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Autore: Guardian1    24/09/2010    2 recensioni
[Completa, riveduta e corretta.]
Sono passati tredici anni dagli eventi di Final Fantasy IX, ed ecco che la vita di Eiko Carol viene stravolta di nuovo da un nemico creduto morto da tempo. Che cosa può fare una ragazza sola per cambiare le cose?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdT: hm, un chiarimento. In realtà nei precedenti capitoli Eiko aveva fatto qualche tentativo di comunicare con gli Eidolon, ma era troppo fuori esercizio per riuscirci. Prima che andasse in Trance (che in un certo senso l’ha “sbloccata”) riusciva a stento a fare delle magie di primo livello, un’evocazione era fuori dalla sua portata.
La questione degli spiriti verrà comunque approfondita nei prossimi capitoli, questo è poco ma sicuro. Buona lettura :D

NdA: Questo capitolo è dedicato a Gabi, a Tobu Ishi e a Aishiteru per aver trasformato le cosette che scrivo in alcune delle più spettacolari fanart (poi ve le mostrerò ndt) su cui abbia mai posato gli occhi. Grazie per le bustarelle, per il calore, e per l’infinito sostegno.





capitolo dieci
non puoi tornare a casa



Seven years, three lands.
Stone loaves, iron shoes, and mountains of glass.
Three transformations, three gifts, three nights.
For one mistake, one second of doubt.
The equation hardly adds up.
The punishing denominator outweighs the offending numerator.
This was not an eye for an eye.
It was a limb for a finger.


Sette anni, tre terre.
Pani di pietra, scarpe di ferro, e montagne di vetro.
Tre trasformazioni, tre doni, tre notti.
Per un errore, un secondo di dubbio.
L’equazione fatica ad avere senso.
Il denominatore castigatore supera il numeratore oltraggioso.
Non è stato occhio per occhio.
È stato un agnello per un dito.


- a.m. cousins



Non riesco mai a ricordare con precisione quello che accadde subito dopo.

A quanto pare le fiamme mi hanno lambito (leggasi “ustionato”) i piedi e Fenice mi ha fatto cadere tutta moscia sul tetto del Castello di Alexandria. Io deliro; sono troppo stanca per capire, non so dove mi trovo, non so chi sono. Ho volato per ore, le lacrime si sono asciugate prima che potessi versarle.

A quanto pare stanno chiamando a gran voce la Regina dal momento in cui sono precipitata; non riescono neanche a toccarmi, le guardie di vedetta, la mia pelle è così calda che apre delle vesciche nei loro guanti di cuoio mentre mi rotolo agonizzante sulle mattonelle fredde. L’unica a toccarmi è Garnet, e la brucio, e le lascio della cenere sulla candida vestaglia da sera color avorio mentre cerco freneticamente le sue guance con le mani ancora fumanti.

E riesco soltanto a mormorare, e Garnet dopo mi avrebbe detto che erano state le mie parole a gelarla più di tutto il resto:

Sta arrivando, sta arrivando, sta arrivando. Io non posso fermarlo.



Era piuttosto presto quando mi svegliai con un sobbalzo, prima che si alzasse il sole, allo svanire degli effetti dell’erba sonnina. Credo che fosse stata colpa del letto: lenzuola soffici e cuscini che profumavano di acqua di lavanda e lavaggi costanti, il materasso alto e morbido, i polpastrelli sporchi di grigio che insudiciavano il copriletto di seta ricamato.

Pulito, dolce. Non importava che la testa mi pulsasse e che la gola mi sembrasse roccia vulcanica. Mi misi a sguazzarci dentro.

« Zia Eiko? »

Mi sedetti e mi strofinai con un polso gli occhi assonnati e gonfi, fissando l’apparizione al centro della stanza illuminata dalle candele. Era la mia pseudo-nipode che mi guardava intensamente, la spada corta stretta prudentemente in una mano, la camicia da notte di pizzo blu stipata in un paio di pantaloncini. Rinfoderò la spada nella cintura alla sua vita con un brivido d’acciaio, assumendo una posizione di riposo all’erta che avevo spesso visto fare a Beatrix.

« Sono la Guardia Permanente della Principessa » mi annunciò Cornelia Til Alexandros, solenne come un gufetto. « Ti proteggo dallo Strangolatore di Lindblum. Quando verrà qui farò così- » Estrasse la spada, fluida, descrivendo un arco con la lama sibilante. I lunghi capelli scuri erano ancora sistemati in treccine per la notte, la coda si dimenò sotto di lei pregustando l’azione quando agguantò la spada con entrambe le mani. Dietro di lei, le ombre danzavano. « E poi lo farò a pezzettini da qui, dalla pancia alla gola, e poi potremo fare colazione. » Avendo finito di sbudellare il suo nemico invisibile sul tappeto, rimise la spada al suo posto, voltandosi verso di me. « Oh, zia Eiko, perché piangi? Non sei felice di essere a casa? »

All’improvviso mi ritrovai la Principessina tra le braccia e le spinsi la faccia sulla spalla, sentendo la moquette pesante sotto le dita dei piedi quando tolsi le gambe dal letto. Per un attimo i nostri corni cozzarono tra loro, il suo era così piccolo e smussato, e le toccai le braccia e le gambe lunghe da bambina di otto anni per accertarmi che fosse realmente reale.

« Pensavo che non ti avrei più rivisto » bisbigliai, la voce bassa e roca. « Pensavo che fossi morta. Mi dispiace tanto, Elia. Mi dispiace tanto. Pensavo che ti avesse uccisa, anche se mi aveva detto di no, ma – oh, Cornelia."

