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Autore: Doralice    05/10/2010    5 recensioni
Sette scalini tra Claire e Gabriel. Sette gradi di differenza da superare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note:

@kannuki: Grassie! Era un pezzo che volevo inserire quel brano in una scena di questo tipo e finalmente ci sono riuscita... yuk!

@Naomi: Ogni recensione è la benvenuta! Grazie per i complimenti!







Step Two: Soul


Quasi tutte le creature che consideriamo malvagie o cattive,

sono semplicemente sole.

E magari mancano un po' di buone maniere.

- Big Fish -



Si era svegliata nel momento in cui l'aveva sentito entrare. Era scivolato dentro la stanza con un soffio di vento e lei non era rimasta sorpresa. Non sapeva quando sarebbe venuto né cosa avrebbe fatto, ma quando lo vide non ebbe più dubbi. Dunque, era così che funzionava il gioco...

Lo osservò avanzare cauto e sedersi davanti a lei. Per un lungo momento non si mossero, lei raggomitolata nel letto, lui a gambe incrociate sul pavimento. Poi Claire si avvicinò appena e lui colse il suo invito. Posò le braccia sul letto e insinuò una mano sotto le lenzuola, cercando la sua. Le dita si incontrarono e indugiarono. Le diede tutto il tempo. Quando le sfiorò il palmo Claire schiuse la mano e lasciò che l'accarezzasse. Le piaceva, era come nel sogno.

È molto meglio del sogno... – si corresse, sentendo il respiro accelerare.

Quel calore... era sempre lì, ma adesso era concreto. Socchiuse gli occhi e scoprì che non era così difficile lasciarsi andare. Si trovò a ricambiare quelle carezze. Allora lo vide posare il mento sull'avambraccio e sospirare, mentre le sue dita non smettevano di tracciarle disegni sul palmo.

Claire afferrò un lembo delle lenzuola e si rannicchiò ancora di più, sopraffatta dall'emozione. Dio, non poteva essere reale...

Stava pensando che era la cosa più schifosamente bella che avesse mai vissuto, quando lui le scostò le dita per unire i loro palmi. E la guardò, in un modo che la fece sciogliere da capo a piedi. Cos'era, una nuova tecnica per fare fuori la gente? Affogarla di tenerezza?

Fece scivolare la mano di lato e ancora una volta accarezzò il palmo. Quando ritrasse le dita e alzò il capo, Claire capì che aveva intenzione di andarsene. Gli imprigionò la mano tra le sue con uno slancio che lasciò entrambi di stucco.

Si chinò su di lei e Claire poté sentire chiaramente il suo respiro irregolare mentre le afferrava entrambe le mani. Le tenne strette, il capo chino sul letto. Non l'aveva mai visto così esposto. Avrebbe voluto passargli le dita tra i capelli, avrebbe voluto coccolarlo... Cristo, non si capacitava della dolcezza che riusciva a trasmetterle. Ed era bastato andare da lui con un carillon in mano?

Esitò prima di allontanarsi. Claire contrasse appena le dita, come a dire “se proprio devi...”. Le sue mani scivolarono via piano, lasciandole un'ultima carezza.

