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Autore: Padme Undomiel    04/10/2010    3 recensioni
Strinse più forte al petto il fagotto immobile, coperto perché non dovesse essere scoperto. Pregava con tutta se stessa che le sue aspettative riuscissero ad essere appagate: almeno lui doveva sorridere.
Anche senza di lei. Probabilmente per sempre.
Perché il suo cuore era ancora intatto, mentre si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro?
Sempre più vicina, sempre più vicina.
Non riusciva a fermarsi. La sua parte razionale stava vincendo su quella dei sentimenti. Non riusciva a smettere di correre a perdifiato, con il respiro corto, l’ansia visibile in ogni tratto del suo viso bianco come un cadavere, il dolore straziante nei suoi occhi scuri.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei, Takeru Takaishi/TK
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Purity 19
19.



Petali di ciliegio





Sembrava passato un secolo da quando si era fermato lì l’ultima volta.

Allora, l’autunno era appena iniziato. Foglie rossastre volteggiavano in maniera scomposta ai suoi piedi, agitate dal vento fresco che le faceva scricchiolare e rompere, data la loro fragilità. Ogni occasionale schizzo della fontana –sul quale bordo si era seduto anche l’ultima volta, se ben ricordava- lo aveva portato a rabbrividire in maniera poco piacevole. Persino il cielo era coperto, immobile, quasi come se volesse nascondere con tutte le sue forze quell’azzurro intenso che si celava al di là di quel bianco.

E proprio lì Ichijouji Ken aveva scoperto in maniera definitiva la sua inclinazione all’indagine e al mistero.

In quel tranquillo parco piccolo quanto silenzioso Ken aveva osservato senza vederle quelle foglie secche sull’asfalto, la sua mente rivolta a quel caso a cui suo fratello Osamu stava lavorando da qualche tempo, e che sembrava dargli problemi. Si era informato, come suo solito, su ogni dettaglio, nel tentativo di capire come mai proprio un detective in gamba come suo fratello non riuscisse a fare ulteriori passi verso la verità. E aveva dovuto riconoscere che le complicazioni c’erano, eccome se c’erano.

Non sapeva spiegarsi quale fosse la soluzione. Non l’aveva detto a Osamu, ma aveva iniziato a pensarci anche lui in maniera seria, pronto a verificare se anche lui fosse dotato di un qualche spirito intuitivo nella realtà, oltre che nei romanzi. Ed era finito lì a riflettere, a fargli compagnia solo quel frusciare delle foglie.

Quando, infine, aveva avuto l’illuminazione, quasi non credeva ai suoi occhi.

Poteva esserci una pista che entrambi non avevano considerato. E poteva avere un senso.

Ricordava di essere stato colto da una strana euforia, mentre si dirigeva, svelto, verso l’ufficio di suo fratello, e gli forniva quell’indizio.

Ricordava l’espressione di puro stupore sul viso di Osamu, perché quella era la prima volta che si rendeva conto che indagare sui misteri era anche la sua, di passione.

Ricordava il senso disarmante di orgoglio quando, grazie a quell’indizio, Osamu aveva dedotto tutta la verità. Così come ricordava i suoi occhi impenetrabili mentre, di sottecchi, lo scrutavano nei giorni successivi.

Forse, da quell’istante in poi, aveva compreso che Ken poteva essergli utile, semmai ne avesse avuto bisogno.

Doveva molto a quel piccolo angolo di tranquillità, così raro da trovare in una città come Tokyo. In qualche modo, sentiva che quel giorno la sua vita era cambiata completamente.

Senza quell’episodio, dubitava che il caso di Inoue Miyako gli sarebbe stato affidato, o che Osamu si sarebbe fidato tanto di lui da rischiare e metterlo al corrente.

Ed erano già passati otto mesi da quando era stato in quel parco l’ultima volta. Ora la fioritura dei ciliegi aveva colorato di un tenue rosa il piccolo viale davanti a sé.

E ora, ai piedi degli alberi, quelli che volteggiavano pigramente al vento erano solo leggeri petali che si intrecciavano tra loro in una curiosa danza.

Era un peccato essere mancato per tanto tempo, vedere così tante novità tutte d’un colpo.

I nuovi impegni non gli avevano concesso quasi un attimo di tregua, e fermarsi lì solo per respirare aria fresca, per una volta, era stato impensabile.

Ma quel pomeriggio, di tempo da passare lì ne aveva eccome.

Un mezzo sorriso disilluso passò sulle sue labbra, mentre considerava seriamente l’idea di essere uscito di senno.

Non era difficile comprendere come mai il suo istinto gli avesse suggerito quel parco, quando aveva cercato un posto tranquillo abbastanza per ciò che aveva in mente.

In fondo, quel luogo rappresentava una parte importante di sé. Una parte di cui avrebbe voluto rendere partecipe per farsi conoscere.

Che sciocco.

Erano le 18:30, e non c’era proprio nessuno a cui mostrare quella piccola bellezza a lui tanto cara.

Dopotutto era prevedibile. Non si aspettava davvero che lei avrebbe preso sul serio un giovane tanto esigente, o tanto illuso. Non sapeva nemmeno, in effetti, se lei aveva trovato quel patetico foglio di carta conservato nelle pagine di quel libro, che aveva avuto il compito di sostituire una proposta a parole che lui era stato così incapace di pronunciare.

Ma teoricamente non doveva essere deluso. Non doveva provare quella sensazione angosciante di aver sbagliato tutto, e definitivamente. Non doveva sentirsi così abbattuto, e così solo, al centro di quel parco.

Teoricamente.

Doppiamente sciocco.

Si guardò intorno un’altra volta, cercando in tutti i modi di individuare chi aspettava, e chi stava uccidendo la sua razionalità giorno per giorno.

Forse, aspettando ancora, qualcosa sarebbe …

“Quante volte ancora credi che mi tocchi ripeterti la stessa domanda, Ken?”

La voce improvvisamente infastidita proveniente dal cellulare che reggeva meccanicamente all’orecchio fu capace di riportarlo bruscamente con i piedi per terra.

E non poté impedirsi di sobbalzare, come se il suo interlocutore potesse averlo visto mentre si comportava in maniera tanto irragionevole.

Si ricordò, d’un tratto, della conversazione telefonica che era ancora in corso, e che aveva momentaneamente scordato.

“Scusami, Osamu. Non ero attento”, si giustificò in fretta, pregando che il suono del vento riuscisse a nascondere l’imbarazzo nel suo tono di voce.