« Non mi ha ucciso » assicurò, coraggiosa, leale, talmente simile a suo padre nei vezzi che mi venne voglia di ridere dietro lo spesso velo di lacrime. « Una notte è venuto in camera mia, e io ho gridato e gridato e io stavo per ucciderlo con la spada ma lui mi artigliava. Poi Steiner è entrato nella stanza e quello mi ha lasciato andare, e ha lanciato un Fire a Steiner e ci sono ancora delle grosse bruciature per tutta camera mia, e poi è saltato fuori dalla finestra e se n’è volato via. E tutto » concluse indignata, « per fregarsi la mia collana! »

E allora risi, la gola un crepitare secco. Non voleva la tua collana. « Te la riprenderemo, Elia. »

« Abbiamo riavuto te » disse, i grandi occhi azzurri sinceri. « Non è il regalo migliore che potessimo ricevere? »

« Non sono tornata neanche da cinque minuti e già mi corteggi per le caramelle. Ti si carieranno i denti prima dei nove anni. »

« Zia Ei-ko! » Si allontanò, il fodero che oscillava. « E comunque ho già nove anni. »

Mi alzai, cercando disperatamente una vestaglia; i miei abiti erano tutti sbrindellati. Cornelia me ne porse servizievolmente una appesa allo schienale di una sedia, aiutandomi a metterla perché le mie braccia erano intorpidite e lente. Maledetta erba sonnina. Era come se avessi la testa piena di grasso. Quanto tempo era passato? « Mi sono persa il tuo compleanno. »

« Sì. » Me la legò alla vita, le dita rapide e ordinate come non mai. « Ma, indovina un po’, è venuto zio Amarant e mi ha dato- »

Mi ricordai del mio nono compleanno, con Amarant. « Un po’ di antigelo, una pozione e un servizio da tè giocattolo? »

« Quasi » rispose con praticità, con l’aria di qualcuno che era cresciuto con i regali di “zio” Amarant. « Due pozioni, un pacco di strisce di liquirizia, e una specie di bomba incredibile che madre mi ha confiscato. Ma padre dice che possiamo andare a detonarla al lago quando il tempo sarà più fresco. »

Ero a casa. Venni colta di colpo da una certa sensazione di familiarità, nel bel mezzo di una delle suite di Alexandria, con quell’odore conosciuto di lucido e con il vento che soffiava dal lago. L’odore delle candele in cera vergine con un pizzico di limone, fragrante, era molto diverso dai candelotti affusolati e segosi fatti con petali di rosa che evidentemente Kuja aveva preferito. Mi sommerse una potente onda di profondo, sgradito rimpianto.

« Elia, non dovresti essere a letto? »

« Madre e padre mi hanno permesso di sorvegliarti. » Sembrava smoderatamente compiaciuta dalla cosa. « Mentre loro prendevano disposizioni eccetera – come per esempio dire alla prozia Hilda e al prozio Cid che sei qui, e adesso stanno venendo, e madre era pure tentata di chiamare Freija e gli altri – non so perché visto che ci siamo io, Beatrix e Steiner, e quando lo Strangolatore sarà qui – poh, slash, me la vedo io! »

« E cos’è che avresti dovuto fare quando la zia Eiko si svegliava? »

La voce dolorosamente familiare che proveniva dal corridoio mortificò la bambina; mi tremolavano le ginocchia al pensiero di quanto mi fosse diventata estranea. « Scusa, papà. »

Non riuscii a trattenermi. Corsi da lui. Mi avvinghiai a Gidan Tribal – Gidan Til Alexandros, il principe consorte Gidan, Gidan l’uccisore della morte, l’eroe Gidan – e piansi per la terza volta in una sola notte. Ormai avevo acquisito dimestichezza con le lacrime, e tremai e singhiozzai istericamente contro il suo petto mentre lui mi abbracciava come se avessi ancora sei anni. Cornelia rimase immobile accanto alla porta mentre lui mi cullava, calmo e forte; le braccia strette attorno a me erano una promessa intrinseca di protezione.

« Shhhhh » mormorò. « Oh – mi caverai un occhio con quel coso se continui a muovere così tanto la testa. Sono qui, Eiko. Ora non preoccuparti. Con noi sei al sicuro. È finita. È durata anche troppo per te. »

« Merda. No, no, non – non permettermi di piangere – non posso permettermelo, Gidan. Lui sta arrivando. »

« Dove ti hanno nascosto gli stronzi, Eiko? » Mi afferrò per le spalle, guardandomi in faccia; i capelli d’oro gli ricaddero come piume sulla fronte. « Ti avevamo quasi data per morta prima che quello stronzo cercasse di far fuori Elia, e abbiamo perlustrato di nuovo mezzo mondo, l’abbiamo messo sottosopra- »

« Eravamo nel deserto, ma non importa- »

« Chi è? » Gli occhi azzurri ardevano. « Steiner ha detto che era un Valzer Nero, vero come non mai- »

« Gidan. » Fermai lui e il nostro discorso balbettante, tentando di mettere a fuoco la situazione. « Come stanno i miei genitori? Sono… » Sono vivi, Gidan?

Si intenerì. « Cid e Hilda? Sono vivi e vegeti. » Grazie agli Dei. Grazie a te, Madein. Grazie per aver esaudito le mie preghiere. « Certo, Cid si è rotto un braccio quando Lindblum è stata attaccata, ma per il resto sta bene. Però… »

Mi preparai al peggio. Un braccio rotto. « Voglio sapere tutto. »

Gidan si morse il labbro, poi tornò a scrutarmi, facendo scivolare una mano callosa nella mia. Non si era chiaramente cambiato per andare a dormire, né aveva fatto in tempo a riposare; sembrava stanco, tormentato e d’improvviso – vecchio. Ricordai le parole di Vivi, e punsero. Gidan è troppo vecchio e rammollito per essere ancora l’eroe di Gaya. « Oltania – Oltania è morto nell’attacco. Abbiamo perso troppe brave persone quel giorno. Mi dispiace. »

Fissai senza batter ciglio il vuoto sopra la sua spalla. Appesantito dal dolore di entrambi, lui mi accarezzò la schiena e si alzò in piedi, mettendosi a camminare avanti e indietro in un’azione familiare mentre la sua coda si agitava come quella di un gatto. « Lo uccideremo, Eiko » mi garantì, grave, in quel tono freddo e aspro che gli avevo sentito usare di rado. Ricordai improvvisamente i gelidi tunnel sotterranei di Branbal. « Gliela faremo pagare per tutto quello che ha fatto. »

Ce l’avevo sulla punta della lingua: È Vivi, Gidan, perché non lo vedi? Perché io non lo vedevo? Come abbiamo fatto a non capirlo? Ma mi morì sulle labbra. Aprii la bocca e la richiusi.

