infatti sempre nel fumetto si vede che il fantasma della guardiana da lei uccisa, Cassidy, è in grado di materializzare un cuore di scorta e lo cede a Will che ne è stata privata), e l'ha montata su uno scettro potenziato con un po' di magie imparate a Meridian (infatti tale scettro appare tra le sue mani, nel fumetto). Poi potrebbe aver cercato di evadere seducendo qualcuno dei sacerdoti-guardiani finchè Endarno, il capo custode della prigione, non l'ha affrontata e sconfitta, trasformandola in una orribile mummia vivente e spezzando la sua copia del Cuore (che infatti, nei disegni del fumetto appare crepata). La inusuale crudeltà di tale punizione potrebbe appunto essere spiegata, oltrechè con il tentativo di evasione di Nerissa dalla prima prigione, col fatto che la sua bellezza avesse avuto un ruolo importante in tale tentativo. Ed ora qualche parola su questo capitolo. Ciò che vi appare
di nuovo non è un personaggio, ma piuttosto il primo accenno a un
talismano: il Sigillo di Phobos, che nel fumetto le W.I.T.C.H. hanno
ritrovato nello scantinato di casa Portrait, racchiuso in un libro-cofanetto
sigillato da un incantesimo. Dopo un drammatico tentativo di forzare lo
scrigno, il sigillo venne infine inglobato nel Cuore di Kandrakar.
Buona lettura
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Capitolo 14
Dimenticato in un altro mondo
Chi controlla il passato, controlla il futuro.
Jonathan Ludmoore
Le grandi finestrature laterali lasciano entrare nella
sala del trono la luce grigiastra di un’altra giornata cupa. Dopo quei
disordini in piazza, il tempo su Meridian non si è mai ristabilito:
nuvole e pioggia, sempre.
A Phobos, ogni giorno così ricorda ciò
che più vorrebbe seppellire nell’oblio, la maledizione di sua madre.
Da quel giorno orribile non si sono più incontrati, ma lui non ha
potuto smettere di pensare al biasimo feroce che ha intuito nei suoi occhi.
Il breve sprazzo di sole che è apparso stamattina
gli ha acceso una speranza: forse sta per cambiare qualcosa.
Davanti alla pedana del trono, al centro dello snello
colonnato, un baluginio prelude all’apparizione a porte chiuse del comandante
dei servizi segreti.
“Vostra Altezza”, saluta il nuovo arrivato con una genuflessione
che fa allargare sul pavimento l’ampia veste azzurrina.
“Allora, Cedric; mi hai anticipato che sei latore di
un messaggio di mia madre”, lo sollecita il principe.
“Un messaggio e un dono”. Tende la mano, e sul palmo
appare un ciondolo: incastonata in un supporto argenteo, una sfera di ametista
spande bagliori violacei ben visibili nella penombra della sala.
Phobos rimane sbalordito riconoscendo l’oggetto: “Il
Cuore di Kandrakar!”. Ricordi lontani ma indelebili si riaffacciano con
prepotenza.
“Solo una copia, Altezza”, specifica con rammarico il
comandante dei Servizi Segreti. “La Regina ha detto di averla materializzata
una sera di sedici anni fa, dopo una cena cui Voi avevate invitato una
Guardiana…Nerissa?”.
“Nerissa!”. Phobos tende una mano, e l’oggetto percorre
a mezz’aria i sei metri che li separano, come tirato da un filo invisibile
fino al suo palmo.
“La Regina poté sfiorare l’originale, e tanto
le bastò per riprodurre questa copia. Purtroppo non le fu possibile
replicare anche lo spirito che lo animava”.
“Quello della ninfa Xin Jing”, completa Phobos un po’
deluso, scrutando i misteriosi riflessi dell’oggetto. “Senza lo spirito,
questo è solo un bel souvenir”.
“La Regina ritiene che questo pendente conservi dentro
di sé l’impronta della magia di Kandrakar. Che sia possibile ottenerne
un talismano in grado di vincere la muraglia”.
“Come?”, chiede Phobos incredulo; poi, pentito del suo
stupore da sciocco mortale, torna a farsi autoritario e ieratico. “Riferiscimi
esattamente ciò che mia madre ti ha detto!”.