Il silenzio dall’altra parte della cornetta fu breve, ma eloquente. “Il che è strano”, concluse il maggiore tra i due, riuscendo persino a peggiorare la sensazione di disagio in Ken. “Non è da te essere tanto distratto, considerando che è la quarta volta che ti chiedo se ci sono novità.”

La quarta volta? Possibile?

Scosse la testa, questa volta seriamente preoccupato per la sua salute mentale. Tutto questo non gli faceva bene.

“Mi dispiace sul serio. Sono … un po’ tra le nuvole, oggi.” Rispose, più evasivo che mai. E ringraziò il cielo –quel giorno di un azzurro intenso- che l’occhio vigile di Osamu non potesse scorgere il suo viso in quel momento. Decise di cambiare presto argomento, per non fornirgli ulteriori prove della decisione che aveva preso per quel pomeriggio. “Volevi sapere se avevo novità sul caso Inoue?”

Il sospiro di Osamu fu più che eloquente riguardo al suo livello attuale di pazienza. “Non è il motivo per cui ti chiamo ultimamente? Credo si capisca benissimo. A meno che …” Una nuova pausa; poi il suo tono si fece insinuante. “A meno che la tua distrazione di oggi non sia diventata un’abitudine che ti impedisce di interessarti del caso a dovere.”

E Ken si irrigidì all’istante, colto sul vivo.

Lo aveva improvvisamente accusato di non svolgere bene il suo lavoro.

Ed era un tasto dolente. Non solo perché rappresentava ormai una delle abituali frecciate che Osamu gli lanciava, sempre capaci di farlo sentire umiliato.

Questa volta, aveva anche dato voce a una delle sue più recondite preoccupazioni.

Il senso di colpa tornò a tormentarlo: questo, insieme alla necessità di rispondere a quella provocazione, lo spinse a giustificarsi.

“Se sono distratto momentaneamente non significa che io stia prendendo alla leggera il caso, Osamu”, replicò, e fu stupito di sentire una nota di indignazione nel suo tono altrimenti serio. “Io ci tengo, e mi sto impegnando al massimo per ritrovare quella ragazza. Dovresti saperlo bene.”

Era difficile capire se lo avesse sorpreso o meno. Forse lui era l’unico, come sempre, ad essere toccato in qualche modo dalle parole dell’altro.

“Perfetto. Allora non dovresti avere nessun problema a riferirmi le novità.” E il tono di Osamu era di nuovo impassibile, volutamente imperscrutabile. “Sei andato a trovare i fratelli di Miyako?”

Lo sguardo di Ken cadde sul suo orologio da polso. 18:35. E di lei nessuna traccia.

Cercò disperatamente di contenere la delusione osservando meccanicamente ogni secondo che passava, imponendosi di parlare di argomenti più seri. Aveva un dovere preciso, e non sarebbero state le sue sciocche illusioni a distoglierlo dall’indagine.

“Non mi hanno detto molto, veramente”. Fu quasi soddisfatto del suo tono razionale e misurato: non lasciava trapelare nulla. “Pare che ci siano stati diversi litigi tra Miyako e i suoi genitori, e che i suoi fratelli non ne abbiano mai compreso il motivo. Ma penso che sia qualcosa che riguardava il suo gruppo di amici: mi hanno detto che lei riferì loro che i suoi genitori volevano toglierle la sua più grande felicità, e nel suo diario dimostra quanto realmente ci tenesse a loro.”

“Già. Tutte informazioni che avevo ottenuto anche io”, ribatté Osamu. E sulle prime Ken fu troppo impegnato a osservare il tempo che volava via e che distruggeva ogni cosa per accorgersi della lieve nota di soddisfazione nella sua voce. “Saputo altro?”

“Beh …”

La sua mente lavorò frenetica, nel tentativo di ricordare con chiarezza ogni dato che poteva essere utile per le indagini e scordare le lancette di quell’orologio.

“Hanno confermato alcune conoscenze di Miyako. Come Hida Iori, che pare fosse stato anche …”

“… il suo vicino di casa.” Completò l’altro. E Ken si zittì per un istante, sorpreso dell’interruzione.

“Sì. Proprio il suo vicino di casa.” Ripeté lentamente, cercando di capire cosa stesse succedendo a suo fratello. “Ma di Sato Satsu, associata al nome di Hida nel diario, non hanno alcuna informazione. Pare che non la conoscano.”

“E poi ti avranno fatto anche altri nomi”, intervenne subito Osamu, come se la sapesse lunga.

Ken aggrottò le sopracciglia. A che gioco stava giocando? Lo sapevano entrambi che il maggiore tra i due aveva già condotto più volte le indagini sul caso Inoue, e che quindi aveva già ottenuto molte informazioni. Che bisogno c’era di rimarcarlo a tutti i costi?

“Altri quattro, per l’esattezza. Due ragazze, Yamanaka Harumi –compagna di classe delle medie- e Nakajima Eriko –conosciuta al corso di informatica che frequentava anche Miyako -, e due ragazzi, Deguchi Naganori e Motomiya Daisuke, amici tra loro e entrambi in rapporto conflittuale con lei.”  Ken fece una smorfia, interpretando il silenzio dell’altro. “Ma sono tutte cose che, senz’altro, saprai già.”

“Infatti”, confermò l’altro, e Ken riuscì quasi a immaginarsi il suo lieve sorrisetto compiaciuto, che mai si estendeva agli occhi. Sembrava quasi fosse soddisfatto della mancanza di progressi da parte di suo fratello minore.

Dalla mancanza di sue vittorie, come le aveva chiamate lui.

La nausea si mescolò ad un senso di abbattimento inspiegabile. Così come un bruciante senso di inadeguatezza.

“E saprai anche a chi potrebbe riferirsi il Caro Simpaticone, suppongo.” Disse poi, e si rese conto con stupore che desiderava poter essere lui a spiegargli qualcosa. Desiderava che Osamu non ci avesse ancora pensato.

Ancora una volta, le cose non andarono come Ken sperava. Doveva essere la giornata meno indicata per simili speranze.

18:41.

“Ho fatto un rapido calcolo”, rispose subito il detective. “Stiamo ancora parlando di un ragazzo con il quale non andava molto d’accordo, giusto? Dalle poche informazioni che abbiamo, dobbiamo dedurre che sia o Deguchi o Motomiya. Ma Deguchi è nominato poco prima, quindi chi altro potrebbe essere se non Motomiya?”

Ken sospirò. Era stanco. Stanco di quei giochetti, di quella sfida, di quella malcelata rivalità. Non aveva nemmeno più voglia di rispondergli a tono: voleva solo andare a casa.

Era già troppo tardi per aspettare ancora, si disse.

