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Autore: Nisi    29/09/2010    18 recensioni
Dall'episodio 12: "André, ascolta… se per caso dovessi morire, puoi prendere tu il tesoro che ho sepolto ai piedi della grande quercia: una trottola…
Prima del duello con l'odioso duca di Gérmain, Oscar dice ad André queste parole. Perché quella trottola è importante per Oscar? Questa è mia versione su come l'ha avuta e per quale ragione.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicembre 1762

"André! André! Dove ti sei cacciato?" la voce di Nanny risuonava per il lungo corridoio che dall'atrio portava alla cucina. "André! Oh, quel benedetto bambino! Se lo prendo, gliela faccio vedere io!"
Nanny sbuffava mentre trascinava la figura rotondetta su e giù per le scalinate di marmo.
Niente, di André non c'era la benché minima traccia.
"Oh, guarda te cosa mi tocca fare alla mia età; correre dietro a un bambino scapestrato...".
Una vocetta dietro di lei la fece voltare di scatto: "Mi cercavi, nonna?"
"Si può sa…" il resto della frase rimase in gola all'anziana donna, che si sistemò meglio gli occhiali sul naso camuso e fissò in viso il nipote. "Cosa ti è successo?"
In effetti, Andrè aveva uno sfregio in viso e perdeva sangue da una ferita sul polso. Non sembrava particolarmente turbato, però.
"Mi stavo allenando con Oscar…" il bambino rispose facendo spallucce.
"Oh! Spero che tu non le abbia ferito il suo bel visino."
André la fissò a sua volta con un'espressione seria dipinta in volto. "Io cerco di prendermi tutte le ferite per lei. Lo so che devo stare attento. Se la ferirei, ci sta male"
"Se la ferissi, ci starebbe male."
Nanny trasalì visibilmente nel vedere lo sguardo serio di suo nipote.
"Sì, sì, va bene." Riprese. "Ho bisogno di te, aiutami a portare su questa biancheria stirata che la devo mettere nei bauli. Tieni, asciugati il sangue. Con la fatica che ho fatto, ci mancherebbe altro che macchiassi tutto…" e gli porse un candido fazzoletto inamidato che nel frattempo aveva recuperato da una tasca.
André gettò uno sguardo al mucchio di batista profumata e orlata di nastri che la nonna teneva tra le braccia, in precario equilibrio: di solito i bauli venivano preparati per il Generale quando partiva per una missione o un viaggio. Ma quella biancheria non era certo di un uomo. "Chi parte?"
"André, non mi fare parlare… non ho più fiato" boccheggiò la vecchina mentre si trascinava su per le scale. Non poteva nemmeno appoggiarsi al corrimano perché non poteva certamente reggere tutta quella stoffa con un braccio solo.
"Dai a me, nonna…" André le si era avvicinato stendendo le braccia verso di lei.
"Va bene, tieni. Ma attento a non farle cadere altrimenti…" la voce di Nanny si perse lungo il corridoio mentre si allontanava velocemente.
André salì al piano di sopra e depositò la biancheria su una panca.
Si girò e vide Oscar che lo fissava in silenzio.
"Cosa succede, Oscar? Mia nonna è diventata matta?"
Oscar scosse la testa in silenzio, lo sguardo serio serio.
"Dobbiamo andare da Hortense. Ha un bambino nuovo da farci vedere", spiegò Oscar in tono incolore.
André cercò di non far trapelare la delusione alla prospettiva di passare dei giorni senza la sua migliore amica: "Che bello! Un altro bambino!"
Oscar, le mani infilate in tasca, diede un calcio ad un immaginario sasso. "Sì, sì. Ma Hortense, Josephine e Clautilde non fanno altro che fare bambini nuovi. Ce li fanno vedere una volta e poi basta. Non voglio andarci e poi Hortense continua solo a parlare di cose da donna e io mi annoio."
"Sì, che brutto!" esclamò André, evitando di far notare che anche lei era una donna (beh, tecnicamente non ancora…). "Allora stiamo preparando le valigie. Quando partite?"
Oscar sospirò, le piccole sopracciglia aggrottate in un cipiglio che avrebbe voluto essere minaccioso, ma che riuscì solamente a far sorridere André. "Fra una settimana. E questo vuol dire che a Natale saremo da Hortense".

