Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Ricorda la storia  |      
Autore: nightswimming    03/10/2010    3 recensioni
Matt gettò uno sguardo alle valigie disposte vicine accanto alla porta.
Basta, la tregua era finita. Parigi era finita. Per lui, smetteva letteralmente di esistere non appena quei brevi periodi di gioia, convivenza, tremende discussioni e dichiarazioni spuntate dal nulla terminavano.
Perché terminavano, ed era giusto che fosse così. Quella non era vita vera. Era semplicemente ciò che sapeva di meritarsi dalla propria relazione con Brian.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cahiers Françaises'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Des “je t’aime” de quatorze juillet
Des “toujours” qu’on achète au rabais.
 
- Padam Padam-, Edith Piaf
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Tra quanto abbiamo l’aereo? –
- Tra un’ora… Poco meno, in realtà. Cinquanta minuti. –
- Mh. –
- Un altro caffè? –
- Sì, grazie. –
- Scusi… Scusi! –
- Mi dica. –
- Un macchiato caldo. E… E un altro normale, senza zucchero. –
- Arrivano subito. –
- Grazie. –
- … -
-… -
- …E se avessi voluto un cappuccio? O, che so, un americano? –
- Da che ti conosco, lo hai sempre preso macchiato. E tassativamente caldo. Me lo ricordo bene perché in un paio di occasioni l’hai pure rimandato indietro, dopo che l’uomo al bancone aveva commesso l’imperdonabile sgarbo di servirti la schiuma fredda. –
- Impressionante. Non ti sfugge mai nulla, vero? –
- Di te? No, mai. E’ quasi una maledizione. –
Quell’ultimo giorno a Parigi Brian sembrava beffardamente più bello che mai. I capelli gli erano  cresciuti un poco, fino a lambire distratti la curva morbida dei lobi, e si arricciavano delicatamente in punta, con una grazia che Matthew non esitava a definire femminile; e gli occhi, quegli occhi così chiari e belli al punto da essere quasi crudeli, sorridevano felici a tutti - ma soprattutto a lui.
Matthew gli lanciò un ultimo sguardo da sopra il giornale, prima di nascondervisi nuovamente dietro, ignaro del fatto Brian stava facendo lo stesso da oltre la cortina di fumo della propria sigaretta. La meticolosa osservazione si era compiuta nello stesso identico modo anche per lui: aveva provato piacere nel notare quanto gli abiti gli cadessero meglio addosso di quando erano partiti, e quanto le sue mani sembrassero più affusolate ed eleganti del solito, e quanto i suoi occhi apparissero lucidi e sereni sotto quel sole opaco e, come loro, un po’ malinconico.
Mi sembrerà mai più desiderabile di come è ora?, pensavano entrambi, con un’ansia che era divorante quanto piacevole.
- Lo stai facendo di nuovo. – sussurrò Brian, divertito. Matt alzò lo sguardo dall’articolo che stava svogliatamente leggendo e incontrò il suo, caldo e ammiccante, da oltre il tavolo ingombro di tazze vuote.
- Cosa? – domandò, sorridendo curioso. Brian ridacchiò.
- Quando leggi, emetti questo continuo “mh, mh” che è quasi indecente, lasciatelo dire. –
Matt alzò le spalle in un piccolo arco rassegnato.
- Mi piace leggere. – disse, quasi giustificandosi.
- Lo so. – sussurrò Brian, inarcando maliziosamente le sopracciglia. – E si nota, anche. –
 
