Lord Glasdale
osservò
quell’esercito gettarsi sconsideratamente tra le fauci
spalancate delle sue
truppe.
“Arcieri,
pronti al mio
via!”
“Al
suo segnale, Milord.”
“Falceremo
quegli
stolti mangiarane come fili
d’erba
secca!” Glasdale era fiducioso che il long
bow inglese, l’arco
lungo con una gittata di novanta metri con il quale tutti i sudditi del
Re
d'Inghilterra avevano il dovere di esercitarsi, avrebbe decimato la
fanteria
leggera nemica con un’unica raffica. “Tenete
pronta la retrovia per il colpo di grazia, voglio che si lanci in
avanti non
appena la prima scarica di frecce si sarà abbattuta su di
loro”.
***
“Disporsi
in colonna!”
Urlò Ian alle truppe a cavallo, “tutti in fila per
due!”
Pochi alberi
intralciavano il passo sullo sterrato e man mano che si fossero
avvicinati alla
riva meridionale della Loira, i tronchi si sarebbero trasformati in
radi
cespugli e gli ostacoli si sarebbero quasi del tutto diradati.
A uno a uno le
centinaia di cavalieri confluirono secondo i piani in tre lunghe fila,
una
centrale e due molto larghe ai lati.
Ian si sporse in
avanti
per cercare di scorgere la posizione degli uomini di Jeanne e Ty
davanti a loro.
Ancora poche centinaia di passi e avrebbero raggiunto la via maestra
che
portava al vecchio monastero vicino alla fortezza, risultando da quella
distanza un facile bersaglio per il tiro degli arcieri nemici.
Doveva fare in
fretta,
l’effetto sorpresa avrebbe funzionato solo coordinando con
precisione i
movimenti dei due schieramenti.
“Avanti
cavalieri!” spronò i suoi uomini e
diede lui stesso l’esempio, allentando la presa sui finimenti
di cuoio delle
redini e spingendosi avanti per primo. Dietro di lui, le colonne di
armati si
mossero insieme.
Stringendo i
polpacci sul fianco dei
cavalli e scaricando il peso sulle reni, i cavalieri tramutarono il
passo
iniziale con cui la cavalleria s’era inizialmente mossa, in
un’andatura al
trotto.
Qualche istante
dopo, i capofila
ordinarono di procedere al galoppo e in poco tempo la cavalleria di
Chatel
Argent fu quasi a ridosso dell’esercito di Jeanne,
approfittando del leggero pendio
per restare ancora nascosta agli occhi degli inglesi.
Sul fronte
opposto,
Glasdale stava valutando la distanza dei francesi e decise che erano
quasi a
tiro. Il suo sorriso si tramutò in un ghigno feroce, nel
momento in cui i suoi
pensieri si posarono sulla vittoria imminente. Sì,
finalmente avrebbe
catturato, meglio ancora se viva, la giovane strega e avrebbe tagliato
la gola,
con la sua stessa lama, all’insolente che aveva dato alle
fiamme la roccaforte
di Les Tourelles.
Dopo
l’incendio della
bastia, per qualche tempo ammise di aver temuto il peggio, che sciocco
era
stato a pensare che un francese potesse sconfiggerlo in strategia
militare!
La ricca e
potente
Francia, popolata da circa venti milioni di abitanti, stava per essere
piegata
dall’Inghilterra cinque volte più piccola e la
causa immanente della vittoria
inglese risiedeva nella loro indiscutibile supremazia militare.
I francesi,
considerò
ancora osservando la loro linea esposta senza copertura ai suoi
arcieri, erano
tanto ottusi che si infliggevano la sconfitta da soli. Ma il suo
disprezzo era
soprattutto per le loro donne: erano streghe come quella folle con
l’armatura o
sgualdrine, come ogni buon inglese timorato di Dio sapeva.
Con ancora quel
ghigno
spietato sul volto, si preparò ad alzare il braccio, per
segnalare agli arcieri
di tendere gli archi e mirare.
Rimpianse un
poco di
non avere più le possenti colubrine che non aveva ancora
potuto far calare
dalla fortezza: amava morbosamente
osservare l’effetto di un colpo di colubrina su un essere
umano e si compiaceva
delle devastazioni che procurava alla carne.