André riuscì solo ad articolare un delusissimo: "Ah…". Era mortificato: il Natale, a casa Jarjayes era il momento più bello dell'anno. C'era un sacco di roba buona da mangiare, lui e Oscar non avevano lezioni da seguire e potevano fare più o meno tutto quello che saltava loro in mente, tanto erano tutti troppo presi per badare a loro. E poi a Natale Oscar compiva gli anni ed era sempre una bella giornata, quella.
"Non ho voglia di andare da Hortense…" mormorò Oscar mogia mogia, girandogli le spalle e sparendo in camera sua senza dire più niente.
* * *
André? Parlate di André Grandier? Sì, me lo ricordo bene e mi ricordo anche della prima volta che l'ho incontrato. Avrà avuto otto o nove anni. Mi è rimasto impresso, per quello che dopo tanto tempo ho perfettamente in mente le cose come sono andate quel giorno. Non è mica normale che un ragazzino si comporti in quel mondo. No, non fraintendete, è stato gentilissimo, ma i figli dei nobili miei clienti non mi chiamavano certamente "Monsieur Fanchon".
È entrato nella mia bottega quasi in punta di piedi e mi si è parato davanti. "Buongiorno, è lei Monsieur Fanchon?". Era serissimo e non sorrideva. A dire il vero, la cosa strana è che non si era nemmeno guardato attorno, era venuto subito a cercarmi. "Sì, sono io. E tu chi sei, giovanotto?"
"Io sono André Grandier, piacere di conoscerla". Nel dire quelle parole, mi tese una manina già rovinata dal duro lavoro.
"Il piacere è mio, giovanotto". Grandier, dove lo avevo sentito questo nome? Ah, sì. Il nipote di Nanny, la governante dei Jarjayes.
Mi sorrise senza dire niente e cominciò a frugarsi nelle tasche. Tirò fuori un mazzetto di soldi e li mise sul bancone con cautela. "Con questi posso comprare qualcosa di bello?". Presi il denaro e lo contai. Non era molto e sospettai che fossero tutti i suoi risparmi.
"Oh, beh… dipende da cosa cerchi, giovanotto. Qualcosa per te?"
"No" scosse la testa. "Un regalo".
Di poche parole, eh? Bene, mi sono sempre vantato di capire i miei clienti e di trovare la cosa giusta per ognuno di loro.
"Signorino o signorina?".
André non rispose, rimase a guardarmi con la faccia di uno che sta pensando forte. Come si fa a non saper rispondere a una simile domanda? Dopo un secondo mi diedi dell'idiota: viveva coi Jarjayes, il giovanotto, e il Generale era talmente tocco da far crescere l'ultima figlia non solo come un uomo, ma educandola come un soldato. Figuriamoci! Le aveva persino dato un nome maschile. Oscar Auguste? No, no… Oscar Joseph. Ah, sì, Oscar François de Jarjayes. Che razza di nome per uno scricciolo di bambina.
Quindi, il mio cliente stava cercando un regalo che andasse bene sia per un maschietto che per una femminuccia.
"Ho proprio quello che fa per te!" Le parole magiche che risollevavano sempre morale, e infatti il ragazzino alzò su di me quegli occhioni verdi. Per uno così, fra qualche anno le ragazze avrebbero fatto le matte, parola!
"Se vuoi avere la gentilezza di seguirmi"…
Cinque minuti dopo, il piccolo Grandier lasciava il mio negozio con un bel pacchettino in mano.