Claire sentì distintamente il calore andarsene con lui e dovette trattenersi dal seguirlo.

~~~

Adesso aveva il quadro completo e sapeva come muoversi. La questione era: ci sarebbe riuscita senza farsela sotto?

La notte era un limbo sospeso, dove poteva permettersi di non pensare a niente se non a ciò che le faceva provare in quei momenti. Ma Sylar era e restava quello che l'aveva scalottata, quello che aveva ucciso suo padre, quello che aveva reso la sua vita un inferno. Aveva avuto un bel dire a Peter: non era facile da assimilare. Per niente.

Claire passò una settimana allucinante. Non riusciva a seguire le lezioni e tantomeno a preparare gli esami. Avrebbe vomitato per la tensione, ma non riusciva a mangiare. E ovviamente non dormiva.

Quando Peter la vide, quel sabato che si erano dati appuntamento per pranzare insieme, si spaventò.

Se è una nuova dieta sta funzionando anche troppo bene. –

Claire lo guardò male: – Mi prendi per il culo? –

Sì. – ammise con un sorriso.

E Claire proprio non sapeva resistere ai sorrisi Peter. Lo abbracciò.

Che succede? – le chiese accarezzandole i capelli.

Cinque lettere. Gli piacciono i cervelli, ma non è uno zombie. – borbottò sulla sua spalla.

Si sciolse dall'abbraccio e la scrutò incuriosito: – Che ti ha fatto? –

Claire si sedette pesantemente e posò il mento sulla mano, imbronciata.

Niente. È dolce. Sono andata a parlargli. Mi ha fatto le coccole. Devo tornare a prendere il carillon, come faccio? – mugugnò, con buona pace del filo narrativo.

Peter la guardava con crescente perplessità.

Lui ti ha... e non gli hai staccato le mani a morsi? – fece a metà tra il divertito e lo stupito.

E come facevo? – sbuffò – Adesso sono fregata! –

E questo perché problema è...? –

Non lo so. – si tirò una ciocca di capelli e guardò le doppiepunte accigliata, nemmeno fosse tutta colpa loro – Come faccio a fidarmi? –

Ma avevi detto... –

Me lo rimangio! – lo interruppe esasperata.

Lui alzò gli occhi al cielo con un sospiro.

Peter... – disse tra i denti.

Non la stava aiutando nemmeno un po'.

Che c'è? – fece inarcando le sopracciglia – Hai fatto tutto da sola. –

Incrociò le braccia sul petto indispettita: – Guarda che ha cominciato lui. –

Sì, e tu gli hai dato corda. – le fece notare.

Ma mi ha provocata! – sbottò in tono petulante.

Gne gne gne! Maestra, è stato lui! – cantilenò.

Gli fece una linguaccia, così almeno aveva una buona scusa per darle della bimbetta.

Un cactus saprebbe essermi di maggior supporto. –

Perché non vai a ritirare il carillon? – le suggerì in tono pacato.

Non lo voglio vedere. – fece imbronciata.

Peter le sorrise con aria comprensiva: – Menti. E anche male. –

Claire decise di passare dalle elementari al liceo e alzò il dito medio.

~~~

Peter aveva ragione: mentiva. Ed era una cacasotto, questo era poco ma sicuro.

Aveva girato attorno al negozio, sbagliando volutamente strada. L'aveva adocchiato da lontano, nascosta dietro il palazzo all'angolo. Aveva temporeggiato fino a sentirsi ridicola.

Si mordicchiò un'unghia, chiedendosi come poteva essere più nervosa della prima volta che era stata là. La tensione la stava uccidendo. Cazzo, ma non le avevano insegnato niente gli esami? Mai temporeggiare.

Un bel respiro: via il dente, via il dolore.


.~:°:~.


Il campanello fece dlin-dlon.

Claire fece: – Ciao. –

Il suo stomaco fece “Addio e grazie per tutto il pesce”.

Un sorriso più tirato di quello Gabriel non l'aveva mai visto. Ma era già un miracolo che fosse lì, quindi non badò ai dettagli.

Non è pronto. –

La vide annuire. E sbiancare. L'idea di dover tornare un'altra volta le faceva quell'effetto?

Ho parecchio lavoro in questo periodo. – disse, quasi a volersi giustificare.

Aveva i clienti sufficienti a sopravvivere, ma evitò accuratamente di pensarci.

Claire si limitò ad annuire e non si mosse. Si guardava intorno alla disperata ricerca di qualcosa da dire – o della scusa per scappare. Gabriel avrebbe voluto esserle d'aiuto, l'avrebbe voluto davvero, ma in quel momento aveva il cervello in bianco.

I secondi passarono e il silenzio divenne inevitabilmente imbarazzante.