Ebbe un ultimo
pensiero
per la prigioniera francese, che odiava più di qualsiasi
altro nemico. Tirò fuori
dalla piccola sacca che teneva appesa alla cinta dello spadone, una
lunga
ciocca dei suoi capelli d’oro e se la passò tra le
dita. Assaporò
con eccitazione, il gusto di più di
una crudele tortura che avrebbe potuto infliggerle, prima di ucciderla.
Falstolf la stava conducendo da lui, si compiacque, e questa volta
Thomas
Montaigu, compianto conte di Salisbury, non sarebbe più
stato in grado di
salvarle la vita. No, non avrebbe avuto fretta con lei, sarebbe stato
il piacere
sublime e cruento con cui brindare alla vittoria.
Spinse ancora lo
sguardo nella direzione del fronte francese: sapeva che non appena
avesse
abbassato il braccio, tenendolo teso davanti a sé, una nube
nera e acuminata
avrebbe investito i suoi odiati nemici, spalancando loro le porte
dell’inferno.
***
Non
appena Ty udì arrivare le prime file di
cavalieri capeggiati da Ian alle loro spalle, comprese che era giunto
il
momento di giocare a carte scoperte. Bastò un silenzioso
cenno d’intesa con
Jeanne e come convenuto, il profondo e cupo suono di un corno fu il
segnale che
diede il nuovo ordine agli uomini che avanzavano a piedi:
all’improvviso
l’esercito compatto spalancò un varco nel mezzo,
aprendosi in due tronconi.
Lo
spazio era sufficiente per lasciare passare
al centro dello schieramento, la fila centrale di armati a cavallo
lanciati a
folle velocità, mentre le due restanti ali aggiravano le
estremità della formazione
in marcia e la superavano con agilità.
Quando Glasdale
si accorse
dello strano movimento nelle linee francesi, era troppo tardi: in
quello stesso
momento echeggiò il sibilo inconfondibile dello stormo di
frecce che davanti a
sé iniziava a disegnare la sua mortale parabola in cielo.
“Arrestarsi!”
gridò Ty,
“Tutti al riparo sotto gli scudi!” fece appena in
tempo ad urlare proprio
mentre Glasdale dava ordine agli arcieri di liberare i loro dardi
micidiali.
Tutti gli uomini
si
rannicchiarono più che poterono sotto gli scudi, mentre per
alcuni secondi che
sembrarono non dovessero mai finire, le frecce rimasero sospese
nell’aria, come
una nuvola oscura e sinistra. Poi all’improvviso, in un solo
istante, l’intera
nube li inghiottì, rivelando i suoi aculei mortali.
Sibilando
tutt’intorno
nell’aria, le frecce s’infransero sul metallo, si
conficcarono sul legno, si
disseminarono sul terreno, spandendo ovunque morte e lamenti. Alcune
trovarono
ugualmente un pertugio, dilaniando braccia, gambe e piedi. Altre
infransero gli
scudi e trafissero gli sventurati. Dopo che quella nube infernale si fu
abbattuta, non furono pochi i gemiti e le grida di sofferenza che si
levarono
sul campo di battaglia.
La cavalleria
pesante
disposta nelle tre fila oltrepassò velocemente il nugolo di
frecce, concedendo
al nemico un bersaglio troppo esiguo per poter mietere vittime
direttamente tra
i cavalieri, protetti dalle armature. Più di un cavallo fu
invece ferito dai
dardi che piovevano dal cielo, sbalzando violentemente i loro cavalieri
a
terra, nella polvere. Ma il cavaliere precedente prese il posto di
quello
caduto, nessuno si fermò o rallentò il passo, la
macchina terribile ordita da Ian
era lanciata inarrestabile sul suo obiettivo e niente avrebbe potuto
intralciarla.
“Ora!
Puntare le
lance!” Le scintillanti punte di metallo scattarono
immediatamente verso il
basso, parallele al terreno. “Spargersi a
ventaglio!”, tuonò subito dopo Ian,
oltrepassando velocemente la via maestra.
Le retrovie di
ogni
fila, approfittando del terreno ormai spianato, aumentarono
l’andatura per
raggiungere e affiancare ai lati i cavalieri che li precedevano in
prima linea.
