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Autore: Dean Lucas    12/10/2010    2 recensioni
Ian riabbraccia Isabeau ma scopre il prezzo del perdono di Ponthieu: i ragazzi si vedono costretti a ritornare con Isabeau nel presente in cerca dell'unico manufatto che può convincere Guillaume. Nel passato, una donna mette alla luce una bambina, senza sapere che avrebbe scritto alcune delle pagine più importanti della storia di Francia. Il suo destino si intreccerà con quello di Ian, Daniel, Isabeau e Ty, tra guerre e assedi, sconfitte e vittorie e soprattutto un nuovo amore più forte di ogni cosa. E quando tutto sembrerà ormai perduto, e la vita della misteriosa ragazza e il segreto stesso di Hyperversum saranno in grave pericolo, una donna dovrà prendere la decisione forse più importante nella storia dell'umanità. Chi c'è dietro Hyperversum? I ragazzi forse l'hanno sempre saputo, ma quando arrriverà finalmente il momento di conoscere la risposta, questa li sorprenderà più ancora delle loro incredibili avventure.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Daniel si liberò con sollievo dei pesanti stracci inzuppati che l’avevano protetto dalla lingue di fuoco e dai miasmi del fumo, che impregnavano l’aria all’interno della fortezza.

Respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera, levando i bendaggi bagnati con cui aveva coperto anche il cavallo, rassicurandolo con lievi carezze sul collo sudato.

“Su, calmati bello, sta buono...”, gli sussurrò dolcemente, nel tentativo di tranquillizzarlo, “così, bravo…”.

L’animale dilatò le grandi narici, ancora spaventato dall’odore acre del fumo che proveniva dal cancello posteriore e con qualche esitazione si convinse a procedere lungo il ponte.

Lo spettacolo che Daniel scorse un centinaio di metri più avanti, lo agghiacciò. Disposte in una disordinata colonna, sporgevano rozze palizzate alle quali erano incatenate gruppi di donne. Mucchi di legna erano affastellati ai piedi dei grezzi fabbricati. Roghi.

Cercò con lo sguardo immediatamente Isabeau, ma da quella distanza le prigioniere avvinghiate ai tralicci sembravano tutte uguali.  Subito dopo trasalì per la paura, nel momento in cui si accorse dei soldati inglesi con le torce infuocate in mano.

Senza indugio, mentre spronava con gli speroni la sua cavalcatura, sfilò l’arco già incordato da dietro la spalla e un istante dopo stava già incoccando la prima freccia.

“Fermo!” gli abbaiò contro uomo che stava puntando un grosso coltello sotto il mento di una donna, mentre con l’altra mano impugnava una torcia incendiata, “Fermo dove sei!”

Quando l’inglese gridò, Daniel aveva già quasi dimezzato la distanza che lo separava dai suoi nemici. Istintivamente tirò indietro le redini, per arrestare la cavalcatura, ben sapendo in ogni caso che da quella distanza il suo arco sarebbe stato letale.

Dietro di lui, udì sopraggiungere subito dopo i compagni e s’affrettò ad alzare una mano col palmo aperto, per intimare loro di arrestarsi dietro di lui.

La donna aveva il volto e i vestiti insudiciati, i capelli erano biondi e scompigliati e le cadevano appena sulle spalle, troppo corti per essere...

“Ora, se vi raccapriccia l’odore della carne umana bruciata, abbassate le armi, maledetti mangiarane”, minacciò l’uomo col coltello.

Daniel, senza distogliere minimamente la freccia già incoccata dal bersaglio, osservò meglio la donna.

“Adesso, ho detto! Abbassate quei dannati archi!”

La consapevolezza lo colpì come un pugno nello stomaco. Isabeau. Era viva!

“Devo dedurre che i signori desiderano un incentivo per arrendersi?” domandò beffardo l’inglese con un sorriso storto sul volto. La mano, che reggeva la torcia, si distese per lanciare l’oggetto che impugnava. La torcia infuocata disegnò un breve arco nell’aria e atterrò ai piedi di un traliccio poco più dietro.