In tutta onestà, il denaro che aveva con sé non era sufficiente, ma… quel ragazzino mi ha fatto tenerezza. Quando ha trovato il regalo per quella bambina, si è come animato. Che volete farci, ho un cuore d'oro, io!
* * *
"André! Si può sapere che fine hai fatto per tutto questo tempo?"
Mio nipote si chiuse in un mutismo ostinato e si rifiutò di rispondere.
"Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Quante volte ti ho detto che ho bisogno del tuo aiuto per preparare i bauli?"
André sospirò, come rassegnato. "Ero nel parco a giocare".
Mi ero preoccupata moltissimo e, quasi per reazione, feci partire un manrovescio e lui rimase lì a guardarmi senza dire niente. Mi resi subito conto che si trattava di una bugia e che c'era un buon motivo per il quale André era sparito, non era da lui giocare nel parco senza prima chiamare Oscar o far preoccupare. Proprio come sua madre, la mia piccola Annette, quando si metteva in testa una cosa non c'era modo di smuoverlo. Annette, bambina mia, lo vedi quanto è cresciuto il tuo André? Mi manchi tanto, sai…
Non ebbi cuore di insistere con il mio ragazzino. Anzi, mi sentivo in colpa per averlo schiaffeggiato. André era così buono e ubbidiente. La maggior parte delle volte lo sgridavo perché avevo paura di farlo crescere male o di viziarlo o, peggio, di farmi prendere dalla troppa tenerezza che provavo per lui.
"Va bene, lasciamo stare, non ho tempo da perdere dietro a te".
"Nonna, scusa…."
Quando rimasi sola non mi ero ancora riavuta dalla sorpresa. Mio nipote non mi aveva mai chiesto niente, per cui non me la sentii di rifiutargli l'unica cosa che mi avesse mai domandato.
Ci saremmo trovati in capo a un paio d'ore. Potevo solo borbottare e finire di preparare i bagagli.
* * *
Era quasi buffo vederlo con i baffi di farina sul faccino. No, era buffo sul serio.
Aveva le maniche della camicia arrotolate fin sopra i gomiti e la farina aveva macchiato anche le sue culottes scure.
In un ultimo tentativo, sbottai: "Fare i biscotti non è lavoro per un bambino, non capisco cosa ti sia venuto in mente".
La risposta fu quasi immediata: "Anche fare il soldato non è lavoro per una bambina, però Oscar fa il soldato lo stesso".
Ecco cosa ne viene in tasca a discutere con un bambino. Decisi, ancora una volta in quel giorno, di lasciare perdere.
"Ecco, allora adesso devi impastare il burro con la farina e lo zucchero vanigliato. No, prima devi togliere il baccello dal vaso. Cooooosì, bene. Continua… Bene, ancora."
"Fatto. Ora cosa devo fare?"
"Adesso niente. La pasta deve riposare per due ore".
"Perché?"
Già, perché? "Zitto, so io come vanno queste cose".
"Allora devo aspettare?"
"Certo!"
"Bene, allora posso preparare l'invito…" da un cassetto del mobile prese tutto l'occorrente per scrivere, si appollaiò composto sulla sedia ancora troppo alta per lui e iniziò a scribacchiare qualcosa.
Dio mio perdoni, sono curiosa come solo una vecchia come me può esserlo. Mi avvicinai di sfuggita e sbirciai cosa stesse facendo mio nipote.
Quello che lessi mi fece rimanere di stucco:

André Grandier è lieto di invitare Oscar François de Jarjayes alla festa anticipata per il suo compleanno.

Scritto nella più bella calligrafia che il mio piccolino potesse riprodurre. Mi vennero le lacrime agli occhi. Quanto bene voleva, a quella bambina?

André sollevò verso di me i suoi occhioni verdi. "Nonna, mi insegneresti anche a preparare la tua cioccolata speciale?"
Gli voltai le spalle perché non mi vedesse piangere. Altre volte André mi aveva vista piangere, ma in questo caso non potevo accampare la scusa di una pila di cipolle che avevo pelato per lo stufato della sera.

* * *
"Oscar? Oscar?"
Era immusonita, contrariata a causa dell'imminente partenza.
"Cosa c'è?"
André arrossì nel tenderle un foglio di carta.
"Cos'è?"
Il rossore si fece ancora più violento sulle sue gotine.
"Leggi, per favore".
Oscar fece come le veniva chiesto e quando sollevò gli occhi, stava sorridendo. "È una festa per il mio compleanno? Sei proprio un bambino sciocco: il mio compleanno è solo fra due giorni".
"Lo so, ma tu parti e io… io volevo festeggiarlo con te. Allora vieni? La nonna mi ha insegnato a fare i biscotti e la cioccolata che ti piace tanto".
"Ah, lo vedi che sei uno stupido? Fai cose da donne!"
"Allora non vieni?"
"Sei veramente stupido e non capisci niente: certo che ci vengo!"
* * *
"Prego, si accomodi" le disse André mentre scostava la sedia per farla accomodare.
Oscar si adombrò all'istante e lo guardò torva. "Mi stai trattando come una donnicciola?"
"No. Sei l'ospite d'onore e gli ospiti d'onore devono essere trattati bene".
"Ah." Dopo aver ottenuto l'informazione desiderata, Oscar si rilassò. "E allora, cosa si fa a una festa di compleanno anticipata?"
"Beh, credo quello che si fa a tutte le feste di compleanno: si mangiano i dolci e poi si dà il regalo a chi compie gli anni, solo che si fa prima."
"Hai detto che hai fatto i biscotti e la cioccolata?" Oscar era interessata: la cioccolata le piaceva da matti, ma quando c'erano anche i biscotti, era ancora meglio.
"Sì, è vero. Aspetta." André si alzò e andò a prendere una teglia piena rasa di dolcetti un po' bruciacchiati.
Oscar si sporse a guardarli sospettosa. "I biscotti di Nanny sono a forma di cuore, ma i tuoi sono a forma di stella o rotondi col buco", lo accusò.
André rispose fulmineo: "I biscotti a cuore sono da femmina!"
"Ben detto!" Oscar non se ne rendeva conto, ma ogni tanto adottava lo stesso tono di suo padre. E faceva ridere.
"Prego, assaggia che vado a prendere la cioccolata".
"È quella con la panna montata e la vaniglia?" lo guardò non ancora del tutto convinta.
"Proprio quella."
Quando André tornò, trovò Oscar che lo guardava attraverso il foro di un biscotto.
"Ha un buon profumo, sai?"
"Non dico niente fino a quando non l'ho provata".
Mangiarono e bevvero in silenzio. Impaziente, André le chiese: "Allora, ti piace?"
Oscar concesse: "Sì, può andare… e questo regalo?"
"Ah, sì, il regalo…" frugò nelle tasche e ne tirò fuori un pacchetto.
Quando ebbe il dono fra le mani, Oscar lo guardò incerta. "Sei andato da Fanchon?"
"Sì… perché… non ti piacciono le cose di Fanchon?" André sembrava mortificato.
"No, no… è solo che…" Oscar si morse la lingua prima di dire che non si sarebbe mai potuto permettere di comprare niente in quel negozio e quelle parole lo avrebbero ferito. "… sono cose bellissimissime." Oscar usava quel termine solamente quando era sola con lui: se lo avesse sentito il Generale, glielo avrebbe tolto di testa a suon di scapaccioni.
"Allora aprilo, no?"
Oscar non fece complimenti: prese a strappar via la carta e qualche secondo dopo nelle sue mani stava una trottola rossa. Rimase in silenzio a guardarla.
"Cosa c'è, Oscar? Non ti piace?" chiese André con un filo di voce. Ci teneva così tanto che a Oscar piacesse il dono che aveva scelto per lei…
"È il regalo più bello che ho mai ricevuto" rispose la bambina, anche lei con un filo di voce. Era sincera. "Non so però se mio padre mi permetterà di tenerla e di giocarci". Era vero: a Oscar i giocattoli che non fossero spade di legno o cose del genere non erano concessi.
Aveva ragione.
"Ho un'idea: stasera tuo padre non c'è e possiamo giocare con la trottola. Domani quando partite la seppellisco io in un posto segreto, così la possiamo andare a prendere e giocare di nascosto.".
"Davvero?"
"Davvero. Giurin giuretta, che io possa morire se dico le bugie" e si baciò gli indici incrociati.
"Va bene, ma adesso ridammi la mia trottola che voglio giocarci!"
* * *