“Bene. Lo hai pensato anche tu. Allora siamo d’accordo.” Si arrese. E stava per alzarsi, per andar via da quel parco, quando si ricordò di un particolare importante.

“Royama Hideki.” Disse poi. L’orgoglio poteva essere messo da parte, in circostanze come quelle. “Come mai lo hai aggiunto alla lista dei sospettati? Hai detto tu stesso che nessuno ne ha riconosciuto il nome, e i fratelli di Miyako erano perplessi quando lo hanno letto. Con che criterio …?”

“Ken.”

Si zittì, quando il tono secco del fratello risuonò dal telefono. Attese.

Un sospiro, quasi esasperato. “Qual è il compito di un investigatore?”

Ma che domanda era?

Perplesso, rispose: “Ricercare la verità.”

“Appunto. Ricercare.” Sottolineò, e finalmente Ken capì le implicazioni di quell’affermazione. “Io ho dei motivi per sospettare di lui. Ma, come ti ho già spiegato, l’indagine la stai conducendo tu: io posso solo seguire la tua pista. Se sarai d’accordo ben venga per le indagini, altrimenti ognuno seguirà i propri sospetti.”

Avrebbe dovuto aspettarselo. Era tipico di Osamu, tenere per sé le proprie deduzioni. Eppure, quella volta fece più male, per qualche motivo.

Quando parlò, ascoltando distrattamente il suono confuso di una corsa sull’asfalto che si avvicinava sempre più, la sua voce era amara proprio come il suo umore. “Mi sembra che sia quello che cerchi di ottenere da un bel po’, Osamu. Da quando hai deciso questa sfida senza senso tra noi. Comincio a credere che, per te, sia persino più importante di trovare Miyako.”

Il rumore di passi affrettati era sempre più vicino. Ma la risposta di suo fratello lo distrasse ancora una volta.

“Non insultare la mia intelligenza e il mio senso del dovere.” Era diventato di nuovo freddo. Quasi glaciale. Ricordava quasi il tono che aveva usato l’ultima volta che si erano visti di persona, nel suo studio, a dividerli un diario e una barriera spessa. “Ciò che conta di più è trovare Miyako, per me e per noi. Ma forse quest’esperienza ci permetterà di capire quanto realmente valiamo … e chi di noi si avvicinerà di più alla verità.”

Quanto realmente ti infastidisce che io lavori con te, Osamu?

Ma non riuscì a formulare la domanda: non ebbe il coraggio di dar voce ai suoi pensieri.

E non ne ebbe il tempo.

I passi si arrestarono bruscamente accanto a sé, facendolo sussultare.

Alzò lo sguardo dall’orologio che aveva continuato ad osservare, voltandosi verso la figura che era appena arrivata.

E il suo cuore mancò un battito.

Ansimava lievemente, i lunghi capelli neri al vento tenuti fermi solo da un fermaglio a un lato del viso, le labbra rosee lievemente socchiuse per respirare meglio, le guance arrossate per la corsa.

E i suoi occhi castano chiaro erano fissi su di lui, e lo guardavano, un misto di emozioni contrastanti e così intense che Ken non riuscì ad interpretarle.

Sapeva solo che una strana sensazione di completezza si era impadronita di lui.

Perché Miyazawa Rumiko si era presentata lo stesso all’appuntamento, sebbene fossero le 18:49, sebbene ogni cosa lasciasse intendere che le cose sarebbero andate diversamente.

Sebbene lui stesso avesse creduto che le sue aspettative sarebbero state vane.

Miyazawa Rumiko era venuta lo stesso. Da lui.

Nonostante il rifiuto ricevuto la prima volta che lo aveva proposto.

Ed era di fronte a lui, e sembrava guardarlo con stupore come lui guardava lei. Sembrava che neanche lei sapesse cosa ci faceva lì, cosa l’aveva spinta ad accettare.

Per un istante non fecero altro che guardarsi negli occhi, senza sapere cos’altro fare.

Finché una voce troppo lontana al suo orecchio non gli ricordò che era ancora al telefono.

“Ken? Ci sei ancora?”

E fu solo allora che Rumiko distolse lo sguardo da lui, scorgendo il cellulare che lui reggeva tra le mani, e il suo viso si animò di un’improvvisa comprensione. Si mise a guardare altrove, mantenendo una certa distanza come a dirgli di continuare la sua conversazione, che avrebbe aspettato.

E Ken la fissò ancora, mentre lei osservava il parco con aria fin troppo noncurante.

“Sì, ci sono”, rispose. Come suonava diversa la sua voce, ora. “Dovevi dirmi altro?”

Osamu parve improvvisamente sorpreso. “Volevo chiederti quale sarà la tua prossima mossa. Inizierai ad indagare sui nuovi nomi che hai, immagino.”

E fu con sgomento che Ken si rese conto che più osservava Rumiko –ora intenta ad aggiustarsi i capelli- più la sua lucidità in merito alle indagini andava perdendosi.

Aveva il cuore a mille, e non riusciva a capire come fare per calmarsi.

Finì per rinunciarci. “Non … sono ancora riuscito a pianificare le prossime mosse, Osamu. Credo dovrei pensarci ancora un po’.” E se suo fratello avesse immaginato che il motivo della sua distrazione era l’improvviso quanto inspiegabile sussulto che Rumiko aveva appena avuto, di sicuro non ne sarebbe stato felice. Dovette trattenere un sorrisetto imbarazzato.

Avrebbe fatto meglio a rinunciare a capirsi.

“Ora scusami, ma devo proprio andare. Ti faccio sapere appena ho novità”, concluse, e a stento sentì il saluto perplesso di Osamu prima di chiudere la chiamata.

E il parco calò di nuovo nel silenzio pigro e tranquillo di poco prima.

Lei si voltò, dandogli un’ulteriore conferma del fatto che doveva aver sentito tutto ciò che aveva detto a suo fratello da quando era arrivata. Si avvicinò, incerta, ma sembrava non avere nessuna intenzione di sfuggire il suo sguardo. Non stavolta.

Quando fu di fronte a lui ancora una volta, si strinse nella sua giacca bianca, e, malgrado tutto, il suo sembrava un gesto nervoso.

Ken non sapeva cosa dire. La presenza di Rumiko lì sembrava irreale. Inconsistente quanto quel vento che continuava, imperterrito, a soffiare.

L’aveva invitata lui. Ma non aveva alcuna idea di come ci si dovesse comportare in situazioni del genere, né come potesse dirle quanto aveva temuto che lei non si presentasse, quanto aveva avuto bisogno di vederla, di sentirla parlare, di ascoltare il suo respiro.

