15 – Affinità
elettive.
Buongiorno a tutte.
Scusate l’immenso ritardo, ma questo capitolo è stato un grosso
ostacolo da superare. Ci ho messo l’anima per scriverlo e spero che vi piaccia,
anche se… non so. Forse vi sorprenderà. In bene, spero.
Ringrazio Audreyny che lo ha letto in anteprima, mi ha aiutato e
mi ha rassicurato sui dubbi che potevo avere.
Tetide, questo lo dedico a te, per il tuo entusiasmo e la tua
costanza che mi spinge ad andare avanti con questa storia.
Grazie a tutte voi che leggete, e pazienti, continuate a
seguire. Buona lettura.
*****
Iniziò a nascere in me qualcosa che potevo chiamare
felicità, se questo stato dell’essere può esistere per un vampiro, una creatura
cui non è attribuita un’anima.
In passato avevo avuto dei momenti di serenità
legati al mio lavoro, al contatto con altre creature come me, come Eleazar e
gli altri membri del Clan di Denali.
Ma si era trattato solo di attimi fugaci che
duravano lo spazio di una breve stagione della mia esistenza eterna, perché la
solitudine che per poco tempo mi abbandonava, tornava poi ad assalirmi quando
mi accorgevo che non potevo accontentarmi di un benessere illusorio e quanto
mai effimero.
La pace dell’anima anelata col timore di non
raggiungerla mai, per una casualità incredibile e formidabile, l’avevo trovata
in ospedale, a contatto con l’umanità che potevo tentare di salvare, espiando
così quello che ero diventato.
Ma non avevo mai sconfitto davvero la solitudine. Essa
era sempre lì, nascosta, che attendeva di afferrarmi nuovamente appena avessi abbassato
le mie difese. Quell’abisso oscuro che mi divorava l’anima, periodicamente
tornava ad aprirsi e ogni volta, sembrava che il buco che avevo al posto del
cuore si allargasse, e richiuderlo diventava sempre più difficoltoso.
La prima vera mossa per vincere quel malessere cupo
era stata la trasformazione di Edward, ma la tensione che subito era esistita
tra noi, non aveva reso quell’atto perfetto; non ero più solo, ma se possibile,
ero più dilaniato di prima, attraversato costantemente dal dubbio, perché
Edward non concedeva risposte facili ai dilemmi che mi ponevo da sempre.
Solo con Esme, questa pace quasi rubata alla sorte,
divenne completa e totale.
Solo con Esme, avevo scoperto il vero amore, quello
più puro, profondo e costante; quello mai compreso e misterioso, narrato dai
poeti e rappresentato dagli artisti, tanto forte da riempire il cuore muto e
sommergere anche l’anima smarrita di un non morto; quello che travolgeva e
culminava nel desiderio che restava inappagato.
Prima di Esme, non sapevo cosa volesse dire essere
affini a qualcuno.
Accanto a lei, lo scoprii.
Scoprii cosa significasse avvertire una vera
affinità di spirito, di vita, di pensiero e sentire comune, e viverlo insieme;
era comunicare senza usare le parole, senza rubare i pensieri all’altro, ma
solo concepirli un attimo prima che venissero formulati. E lentamente cominciai
a credere che anche le preghiere di un vampiro potevano essere ascoltate e
esaudite, da chissà quale dio remoto e lontano.
Esme, con semplicità davvero straordinaria per una
neonata, sembrò accettare la sua nuova inquietante natura, e si adattò con
sorprendente tenacia a evitare ogni possibile contatto umano, durante il primo
periodo di quella sua nuova vita, nei primi mesi della nostra convivenza.
Anche il suo rapporto con Edward era decisamente
migliore del mio; benché avessero solo pochi anni di differenza e lei potesse
apparire come una sorella maggiore, per istinto era portata ad avere un atteggiamento
comprensivo, quasi materno con lui. Tra loro non c’era distanza, ma una sorta
di confronto quasi ad armi pari.
“Dovresti andare a caccia; è più di una settimana
che non lo fai e nel tuo caso non va bene. A scuola potresti avere delle
difficoltà, vicino agli altri ragazzi. È più facile resistere se non si è
assetati.”
E mio figlio tra il serio e il faceto, molto spesso
l’ascoltava.
“Va bene, mamma apprensiva… Faccio come vuoi.
