Daniel sapeva
che se
l’inglese non fosse morto all’istante, anche se
ferito, avrebbe ritorto la sua
vendetta su Isabeau.
Aveva
a disposizione un tiro soltanto. Se
fosse riuscito ad eliminare l’ufficiale che minacciava la
ragazza, avrebbe
concesso ai suoi compagni qualche secondo per scoccare le loro frecce,
prima
che gli inglesi rimasti organizzassero una controffensiva. Poteva
funzionare,
doveva funzionare, non vi erano alternative. Dopo essere stato la causa
del
rapimento di Isabeau, toccava a lui adesso riportarla sana e salva tra
le
braccia dell’amico, non poteva concedersi di sbagliare una
seconda volta.
Sbatté
le palpebre per
cacciare indietro ogni preoccupazione e quando riaprì gli
occhi, percepiva già
la concentrazione necessaria per agire.
Cercò
con le dita la
piccola scanalatura nell’asta della freccia con cui
l’aveva agganciata alla
corda. Allungò accuratamente l’indice, che fungeva
da mirino, sopra l’elemento
scanalato, appoggiando invece sotto di esso il dito medio, che
conferiva la direzione
e l’anulare, che contribuiva alla forza.
Tese gli
avambracci,
lasciando che fossero i gomiti a guidare il movimento e condusse i
flettenti
dell’arco al massimo della trazione.
L’indice
inquadrò il
bersaglio distante circa cinquanta passi, la testa
dell’inglese accanto a
Isabeau. Tutto accadde in pochi istanti. Daniel liberò la
freccia, Isabeau
urlò, altre frecce furono scoccate alle sue spalle.
***
Lord Glasdale,
con la
spada abbassata che stillava ancora sangue sul terreno, indugiava
girandogli
lentamente attorno, senza decidersi a sferrare il primo assalto.
Intorno ai
duellanti la
battaglia sembrava finita e i vincitori si strinsero attorno ai due
cavalieri. Decine
di braccia si fletterono mentre tendevano gli archi, pronti a scagliare
i loro
dardi mortali sul comandante inglese.
“No,
questo bastardo è
mio!” urlò Ian all’indirizzo degli
arcieri, “nessuno osi interferire prima che
io sia morto”, la voce di Ian era così
irriconoscibile e spaventosa che nessuno
considerò di contravvenire al suo ordine.
Glasdale infine
arrestò
il movimento laterale intorno a Ian e accompagnò lentamente
la lama, parallela
al proprio corpo, a poca distanza dal suo viso, come se intendesse
baciarla.
Quindi guidò anche l’altra mano
sull’elsa dell’arma, proprio davanti al suo
addome.
Ian si costrinse
a
calmare il proprio respiro, eclissò dalla mente ogni
pensiero e ogni immagine
che non fosse il suo avversario. Impugnando la spada con entrambe la
mani, sollevò
il gomito destro in alto, fino a sfiorare l’elmo con
l’elsa della spada, mentre
rivolgeva la punta verso il suo nemico.
Avvertiva le
fiamme
della sua ira smisurata che l’avvolgevano e lo consumavano,
una percezione così
terrificante da farlo sentire invincibile.
Isabeau…
“Infame
bastardo, questo
è per mia moglie!”, una voce disumana
articolò quelle parole nell’istante
stesso in cui Ian torceva la presa sull’elsa e ruotando di
taglio la spada, la
calava su Glasdale, trasformando la posta iniziale in un fendente di
immane
potenza.
Il grido del
francese
era quasi riuscito a distrarlo e per poco non si accorse
dell’improvviso
movimento del polso e del colpo di taglio che un istante dopo si
abbatteva su
di lui. Scaricando l’enorme peso sulle gambe ben piantate a
terra e sui gomiti
stretti sui fianchi dell’armatura, Glasdale si
preparò ad assorbire il colpo,
senza spostare il ferro dalla posta iniziale.
L’arma
del francese
cozzò contro la sua con un clangore assordante, entrambe le
lame si
scheggiarono, ma come si aspettava, fu in grado di reggere
l’urto senza
problemi.
La tecnica del
ragazzo
era così prevedibile che pensò di divertirsi un
po’ prima di fargli male sul
serio.
Ian vide le
scintille schizzare
dove aveva colpito il ferro nemico e con una smorfia incassò
il tremendo
contraccolpo sui polsi.
Il colosso
inglese non
si era spostato di un centimetro. Ian ignorò il dolore ai
polsi, colmò i
polmoni d’aria e si preparò ad espellerla mente
caricava il colpo successivo. Non
attese un secondo, per far seguire al fendente, un falso dritto che
mirava
sotto la cintura dell’inglese, nello spazio non difeso dalla
sua lama.
Glasdale
sorrise, lesse
la mossa negli occhi di Ian nello stesso istante in cui il rivale
l’aveva
pensata. Rovesciò repentinamente l’impugnatura del
suo ferro, rivolgendo la
punta verso il basso per intercettare il colpo.
Ian non fu
sorpreso che
l’inglese avesse indovinato così prontamente le
sue intenzioni, ma era
consapevole che una parata rovesciata non poteva essere supportata
dalla stessa
forza di una diritta e urlando tutta la propria rabbia, mise ancora
più forza nel
colpo.
Il poderoso
fendente
esplose letteralmente contro la lama di Glasdale, la spada di Ian
cedette e si
spezzò.
***
Le dita, che un
momento
prima serravano il coltello che minacciava Isabeau, si distesero,
all’improvviso
incapaci di obbedire ai comandi del suo cervello. La bocca
restò aperta,
immobilizzata sull’ultima parola che l’uomo stava
pronunciando. Gli occhi
rotearono per un istante all’insù, nel vano
tentativo di intravedere la freccia
che gli aveva trafitto la fronte. Isabeau non aveva ancora finito di
urlare,
che l’uomo si accasciò a terra, senza
più vita.
Mentre Daniel
colpiva
sui fianchi la sua cavalcatura, si avvide che gli altri quattro inglesi
erano
stati tutti colpiti dalle frecce dei suoi compagni. Sapendo di non
poter
sbagliare il colpo, avevano tutti scelto di mirare al petto dei loro
obiettivi.
Mentre avanzava
al
galoppo, Daniel si accorse che i dardi avevano trapassato i bersagli
fino
all’impennaggio di piume d’oca, l’unica
porzione ancora visibile delle frecce
scoccate. Quegli uomini non erano più in grado di nuocere,
ma un quarto inglese
era stato colpito solo su un fianco e con la torcia ancora in mano, si
stava
rapidamente riprendendo dallo shock.
Ancora in corsa,
Daniel
lasciò cadere le redini per estrarre dalla faretra a
tracolla una seconda
freccia. La incoccò rapidamente, mirò alla figura
dell’uomo e lo trafisse al
ventre, inchiodandolo ad un traliccio di legno.
Non appena
raggiunsero le
prime impalcature dove erano stati montati i roghi, si preoccuparono
subito di
smorzare le fiamme dell’incendio che stava avvampando nella
seconda palizzata. Usarono
i panni bagnati, di cui si erano serviti per attraversare la fortezza,
per
soffocare le fiamme: l’incendio aveva attecchito solo in
parte sul legname alla
base dell’impalcatura e fecero in tempo a strozzare le lingue
di fuoco prima
che si propagassero. Le donne cessarono di urlare solo quando furono
liberate
dal traliccio cui erano incatenate.
Poi Daniel fu
libero di
correre verso Isabeau.