« Sta arrivando » La mia voce era alta e strana nel silenzio della notte. « Stava arrivando già sei ore fa. »

« Mer – Meringa. » L’epiteto si modificò a metà strada quando l’occhio esausto gli cadde sulla figlia. « Maledizione. Bisogna dirlo a Garnet. Ti senti abbastanza bene da venire con me? Ha richiamato tutta la cavalleria, gli uomini e i cavalli migliori, e ho sentito che addirittura Quina sta affilando tutte le forchette delle cucine e ha chiesto se questo tipo è saporito. Stiamo discutendo della strategia in una delle stanze di Garnet e ora come ora potresti veramente esserci utile. In quanti verranno? »

Quasi scoppiai a ridere, dimenando la testa avanti e indietro, un sorriso infelice in viso che aveva un che di orgoglio e un che di dolore. « È sempre e soltanto lui, Gidan. Nessun altro. »

Questa volta toccò a lui rimanere a bocca aperta, prima di richiuderla come un pesce. « Maledizione » sibilò lentamente. « Tu resta seduta qui, okay? Cornelia, tu va’ a letto- »

« Papà! »

« -ripensandoci rimani ferma qui anche tu, zucchero. » Corse stancamente verso il corridoio, ma fece dietrofront quasi all’istante.

« Eiko? »

« Sì? »

Sorrise, tenero. Per lui sarei sempre stata una bambina; e io ero lieta di essere quella bambina. Gidan mi avrebbe voluto bene per sempre. « Sono contento che tu sia tornata. »

Poi se ne andò, abbaiando ordini alle guardie mentre la sua voce spariva tra i corridoi di pietra. « Raddoppiate il numero delle guardie qua fuori! Metteteci la Squadra Plutò, va bene? E qualcuno mi vada a chiamare Beatrix! »

Mi risedetti sul letto. Volevo un bagno caldo, un pasto caldo, volevo tornare a dormire e risvegliarmi al mattino, quando sarebbe finito tutto per incanto. Il ciambellano Oltania. Vivi aveva ucciso Olty.

Cornelia si sedette accanto a me, muovendo le mani in grembo come farfalle prima di stringersi alla sicurezza rappresentata dall’elaborata fodera nera al suo fianco. C’era silenzio; io con la mente ero da tutt’altra parte.

« Come si chiama? »

Lei mi riportò su Gaya, e sbattei le palpebre. « Chi? »

« L’uomo. Che mi ha strangolato. » Non incontrava i miei occhi. « Ha detto che ero… la bambina più bella che avesse mai visto. Mi è sembrato un po’… triste. Poi però ha cominciato a strangolarmi. Io dico che è pazzo. »

« Si chiama Tango Nero. »

Lei ci pensò per un po’. « È un nome stupido. »

Questa volta, sorrisi. « Lo sa anche lui, tesorino mio. Lo sa anche lui. »



Cinque mesi, due settimane e tre giorni. Mi aveva rubato quasi mezzo anno della mia vita. Le settimane si erano allungate in mesi. Mezzo anno. Non c’era da stupirsi se mi avevano spacciata per morta.

Metà anno. A me erano sembrate tre settimane; tre mesi al massimo. Addirittura mezzo anno.

Ed era tutto passato in poche ore. Erano le quattro del mattino; corsi a farmi un bagno caldo e per venti minuti mi concessi di fingere di essere tornata alla Reggia del Deserto con i vestiti asciutti che Rain mi aveva pazientemente piegato sul marmo freddo. Gli asciugamani lanuginosi e vaporosi ruppero l’incantesimo. Mi vestii senza prestare particolare attenzione al mio aspetto.

La mia bacchetta di fiori era sul tavolo, dove me l’aveva lasciata qualche anima pia. Emetteva delicatamente piccoli sbuffi di polvere scintillante e s’impregnava allegramente dell’aria umida di Alexandria. L’acciuffai e me la misi nella sottoveste senza farmi vedere da nessuno prima di prendere Cornelia per un braccio e salire barcollante le scale fresche che conducevano alle stanze di Garnet.

Ogni soldato mi salutò mentre passavo; strano, perché quella notte ero quanto di meno eroico ci fosse al mondo.

O quella mattina. Il sole si stava levando quando entrai finalmente nella stanza prescelta per la discussione; mi sedetti vicino a Garnet, che mi tenne la mano, che era quasi troppo bella da guardare. Cercai disperatamente di protrarre ciò che seguì: il tenero, delizioso bentornato della Regina, tutti che si rifiutavano di lasciare il mio fianco, la protezione, il calore, l’affetto.

Lì dentro c’erano solo Garnet, Gidan, Beatrix e una manciata di soldati, oltre all’ostinata Cornelia che lottava con il sonno nella sedia dura accanto a me. Sembrava che tutti si stessero preparando a una guerra senza esclusione di colpi; diedi un colpetto nervoso al porridge che qualcuno mi aveva portato per colazione. Quello di Rain è più caldo.