Così a scuola non assalirò nessuno dei miei noiosi compagni. Alcuni fra loro,
sono particolarmente irritanti…”
“Perché ti sforzi di essere cinico? Tu non sei
così…”
“Cerco di resistere al tedio. Non sai che fatica sia
a volte, dovermi adattare ai loro pensieri, dominati dagli ormoni in subbuglio…
le menti umane degli adolescenti sono così scialbe, banali. Sono davvero poche
quelle interessanti.”
“Potresti anche trovare un amico tra loro… non si sa
mai.”
“Amico? - Esclamava stupefatto e lievemente
divertito. – Che idea bizzarra. Nessuno vorrebbe essere amico di un vampiro, e
non mi avvicino tanto a loro perché questo avvenga.”
“È un peccato Edward…” Rispondeva Esme con una punta
di tristezza. Seguiva un silenzio denso di segreti, che solo Edward poteva
sentire, e immaginavo che fosse saturo del pensiero più intimo di lei, il ricordo
ormai sfocato della sua esperienza da umana, donna innamorata di un
vampiro.
“Già… Sai Esme, forse non dovrei dirlo, ma sono
felice che tu sia arrivata in mezzo a noi… Felice per Carlisle, intendo… Credo
davvero che tu sarai una giusta compagna; sei così forte, così simile a lui,
non lo deluderai come quasi certamente farò io…”
“Ne sei così sicuro? Non puoi sapere che cosa
farai…”
“No, è vero. Ma avverto troppo chiaramente le mie
debolezze…” obbiettava Edward.
Nella risposta di Esme, era espresso, oltre il
timore, un sentimento di affinità.
“Comunque, io non credo di essere come dici; anch’io
ho paura di deluderlo. Di non saperlo amare come merita. In maniera profonda…”
A volte il mio desiderio di sangue, di altro…
è così potente… così deleterio… se lui sapesse…
“Ti comprenderebbe. Esme, non devi vergognarti della
tua natura, dei tuoi impulsi; li hanno tutti i neonati, è normale. Questa è una
cosa che anche lui mi ha sempre detto.”
Sembrava facile per
lei, ma sapevo che in realtà i suoi sforzi erano frutto di una volontà di
ferro. Ma non era il disgusto di se stessa a muoverla.
In lei, non
avvertivo la tensione che c’era in Edward, quel conflitto che dilaniava la
carne e il corpo di un vampiro, tra quello che vorresti soddisfare, la brama di
sangue, quel liquido denso capace di dare calore al nostro cuore di ghiaccio, e
ciò che non vuoi essere, un mostro omicida. Non che in Esme non ci fosse questo
conflitto, ma sapeva controllarlo molto meglio di mio figlio. Semplicemente,
aveva scelto di non ascoltarlo, quasi di ignorarlo. Era stupefacente la forza
che metteva in questo.
Forse non avrei
dovuto sorprendermi, perché in tale atteggiamento, riconoscevo perfettamente la
donna che avevo incontrato un mattino liquido e chiaro, diversi anni prima, nel
mio studio. Era la stessa audacia, la stessa determinazione.
Lo stesso coraggio
che la faceva camminare senza abbassare mai la testa.
“Esme, è
sorprendente il modo che hai di accettare tutto quanto… non mi sarei mai
aspettato una simile capacità di adattamento.”
“È inutile opporsi
alla sorte, no? Si rischia solamente di farsi ancora più male, tentando di
resistere a essa. Sono stata un’umana infelice; non so esattamente come, ma
voglio credere che da vampira potrà essere diverso.”
Rispondeva così, di
fronte alle mie perplessità, quando mi fermavo meravigliato a guardarla, mentre
composta, accettava con apparente naturalezza di essere entrata nel mio mondo.
“L’eternità si paga
a caro prezzo; significa anche rinunciare a molto. Per sempre. Per ora, non te
ne rendi conto, ma domani potresti accorgerti che sei stata privata di tutte
quelle esperienze umane che arricchiscono la vita, Esme… Vorrei che tu mi
dicessi onestamente cosa pensi… vorrei sentirlo da te… prima che Edward possa
leggerlo nella tua mente.”
Le chiedevo col
timore di sentire le stesse accuse che mi erano state mosse da Edward.