“Sua Altezza ritiene che la Muraglia agisca sul portale
naturale come un macigno fa su un ruscello: se gettato nel suo letto, lo
spezza in rivoli che si cercano la loro strada verso valle. Ha detto che
questi rivoli… che questi passaggi potrebbero essere controllati e addirittura
spostati in luoghi nascosti e percorribili a piedi”.
Phobos socchiude gli occhi, valutando le implicazioni
di queste parole: questi passaggi sarebbero molto più pratici dello
stesso portale naturale, che fluttua a grande altezza e costringe a spendere
preziose energie per teletrasportarsi. “Continua!”.
“La Regina dice che nella biblioteca proibita, nel quarto
scaffale, ci sono due libri, “Poteri di Kandrakar” e “Tolo… topologia del
portale…”.
“Topologia del portale naturale”, lo corregge il principe.
“Sì, Altezza. Mettendo assieme le informazioni
di questi libri, Voi sarete in grado di controllare i passaggi”.
“Molto bene!” , annuisce Phobos soddisfatto, “E poi?”.
“La realizzazione del nuovo sigillo comporterà
il sacrificio di questa copia che vi ha fatto avere; perciò sarà
possibile realizzarne solo uno”.
Phobos annuisce ancora. Sperava di tenere questo oggetto
come ricordo della sua Nerissa, ma ora si presentano prospettive del tutto
nuove. L’accordo con Kandrakar è rotto, e ora esiste la possibilità
di ricercare anche lei, qualora sia ancora viva.
Sorride soddisfatto, poi un’altra speranza lo rende titubante.
“Cedric… come ti è sembrata mia madre? Voglio dire…”. Cerca con
imbarazzo le parole migliori per formulare una delicata domanda personale
a un subordinato.
“Invero, Altezza, la Regina non ha affidato direttamente
a me l’oggetto e il suo messaggio. Mi sono stati passati dal capitano Miriadel”.
Phobos si acciglia. “Hai perso la sua fiducia, incapace!”.
Scuote il viso. “A quanto pare, mi ha dato un motivo per andare a ringraziarla
di persona”.
Cedric deglutisce per l’imbarazzo. “Ancora una cosa,
Altezza. La Regina ha detto che non vuole essere ringraziata. Per lei…
- si fa piccolo- … per lei non è cambiato nulla rispetto a quanto
vi ha detto di persona...”.
Phobos torce il viso, volgendolo verso le finestre. E’
umiliante che lei abbia affidato un messaggio del genere a un subordinato
di un subordinato. Come il tempo plumbeo, anche il volere di sua madre
non è cambiato; neanche il guizzo di sole che ha visto stamattina
era per lui.
Cedric riprende: “L’Oracolo di Kandrakar ha ignorato
le sue suppliche. Lei vuole solo che Voi dimostriate loro che questo affronto
gli si è ritorto contro. Non ha più la forza di farlo di
persona”.
“Un affronto alla Regina è un affronto a tutta
la dinastia”, conviene Phobos amareggiato.
Chiude gli occhi, riflettendo. Quei due volumi in biblioteca
sono grandi e criptici, andranno settimane solo per leggerli. Ecco un altro
lavoro per Jonatludr, quel maghetto da strapazzo.
D’improvviso, una fitta di dubbio gli attraversa i pensieri.
“Cedric, quando hai richiamato i nostri agenti dalla Terra, hai avvisato
anche Jonatludr, vero?”.
E’ ricambiato con uno sguardo incerto. “Chi, Altezza?”.
“Jonatludr!”. Vedendo l’incomprensione sempre più
netta sul viso dell’altro, aggiunge: “Quello che ti avevo ordinato di dimen…”.
Si ferma, afferrando che si è già risposto da solo: Cedric
ha preso il suo ordine alla lettera.
Heatherfield, villa Ludmoore
Seduto alla sua grande scrivania di mogano John Ludmoore,
alias Jonatludr, chiude il suo quaderno di appunti e sbuffa, scacciando
con una mano una zanzara molesta. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate…
sarà la stagione.