« Bene, Principessa. » Ero di nuovo la principessa Eiko; Beatrix sedeva di fronte a me, anche se sembrava che avrebbe preferito stare in piedi. « Sua madre e suo padre sono stati trattenuti a terra. »

Il mio battito accelerò, il porridge si tramutò istantaneamente in cenere nella mia bocca. Non avevo ancora digerito la morte di Oltania; non riuscivo a digerire nulla. Ogni cosa era una parata di volti preoccupati, di piccole gioie di breve durata. Il mio ritorno a casa era stato un sollievo per tutti – non ero morta, era un bel primo passo – ma per tornare a casa avevo lasciato una pista per il lupo. « Cosa? Perché? Stanno bene? »

« Delle sentinelle hanno intravisto qualcosa che volava vicino alla nave » spiegò senza mezzi termini. « Non vogliono rischiare la vita del Granduca; sono atterrati e per un po’ hanno decido di procedere a piedi. Stanno bene. Al contrario di lei. Dobbiamo sapere tutto su quest’uomo, adesso. »

Quante persone erano morte a Lindblum? Doveva essere stato una specie di massacro. Certo che era stata una specie di massacro; ero stata una stupida a credere che così non fosse. Non per la prima volta, mi venne un magone al pensiero dei morti che gravavano sulle spalle di Tango. Vivi. Tango.

« È proprio necessario? » La voce di Garnet, fievole e vellutata. « Eiko si è appena accasciata davanti a casa nostra e già la sottoponiamo a, a – a un interrogatorio. »

« Va bene » mi intromisi prima che Gidan potesse aprire la bocca per fomentare una crisi matrimoniale. « Sto… sto bene. Dopo avrò tutto il tempo per riposare. »

Beatrix annuì, approvando il mio parere. Era ancora fredda come il ghiaccio, nobile e impeccabilmente bella. I femminili capelli castani che una volta le ricadevano sulle spalle in onde lucenti erano ora legati in una treccia severa attaccata alla nuca, e aveva solo un po’ di bianco prematuro attorno alle tempie. La benda che aveva sull’occhio le aderiva così tanto alla testa che pensai che avrebbe potuto spezzarsi a ogni mutamento di espressione. « È un mago nero? »

Evidentemente. « Sì. »

« Un Valzer Nero, Eiko » mi venne in soccorso Gidan, e per poco non risi: era ovvio che lo sapevo. « Vero? »

« Sì. » Non riuscendo a tollerare le risposte monosillabiche, mi schiarii la gola. « Credo. Lui… lui è senziente, Gidan, non è un mostro. Lui… » Mi portai il caffè alla bocca, annusando il bluman macinato prima di deglutire una lunga sorsata. « Lui parla. Sa quello che fa. Lui… » È il maghetto che tanti anni fa ha dormito vicino a me, stupidi, siamo tutti degli stupidi. Passavo ore a guardarlo saltare la corda mentre delle bambine contavano, i piedi grandi straordinariamente agili e capaci di seguire il ritmo. È questo il nostro assassino. « Lui ha un piano » fu la mia conclusione zoppicante.

La mano di Garnet iniziò improvvisamente a serrarsi sulla mia, così forte che sicuramente le si erano sbiancate le nocche. « Quale piano, Eiko? Quale piano? »

« Ha dei piccoli maghi neri » borbottai nella mia tazza, sentendomi pericolosamente prossima alle lacrime. « Vuole spazzare via tutte le altre razze per poter avere una casa per loro. »

« Non può. » La voce armoniosa e limpida di Beatrix fu momentaneamente inquinata dalla confusione. « Non può essere tanto potente. »

Scommettiamo? « Invece . »

« È capace di teletrasportarsi, no? » Gidan appoggiò le mani sul tavolo, cercando disperatamente qualcosa con gli occhi azzurri mentre mi osservava mangiare tranquillamente il porridge. « Allora perché ci sta mettendo così tanto? »

« Mi sta cercando. Non sa dove sono. »

« Perché vuole lei, Principessa? » Ancora Beatrix, interrogativa. « Proprio non capisco. Cos’ha da offrirgli? »

Certi giorni me lo chiedo anch’io, Beatrix.

I deboli raggi del sole del primo mattino filtrarono dalla finestra di fronte al tavolo; fissai le lastre di vetro, sorseggiando il caffè, la voce fiacca. « Non lo so. »

Ci fu un lungo silenzio. Gidan si sedette sul tavolo, senza subire le recriminazioni di sua moglie, di Beatrix o mie, e si fissò le mani. Aveva un’aria spaventosa e torturata. « Piccoli maghi neri » mormorò. « Veri maghi neri? »

« Sono bellissimi. » La mia voce s’incrinò.

Garnet mi stava guardando, riuscivo a vederla con la coda dell’occhio. Mi tremò la mano che impugnava il caffè. Vi ci seppellii la bocca; avrei fatto qualsiasi cosa per farmi forza di fronte all’espressione del suo viso. Riusciva a vedermi dentro come se fossi trasparente quanto la finestra, ed ero sorpresa che non riuscisse a leggermi la verità scritta in faccia con inchiostro nero.

Come hai potuto, Vivi? Come hai potuto? Dei, Oltania, Olty, tutta quella gete, oh, Lindblum. Te lo meriti di morire qui, vieni nella trappola per topi, fatti spezzare il collo o – non morire, ti prego, non ancora. Non ancora. Ti prego. Non abbiamo ancora raggiunto il nostro scopo.

« Cos’è che non ci stai dicendo, Eiko? » La sua voce gentile era più letale di quella di tutti gli altri. Riuscivo a sentire la flebile marcia delle guardie fuori dal castello. Qualcuno urlava; Steiner li stava organizzando in file. « Cosa c’è che non va? »

E allora feci cadere la tazza. Finì sul tavolo, e sparse le ultime gocce sul legno laccato. Mi alzai e lo strofinai con un fazzoletto, la faccia rosso fuoco mentre asciugavo e biascicavo una scusa. Nessuno vi badò; gli occhi di Gidan e Beatrix erano fissi su di me come bottoni, inesorabili.