Una cosa che lo divertiva da morire era stare sveglio mentre lui dormiva.
Il motivo era semplice: nel sonno, Matthew faceva di tutto – parlava, piagnucolava, si rigirava, rovesciava le coperte, gli tirava calci e pugni – tranne che dormire.
Qualche volta, come quella notte, persino rideva. Ed osservarlo sghignazzare nel sonno era uno degli spettacoli più esilaranti e adorabili cui Brian avesse mai avuto l’occasione di assistere. Guardare quest’uomo di oltre trent’anni - minuto, caldo di sonno e coi capelli arruffati, sdraiato su un fianco con la testa appoggiata al palmo di una sua mano -  ridere ad occhi chiusi facendo tremare le lenzuola tese sopra il suo petto era qualcosa di indescrivibile.
Che sogno straordinariamente felice devi star facendo, si diceva Brian mentre lo osservava con un sorriso tenero sulle labbra. E ogni volta si sentiva combattuto fra lo svegliarlo, curioso e un po’ invidioso di tutta quella gioia dalla quale in qualche modo si sentiva tagliato fuori, e lasciarlo sorridere entusiasta ad occhi serrati e pugni chiusi, senza distogliere lo sguardo da lui nemmeno un attimo.
Purtroppo, episodi meravigliosi come quelli erano rari. Durante le poche volte che avevano avuto occasione di dormire insieme in un posto che non fosse Parigi lo aveva spesso dovuto svegliare con un brusco “Matt” e uno scossone deciso sulla spalla, per distoglierlo da qualche incubo orrendo che lo faceva gridare a pieni polmoni. Come se lo stessero scorticando vivo, si diceva turbato ogni volta mentre gli massaggiava il collo per calmarlo.
Spesso, la paura e il disagio non lo abbandonavano nemmeno una volta sveglio.
- Cammino per strada – gli confidava spesso, con una voce sottilissima e acuta, gli occhi spalancati dal terrore - e incontro solo persone che conosco, Tom, Chris, Dominic, Paul, Gaia, mia madre, e tutti mi danno la schiena… Io li tocco su una spalla per farli girare, li saluto, li abbraccio, ma loro non mi riconoscono e mi guardano freddi e distanti - si chiedono chi diavolo io sia e perché li stia importunando in questo modo… - sussurrava, le parole che gli si spezzavano in gola al solo ripensarci. Brian lo abbracciava confuso, terribilmente angosciato da quella paura che non era sua, accarezzandogli piano i capelli e forzandolo a fissare lo sguardo nel proprio.
- Matt, è finita, era solo un sogno… - gli diceva, lento e consolatorio.
- …E tu, Brian – sputava fuori infine Matthew, iroso, la voce strozzata da un singhiozzo, - tu quando ti sfioro la spalla non ti volti nemmeno, e io urlo “Brian, guardami!”, ma tu non ti giri, non lo fai mai… Mai… E io continuo a gridare… -
Si riaddormentavano stretti l’uno all’altro, abbracciati, tremanti e attanagliati da una sensazione di gelo che non sapevano né volevano cercare di definire con chiarezza.
 
- Anche tu sei molto trasparente per quanto riguarda quello che ti piace… - ribatté Matthew, un sorrisino compiaciuto sulle labbra. Brian lo considerò con aria di sufficienza.
- Devi sempre cadere nel triviale. – sbuffò.
- Ah, io non cado da nessuna parte. Sei tu che sei subito andato a pensare a quello. –
- Certo. Quanta malizia tutta in corpo solo, eh Matt? –
- Mi hai proprio tolto le parole di bocca. –
Scoppiarono a ridere piano. Genuinamente divertiti, entrambi.
La luce livida di Parigi sembrò avvolgere quel momento in una bolla di impalpabile eternità.
 
