“…” “…” “Fermata di Liverpool street.” “Devo… devo scendere!” Si affrettò a ridarmi il cellulare e si precipitò verso la porta del treno. Io, fissando il cellulare, mi resi conto che non gli avevo restituito l’anello e,anche se la mia intenzione originaria era quella di fotterglielo, mi voltai e gridai: “Bob è il peggior nome che ti potessi inventare!” Lui sorrise, sfoderò tutti i denti che aveva in bocca. Doveva essere un inglese di razza, non erano poi così dritti. Quando le porte si aprirono, saltò giù dal treno e io sentii il rumore provocato da quegli suoi stivaletti neri come la pece. Strinsi forte al mio petto l’anello. Non l’avrei lasciato andar via così. “Non ti lascio andar via così!” Detto, fatto. Afferrai il primo giaccone che mi capitò tra le mani appena scesa dalla metro, per ritrovarmi la faccia di una signora anziana che mi fissava con un’ espressione che poteva solo voler dire che non si aspettava niente di anormale in quella sua giornata tranquilla come tante altre. E invece aveva trovato me, una persona che quando ritrovava la realtà, faceva di tutto per farsela scivolare di nuovo fra le dita. “Non dicevo a lei, mi scusi!” Mentre mi piegavo per chieder scusa alla signora, guardava furibonda a destra e a sinistra, in cerca di “Bob”. “Non mi sfuggi, cretino!” Individuai i suoi movimenti veloci, così lo seguii lungo le scale con un ghigno stampato in faccia. “BOB!” Lui non si girò, ovviamente. “BOB! Cristo…” Perché ero così agguerrita? “BOB! Ma diamine!” Lo raggiunsi, avevo corso per tre rampe di scale, fino a quando, giunta all’ ultimo gradino, respirai un’aria colma di luce, gridando: “Ma insomma, BOB! Fermati!” “Porca puttana, il mio nome non è Bob! E’ Ringo Starr!”