“Siamo tutti
responsabili, Carlisle. Io stessa ho fatto una scelta che mi ha portato a
questo. Io ho tentato di distruggere la mia vita, che non aveva senso e tu me
ne hai restituita un’ altra. Forse lo hai fatto perché mi amavi e io non posso
avercela con te per i tuoi sentimenti. Ma so cos’è la solitudine; può fare
molto male e può rendere folli gli uomini. Non voglio prenderla come una
condanna, ma come una possibilità. A volte rifletto su quello che è stato; ho
come l’impressione che ogni cosa dovesse portarmi qui, che tutto sia stato
pianificato da qualcuno che non sono io… e neppure tu. Gli uomini si affannano
tanto a progettare la loro esistenza, lo so bene anch’io, ma a volte si tratta
solo di accettare quello che viene perché non si può fare altro. E allora tutto
va come doveva andare fin dall’inizio…”
Era strano per me
sentirla parlare così, avvertire questa fiducia che metteva nella sua nuova
esistenza e in me. Le sue parole mi davano un enorme conforto.
Ma non tutto era
così semplice come appariva.
Esme non lasciava
che io vedessi la fatica della sua resistenza, la tensione che metteva nei suoi
sforzi. E tutti i neonati devono fare i conti con i loro impulsi primari più
feroci.
A volte pretendeva
di andare a caccia da sola, senza che nessuno la seguisse. Tentavo di
immaginarla in quei momenti di solitudine, e mi riusciva difficile. Edward
aveva sondato i pensieri che la sconvolgevano e io avevo osservato i suoi occhi
rossi e cupi e avevo chiesto spiegazioni.
“Non vuole che tu
veda la rabbia, la ferocia che le annebbia la vista al profumo del sangue. Esme
è molto forte e dolce nello stesso tempo, ma quando il demone vince la sua
volontà, sembra un'altra persona. Stenteresti a riconoscerla. Io stesso sono
sorpreso dai suoi pensieri. Sembra così simile a me, a volte… eppure è
diversa…” Mi confidò.
C’era una lotta
segreta in lei, che Edward aveva colto, ma che non mi rivelava per discrezione.
Sia io che Edward,
cercammo di rispettare questo suo bisogno di riservatezza che col tempo si
sarebbe affievolito da solo. Mi resi conto che conservavo di Esme un’ immagine
ideale, perfetta, che non volevo sporcare con la mostruosità della realtà.
Sapevo bene che non
poteva essere così; ora Esme era un vampiro, con tutto quello che ne
conseguiva. Non troppo latente in lei, doveva esserci una parte oscura, eppure
non riuscivo a visualizzarla nelle sue pulsioni da neonata, mentre lasciava
uscire liberamente la sua furia, lasciandosi dominare dall’eccitazione violenta
della sete, forse perché durante la prima caccia aveva saputo controllarsi così
bene; e lei che magari aveva intuito i miei pensieri senza leggerli, per una
sorta di strano pudore, o vergogna, non voleva mostrare sentimenti così
estremi.
Quando tornava dalle
sue cacce solitarie, i suoi occhi avevano preso una sfumatura diversa, meno
aggressiva, il suo viso bellissimo e pallido era rilassato e mi sorrideva
serafica.
E io la riaccoglievo
vicina al mio fianco, sotto la veranda della nostra casa all’estremità della
boscaglia, e restavamo lì, a guardare la luce morente del giorno che volgeva al
crepuscolo, mentre i nostri silenzi gridavano più delle parole che non osavamo
ancora pronunciare.
La sintonia che si
creò tra noi era tale che ci sorprese negli sguardi che si perdevano a volte,
dentro le profondità dell’altro. Nel pozzo dei suoi occhi rossi che lentamente,
giorno per giorno, andavano schiarendosi in una sfumatura più tenue, ritrovavo
il nostro amore originario che pareva risorgere come una fiamma antica, mai
estinta, che si alimentava di nuova energia. E il desiderio tenace, che
oscurava le nostre iridi, cresceva in me come in lei.
Lo percepivo
chiaramente, dietro le parole, nell’intonazione soffocata ma seducente delle
nostre voci, negli occhi che si inseguivano e si catturavano.