Quanto era bello giocare con Oscar, soprattutto in una giornata incantevole come quella: si stavano rincorrendo nel parco dopo aver fatto una bella merenda con la cioccolata e i biscotti che lui le aveva preparato e lei gli aveva detto che non aveva mai mangiato niente di più buono. Il sole splendeva alto nel cielo, le nuvole soffici e bianche sembravano ciuffi di panna montata o cuscini di piume (dipende se il gentile lettore è a dieta o meno, NdA), gli scoiattoli si rincorrevano giocondi sui rami frondosi delle querce secolari, i cavalli brucavano la verde erbetta che cresceva rigogliosa. Oscar correva davanti a lui, i capelli color del grano che le danzavano sulla schiena; stava ridendo allegra e lui la fissava, rapito e incantato dalla bellezza della sua bambina e…
SBONK!
Andrè ritornò nel mondo dei vivi con un ululato di dolore e aprì gli occhi. Non vide più il sole, ma un'intera costellazione di stelle, compresa la Croce del Sud che sta nell'altro emisfero (posto che a quell'epoca l'avessero già individuata).
E quando l'immane dolore fu passato, invece della visione celestiale di una Oscar in versione bucolica, si ritrovò faccia a faccia con una nonna più furiosa che mai e che agitava minacciosa il mestolo.
"Disgraziato! Che cosa hai fatto! Cosa hai combinato con quei biscotti!"
"Eh? Nonna, mi hai fatto male, cosa succede?"
" E te ne farò ben di peggio, di male, questo è niente!" e giù un'altra mestolata.
Inutile dire che ad André, notoriamente un incorreggibile dormiglione fin dalla più tenera età, il sonno era passato del tutto, e…
SBONK!
"Ma cosa ho fatto? Ahia!" si lamentò cercando di scappare, ma la nonnina alterata lo bloccò sul letto con forza sovrumana. Non si facevano i lavori di fatica a casa Jarjayes per tutti quegli anni senza sviluppare un vigore fisico inusitato.
"Cos'hai fatto? Stamattina Oscar ha male al pancino e non è potuta partire per andare da sua sorella, ecco cosa è successo!"
Ma quanto mi dispiace!
Rapido come un fulmine, André saltò giù dal letto prima che la nonna col suo mestolo arrivasse a compiere l'irreparabile e, nonostante fosse in camicia da notte, uscì dalla stanza e corse verso quella di Oscar.
Fece per entrare, ma si ricordò di bussare e si bloccò davanti alla soglia per farlo.
"Avanti…" fu la risposta data da una voce che pareva provenire dritta dritta dall'oltretomba.
Andrè entrò nella camera e vide una Oscar riversa sul letto con le braccia allargate in una posizione che ricordava vagamente quella di Gesù Cristo in croce, impegnata nella peggiore interpretazione di un mal di pancia che il secolo Decimo Ottavo potesse ricordare. Sappiate che il famoso premio cinematografico è stato chiamato Oscar per una ragione ben precisa (lo so che non è così, ma mi sembrava tanto carino scriverlo…).
Dopo che André ebbe finito di sghignazzare (facciamo un paio di minuti buoni, va…), riuscì ad articolare un: "Ma ti hanno creduto?"
"Certo che mi hanno creduto, sciocco. Gli adulti sono stupidi, non lo sai?"
"Lo dici anche a me che sono stupido, ma io sono ancora piccolo".
"Sì, ma tu sei stupido in senso buono, no?" ribatté Oscar col tono di chi constata l'ovvio.
"Allora non vedrai il bambino nuovo di Hortense".
Oscar fece spallucce. "Da Hortense ci vado fra qualche mese, tanto fra un po' ci sarà un altro bambino nuovo, così li vedo tutti e due assieme e risparmio tempo. E poi i bambini nuovi sono tutti rossi, sembrano delle ranocchie e non fanno altro che strillare, sporcare le fasce e mangiare. Non ci si può nemmeno giocare, e non capiscono niente."
"Sei rimasta qui perché non volevi vedere il bambino nuovo?"
"No. È che se non ci sei tu a giocare con me mi annoio. E volevo giocare con la mia trottola."
"Va bene, allora vado a vestirmi, che se la nonna mi trova nella tua stanza in camicia da notte mi spacca il mestolo in testa." E si diresse verso la porta.
"André? Dopo mi prepareresti la cioccolata coi biscotti?"
"Sei matta? Mi sono preso un sacco di mestolate da mia nonna per la tua bugia".
"Ma domani è il mio compleanno e tu devi fare quello che dico io per almeno una settimana".
Come sempre, Oscar, come sempre.

Fine
* * *
Prima di tutto, un grazie grosso grosso a Bradamante per il beta e i consigli.

Secondo, eccomi, sono tornata. Ho passato e sto passando due anni veramente difficili e l'effetto collaterale che mi fa andare di matto è che l'ispirazione è finita in fondo allo scarico, per cui sono estremamente felice di essere stata in grado di scrivere questa sciocchezzuola. Spero abbiate gradito perché ho altre due ideuzze che mi frullano per la testa, delle quali una seria e l'altra no, una su lady oscar e l'altra no.

Grazie per avermi letto, ancora.

Un bacio dalla Ni

Edit Ottobre 2011. Mi sono resa conto che l'idea di fondo (loro che fanno i biscotti) è molto simile a una scena descritta in un capitolo della storia di Baby80 intitolata "André". Di questa similitudine non me ne ero resa conto fino all'altro giorno quando ho ripreso la storia, quindi diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Baby quel che è di Baby, l'idea dei biscotti mi è stata sicuramente (e purtroppo inconsapevolmente) ispirata dalla lettura del suo capitolo.
   
 
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