Dovrebbe essere contento: il viaggio nel tempo, da complicato
gioco da tavolo per stupire, è stato perfezionato abbastanza da
poter essere messo in atto a volontà con un’attrezzatura che sta
in una tasca, ed è solo merito suo. Se il mondo fosse giusto, ciò
sarebbe abbastanza per farlo passare alla storia, ma Phobos ha sempre accolto
i suoi grandi successi come se fossero banali e dovuti; non lo ha mai trattato
né da cugino, né da genio della magia come meriterebbe. Inoltre
lo costringe al segreto per prendersene i meriti: la gente di Meridian
conosce il nome di Jonatludr solo per quella vecchia storia dello spiritismo,
e ne diffida.
Chi si potrebbe meravigliare se ora lui preferisse restare
incollato alla poltrona di quel rifugio grandioso e solitario che è
villa Ludmoore, piuttosto che schizzare su per l’impazienza di fare il
suo rapporto al principe?
Malvolentieri, fa sparire il quaderno nel suo palmo pronunciando
una formula rituale, e quando riapre il pugno al suo posto c’è il
sigillo di teletrasporto.
Si guarda in un grande specchio a parete, godendosi gli
ultimi istanti in cui può restare come vorrebbe essere sempre, poi
si passa l’altra mano sul viso, e il suo aspetto torna quello che i suoi
pari devono mantenere nel palazzo di Meridian, con le odiate striature
verdine e le orecchie a punta che lo differenziano dalla stirpe a cui sogna
di appartenere.
Sbuffa di nuovo. Togliamoci questo pensiero…
Inizia la sequenza mentale, poi vede il grande studio
dalle pareti ricoperte di libri svanire in un debole tremolio.
Cos’è questa luce azzurrina? Dov’è il palazzo?
Il pavimento? I suoi piedi annaspano nel vuoto. Si sente senza peso. Inizia
a ruotare senza controllo. Realizza di essere sopra il mare. Sta precipitando
verso la superficie bluastra da un’altezza che non riesce a definire. Un
grido terrorizzato, il suo, copre ogni altro rumore di quella scena irreale.
Un vento sempre più forte lo investe dal basso, mentre la velocità
di caduta si fa vertiginosa. Le onde si avvicinano. Veloci. Sempre più
veloci. Stringe convulsamente il sigillo, finché il suo cervello
paralizzato riesce a riprodurre la sequenza. Meridian. Meridian. Meridian.
Il mare svanisce dai suoi occhi per un istante; lui si
ritrova davanti ad una nuvola che sembra un tunnel nella nebbia, ma senza
alcun appoggio, e sta riprendendo a cadere. Attorno a lui, nell’azzurro,
gabbiani in volo e lontane scie di jet. Di nuovo, sotto di lui, il
mare si sta avvicinando rapidamente. E’ paralizzato, incapace di pensare.
Le pieghe dei vestiti riprendono a turbinare convulsamente. La superficie
è vicina. Le sagome dei pesci traspaiono attraverso l’acqua. Ultimo
tentativo, o addio. Villa Ludmoore. Villa Ludmoore. Un tremolio…
Un attimo dopo, tutto si scurisce, poi il grido, l’ impatto,
il cozzo della fronte e del naso, e un’esplosione di puntini di luce che
solcano il buio.
Dopo un tempo lunghissimo, Jonatludr si rende conto di essere ancora vivo: è nel suo studio a villa Ludmoore, disteso scomposto e dolorante sul pavimento. Tutto il suo corpo è agitato da un tremito irrefrenabile. Sente il sapore forte del suo sangue, che gli cola dal naso senza che lui riesca a fare niente per fermarlo, mentre la stanza gli gira tutt’attorno.
Jonatludr non sa quanto tempo è passato. Forse
molto. I raggi del sole hanno il colore del tramonto.
Si rialza, incerto, tenendosi a un immenso scaffale.
L’orologio alla scrivania segna… le sei e cinquanta? Possibile che in ottobre
il sole tramonti così tardi?
Poi capisce: i raggi vengono dalla direzione del mare,
da est. Questo non è il tramonto, ma l’alba.
Barcollando, si porta verso il bagno.
La prima occhiata allo specchio è un altro trauma:
le occhiaie sono gonfie e peste; strisce scure di sangue rappreso gli solcano
la faccia e gli incollano le labbra, nascondendogli le striature verdi.