« Voi non capite » scoppiai all’improvviso, facendo sobbalzare la Regina e fissando tristemente il cibo senza vederlo davvero. « Voi non, voi non – oh, merda, abbiamo fatto delle grandi cazzate, noi ci siamo scavati la fossa e adesso noi dobbiamo starci. È colpa nostra, capite, è tutta colpa nostra! »

« Di cosa parli? » Garnet si alzò e mi afferrò per le spalle, incredibilmente forte. Il suo volto di porcellana era teso e tirato, più grigio che color panna, e ai miei occhi non era che una macchia indistinta mentre agitavo senza posa la testa. Quando provai a respingerla Gidan mi strinse le braccia da dietro, bloccandomi, mentre Cornelia si svegliava dal suo sonno.

« Eiko, torna in te » sibilò. Le loro parole mi arrivavano come se stessimo sott’acqua, ovattate, pesanti e poco chiare, mi si sballottavano in testa come pezzi di metallo dimenticati. « Eiko, va tutto be- Daga, non credi che sia sotto l’effetto di un incantesimo, vero? »

« Se c’è non riesco a percepirlo – Eiko, ti prego- »

Il clangore di campane mi risvegliò dal mio torpore mentale, e le mani di Garnet e Gidan s’immobilizzarono. Dopo un latrato di Beatrix, i soldati sull’attenti uscirono in tutta fretta dalla stanza, sbattendo le porte dietro di loro.

Fu solo allora che reagii, odiandomi per essermi comportata come una sedicenne. Ero un’ingegnere. Non avrei mai saputo cosa dire con la bocca.

« Di certo non è stata Freija » sbottò Gidan. Un’esplosione improvvisa scosse le tazze sul tavolo; mi si ghiacciò il sangue, e mi divincolai da loro per premere la guancia contro le pietre fredde del muro.

Sapevo che non sarebbe potuta durare.

Non so se volevo che durasse.


Strilli, ora, e grida. Cornelia era completamente sveglia, aveva la spada in mano, e si era immediatamente attaccata alla madre. Suo padre la guardò terrorizzato. « Beatrix, porta Cornelia e Garnet in un posto sicuro » ordinò subito.

« Te lo scordi » ribatté Garnet. « Beatrix, porta Cornelia in un posto sicuro. »

« Con tutto il dovuto rispetto, maestà, credo che la cosa più sicura sia rimanere qui » ribatté lei freddamente. Sguainò la meravigliosa spada a due mani, la Save the Queen, e tolse la tovaglia dal tavolo con un gran frastuono. « Credo inoltre che forse sarebbe saggio barricarsi. »

« Come se barricarci lo fermerebbe » Estrassi la bacchetta dalla camicia con un gesto esagerato. « Farà a pezzi il castello e ora come ora sta ammazzando zelantemente tutte le vostre guardie! »

Riuscii quasi a scorgere sul viso di Beatrix il pensiero a Steiner che le attraversò la mente; serrò le labbra, decisa, con una determinazione di ferro. Suo marito era lì fuori con – con Vivi, santi numi, Vivi, Vivi non avrebbe ucciso Steiner, no – con un assassino, con un distruttore di città, e lei giocava a fare la guardia del corpo.

« Se ha qualsiasi suggerimento riguardo ai suoi punti deboli, la prego di fornirceli adesso » rispose, glaciale.

Gidan aveva aperto l’armadietto vicino al muro; prese due daghe e se le assicurò alla cintura prima di lanciare un’asta a Garnet. Lei la acciuffò abilmente, come una professionista.

« Non potete. » La mia voce toccò una nota isterica. « Non potete. Vi ucciderà. Per favore, Gidan, lui vuole ucciderti! »

« Allora può mettersi in fila, no? » Esaminò le daghe. « Maledizione, ma perché ho donato l’Orichalcon a quel museo? Garnet, tesoro, fai nascondere Cornelia sotto il tavolo. »

« Io non mi nascondo sotto il tavolo! »

« Gidan- »

Si voltò rapidamente a guardarmi, sovrappensiero. « Non sei più la stessa, Eiko. Sei tornata diversa, e diamine, non ti biasimo, e non so cos’è successo, ma non abbiamo tempo e non ti abbandoneremo un’altra volta. »

Una delle porte andò in frantumi; Gidan saltò sul tavolo con le daghe pronte prima ancora che io potessi incespicare all’indietro. Una grossa mano verde armata di artiglio rimosse le macerie, consentendo così l’accesso a una graziosa guerriera di Burmesia vestita di rosso che si tolse l’elmetto, seguita dal suo enorme partner dai capelli rossi.

« Mille sentitissime scuse per il ritardo » esordì Freija Crescent sardonicamente, e le mie mani tremarono sulla bacchetta. Adesso siamo più forti di te, Vivi? « Amarant ha voluto fermarsi a mangiare. »

« Ah ah, che spiritosa. » Guardò quel che era rimasto della porta. « Gidan, tu sai che qualcuno sta massacrando le tue guardie come delle cazzo di mosche, sì? Cosa diamine ci fate qui? Ehi- » Il suo volto si schiarì e concentrò gli occhi su di me, ergendosi al massimo della sua poderosa altezza. « Marmocchia. Allora era vero che non avevi tirato le cuoia. »

« Amarant, puoi dirle dopo quanto ti è mancata. » Gli occhi di Garnet si erano posati su di me, imploranti. Fa’ che ci sia un dopo, Eiko, dicevano. Per favore, fa’ che ci sia un dopo. « Come diamine avete fatto ad arrivare qui così in fretta? »