 “Non datevi pena per loro, sarebbero comunque bruciate all’inferno!”. Il combustibile avvampò subito e le tre donne, intrappolate contro la palizzata, scalciarono e si dimenarono inutilmente, mentre osservavano, inorridite, la legna ai loro piedi cominciare ad annerire e a fumare.

            “Gettate gli archi o avete la mia parola che darò fuoco a tutte le vostre dannate sgualdrine!”, sbraitò l’uomo.

            Daniel fu percorso da un brivido gelido di paura, ma sapeva cosa doveva fare. E si preparò a farlo.

 

***

   

“Codardo di un francese!” strepitava come una furia Lord Glasdale, “vieni qui a combattere da uomo, tu e io! Codardo, dove ti nascondi?”

L’inglese estrasse, con un secco strappo, la sua spada dalla gola di un cavaliere di Chatel-Argent, schizzando di rosso la superficie metallica della sua corazza. Nessun francese era ancora riuscito ad avere ragione di lui in battaglia e molti altri avevano pagato con la vita l’audacia di averlo sfidato. Combatteva come una belva spietata e feroce, consapevole della sua forza e del terrore che incuteva.

Glasdale avanzò di qualche passo, senza che nessun altro osasse affrontarlo. Mise mano alla sacca, che portava annodata al cinturone della spada, e tirò fuori qualcosa che strappò alla luce deboli riflessi d’oro, mentre l’agitava in alto con rabbia.

“Codardo! Io, Lord William Glasdale, ti sfido! Degnati di comparire davanti a me, se hai il coraggio!” ringhiò ancora all’indirizzo di Ian.

A pochi passi dal cancello della bastia in fiamme, la sagoma torreggiante e possente di quell’uomo si stagliava contro le mura di Les Tourelles. Le piastre di metallo lucidato della sua armatura traevano riflessi infuocati dall’incendio che lo sovrastava alle spalle. A Ian sembrò una figura mitologica appena uscita dalle fiamme dell’inferno.

Non aveva scordato lo scontro di tre mesi prima, quando l’inglese aveva solo scherzato con lui, prima di strappargli l’arma al primo vero affondo. Ian riconosceva che era un avversario formidabile, la cui forza non risiedeva tanto nella ferocia con cui combatteva, quanto nel perfetto connubio di una tecnica di spada eccezionale, che finora aveva ravvisato solo in Geoffrey Martewall, e di uno strapotere fisico pari al suo.

L’uomo si avvicinava a grandi passi, scrollando nell’aria qualcosa di setoso e dorato, che Ian infine riconobbe.

Le inconfondibili lunghe ciocche di capelli di Isabeau.

E mentre un urlo di dolore disumano prorompeva dalla sua gola, udì quel demonio che gridava:

 “Quando avrò finito con te”, lo sfidò, “mi supplicherai anche tu in ginocchio? Oppure sai fare di meglio, che morire piagnucolando come la tua cagna?”

Per Ian fu troppo.

In quel momento, seppe che nella vita di ogni uomo non poteva esistere gioia senza sofferenza, non vi era amore senza odio, non c’era luce senza tenebra.

Si abbandonò interamente al dolore, alla rabbia, alla vendetta, accecato e travolto, mentre ogni fibra del suo essere cominciò ad ardere e ardere ancora. E arse, finché non gli sembrò di essere fatto della stessa incandescente materia di cui era fatto il fuoco.

L’inglese gli si parò davanti e con disprezzo, gli gettò ai piedi le ciocche di capelli dorati.

“Tu…”, Ian non riconobbe la sua stessa voce, tanto quel ringhio era profondo e terribile, “morirai oggi.”

“E chi lo dice, la strega che vi comanda?”, lo interrogò sogghignando il comandante inglese.

“No, l’ho letto sui libri di storia, bastardo.”

  
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