Ma prima che avesse il tempo di formulare una qualsiasi frase, fu la voce piena di disagio di Rumiko a precederlo.

“Sì, lo so, sono in un ritardo spaventoso. L’appuntamento era alle 18, e so che eri già qui ad aspettarmi, ma … Beh, non abito proprio qui vicino, e ho fatto tardi: non ero nemmeno sicura che avrei fatto in tempo per le 19.” Parlava a raffica, una mano a giocherellare nervosamente con una ciocca nera, gli occhi che osservavano ora lui, ora il parco. “Mi dispiace tantissimo, è quasi un’ora che …”

“Pensavo non saresti venuta.”

Pareva che le parole avessero deciso di uscire da sole, incontrollate. Rimpianse di aver dato voce al suo timore infondato appena la frase fu terminata, ma ormai era tardi: lei si era interrotta bruscamente, sul viso un’espressione sorpresa.

Il vento le aveva arrossato lievemente le guance, donandole un aspetto più tranquillo e meno tormentato, malgrado le occhiaie sempre presenti che aveva ormai imparato a conoscere da qualche tempo.

Era così bella, lì in piedi di fronte a lui, che non poteva guardarla senza provare un tuffo al cuore. Così bella, e così in armonia con il paesaggio che la circondava.

Forse era per quel motivo che non riusciva a distogliere lo sguardo da lei.

Poi Rumiko sorrise, e parve quasi esasperata per qualche ragione. La vide rovistare nella sua borsetta, chiaramente cercando qualcosa con impazienza. Ken attese in silenzio, chiedendosi cosa stesse facendo.

Infine, gli porse un piccolo foglio di carta, con aria eloquente. “Avresti saputo la mia risposta, se non fossi fuggito via dopo avermi lasciato questo in un libro. Forse così non ti saresti preoccupato inutilmente.”

E solo allora Ken riconobbe in quel foglio la sua scrittura, e la sua impacciata proposta per un appuntamento. Non poté impedirsi di arrossire, mentre si acuiva sempre più la sensazione di essere un totale idiota.

Tentò disperatamente di trovare qualcosa da dire. “Credo non volessi ripetere l’esperienza di un paio di settimane fa in libreria, Rumiko-san”, si giustificò. “Allora non mi sembravi molto felice di passare del tempo … beh, fuori dalla libreria.”

Con me.

Ma neanche stavolta osò specificare.

Era già abbastanza insensata la giustificazione che aveva appena dato. Valeva a dire che era stato troppo vigliacco per prendersi la responsabilità delle sue azioni.

Rumiko sbatté gli occhi più volte, confusa. “Avevi paura che ti dicessi di no?”

La domanda schietta di lei non fece altro che imbarazzarlo maggiormente. Improvvisamente trovò indispensabile osservare un ciliegio di fronte a sé, pur di non affrontare l’espressione attenta e sorpresa della giovane. E quando rispose, lo fece evitando la domanda diretta. “Non volevo costringerti ad accettare solo per farmi un favore.”

Fu strano sentirla ridere, all’improvviso. E ascoltarla in silenzio, totalmente immobile, fu tutto ciò che gli riuscì di fare. Poteva una risata così solare appartenere alla stessa persona impaurita e misteriosa che vedeva sempre in libreria?

Quando le lanciò un’occhiata di sottecchi –poteva quella risata estendersi anche agli occhi, illuminarle il viso?- vide che il suo sorriso era davvero ampio e sincero come e più di quello che si era aspettato. Era molto più simile a quello che aveva scorto la prima volta, dopo il mancato incidente e la sua storta alla caviglia. E creava una strana stretta allo stomaco.

Rumiko scosse la testa, ma nei suoi occhi non c’era derisione. Un’ incredula meraviglia, semmai. E, di nuovo, una delle tante emozioni tumultuose che sempre riempivano di vita il suo sguardo. Ken non ne era sicuro, ma sembrava che lei lo stesse osservando con occhi nuovi. “Scusa se te lo dico, ma sei stato davvero uno sciocco. Se ti sei preoccupato di così tante cose –che potessi prendermela, che potessi accettare solo per farti un favore-, avresti fatto davvero meglio a chiedermi una risposta subito.”

“E tu mi avresti risposto davvero?”

La domanda cauta di lui la spiazzò. La vide irrigidirsi, arrossire, abbassare lo sguardo a terra. Con i denti si tormentava lievemente il labbro inferiore.

Ken seppe di averci visto giusto. Non avrebbe saputo dargli una risposta.

 Sospirò, osservando il suo disagio, e rendendosi sempre più conto di come quel rossore contrastasse con il suo sorriso, con il suo sguardo diretto.

Perché, se gli ultimi due sembravano aspetti spontanei di lei, il primo sembrava più indice di una reazione indotta da cause esterne. Sembrava non rispecchiare il suo essere.

Non era timidezza, la sua. Ne era sicuro. Era un continuo custodire segreti, in modo tale che occhi esterni non potessero leggerle l’anima.

Forse non avrebbe mai saputo il perché di questo comportamento, anche se desiderava far luce sul mistero con tutto se stesso.

“Rumiko-san”, disse infine, chiedendosi se fosse stato lui il motivo del nuovo disagio di lei. “Non volevo forzarti in alcun modo. E’ solo per questo che sono fuggito via in quel modo, ieri. Mi … dispiace davvero se ti sono parso scortese.”

Doveva essere di nuovo avvampato. Perché non sapeva assolutamente come comportarsi, con lei? Perché, attualmente, anche solo osservare la sua figura riusciva a sconvolgerlo tanto?

Ma fu proprio quando Ken si chiese se l’avesse offesa con le sue domande indiscrete che Rumiko si sedette accanto a lui, sul bordo della fontana. E per un istante lui non poté fare a meno di accorgersi della minima distanza che c’era tra loro, e del calore insopportabile che lo aveva invaso quando lei gli aveva sfiorato impercettibilmente il braccio con il suo.

Si chiese se anche lei avesse avvertito qualcosa quando gli occhi sgranati di Rumiko lo fissarono, per un istante soltanto. Ma non si spostò, limitandosi solo a voltarsi rapidamente.

Sembrava diversa, quel pomeriggio.

Gli occhi fissi sul ciliegio di fronte a loro, Rumiko sorrise, distante. “Non sei stato affatto scortese. Era la prima volta che una persona faceva così tanto per me, lo sai? E dire che nemmeno mi conosci bene. Ero … no, sono sconvolta. Ed è anche per questo che ti ho quasi scacciato dal mio negozio, quando mi hai proposto di vederci.”