Lui si limitò a grugnire; Freija sogghignò e raggiunse il tavolo, e lui la imitò. Era fresca come una rosa, e le mani che reggevano il Baffo di Drago erano pronte a uccidere. « Per fortuna ci trovavamo nella stessa area quando ci è arrivato il messaggio, e abbiamo camminato per ore – non è stata la scampagnata più appassionante del mondo, ma pazienza, a ripensarci poi è stato divertente. Ammazziamo questo bastardello parvenu e vi racconto i dettagli. »

Avevo notato il modo in cui si stavano muovendo: Cornelia era al mio fianco e tutti gli altri mi stavano circondando, mi si premevano addosso quasi in una formazione. Si voltarono verso i corridoi. Ora c’erano ancora più grida. « Perché io al centro? »

« Perché vuole arrivare a te, Eiko » replicò Gidan in tono asciutto; era saltato giù dal tavolo e mi ci aveva praticamente spinto contro. « Perché, piccola mia, è te che vuole. »

Ero la vittima anti-sacrificale. Sentivo il tavolo sul fianco.

« Gidan, da dove arriverà? » La voce di Freija poteva quasi paragonarsi a quella di Beatrix per sbrigatività.

« La porta destra. » Fece un cenno con la testa. « È più vicina al pozzo delle scale. »

« Siete tutti dei gran coglioni però, eh » bofonchiò Amarant, lanciando un’occhiata furtiva dietro di sé, spalla a spalla con la draghiera, mentre Cornelia strabuzzava gli occhi, deliziata per le mancate censure. Io mi ero già girata dall’altra parte, con entrambe le mani avvinghiate alla bacchetta come a massimizzare il suo potere. Lo sapevo; lui sapeva che io sapevo.

Garnet, ancora con la vestaglia. « Perché mai? »

« Perché quello stronzo vola! »

La luce dell’alba sgorgò dalla finestra assieme a Tango Nero mentre il vetro esplodeva in mille frammenti dorati. Mia nipote gridò.

Di cose spaventose ne ho viste. Ho visto Trivia. Ho visto Kuja, ho visto Kuja al culmine della sua maestosità, dell’ira e della gloria mentre portava alla rovina totale un pianeta intero. Ho combattuto mostri orrendi. Una volta ho visto un poveraccio finire risucchiato nel motore di un’aeronave e uscirne come un bell’arazzo di carne, ossa e interiora. È da quando avevo sei anni che vago nel cuore buio della terra.

Tutto ciò impallidiva di fronte a un mago nero, un mago nero adulto in Trance che si elevava dall’altra parte del tavolo con ogni piuma delle ali spiegate che sfavillava in technicolor. Non ne aveva solo un paio: sei ali lo incorniciavano di piume, e guardarlo quasi feriva gli occhi. Vivi praticamente scoppiettava e schioccava di rabbia e potenza, puzzava di sangue, fiamme e cuoio nero, gli abiti che si muovevano delicatamente al vento creato dalla sua magia.

Le sottili mezzelune dei suoi occhi non erano d’oro. Erano rosse.

Mi arrampicai sul tavolo prima che qualcuno potesse fermarmi, fronteggiandolo. La corrente d’aria scompigliò il cotone sottile del mio vestito, e il calore che emanava era quasi soffocante. Avevo la mani sudate, e riuscii soltanto a fissarlo, stupidamente.

« Vieni da me adesso, linden-bloom. » Il suo tono era dolce, persuasivo, come se nella stanza ci fossimo soltanto noi due. « Vieni da me adesso e non morirà nessun altro. »

« Hai ucciso Olty. » Ritrovai la sicurezza, arricciando le dita dei piedi sul tavolo. « Hai ucciso Oltania. »

« E allora? Ho ucciso migliaia di persone, Carol. Un’anima tra tante altre mi rende più ripugnante ai tuoi occhi? »

« Adesso basta. » Gidan, che era salito sul tavolo in mezzo a noi due, assunse tranquillamente una posizione difensiva con le daghe strette tra le mani affusolate. « Hai quasi ucciso mia figlia, figlio di puttana, a Lindblum hai ucciso diecimila persone, e ucciderai Eiko se continui con que- »

Il mago nero tese la mano; stavolta fu Garnet a gridare quando Gidan venne colpito due volte da un lampo accecante che gli contorse il corpo in uno spasmo d’agonia. Magia Nera Bis, la specialità di Vivi, sissignore, che ora stava arrostendo i bulbi oculari di Gidan nel suo teschio mentre lui crollava in un cumulo fumante sul tavolo.

« Troppo teatrale, Tribal » sibilò Tango; i suoi occhi non nascondevano più la sua terribile fame. « Erano anni che volevo farlo. »

Freija saltò. Vivi preparò le mani; io mi buttai sul tavolo e mi ci agganciai mentre tutti venivano sbalzati con forza contro il muro. Amarant acchiappò Cornelia prima che precipitasse nella porta aperta, avvicinandosela in una morsa dolorosa prima di cadere anche lui a terra.

« Non muoverti. » La sua voce era come seta. « Non mi piace quando ti muovi. »

Strappò le daghe dalle mani in preda alle convulsioni di Gidan e le gettò dalla finestra. Fritto e strozzato, il Principe Consorte di Alexandria si alzò ancora una volta in piedi, traballando un po’ prima di indietreggiare da Tango Nero per tornare in posizione. Il mago alato questa volta non si disturbò a usare gli incantesimi: gli diede una botta sulla bocca con il ramo magico, facendogli roteare la testa all’indietro.