Matt strinse lo schienale della sedia fino a farsi diventare le nocche bianche.
- Dio, a volte sei troppo stronzo per essere vero, Brian. – sibilò, tremante di rabbia. Lui rispose con una risatina antipatica.
- Stavo per dirti la stessa cosa. – rispose asciutto, accendendosi una sigaretta con un gesto brusco. Matt gli gettò un’occhiata incredula quanto rabbiosa.
- Cosa credi, che siccome sono qua a casa tua mi trasformerò in un maritino ubbidiente e servizievole? Per chi cazzo mi hai preso per trattarmi così? –
- Ti ho chiesto solo di non fare storie, di evitarmi almeno questa seccatura. Una cosa sola ti ho chiesto, Matt, Cristo, ma tu sei di un egoismo tale che… -
Matt abbandonò la sedia e aggirò il tavolo, avvicinandosi a lui con uno scatto violento.
- Io?! Io, egoista?! Quando mai tu mi sei venuto incontro anche solo per sbaglio? Di quante cose ti sei sbattuto pur sapendo che mi ferivano a morte? Eh? – lo incalzò, afferrandogli la manica della giacca e strattonandogliela con forza. Brian lo allontanò con una spinta, fuori di sé.
- Ah, ma bene, ogni cosa fa schifo, io sono un figlio di puttana che in tutto questo tempo non ti ha mai dato niente… Perché allora non ti togli dai coglioni, visto che con me ti fai solo del male? – urlò, allargando le braccia come a volerlo simbolicamente liberare. Matt lo osservò tirare una boccata nervosa dalla sigaretta e dargli le spalle, camminando avanti e indietro per scaricare la rabbia. Gli occhi gli bruciavano e la sua sagoma cominciò a sfumare pian piano, riducendosi solo a una sfocata macchia nera che si muoveva indifferente e non gli rivolgeva neanche lo sguardo.
- Bene. – disse, e afferrato il cappotto dall’attaccapanni nell’ingresso infilò la porta e se la sbatté dietro le spalle.
Brian esplose in un urlo frustrato. Andò in bagno, si sciacquò la faccia e osservò a lungo il proprio riflesso nello specchio, trovandolo orrendamente gonfio e paonazzo come quello di un ubriaco.
Tornato in soggiorno si accese un’altra sigaretta e andò ad appoggiarsi braccia conserte sul piccolo davanzale della cucina, che dava sulla Senna. Lo cercò con lo sguardo e lo trovò quasi subito: stava scomparendo a passi veloci dietro il muro del palazzo all’angolo, facendo per chissà quale ennesima volta il giro dell’isolato.
Un quarto d’ora dopo sentì i suoi passi sulle scale e lo avvertì aprire la porta praticamente con una spallata.
- Già qui? – lo apostrofò sarcasticamente, per nulla sorpreso, sedendosi su una delle sedie che circondavano il tavolo dove cenavano ogni sera. Matt gli lanciò uno sguardo disgustato.
- Faccio le valigie e me ne vado, stronzo. Non resto qui un minuto di più. –
Brian sbiancò. Matt si era diretto senza la minima esitazione nella loro camera da letto, e poteva sentire chiaramente il tonfo sordo del suo trolley che precipitava a terra fin da sopra l’armadio. Si alzò di scatto, la gola improvvisamente secca, e lo raggiunse quasi correndo.
Stava davvero svuotando i cassetti, le ante, le mensole, tutto quanto.
- Matt… - cominciò, inquieto.
- Che cazzo vuoi ancora? – sbottò lui, alzando per un momento lo sguardo dal comodino – da cui aveva tolto tutti i suoi libri – per fissarlo nel suo, colmo di disprezzo – Ti sto obbedendo. –
Brian ondeggiò lievemente sulle proprie gambe.
- Siamo maturi, Matt, cerchiamo di risolverla adesso, non fra- -
Matt scosse la testa, esasperato.
- No. Basta. Basta davvero. Sono al limite. –
- Matt- -
- Non voglio ascoltarti, Cristo! –
Brian gli chiuse la valigia con un movimento rapido e violento.
- E invece lo farai, cazzo, che tu lo voglia o no. –
Matt si allontanò dal letto e lasciò andare di schianto le spalle contro l’armadio, passandosi le mani fra i capelli.
- Sono stanco, Brian. Rispettami, almeno per una volta, e lasciami andare. – mormorò, esausto. Brian gli si avvicinò in un attimo.
- Di cosa sei stanco, Matt? Dimmelo. Parliamone. – gli sussurrò, cullante, appoggiandogli una mano sul braccio. Matt si scostò infastidito.
- Non serve a niente, Brian. Avrei dovuto capirlo da un pezzo. – Sentì che sobbalzava, colpito dalle sue parole. Un silenzio teso e immobile calò fra loro due come un’ascia. Matt fissò lo sguardo a terra.
- Giusto.- lo sentì mormorare, infine. E la sua mano stavolta era già sotto la sua camicia, distesa possessivamente sul suo petto. – Parlare non è mai stato il nostro forte. –
Matt voltò istintivamente la testa.
- No. –
Il bacio cadde sul suo collo, prepotente e umido. Brian mugolò arrabbiato e scese ad afferrargli i fianchi con le mani per impedirgli di scappare. Matt gli premette le mani sulle spalle.
- No. – sibilò tremante. Brian ne approfittò per gettarsi sulla sua bocca e lo spinse con tutto il suo peso contro l’armadio, intrappolandolo con forza. Il suo corpo scottava contro il suo, ugualmente bollente – perché erano arrabbiati, ed agitati, e spaventati a morte, e tutto questo li eccitava da morire, e non avrebbe dovuto, Cristo, non avrebbe dovuto proprio.
Le dita di Matthew smisero di opporre resistenza e cominciarono a stringere, forte, troppo forte, con l’intenzione di fare male.
Non ci riuscirono, quella volte come molte altre.
Continuò a dire no fino al momento in cui venne fra le sue dita. E dopo, malgrado tutte le maledizioni che si lanciò dentro di sé per quella debolezza, non poté fare altro che cominciare a ridere.
Brian fece lo stesso, il naso affondato contro il suo collo.
- Di solito… - cominciò ancora senza fiato. Brian ora sghignazzava senza ritegno.
- …Lo so. Di solito, la gente in quel momento dice sì. – terminò per lui, abbracciandolo. – Ma da te, Matt, mi aspetto questo e altro.-
Matt gli passò un braccio attorno al collo, stringendolo contro il petto.
- Perché devi rovinare il sesso in questo modo, Brian… - gli chiese, sospirando. – Non voglio che sia così. Non è stata una violenza perché l’ho voluto anch’io, ma… -
- Non dirmi che non ti è piaciuto perché non ti credo. – sibilò Brian nel suo orecchio, facendogli correre un brivido lungo la schiena. Matt scosse la testa.
- Certo che mi è piaciuto. Sei tu. Ti voglio, ti ho sempre voluto, ti vorrò sempre, maledizione… Non è questo il punto. –
Brian alzò su di lui due occhi lucidi e terribilmente intensi.
- Io per un secondo ho davvero pensato che non mi volessi più. – disse in un soffio. Matt fece un cenno di dissenso, sorridendogli con uno sguardo intenerito.
- Non voglio più questa situazione, è diverso. Noi non siamo così: noi siamo meglio, di così. Che senso ha una storia in cui non solo non ci si migliora a vicenda, ma addirittura ci si peggiora? –
- Nessuno. – mugugnò Brian, nascondendo vergognoso la testa nell’incavo della sua spalla.
- Nessuno. – ripeté Matthew, placato, spingendolo sul letto non prima di averlo sgombrato dalla valigia con una manata. – E ora lasciami lavare questo orrendo orgasmo di dosso. –
- Orrendo…? – tentò di protestare Brian, ma Matthew lo stava già baciando.
 