La sua breve risata nervosa era imbarazzata, quasi si sentisse in colpa, ma Ken non riuscì a scorgere la sua espressione. Rumiko era ostinatamente concentrata sui petali rosa che fluttuavano nell’aria. “Credo di doverti delle scuse. Chissà che avrai pensato di me … Non è che io non abbia apprezzato, anzi. Sei stato molto carino a preoccuparti per me.”

“Ti prego, Rumiko-san, non è necessario …” tentò Ken, turbato più che mai dalla confusione scatenata dal suo complimento. Avrebbe voluto aggiungere che non aveva fatto nulla, che anzi non gli riusciva di comprendere come mai nessuno si era mai preoccupato tanto per lei. Ma la giovane sembrava desiderasse in tutti i modi parlare, e spiegarsi.

“E’ solo che non è facile. Con tutti gli impegni che ho, è difficile che io … Ecco …” Si torceva le mani, in difficoltà. “Non sempre posso dedicarmi ad altro, perché …”

Ken si accigliò, perplesso. Si vedeva chiaramente che non avrebbe saputo dargli una risposta, eppure Rumiko si intestardiva. Sembrava stesse lottando contro la sua abituale riservatezza sul suo conto.

“Non devi spiegarti per forza. Ho capito”, la zittì lui. Lei si immobilizzò, sussultando. E Ken lottò contro il desiderio crescente di sciogliere quelle dita nervosamente intrecciate tra loro, di dirle che andava tutto bene. Respirò a fondo, tentando di calmarsi. “Non è necessario che tu mi spieghi ogni cosa, se non vuoi. Te l’ho detto, non voglio forzarti.”

Per qualche istante nessuno dei due parlò. Giusto il tempo che occorse a Rumiko per voltare lievemente il viso, per guardarlo –i suoi occhi sembravano brillare più che mai: chissà se di stupore, gratitudine o dolore, questa volta-, per esitare. Aprì la bocca, l’aria accorata, come desiderasse dirgli altro. Poi la richiuse, sospirando, e sembrava aver rinunciato al suo intento.

Eppure, fu con semplicità ed estrema naturalezza che un sorriso luminoso e grato lo colpì all’improvviso. “Grazie”, disse. Persino la sua voce tremava lievemente, traboccante di un sentimento che lui non poteva cogliere.

Il suo cuore accelerò i battiti nel momento in cui la stretta allo stomaco si intensificava. “Non ho fatto nulla, Rumiko-san. Davvero.”

Lei non replicò, e la sua affermazione cadde in un nuovo silenzio impacciato.

Ken osservava di sottecchi la giovane accanto a sé, senza il coraggio necessario per chiederle di parlare di sé, di dirgli qualsiasi cosa che potesse riguardarla, solo per ascoltare ancora la sua voce, solo per sentire del suo passato e del suo presente. Ma non osava neppure muoversi, sentendo che un minimo spostamento avrebbe potuto portare a un nuovo contatto fisico, sebbene minimo, con lei.

Rumiko si guardava intorno con occhi interessati, le guance arrossate per una strana gioia, le labbra lievemente piegate in un sorriso di apprezzamento. Aveva una mano tra i capelli, e sembrava lottare contro il vento che voleva scompigliarglieli.

“Caspita”, disse poi, e il sorriso divenne più largo. “Non avevo mai visto questo parco, ma è bellissimo. Hai fatto bene a scegliere proprio questo posto per incontrarci.”

L’apprezzamento di lei gli infuse uno strano senso di esultanza. Ricambiò il suo sorriso, tentando in ogni modo di controllarsi per non lasciar trapelare troppo dei suoi veri sentimenti. “Davvero … davvero ti piace?”

Lei annuì energicamente. “Sul serio. E poi, quei ciliegi lì …” Li indicò con un dito, per poi stringersi nelle spalle semplicemente. “So che può apparire scontato –chi non li ama, dopotutto?-, ma mi mettono una grande gioia dentro ogni volta che li guardo. Sai, i ciliegi mi ricordano sempre un sacco di cose …”

La voce si perse in un sussurro assente, ma il sorriso non lasciò mai le sue labbra. Ken notò che, per una volta, sembrava davvero rilassata, senza alcun problema ad affliggerla.

Possibile che fosse avvenuto sul serio quello che aveva sperato? Solo grazie alla sua istintiva proposta?

Avrebbe dato tanto perché fosse così.

“Ora capisco perché dici di riuscire a rilassarti qui”, osservò Rumiko nel frattempo, e la curiosità brillava nei suoi occhi, fissi in quelli di lui. “Sembra che ci sia una pace totale qui. Anche se da soli forse non farebbe lo stesso effetto. Mi sbaglio? Il silenzio sarebbe quasi opprimente, e dovresti avere come minimo qualcosa da fare ogni volta, giusto per non sentire troppa solitudine.”

Ken era spiazzato. Forse non l’aveva mai sentita parlare tanto. E la cosa più strana era che parlava per conoscere lui, per saperne di più.

Quasi sentisse anche lei il bisogno di conoscere l’altro, più forte di qualunque strano timore che l’aveva costretta a zittirsi e ad arrossire le altre volte.

“Davvero, cosa fai qui ogni volta?”

E ora lo sguardo di Rumiko era strano, determinato più che mai a conoscere la risposta. Come se lui avesse potuto fornirle un’informazione di vitale importanza.

Ken alzò le spalle, perplesso. “Non lo so, dipende”, rispose esitando. “Per lo più penso. Questo sembra il posto ideale per farlo, dato che è così silenzioso e tranquillo.”

“E poi è l’ideale anche per pianificare le prossime mosse, giusto?”

“Eh?”

Ken si fermò, confuso, sulle prime non comprendendo di cosa lei stesse parlando. Sapeva solo che il tono di lei era cambiato, che il suo sorriso era diventato quasi tirato, che i suoi occhi erano inquieti e diretti allo stesso tempo, che il suo viso era teso nello sforzo di essere immobile.

E infine comprese. Sgranò gli occhi. “Hai sentito la mia conversazione telefonica, vero?”

Rumiko annuì, e sembrava impaziente per qualche motivo. “Solo la fine … è perché ero molto vicina a te. Figurati se origlio”, si scusò in fretta. Poi rise, nervosamente. “Si può sapere che … cosa dovessi pianificare? Sembri una specie di agente segreto in incognito!”

Non sembrava davvero divertita. Semmai spaventata. Ken si accigliò.

“Non sono un agente segreto”, rispose, esaminando i segni visibili dell’inquietudine di lei. “Stavo solo parlando con mio fratello Osamu.”