Lui sputò una manciata di sangue che cascò come pioggia ai piedi del mago. « Ma chi sei! »

« Io chi sono? » gridò di rimando Tango. Un’altra sferzata col ramo; Gidan la bloccò, scacciandola con tutta l’energia che riuscì a radunare. « Io chi sono, Tribal, io chi sono, ecco la domanda che mi faccio, quando sono da solo la notte mi faccio: “Io chi sono? Forse Gidan lo sa – forse Gidan sa chi sono!” Qual è il senso, Gidan? Qual è il senso della mia esistenza? Ma poi esisto? Io non esisto per te, Gidan! »

« Ma chi diamine sei? » domandò lui, in tono basso, la coda che frustava l’aria. Era molto arrabbiato. « Io non ti ho mai visto! »

« Tu mi hai abbandonato! » strillò Vivi, la voce che si incrinava come vetro, così acuta che pensai che le mie orecchie sarebbero scoppiate. Si tolse il cappello; i capelli che si riversarono attorno alla sua testa come un alone erano rossi come i suoi occhi, rossi come il sangue, rossi come l’odio, rossi come il fuoco. Trance. « Tu mi hai lasciato a morire e mi hai cavato il cuore e mi hai lasciato a morire, mi hai lasciato a morire, loro sono mortimortimorti a causa tua morti tutti sempre tu sei imperfetto, imperfetto, imperfetto, esigo un nuovo angelo della morte- »

Non fu colpa di Gidan se cadde in ginocchio. Non fu colpa di Gidan se afferrò il bordo del soprabito di Vivi e lo guardò, dando voce al primo pensiero che era venuto anche a me; lo disse con un dolore talmente straziante che il mio cuore si ruppe, e poi si ruppe ancora, e ancora, e ancora. « Fratello- »

Conoscevo le reazioni di Vivi meglio di Gidan. Sollevai le mani un po’ più velocemente del mio mago impazzito, sibilai gli incantesimi prima che le sue dita potessero espellere la morte. Il fuoco divorò Gidan solo un secondo dopo che la mia magia lo aveva avvolto. Reflex; Protect; Shell. Solo un secondo, ma fu sufficiente.

Gidan ne uscì illeso. Vivi gli piantò il ramo nel fianco, scaraventandolo giù dal tavolo. Guardava solo me.

« Tu sai cos’ha fatto » sibilò, come un gatto furioso. « Tu sai cos’ha fatto, tu sai cos’ha toccato, gli taglierò il cazzo e gli strapperò il cuore a morsi e lo farò mangiare ai miei figli, come un uccellino, lo ridurrò a brandelli così saprai cos’è veramente uno spaventapasseri- »

« Vivi » dissi, a denti digrignati. « Vivi no. No. È finita. Sono morti e non è colpa di Gidan, maledizione, Bibi e gli altri sono morti e non è colpa di nessuno! Non puoi riportarli in vita uccidendo lui! Non puoi riportarli in vita! »

Il suo lamento fu animalesco, e tramutò tutte le mie ossa in ambra pietrificata. La mia Trance affiorò dalla paura come un pesce dall’acqua, affiorò dalla sua agonia che ero costretta a guardare. Recitai subito un Reflex e sollevai le mani spiegando le ali prima di venire cinta da una colonna di ghiaccio.

Le schegge del Blizzaga si sciolsero e formarono una pozzanghera attorno ai miei piedi quando me ne liberai; corsi verso di lui che brillavamo tutti e due come stelle e me lo trascinai fuori dalla finestra, dove sprofondammo assieme nell’aria e ci allontanammo in volo dalla sala. Adesso gli altri non potevano aiutarmi.

Esplodevo continuamente. Sentivo il triplice bacio del fuoco, del ghiaccio e del tuono che mi colavano di dosso come una nevicata di polvere. Le mie ali bianchissime sbattevano lentamente, e non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Stavamo piangendo, come bambini stanchi. Sul suo viso segnato dalle cicatrici erano comparsi dei raffinati ghirigori, come un qualche tatuaggio demoniaco e tribale che si stagliava aspramente sul candore della sua pelle. I suoi capelli sembravano tentacoli ardenti, come una specie di medusa. Non era mai stato un duello.

« Morti! » Firaga.

« Mortimortimorti, tutto morto- » Thundaga.

« -morti ovunque, tutto intorno- » Blizzaga.

« Perché non posso morire, Eiko? Fammi morire, fammi morire, fammi morire. Io esisto solo per uccidere. Io esisto solo per uccidere. Io esisto solo per uccidere- »

Vidi le sue mani alzate, vidi la sfera lucente di morte che si stava formando in mezzo a loro. Apocalisse. A quella potenza, con la sua forza, con quella velocità e quella sofferenza, avrebbe potuto smembrare il grosso pezzo di Alexandria che si trovava sotto di noi. Aprii la bocca, pronta a scatenare Sancta dalla mano, dalla bacchetta, dal mio corpo-

Un ruggito assordante ci fermò entrambi, e pensai che l’ombra che ci ammantò di colpo fosse la fine. Ma l’incantesimo di Vivi era svanito.

In piedi sul balcone c’era Garnet, la vestaglia mossa dal vento; il Re dei Draghi, Bahamut, torreggiava sul Castello di Alexandria così enorme da non poter essere racchiuso con lo sguardo. Ruggì ancora, scuotendo le fondamenta della città, scuotendo me fino alle ossa.

Vivi mi afferrò immediatamente; ci dimenavamo in aria, e quando provai a sbattere le ali contro di lui mi immobilizzò portandomi il ramo al collo. Scalciavo, impotente.

« Vivi! »

Era la voce di Garnet, angosciata, forte, chiara e disperata. « Vivi, basta! Ti prego! Vivi! »

Atterrammo in una spirale nella piazza mortalmente svuotata di Alexandria, la città a mezzaluna. La sua Trance si era spenta come una lampadina, e così la mia; quando ci schiantammo insieme sui ciottoli, i capelli che mi caddero sopra le spalle erano bianchi.