- Dobbiamo andare, Bri. – gli disse con dolcezza, piegando il giornale e sporgendosi per toccargli delicatamente un braccio. Brian si riscosse d’un tratto da chissà quale fantasticheria.
- Mh? Oh, sì, certo. –
- E’ arrivato il taxi. –
- Andiamo. Corro dentro a pagare. –
Matt prese le valigie di entrambi e fece un cenno amichevole all’auto che si era fermata all’angolo col bar.
- Bellamy, ha chiamato dieci minuti fa? – chiese cortesemente il tassista, abbassando il finestrino. Matt annuì.
- Sì, sono io. –
L’uomo sembrò esitare un attimo prima di ricominciare a parlare.
- Senta, non vorrei fare una figuraccia, ma… Bellamy dei Muse? –
Matt sorrise e annuì nuovamente. L’uomo doveva avere sui sessant’anni, e aveva una rada barba incolta sulle guance che gli donava un’aria burbera e simpatica.
- Scusi, sa, ma io di complessi musicali proprio non so nulla, temevo di scambiarla per un altro. Mi farebbe un autografo per mia figlia? Si chiama Emilie, va pazza per voi. – chiese a disagio, allungandogli un fogliaccio che aveva recuperato dal parabrezza e una penna smangiucchiata all’estremità. Matt acconsentì di buon grado.
- Emilie, ha detto? –
- Sì. Grazie molte. –
- Di niente. – disse, restituendogli il foglio autografato.  - Scusi, dobbiamo aspettare il mio… - Si interruppe, divertito. Per fortuna Brian ricomparve dalla porta del bar e gli venne incontro con una corsetta e un gran sorriso sulle labbra. – Ah, eccolo. Possiamo andare. –
 