Il naso gli fa male, è storto. Rotto. Le orecchie sono appuntite,
come si conviene solo a Meridian.
Non è pensabile di chiamare soccorso ad Heatherfield.
L’unica speranza è riprendere la lucidità di controllare
il suo aspetto.
Dopo mezza mattinata di tentativi infruttuosi, l’ultimo
lo premia: con un luccichio, il suo corpo si trasforma in John Ludmoore,
la sua controparte terrestre, e tutte le tracce delle lesioni spariscono.
Si sente subito meglio, ma è ancora confuso: perché
il suo teletrasporto si è concluso così, all’ingresso del
portale naturale sull’Atlantico, anziché a Meridian? Che il
suo sigillo si sia guastato?
Si chiede a chi potrebbe chiedere aiuto. Forse… forse
a Miriadel? Era passata di lì a spiarlo qualche mese prima, travestita
da terrestre. Con che nome si era presentata? Eleanor… Brown? Certo, Brown,
proprio come lo scrittore di Esperimento, quel racconto inquietante sul
viaggio nel tempo.
Non ama certo quella ragazza: sa che ha avuto un ruolo
nella sua condanna per spiritismo, anni prima. Però non ha altre
scelte: non conosce altri meridiani ad Heatherfield.
Lei aveva detto che lavorava in una libreria. Ma quale?
Heatherfield, davanti al Ye Olde Bookshop, quattro giorni dopo
Ye Olde Bookshop, recita la targa di lamiera smaltata.
John Ludmoore controlla sul foglio che ha in mano: è
la diciassettesima libreria della lista tratta dall’elenco telefonico.
In nessuna delle precedenti ha trovato alcuna traccia di una commessa chiamata
Eleanor Brown.
Sulla porta di questo negozio spicca un cartello: “Chiuso
per inventario”, ma all’interno non si intravede alcun movimento. Vale
la pena di approfondire.
John pronuncia tra i denti una formula magica, e sente
lo scatto della serratura. Entra con tutta la disinvoltura che può.
All’interno non c’è alcun segno di vita, se si
eccettua un ragno al lavoro sulla sua tela.
Gira attorno al bancone, dove alcuni libri sono impilati,
e vede diversi cassetti ancora aperti e svuotati, come se qualcuno
se ne fosse andato in fretta.
Apre una porta sul retro, dove una scalinata lo porta
fino ad un seminterrato in cui è allestito un alloggio di fortuna
con un lettino pieghevole e uno di quei cosi, un televisore, che ai terrestri
sembrano piacere tanto. Lui deve ancora scoprire cosa ci trovino nel passare
ore a guardare uno schermo.
Torna su. La sua intuizione gli grida che quello
era il posto giusto, ma che gli occupanti se ne sono andati senza aspettarlo.
Del resto, perché avrebbero dovuto aspettare lui?
Il motivo di questa partenza gli resta misterioso, ma
significa comunque che dovrà cavarsela da solo.
Seduto dietro il bancone, si sforza di dominare la preoccupazione
e ragionare lucidamente.
Si fa apparire in mano il sigillo di teletrasporto e
lo osserva con attenzione. In questi giorni lo ha riprovato più
volte, e sembra funzionare bene, almeno sulla Terra. Però non ha
più osato ripetere il disastroso tentativo di teletrasportarsi a
Meridian.
La comprensione lo trafigge come una spada: la Muraglia
di Kandrakar! Tutti gli altri se ne sono andati in tempo, e lui…
Dimenticato! Ignorato!
Si affloscia sulla sedia, avvilito e scomposto. Maledetto
Phobos! Maledetti loro! Dimenticare lui, che gli ha aperto le porte del
tempo…
Già, il tempo! Il sistema per viaggiare nel tempo
è collaudato e funzionante! Basterà tornare indietro di qualche
giorno, prima dell’attivazione della Muraglia. Anzi, sicuramente
Phobos non lo ha fatto avvisare perché lui a Meridian è già
tornato, e adesso forse il principe lo sta elogiando perché questo
metodo gli consente di continuare i viaggi sulla Terra aggirando nel tempo
l’ostacolo posto da Kandrakar sullo spazio.