Claire fece un passo verso la porta: – Ti lascio lavorare. –

Non lasciarla andare via, stupido cazzone... non azzardarti a farla uscire da quella porta!

Che fai stasera? – gli uscì, pietrificandola sulla soglia.

Ma che domanda era? Aveva vent'anni, andava al college ed era bellissima. Ma sicuramente stava aspettando un orologiaio sfigato come lui per uscire il sabato sera.

Ci sono le repliche dei Monty Python. – le sentì dire.

La guardò battendo più volte le palpebre.

È una di quelle metafore che usate per dire “puoi sognartelo”? – le chiese, sinceramente dubbioso.

Claire si strinse nelle spalle con un flebile “No” e Gabriel perse momentaneamente la facoltà di respirare.

Allora... –

Puoi vederle a casa mia. Prendiamo qualcosa da asporto... –

L'espressione che gli rivolse aveva un che di comico.

O anche no. – aggiunse con un mezzo sorriso.

Forse era troppo presto, forse le stava mettendo troppa pressione...

Tailandese va bene? –

Alzò lo sguardo su di lei: era seria. Terrorizzata ma seria. Annuì e lei rispose con un sorriso timido e se ne andò via. Il movimento dell'aria gli portò il suo profumo e nella sua testa si accavallarono pensieri poco lucidi.

~~~

Gabriel guardò il suo soggiorno, la sua immagine riflessa nella finestra e il tappeto sotto i suoi piedi. E si sentì inadeguato. Cosa poteva trovare di interessante lì una ragazza? Niente. Era tutto piatto e grigio come lui.

Gatto emise un sonoro miagolio dal bracciolo del divano, dove se ne stava seduto come una sfinge. Gli rivolse un'occhiata perplessa e poi sogghignò tra sé.

Sì, mi sono autocommiserato abbastanza. – ammise.

~~~

Non stava andando male come aveva immaginato. Claire aveva varcato la soglia portandosi appresso tutta la sua paura e la sua incertezza, e Gabriel si era dovuto trattenere dal fare un passo indietro. Poi era arrivato Gatto e aveva provveduto lui a smorzare la tensione agendo da fattore di distrazione. Gabriel aveva capito finalmente perché tanti single giravano per i parchi con cuccioli e simili creaturine pelose.

Oh, e tu chi sei? –

Gatto. – aveva risposto Gabriel, sentendosi un po' scemo.

Grazie, lo vedo. – aveva ribattuto lei, mollando il sacchetto del tailandese sul tavolino del soggiorno e togliendosi il cappotto.

La sua attenzione era tutta rivolta alla palla di pelo e Gabriel non sapeva bene se esserne infastidito o sollevato.

Si chiama così, Gatto. – aveva precisato.

Claire l'aveva preso in braccio: – Ciao Gatto. –

Adesso sì che sei un supercattivo. – aveva aggiunto rivolta a lui.

Gabriel aveva alzato gli occhi al cielo con un “Ah ah”. Era passata dal terrore di rivolgergli la parola alle battute: i gatti e i loro miracoli. Aveva guardato il suo peloso coinquilino come a dire di non aspettarsi chissà quale trattamento di favore.

Claire si era mossa per il soggiorno saettando lo sguardo con curiosità. Aveva estratto un paio dei suoi dischi per leggerne i titoli, aveva scrutato la sua collezione di orologi antichi, aveva fatto scorrere distrattamente un dito sul dorso dei suoi libri. Gabriel l'aveva lasciata frugare tra la sua vita guardandola da lontano – dopotutto lui si era infilato nei suoi sogni.

Leggi questa roba? – aveva detto in tono vagamente disgustato, sfogliando Lolita.

L'hai mai letto? – le aveva chiesto avvicinandosi.

Claire aveva fatto un smorfietta: – Non credo che sia il mio genere. –

Risposta prevedibile. Le aveva rivolto un mezzo sorriso mentre le sfilava il libro dalle mani. Gli sarebbe bastato leggerle le prime tre righe. E infatti, ecco che agitava una mano per interromperlo.