Un giorno che stavano passeggiando davanti a Les Invalides e Brian si era allontanato per fare una foto, un ragazzo con una maglietta con su stampate le date del loro tour del 2006 gli si era fatto accanto, raggiante di gioia, e gli aveva chiesto di poter fare una foto con lui. Matt aveva annuito con gentilezza e subito dopo un sogghigno compiaciuto era affiorato sulle sue labbra. Un’idea.
- Ehi, lei. – Brian si era voltato istintivamente, fissandolo con aria sorpresa. – Sì, lei col cappotto nero. –
Brian lo aveva guardato come se fosse impazzito d’un tratto.
- Ma cosa… - aveva cominciato, confuso. Matt gli aveva fatto l’occhiolino, circondando con un braccio le spalle del ragazzo che sembrava aver raggiunto la beatitudine massima.
- Ci farebbe una foto? –
Brian era rimasto immobile, spiazzato, poi aveva sorriso mordendosi la lingua fra i denti.
- Ma certo. – sibilò, velenoso, avvicinandosi per prendere la macchina fotografica dalle mani del ragazzo che gli lanciò uno sguardo colmo di gratitudine. – Dite “Muse”. – urlò, una luce perfida negli occhi.
- Muse! – dissero allegri i due. Brian scattò nel’attimo giusto e riuscì a catturare il preciso momento in cui le labbra di ogni essere umano della Terra si piegavano a imbuto nel pronunciare la parola Muse. Perfetto: la foto era ridicola.
Accettò bonariamente i ringraziamenti del ragazzo e si avvicinò con lentezza a Matt, che gli sorrideva entusiasta.
- Che gran figlio di puttana che sei. – disse, quando il fan fu scomparso nella folla. Matt addirittura gongolò.
- Odiava i Placebo. Si vedeva lontano un miglio. – cantilenò gioioso, passandogli un braccio attorno alle spalle.
- Sei veramente irritante. –
- Mi hai almeno inquadrato, nella foto? –
 
Matt tenne aperta la portiera a Brian per farlo entrare, e questi si sedette accavallando le gambe in un modo così volutamente omosessuale che non poterono far altro che ridacchiare come cretini.
Il taxi partì veloce e silenzioso in direzione dell’aeroporto.
- Vi dispiace se metto un po’ di musica? – chiese il tassista, gettando loro uno sguardo dallo specchietto retrovisore.
- Faccia pure, non c'é problema. – dissero, quasi in coro.
Lo sentirono armeggiare con qualche cd e accendere l’autoradio con un verso soddisfatto. L’inizio di “Don’t Stop Me Now” dei Queen, poi un pezzo dei Led Zeppelin, poi…
- La prego, lasci questa! – esclamò Brian, mentre Matthew emetteva un verso di sincero disappunto.
- Certo! – rispose affabile l’uomo, alzando il volume. Il riff di chitarra esplose nell’auto con tutta la potenza di quelle casse malmesse.
- Uno a uno palla al centro, Bellamy, bastardo! – fece Brian, alzando entrambi i pollici e cominciando a cantare la prima strofa di “Every You, Every Me” con un entusiasmo selvaggio. Matt si prese il viso fra le mani.
- Le piacciono… i Placebo, signore? – chiese l’uomo, controllando con lo sguardo sulla custodia del cd.  Doveva essere una compilation della figlia.
- Lei non sa nemmeno quanto. – sputò fuori Matt, sconfitto, alzando la voce per contrastare gli ululati di Brian.
 
Matt gettò uno sguardo alle valigie disposte vicine accanto alla porta.
Basta, la tregua era finita. Parigi era finita. Per lui, smetteva letteralmente di esistere non appena quei brevi periodi di gioia, convivenza, tremende discussioni e dichiarazioni spuntate dal nulla terminavano.
Perché terminavano, ed era giusto che fosse così. Quella non era vita vera. Era semplicemente ciò che sapeva di meritarsi dalla propria relazione con Brian.
Lanciò uno sguardo alla sveglia. Le sei e tredici. Fra una mezz’ora avrebbe dovuto svegliarlo, e obbligarlo ad alzarsi, e controllare per entrambi di non aver lasciato niente sotto il letto o sul tavolino d’ingresso, e lasciare casa sua vuota e spoglia come la gabbia di uno zoo da cui fossero scappati tutti gli animali. E dimenticare Parigi.
Almeno fino alla prossima volta.
 



 
 
 
Note: quella che doveva essere una tragedia greca si è tramutata in un giochino idiota fra due uomini ugualmente idioti XD Ma così ha voluto chi tutto può, e così sia. Non mi dispiace poi così tanto farla finire un po’ più allegra.
 
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: nightswimming