E’ vero che il consumo di acqua magica è altissimo,
ma ne ha ancora una buona scorta.
Appena si è rilassato, tutta la stanchezza di quattro
giorni di camminate alla ricerca delle librerie, di spiegazioni e malintesi
con questi terrestri gli piomba addosso, appesantendogli le braccia e le
gambe.
Decide di concedersi un po’ di riposo in quel luogo,
poi si teletrasporterà a villa Ludmoore.
Si guarda attorno. Scaffali e scaffali di libri. Alcuni
sono vecchi e ingialliti come quelli della sua preziosa biblioteca, altri
quasi nuovi. Chissà se a quella serpe di Miriadel piace leggere.
Ma di cosa scriveranno tanto, questi terrestri? A parte
la magia, quanti altri argomenti ci sono sui quali valga la pena di sprecare
carta?
Per curiosità, allunga la mano verso alcuni libri
appoggiati sul bancone.
1984, di tale George Orwell. E’ l’anno in corso,
sulla Terra. Sarà un libro di profezie?
Ne sfoglia alcune pagine, poi lo richiude stizzito. Che
vittimismo: come fa il protagonista a sentirsi controllato, se non gli
possono neanche leggere il pensiero?
Storia di Heatherfield, di Nicholas Cleverstone.
Questo è uguale al libro che aveva con sé Phobos quando gli
ha proposto di trasferirsi ad Heatherfield.
Proposto… in realtà una proposta del Principe
del Metamondo assomiglia molto ad un ordine.
Ci rimugina: forse dovrebbe continuare le sue ricerche
da solo per accrescere il proprio prestigio e la propria potenza, e poi
tornare indietro nel tempo per costringere Phobos a considerarlo come un
suo pari. Non è male, come idea! Gli brillano gli occhi: forse i
suoi poteri magici, dopo una lunga preparazione, potrebbero superare perfino
quelli del Principe. In questo caso, perché restargli sottomesso?
La sua attenzione torna sul libro: si ricorda che questo
dedica diverse righe e un paio di foto a villa Ludmoore, ed è su
queste pagine che Phobos o qualche suo tirapiedi hanno trovato il ritratto
dell’alchimista, riprodotto in formato unghia, e hanno notato la sorprendente
somiglianza di nome, aspetto e interessi tra l’antico Jonathan Ludmoore
e Jonatludr.
Infatti, un fascicoletto di fogli piegati tiene il segno
sulla pagina che ne parla.
Lo scorre con disappunto: dedicano più spazio
alla casa che a lui. In poche righe lo definiscono un misterioso alchimista
scomparso in circostanze ammantate di leggenda.
E’ poco, si rammarica: gli sarebbe piaciuto lasciare
un segno più netto nella storia.
L’occhio gli cade sui fogli ripiegati che tiene ancora
in mano. Sono fotocopie di qualche altro libro, zeppe di annotazioni in
meridiano dalla calligrafia femminile. Di Miriadel, probabilmente.
Legge distrattamente le prime righe: sono proprio su
di lui. E’ un resoconto molto più dettagliato, preso da una rivista
di misteri.
Poteri degli elementi… demoni dalla pelle verastra… un
libro su cui annotava le magie che diventa senziente… le Pietre degli Elementi…
Ma è il finale che lo sconvolge: secondo questa
leggenda, Jonathan Ludmoore sarebbe stato risucchiato nello stesso Libro
degli Elementi, sfuggito al suo controllo.
John rilegge più e più volte, incredulo
e inorridito, il resoconto della sua scomparsa.
Il suo sguardo si perde nella stanza. E’ a questo disastro
che è predestinato?
Soppesa le possibilità: non farebbe meglio a sfuggire
a questa sconfitta, rinunciando ad andare nel passato per impersonare Jonathan
Ludmoore? Eppure, ciò che è scritto è già avvenuto,
non può essere cambiato in nessun modo. Ma il passato ha davvero
bisogno che sia lui a impersonarlo, perché questo personaggio affascinante
esista… sia esistito davvero? E se fugge, non rinuncia a quella che considerava
l’assicurazione della sua futura gloria?