Non riusciva a trovare il nesso con il discorso che stavano facendo in precedenza. Come poteva lei aver pensato a una cosa del genere?

Rumiko sembrò irrigidirsi. “Tuo fratello …”, ripeté. E poi si strinse nella giacca bianca. “Posso capire se a dire una cosa del genere fosse stato tuo fratello, dato che è … un detective.” Il vento tirò più forte, e lei rabbrividì. “Ma sei stato tu. Come mai? Che mosse devi pianificare?”

E Ken esitò, improvvisamente senza sapere come comportarsi. Non poteva rivelarle dei dettagli dell’indagine: sapeva che non era prettamente affar suo. Si parlava del lavoro di suo fratello, lavoro al quale lui stava lavorando da ben otto anni. E non conosceva abbastanza Rumiko da poterle rivelare una cosa del genere.

“E’ …”, tentò, senza parole. “E’ lungo da spiegare, Rumiko-san.”

Il viso di lei sembrò animarsi di una nuova forza. “Non ho fretta, sai?” Gli sorrise piano, incoraggiante. “Dai, ti ascolto.”

Fu il suo sorriso a far vacillare la sua certezza. Fu il suo sorriso a farlo esitare ancora. Più lo guardava, più si chiedeva perché mai dovesse mantenere il segreto con lei.

Era assurdo. Ma sapeva di potersi fidare di lei, contro ogni logica e avvertimento.

Dopotutto, il caso non era più solo di Osamu. Era anche suo. Riguardava lui.

Non voleva forse farsi conoscere da lei, quel pomeriggio?

E d’altronde, molte notizie erano anche uscite sul giornale, a detta di suo fratello. Solo le più importanti.

Decise che le avrebbe spiegato solo i dati generali, niente di più.

Sospirò, arrendendosi. “Il fatto è che sto aiutando mio fratello in un caso difficile. Siccome lavoriamo in maniera indipendente, ognuno indaga per conto suo, per poi … tenerci aggiornati.” Forse avrebbe dovuto dire che era solo lui ad aggiornare l’altro, e non il contrario. Ma non commentò, limitandosi ad incupirsi.

Ma lei non si concentrò su questo suo cambiamento d’umore. Sembrò pietrificarsi all’improvviso, invece. “Svolgi … indagini anche tu?”

Lui annuì. “Una sola, per il momento, ed è una specie di … prova, mettiamola così. Per vedere se me la cavo bene.” Era così strano ricordare quanto, la prima volta che Osamu gliene aveva parlato, si era sentito pronto a tutto pur di dimostrargli quanto valeva. Ora non capiva nemmeno esattamente come potesse essere cambiata la situazione. Sorrise tra sé, intrecciando le mani tra loro. “So che è assurdo parlare in questi termini di un’indagine, ma Osamu preferisce vedere con i suoi occhi i miei progressi, e stabilire di persona se sono uno sciocco o meno.”

La voce di Rumiko era quasi un sussurro. Sentiva il suo sguardo addosso, ma per qualche motivo non riuscì a incrociarlo. “Un’indagine difficile come primo caso? Cosa devi fare?”

A cosa serviva tenere ancora il segreto, dopotutto?

Ken si ritrovò improvvisamente desideroso di parlare, di spiegare, di farsi capire. Non gli era mai successo, prima d’ora. “Più che altro un’indagine lunga: dura da otto anni”, le rispose, lanciandole un’occhiata in tralice. “Si tratta di ritrovare una ragazza scomparsa di nome Inoue Miyako.”

Si aspettava, senza alcun motivo apparente, che quel nome non le avrebbe detto nulla, come era successo a lui la prima volta che Osamu aveva nominato la ragazza scomparsa.

Fu per questo che rimase sorpreso dallo scatto che Rumiko fece sul posto non appena ebbe terminato la frase.

E non poté mascherare la sorpresa, quando si voltò verso di lei ancora una volta. “La conosci?”, le chiese, accigliandosi.

“No!” La voce di lei era insolitamente acuta. E sembrava esser diventata bianca come un lenzuolo tutto d’un tratto. Quel cambiamento lo impensierì, ma non riuscì a spiegarselo. “E’ che so … Ho letto i giornali, e sapevo che tuo fratello la stesse cercando da qualche tempo. E’ solo che non pensavo che anche tu …”

“Rumiko-san, stai bene?”

Lo sguardo di Ken si era posato sulle mani che stringevano le maniche della giacca, e si era accorto che tremavano. E anche quel pallore improvviso era preoccupante.

Ho detto qualcosa che non va?

Lei annuì in fretta. “Sì. Sì che sto bene.”

Ma aveva anche le labbra livide. Ken le guardò, impotente, per qualche istante.

Era così diverso dal colore rosato che avevano tutte le volte che il suo sguardo si soffermava su di loro …

Si riscosse all’improvviso, arrossendo furiosamente. Non era davvero il momento. Sembrava che Rumiko stesse male.

Fece per alzarsi. “Vado a prenderti qualcosa da bere. Aspettami qui, non ci metterò molto.”

“No, resta-“

Fu impulsivo. Lei tese una mano, sembrò volerlo trattenere per un braccio. Si fermò solo a un centimetro da lui, incerta, come se non sapesse cosa fare.

Ken trattenne il fiato, immobilizzandosi.

Infine, lei abbassò il braccio. E sebbene apparisse così debole, così pallida, la supplica nei suoi occhi fu così forte che arrivò a lui in maniera quasi dolorosa. “Ti prego, resta. Non andare via. Dev’essere solo un po’ di bassa pressione, non mi succederà nulla.”

Rimase muto, incapace di comprendere cosa avesse scatenato quella sofferenza, quella richiesta, quel tentato contatto istintivo. Non sapeva cosa fare per lei, come potesse aiutarla.

Ma ancora una volta aveva avuto l’impressione che lei avesse bisogno di lui. Come il giorno prima in libreria, quando lui le aveva detto che sarebbe andato via subito, e lei aveva assunto quello sguardo smarrito, quasi ferito. Così improvvisamente fragile.

Il pensiero sembrò scaldargli il cuore ancora una volta, per quanto fosse improbabile. La sua espressione si ammorbidì. “Dimmi solo cosa posso fare per te.” Le disse infine.

Lei esitò. “Se non sbaglio …” Un pallido sorriso piegò le sue labbra. “Mi stavi raccontando di quest’indagine. Puoi sempre riprendere il discorso.”

Ken era sorpreso. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non quello. “Come mai vuoi che parli della mia indagine?” Era uno strano argomento di conversazione. “Pensavo non ti piacessero cose di questo genere.”