“Lancieri,
serrate! Serrate
le fila!”, ruggì ancora Ian.
Le
ali si unirono progressivamente al centro,
mentre la formazione disegnava la caratteristica linea del cuneo,
distribuendosi
lungo tutta la larghezza del fronte. Gli inglesi che si aspettavano di
fronteggiare la fanteria leggera, si trovarono all’improvviso
bersaglio di uno
spiegamento di cavalleria pesante, lanciata a tutta velocità
contro di loro.
***
“Quel
dannato francese,
che bruci all’inferno!” Lord Glasdale era incredulo
e la sua collera
incontenibile, mentre osservava la linea dei cavalieri che stava per
abbattersi
ineluttabilmente contro le sue truppe. Senza picchieri a contrastare le
cavalcature e le lance del nemico, la battaglia si sarebbe presto
risolta in
una carneficina.
Realizzò
troppo tardi
che Ian aveva nascosto i cavalli, inutilizzabili per
l’iniziale assalto alla
fortezza, nella retroguardia ai margini del bosco. Dopo aver dato alle
fiamme gli
archi del ponte, che servivano come struttura muraria di base della
roccaforte,
all’estremità della riva meridionale, aveva
costretto i suoi uomini ad
abbandonare la fortezza e a combattere in campo aperto, se non volevano
essere
divorati dalle fiamme o uccisi dalle esalazioni di fumo.
“Armate
le balestre e
gli archi! Restate ai vostri posti!”, il comandante inglese
urlava ordini che
nessuno eseguiva o dava segno di udire. “Ucciderò
con le mie stesse mani chi
non obbedirà, codardi! Vigliacchi! Traditori!”,
ripeteva con un’espressione
spaventosa che gli mascherava il volto. Ma molti uomini, terrorizzati
dagli
schiumanti cavalli da guerra che sopraggiungevano al galoppo e dalle
lance
puntate su di loro, stavano già abbandonando la posizione
per darsi alla fuga.
Menò selvaggiamente nell’aria più di un
fendente con il suo spadone, senza
poter raggiungere nessuno di quei disertori. Finché la sua
furia impazzita
trovò finalmente un bersaglio a portata della sua lama.
L’impatto
dell’acciaio
che strappava maglie metalliche e carne, un suono a lui piacevolmente
familiare
e che amava, gli restituì la lucidità per
pensare. Poteva anche succedere che Les
Tourelles cadesse, giurò a se stesso, ma prima che fosse
accaduto, si sarebbe
preso la vita di quel francese e della sua donna.
Fu in quello
stesso
momento che Isabeau, a poco più di un centinaio di metri di
distanza dal fronte,
udì le grida degli inglesi e il frastuono della cavalleria,
senza poterla
vedere.
Sir Falstolf,
seguito
da quattro soldati, percorreva a grandi passi il ponte, affrettandosi
proprio
verso la palizzata cui era incatenata, con un orribile coltellaccio in
mano. Quando
la ragazza vide ogni soldato stringere una torcia infuocata, seppe che
era
giunto infine il momento di pregare.
Non si sarebbe
mostrata
debole di fronte a quegli animali e soprattutto davanti a lui, che avrebbe goduto ancora
maggiormente di quello spettacolo. Ma
quando ebbe la certezza che non avrebbe più rivisto Ian, che
non avrebbe più
potuto stringere tra le braccia Marc e Michel, fu come se le fiamme la
stessero
già divorando, straziandole l’anima. Si fece
coraggio, ordinò al suo corpo di
non piangere, serrò i denti, affondò le unghie
nella carne, ma la sofferenza di
non rivedere mai più i suoi cari era così
crudele, così atroce. Così ingiusta...
La vista era sempre più velata e confusa dalle lacrime che
si affollavano sulle
palpebre. Falstolf era lì.
Isabeau non si
arrese,
chiuse gli occhi per qualche istante e quando li riaprì per
guardare con
disprezzo gli inglesi davanti a lei, aveva già ricacciato
indietro la
disperazione e il pianto.
Fu proprio
allora che vide
in lontananza un uomo, in sella ad un possente cavallo da guerra,
mentre
superava al galoppo lo sbarramento di fumo all’inizio del
ponte.
Era
Daniel.