Poi razionalizza: se questo epilogo sinistro fosse davvero
avvenuto, come potrebbe essere conosciuto da chi ha sparso la voce? Quello
che è scritto è solo ciò che si racconta, non è
necessariamente vero.
La protezione migliore, per Jonathan Ludmoore, sarà
proprio mettere in giro lui stesso quelle voci che, raccolte da qualche
credulone, saranno… sono poi state immortalate sulla carta stampata.
Non c’è da preoccuparsi, dunque: questo epilogo
è solo una storiella che lui stesso ha raccontato… o racconterà,
inventata proprio per scongiurare la sua stessa realizzazione.
Nel suo sollievo, John alza gli occhi e nota, nella luce
aranciata del tardo pomeriggio, una donna anziana che, dal lato opposto
della strada, osserva con insolita attenzione il negozio. E’ piccola di
statura, con il viso contornato da capelli grigi lunghi e lisci, una carnagione
chiara e un po’ giallina… ciò gli ricorda qualcosa.
La parola ‘asiatica’ emerge sgomitando tra i suoi pensieri.
Ma certo! E’ la descrizione dell’ultima Guardiana di
Kandrakar! Dev’essere lei, la vecchia megera che lo sta spiando! Chissà
se ha anche individuato la sua abitazione?
Sforzandosi di restare lucido, riprende il libro e le
fotocopie che parlano di lui, poi scende nello scantinato, chiudendosi
la porta alle spalle. Quella strega non deve vederlo mentre estrae il sigillo
e si trasporta alla sua villa sul promontorio.
In quest’epoca, l’aria si sta facendo decisamente pesante.
Dovrà completare in fretta i preparativi per il viaggio nel tempo,
e abituarsi al suo nuovo nome: non più John, ma Jonathan Ludmoore.
Villa Ludmoore, tre ore dopo
John dà un’ultima occhiata al suo sontuoso studio,
i cui scaffali colmi di libri si protendono fino al soffitto. Ha fatto
più presto possibile, ed è riuscito a completare i preparativi
in meno di due ore: ha inserito nella borsa poche decine dei suoi libri
di magia ridotti alle dimensioni di zollette, confidando che nella sua
nuova e gloriosa vita nel passato non avrà difficoltà a comprare
tutti gli altri volumi che sta per lasciarsi indietro, e forse perfino
a leggerli. Ha caricato anche un minimo di vestiti, cibo, attrezzature
e amuleti, e ovviamente tutta l’acqua magica rimasta. Infine ha convertito
in oro, ben accetto in ogni epoca, tutta la sua ingente riserva di dollari.
Sì, ha dovuto vincere con l’ipnosi le fisime degli orafi a cui si
è rivolto, che strillavano che quel denaro era falso. E se anche
fosse?
Emozionato, conclude la sua lista mentale delle cose
da portare. C’è tutto, ne è sicuro.
L’attrezzatura per il viaggio nel tempo ora gli sta nelle
quattro tasche del vestito e lo seguirà nel passato, anziché
restare nell’epoca d’origine. Sorride d’orgoglio ai progressi fatti: solo
pochi mesi prima, gli era stato necessario usare quattro grandi specchi
solo per spostare di qualche minuto un banalissimo bicchiere.
Bene, è il momento. Addio, 1984. Alea jacta est.
John, ora Jonathan Ludmoore, riapre gli occhi in una tersa
alba di centottanta anni fa, su un pendio coperto da erba alta e incolta,
circondato da boschi folti.
Attorno a sé non vede traccia di presenza umana,
ma è certo che il luogo è lo stesso dove sorgeva, e tornerà
a sorgere, la sua maestosa dimora.
Giunto sulla sommità del promontorio, osserva
il sole che nasce a est. Dalla parte opposta, nella baia, si scorge una
modesta cittadina portuale sull’estuario di un fiume nella stessa posizione
in cui prima aveva osservato Heatherfield stendersi per chilometri lungo
la costa e arrampicarsi fino alle pendici dei colli prospicienti.
“Sìììì!!!” grida a pieni
polmoni, sovrastando il frangersi delle onde quaranta metri più
in basso e gli strilli dei gabbiani.
Phobos, un giorno mi rivedrai, ma non più nei
panni di un umile sottoposto. Chi controlla il passato, controlla il futuro!