“Lo so, infatti non mi piacciono. Ma è perché … parla di te, no?”

La schiettezza con cui Rumiko parlò aveva dell’incredibile. Come se, per una volta, non avesse alcun problema a dirgli quello che pensava.

“Voglio sapere cosa ci sia dietro. Chi sia Ichijouji Ken, quali siano le sue aspirazioni e i suoi sogni.” Sospirò, e per un istante chiuse gli occhi. Probabilmente cercava di reagire al suo scombussolamento fisico in questo modo. “E come mai abbia deciso di cercare … Inoue Miyako, anche se questo compito non lo compete.”

Anche quando riaprì gli occhi, evitò il suo sguardo, facendogli però intendere che lo ascoltava.

Ken la guardò, incerto, non sapendo da che punto iniziare. Non si era mai raccontato a qualcuno, e ora che aveva l’opportunità di farlo era a disagio. Cosa mai avrebbe potuto dirle?

Si appigliò con tutte le sue forze alla certezza che lei voleva sapere, che non l’avrebbe annoiata, che era ciò che voleva anche lui.

E infine trasse un respiro profondo. “Lo so che non mi compete”, iniziò, esitante. “Ma se c’è una cosa che so è che è ciò che io ritengo giusto fare. Investigare …” Perché era così difficile spiegarsi a lei? Perché non poteva essere spontaneo come avrebbe voluto? “E’ la mia passione. Ho sempre seguito mio fratello, ed è stato grazie a lui, indirettamente, che ho scoperto quest’importante parte di me. I romanzi gialli sono stati il mio punto di partenza: Osamu è stato il mio punto di riferimento, sempre. E … prima ancora che potessi accorgermene io stesso … ci ero già dentro fino al collo.”

“E perché ti esalta così tanto analizzare crimini o sparizioni? Cosa c’è di bello?”

Non era solo la domanda ad essere più complicata: avere i suoi seri occhi castani puntati su di lui lo metteva ulteriormente in difficoltà. Si sforzò di mantenersi lucido. “Non è esattamente qualcosa di … bello. E’ proprio perché i crimini sono intollerabili che si cerca in ogni modo di svelarne e  fermarne i criminali. E’ proprio perché le sparizioni sono ingiuste che si fa di tutto per ritrovare chi manca. Capisci, ciò che è bello non è tanto sentirti fiero di essere arrivato alla soluzione giusta: è capire che ti sei impegnato al massimo per rendere giustizia, e che il tuo proposito è riuscito. E anche … sapere che i crimini non si fermeranno, ma che tu sarai sempre lì per fare il possibile, che non mollerai.”

Incrociò il suo sguardo, perdendosi per un istante negli occhi sgranati di lei. Sembravano così luminosi, alla luce morente del sole pomeridiano. Ed era così semplice continuare a parlare, ora che aveva iniziato. “Inoue Miyako è sparita da otto anni, Rumiko-san. Ho visto cose …” Il viso della signora Inoue, di suo marito, dei suoi figli passò davanti ai suoi occhi: il ricordo causò la smorfia sulle sue labbra. “Dolore. Strazio, sensi di colpa. Non riesco a pensare che non ci sia un’alternativa … e non riesco a stare con le mani in mano. Ho davvero poca esperienza, scarso spirito deduttivo e pochi risultati dalla mia, e di sicuro non valgo quanto Osamu. Ma se posso fare qualcosa –qualsiasi cosa- per ritrovare quella ragazza, allora lo farò. Non voglio darmi per vinto.”

Rumiko lo fissava, muta, le labbra strette. Non disse nulla, ma non ruppe il contatto visivo.

Dal canto suo, a Ken sembrava di liberarsi di un gran peso. Non si era mai sentito così, ma non voleva che quella sensazione svanisse. Si ritrovò a parlare automaticamente, ormai ogni disagio sparito. “Osamu mi ha proposto di aiutarlo poco tempo fa, dato che non vuole ancora darsi per vinto, nonostante siano passati anni. Mio fratello è orgoglioso, ma sa quali siano le priorità: ha anteposto Inoue Miyako alla sua dignità. Mi ha detto che è la mia occasione … che potevo tentare. Tentare di essere come lui.”

Fu lui a guardare altrove, stavolta. Non voleva che lei gli leggesse negli occhi quell’amarezza che lo aveva colto da qualche settimana.

“Ma qualcosa non dev’essere andato come voleva … Come volevamo entrambi”, si corresse subito, con un sorriso ironico. “Lui si è pentito della sua scelta, perché questo ha messo in discussione le sue abilità e i suoi successi. Credo si sia sentito scavalcato da me.”

“Perché?” Se gli riuscì di sentire il sussurro di Rumiko, fu solo per la vicinanza che c’era tra loro: quasi era soffocato dal rumore della fontana alle loro spalle.

Lui alzò le spalle. “Ho trovato una prova interessante, che per qualche motivo a lui era sfuggita per tutto questo tempo. E’ stata fortuna, ma lui non l’ha vista così. E’ da allora che mi considera un rivale. Credo che il suo orgoglio sia stato fortemente intaccato da questo, e che voglia riaffermare in ogni modo la sua superiorità in campo investigativo.”

La conversazione telefonica avvenuta diversi minuti prima gli tornò improvvisamente alla memoria. E Ken si sentì molto sciocco, molto infantile ad aver frainteso ogni cosa. Strinse i pugni.

“Lo sai, Rumiko-san”, riprese a bassa voce, una controllata rassegnazione che trapelava da ogni sua parola. “C’è sempre stato un motivo più egoista che mi ha spinto ad accettare di aiutare mio fratello nell’indagine. Mi fa davvero poco onore, ma è così. Tra me e Osamu non c’è mai stato un bel rapporto: siamo entrambi schivi, solitari, ben poco affettuosi. Ma credimi, ho sempre voluto che lui potesse fidarsi di me … e ora che considero le cose come stanno, posso assicurarti che lui non si è mai fidato di me. Ora sono un ostacolo per lui. Ma se ho accettato …” Si sentì invadere dall’imbarazzo, una sensazione sgradevole e insopportabile. Ma non si tirò indietro. Non poteva non rivelarle anche quella verità. “E’ stato anche perché volevo dimostrargli che potevo essergli d’aiuto. Che insieme ce l’avremmo fatta. Se avessi ritrovato Inoue Miyako con lui … magari qualcosa sarebbe cambiata, mi dicevo.”

Rise piano. Fu la risata più strana e distaccata che mai avesse sentito uscire dalle sue labbra.