Ok, basta così, mi hai convinta. – aveva balbettato, rossa in volto.

Quel groviglio di timore, eccitazione e curiosità era quanto di più appetitoso gli si potesse presentare. Dissimulò un sorrisetto e le porse il libro.

Restituiscimelo intero. –

Claire l'aveva preso con diffidenza e l'aveva infilato in borsa.

Poi avevano mangiato e dopo c'erano stati davvero i Monty Python che avevano catalizzato l'attenzione per un'ora buona.

La tensione si sciolse un po'. Gabriel ebbe il privilegio di sentirla ridere e pensò, con un'ingenuità quasi infantile, che era la cosa più bella del mondo.

La serata si snodò con insospettabile tranquillità. Gatto si appallottolò in grembo a Claire e loro si trovarono a parlare di tutto e niente. Parlavano poco, in verità, ma con quel poco riuscivano a capirsi. Gabriel era ipnotizzato dalla sua voce incerta e dalle sue dita che accarezzavano Gatto.

Bestia fortunata...

Non hai neanche una foto. – la sentì commentare.

Lui si strinse nella spalle: – Non ne ho nessuna che valga la pena di incorniciare. –

Claire lo guardò e lui sentì da lei qualcosa che sembrava proprio compassione. Avrebbe dovuto dargli fastidio, ma in realtà fu semplicemente... strano. Dovevano essere passati duemila anni dall'ultima volta che aveva sentito la compassione di qualcuno.

Quando la vide alzarsi e raccattare le confezioni del tailandese, Gabriel capì che quel momento di paradiso era terminato e si rassegnò a lasciarla andare. Il problema era Gatto: non aveva calcolato quel fattore. Le ronzava intorno con insistenza, le si strusciava alle gambe miagolando disperato.

Piantala. – lo ammonì afferrandolo bruscamente.

No, lascialo. – protestò Claire prendendoglielo dalle mani.

Al sicuro tra le sue braccia, Gatto lo guardò con aria sfrontata. Gabriel era a dir poco seccato: quella bestiaccia gli aveva rubato tutta l'attenzione.

Dovresti essere più carino con lui. – disse Claire mentre gli faceva i grattini – Altrimenti s'incattivisce. –

La osservò senza parole.

E poi non si fida più di nessuno. – aggiunse.

Stiamo sempre parlando di Gatto? – si sentì dire.

Claire alzò lo sguardo di lui e Gabriel avvertì di colpo un'ondata di paura. Solo allora si rese conto che per tutta la serata non ne aveva sentita. C'era sempre un fondo di timore da parte di Claire – non era tipo da illudersi che potesse svanire così in fretta – ma la vecchia paura, quella che lui conosceva così bene, era pian piano svanita. E quella sera non ce n'era traccia. Almeno fino a poco prima.

Claire lasciò andare Gatto e si guardò intorno alla ricerca delle sue cose. Le porse il cappotto, che lei prese con l'aria di chi si aspetta un morso da un momento all'altro. Se ne sarebbe andata via e avrebbe raccontato alle sue giovani amiche che serata patetica aveva trascorso con quel vecchio orologiaio e il suo gatto rincoglionito. Gabriel si stava chiedendo quando avrebbe imparato a tappare quella sua boccaccia, quando lei glielo disse.

Ce l'hai MSN? –

No. –

Claire fece un piccolo, triste “Oh” che lo fece sentire un vero imbecille.

Tu? – si affrettò ad aggiungere.

Il mio contatto lo trovi su Facebook. – fece lei con un sorriso sfuggente.

Quella conversazione era quanto di più surreale gli fosse mai capitato.

Ok. –

Poi la vide fare un passo indietro ed era fuori dalla porta.

'Notte Gabriel. –

Quando le rispose era già sparita giù per le scale.

Un “miao” attirò la sua attenzione: Gatto lo fissava intento, sferzando l'aria con la coda.

Scordatelo. – lo avvertì – L'ho vista prima io. –

   
 
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