« Sono morti » singhiozzò nella mia spalla. Sentii il ramo rimbalzare per terra; mi avvolse le braccia attorno alla vita, aggrappandosi a me con tutto se stesso, cercando disperatamente un’àncora. « Sono morti morti m-morti, Eiko, non sono riuscito a impedirlo, non ci sono mai riuscito e non ci riuscirò mai! »

« No » lo calmai, avvilita. « Ce la farai. Ce la farai, te lo giuro. Te lo prometto. Ce la farai. »

Affondò i denti sulla mia spalla, più per alleviare il proprio dolore che per causarne a me. Io sibilai, artigliandomi alle sue mani.

« Rain si Fermerà tra un paio di mesi » bisbigliò sul morso. Ogni pezzo del mio corpo si sciolse, la mia anima gridò al solo pensiero. « Il tuo prezioso Rain, il tuo prezioso Sunny. La stessa sfornata, mio piccolo linden-bloom, lo stesso rallentare e cadere giù. Pioggia rossa. Il sole se ne va; muore, finisce, perisce. I miei piccoli, i miei dolcetti freschi andati a male. » Un altro guaito, penetrante e addolorato.

Io mi voltai a fatica tra le sue braccia, afferrandogli la faccia segnata. Conficcai le unghie, lasciandogli delle piccole mezzelune bianche nella carne. « Dovranno prima passare sul mio cadavere, Vivi Orunitia! »

« Forse è così che andrà a finire. Forse, forse. » Appoggiò la fronte alla mia; ormai era un giocattolo rotto. « Noi esistiamo solo per uccidere. Perché ho tanto bisogno di te, Eiko Carol? Perché sono venuto a prenderti? Quando ho mai avuto tanto bisogno di te? Tu e i tuoi capelli e il modo in cui la spina dorsale ti s’incastra nella schiena, linden-bloom, la mia buffa Eiko, la mia olmaria e la mia ginestra, il mio sangue, la mia bile e le mie ossa- »

« Torno con te. » Io ho bisogno di te da quando avevo sei anni, Vivi. « Torno a casa, e finiremo quello che abbiamo iniziato. »

Mi legai al mio destino, in quella quasi-mattina e su quei ciottoli freddi, a quel destino cui sapevo di essere stata incatenata molto prima. Credo che i miei Eidolon abbiano pianto quando lui mi baciò.



Il Portale di ritorno fu rapido; lui viaggiava su terreni familiari, non doveva più cercare. non doveva più rintracciare il mio marchio magico per le colline oscure di Toleno, Lindblum e Burmesia. La notte calò di nuovo, perché nel deserto era ancora notte, perché mi portò in una stanza dove le finestre erano mezze sprangate da assi e velate da tende spesse, e sarebbe stata notte anche se fosse stato giorno.

A giudicare dalla sua bocca, sembrava che bevesse ancora il sangue raggrumato delle cose morte. I soprabiti e le maglie nere finirono sul pavimento con un fruscio, come la pelle sgusciata di un bruco. Cinture, ben tre, annodate come viti attorno al mio vestito aperto sul collo. Quando gli toccai la pelle mi colpì sulla bocca, il labbro andò a sbattere contro i denti e si gonfiò di sangue; io gli diedi un pugno e lo graffiai come un animale, gli graffiai i pantaloni e la pelle macchiata ovunque da cicatrici. Era butterato e scalfito come una vecchia roccia che il mare non ha mai sfiorato. Se l’era procurate quasi tutte da solo. In quella stanza c’era un pugnale che non avrei mai trovato e che aveva letto il suo corpo un’infinità di volte.

Bocca sulla bocca; i primi baci che avessimo mai visto erano di Garnet e Gidan, e li avevamo dimenticati molto tempo prima. La sua bocca era gentile dove le sue mani erano violente e staccavano il cotone dal pizzo nella frenetica ricerca della mia pelle. Poi la sua bocca dimenticò la gentilezza e l’appresero le sue mani, e io lo tastai con le mie. Strappai una manciata di piume, e poi una manciata di capelli, e poi una manciata di peli da una coda che aveva tenuto nascosta per talmente tanto tempo che non avevo saputo neanche della sua esistenza.

Poi ricordo le lacrime che gocciolavano sulla mia pancia come fuoco. Nessuna parola, solo rumori spezzati: lui parlava con le mani, e le sue mani erano pazze quanto lui. La coperta puzzava di muffa e sudore e i cuscini erano andati da tempo, ma il materasso di piume era soffice e doppio. Non sapevamo quello che stavamo facendo; non volevamo sapere quello che stavamo facendo, come se avessimo ancora sei e nove anni e stessimo infrangendo un innominabile tabù. Tutto al buio; riuscivo a stento a vedermi la mano davanti alla faccia. La sua schiena aveva muscoli vecchi e duri per via delle ali, e c’erano dei tagli profondi nel punto in cui aveva provato a tagliarsele con una daga. Le sue labbra sfiorarono il corno, sfiorarono la clavicola, sfiorarono la cicatrice sulla spalla che mi ero fatta con il meccanismo di un motore quando avevo quindici anni e oh Madein il capezzolo e l’ombelico e la coscia e le nocche in un soffocante silenzio riempito solo dai respiri e la stanza era un baratro.

E poi le mie gambe sottili e brutte erano strette ai suoi fianchi sottili e brutti, e rimasi troppo esausta anche solo per muovere la bocca. Aveva ancora la mano sulla curva di un seno, la bocca sepolta nell’incavo tra la mia spalla e il collo, e le sue ali coprivano entrambi. Vivi e io. Io e Vivi. Magabianca, Magonero. Non c’era bianco in quella stanza.

Le sue prime e ultime parole furono l’unica cosa che sentii prima di soccombere al nulla.

« E ti incorono mio angelo della morte, linden-bloom. »
   
 
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