“Ma sono uno sciocco sentimentale. Ho solo peggiorato le cose.”

E poi successe tutto così in fretta che a stento la sua mente riuscì a stare al passo con le azioni.

Fu il calore sulla sua mano a farlo fermare. Un calore gentile, fermo, posatosi improvvisamente sul dorso della sua mano sinistra.

E fu solo un movimento del capo, degli occhi, a rivelargli la verità.

Le dita strette intorno alle sue nocche contratte, la mano di Rumiko stringeva fermamente ma dolcemente la sua pelle, infondendogli calore. Malgrado il lieve tremore che avvertiva a stento, malgrado il vento fresco che agitava gli alberi e la sua chioma nera.

Quel contatto bastò per rendere incontrollabili i battiti del suo cuore.

Bastò per costringerlo a guardarla di nuovo, per scoprire ciò che davvero aveva scatenato quella reazione.

Gli occhi di Rumiko brillavano, e tra le ciglia sembrava trattenere le lacrime. Ed erano intensi, partecipi, tristi, belli, così belli. Belli come il suo viso, come le sue labbra, come il sentimento che sembrava sconvolgerla a tal punto.

Belli come la sua voce. “Non sei uno sciocco, sei umano. Gli vuoi bene … Si vede quanto. Io … mi dispiace. Mi dispiace tantissimo, Ken-kun.”

Belli come il suo tono spezzato, e il suo indugiare sul suo nome.

Belli come quell’eco scatenata dal ricordo, che ripeteva quella parola come fosse una scoperta. Belli come il suono che aveva il suo nome pronunciato da lei.

Ken-kun. Ken-kun. Ken-kun.

Come il calore della sua pelle, e delle sue dita lunghe e sottili.

Come il calore che cresceva, incontrollato, dentro di sé …

Non conosceva più nulla che non fosse Rumiko. O quel bisogno che sentì diventare sempre più forte, bisogno che non poté più controllare.

Poteva essere sbagliato. Poteva essere affrettato.

Ma la sua mano destra si posò sulla pelle calda della sua mano, e, esitante, le sfiorò la sua. Le sue dita, le sue nocche, il dorso, fino a passare il pollice sulla parte superiore del polso, solo per scoprire se la sua pelle era davvero così morbida, così delicata come sembrava.

Quando si fermò, la sentì rabbrividire lievemente. E poi posò ancora il suo sguardo sul suo volto, solo per perdere il respiro una volta di più.

Chissà come sarebbe stato, sfiorare la pelle del suo viso. O quelle labbra, ora leggermente dischiuse. Avvicinarsi solo un attimo, per sentire su di sé la consistenza vellutata di petali di ciliegio, come quelli che il vento trasportava ancora nell’aria.

Per poter saggiare la dolcezza di quelle labbra …

Ma gli occhi di lei, spalancati, lo fissavano muti, in silenzio domandandogli cosa avesse intenzione di fare. E solo allora Ken ritrovò la cognizione del tempo, e seppe ciò che aveva rischiato.

Il turbamento che ne conseguì lo sconvolse fin nelle ossa. Si sentiva fuori controllo.

Sospirò, e malgrado tutto, fu con riluttanza che lasciò la sua mano. Gli era persino impossibile regolarizzare il respiro.

 Rumiko fece lo stesso dopo appena alcuni secondi di tremante esitazione: si voltò, lasciando che più ciocche di capelli neri celassero il suo viso allo sguardo di lui.

Fu con esitazione che lui parlò ancora, accuratamente evitando di guardarla per non farsi sopraffare da quegli strani bisogni che lo avevano quasi colto impreparato. Si sentiva molto sciocco e impacciato, ma sapeva con tutto se stesso che avrebbe dovuto dirle qualcosa.

“Grazie.”

Lei sussultò quasi impercettibilmente, ma lui lo notò con la coda dell’occhio. “Di cosa?”

Eppure, qualunque parola non sarebbe bastata per spiegarle ciò che sentiva. Avrebbe solo reso più banale il tutto, e niente avrebbe più avuto lo stesso significato. Scosse la testa, nuovamente a disagio. “Grazie e basta, Rumiko-san.”

Un istante di silenzio; poi lei ridacchiò piano, una strana risata tremante e incerta.

“E’ inutile. Non capisco le tue stranezze.”

“Forse non c’è nulla da capire, dopotutto.”

Rumiko colse a sorpresa il suo sguardo di sottecchi: prima che Ken potesse decidersi a distoglierlo, il sorriso di lei lo fermò.

Amaro, pieno di strana tristezza … ma era solo per lui.

Non poté fare a meno di ricambiarlo.

E solo per lui, nella sua testa, le parole mancanti che non le aveva rivolto risuonarono più forti che mai, segrete e impenetrabili, ma mai tanto sentite come in quel momento.

Grazie per essere qui con me ora.

Neanche a farlo apposta aggiorno a un mese esatto dallo scorso capitolo xD quando si dice il caso ... Bene, che dire, ecco il nuovo capitolo di questa long-fic :) probabilmente è uscito fin troppo lungo, ma che potevo farci? Sto diventando sempre più logorroica ^^' soprattutto quando tratto di questi due. Ci tenevo a soffermarmi un po' su questo appuntamento, dal momento che è di grande importanza per l'evoluzione del loro -difficile- rapporto. A proposito, perdonatemi il cliché dei ciliegi in fiore, ma non ho resistito alla tentazione ^//^ considerando poi che era già in progetto che fossimo in questo periodo dell'anno, non ho potuto non sfruttare la cosa. E ... sì, Miyako si è presentata alla fine ^^  figuriamoci se avrei lasciato quel poverino ad aspettarla da solo in quel parco! Su ciò che succederà ora che lui le ha rivelato di star aiutando suo fratello, vi rimando al prossimo capitolo :) e vi annuncio subito che sarà diverso dai miei soliti standard: tratterò di Hikari e Takeru e Miyako e Ken contemporaneamente, e tratterò di tutto ciò che ho lasciato indietro negli ultimi due capitoli!

Ringrazio Shine, come sempre, anche per essere riuscita ad apprezzare Daisuke per una volta xD onorata, so che non ti è molto simpatico solitamente: è un gran risultato :) immagino che ti abbia sconvolta la faccenda di Deguchi, ma porta pazienza: da qui in poi le scoperte sul passato saranno più frequenti, te lo garantisco :)

Non so quando tornerò con l'aggiornamento causa inizio della scuola, ma spero di farlo il prima possibile! Intanto grazie per continuare a leggere la mia storia ^^

Padme Undomiel

   
 
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