Tornavo
dall’ospedale e la trovavo ad aspettarmi seduta sulla sedia a dondolo della
veranda. Qualche volta Edward era con lei, ma appena io comparivo, mio figlio
si eclissava subito, dileguandosi nell’intrico del bosco. Ero contento che
avesse instaurato un buon rapporto con Esme, e attraverso lei, cercavo di non
perdere il contatto con mio figlio. Era come se Esme gettasse un ponte tra me e
lui. Ma pareva che Edward non sempre avesse voglia di attraversarlo.
“A volte ho
l’impressione che stia cercando di allontanarsi, ma che gli manchi la forza per
farlo… e io non so per quanto potrò trattenerlo. Lo sento molto sfuggente
ultimamente… specie da quando tu sei qui…” confidavo a lei, che mi sorprendeva
sempre un po’ con la sua comprensione, la stessa che avrebbe avuto una madre
verso un figlio.
“Pensi, Carlisle,
che io possa essere la causa dei suoi malumori?”
“No, non sei tu… con
te si confronta volentieri. C’è qualcos’altro…”
“Edward, è un’anima
tormentata. Sembra infelice; mi dispiace perché potrebbe vivere meglio,
accettando la sua vita. Ma dalle sue parole ho capito che è in conflitto più
con se stesso che con te.”
“Lui non crede di
avere un’anima; disprezza profondamente se stesso, ma dà a me, la colpa di ciò
che è… forse non ha neppure tutti i torti… In fondo, non siamo altro che
mostri, abomini di natura.” risposi amareggiato.
“Eppure, Carlisle,
quando parla di te, ha le stesse parole di stima che avrebbe verso un padre… -
diceva convinta. - E io non ho mai pensato che tu fossi un mostro… neppure nel
momento più estremo, quando il mio cuore martoriato si è arreso alla forza del
tuo veleno e ha smesso di battere.”
L’ascoltavo e il mio
cuore freddo e spento da secoli, sembrava si allargasse nel petto per contenere
l’ intima pace che sapevano darmi le sue parole così terribili, eppure piene di
comprensione.
Parlavamo come un
tempo, forse di più, ed Esme mi faceva infinite domande sulla mia vita, sul mio
lavoro, sulle sensazioni che mi dava, sul passato e sul futuro.
“Ti piace davvero
fare il medico; si capisce guardandoti… L’inizio non dev’essere stato facile,
però…”
“È vero, non lo è
stato; una delle ragioni per cui amo il mio lavoro, è perché mi fa sentire
umano...”
“Umano… - Esme mi
lanciò un’ occhiata obliqua indagatrice, mentre mi pareva che stesse soppesando
quella parola. - C’è qualcos’altro oltre al tuo lavoro, che ti fa sentire
umano, Carlisle?”
La guardai
intensamente; lessi dentro quello sguardo profondo come un abisso in cui potevo
perdermi, la risposta che voleva e si aspettava da me. E senza resistere, mi
lasciai imprigionare in quel pozzo ombroso e mutevole che erano i suoi occhi.
“Tu, Esme… Tu mi
facevi e mi fai sentire… umano…” risposi in un soffio, accostando
pericolosamente il mio viso al suo.
Era implicito il
significato delle mie parole e Esme lo colse di sicuro, ma distolse i suoi
occhi che presero a vagare nell’ambiente attorno. Poi tornarono a posarsi su di
me per scrutarmi nuovamente e catturarmi nelle loro profondità.
“Come hai scoperto
la tua vocazione? Come hai fatto a coltivarla, senza farti sopraffare dal
desiderio per il sangue? Non era una tentazione costante?”
Ero ancora troppo
vicino a lei, tanto che percepivo chiaramente il profumo invitante del suo
respiro.
Mi allontanai un
poco.
“Qualche volta sì,
ma sono sempre stato determinato… La vocazione l’ho scoperta per caso; ho
iniziato a studiare medicina e anatomia pochi anni dopo la mia nascita…”
Le raccontai così
dei miei inizi, di come era nata in me la passione per la scienza medica, di
come avevo condotto quella scelta e l’avevo portata fino in fondo.
Passai infiniti
momenti a raccontarle di tutta la mia vita, avevo secoli alle spalle da
dividere con lei e volevo che le appartenessero; ogni pensiero, ogni
esitazione, ogni debolezza che mi avevano attraversato, l’infelicità della mia
condizione maledetta, il senso di disgusto per me stesso. E poi l’amore, quello
vero nato con lei, la voglia di non esser più solo, la paura disperata di
cedere al mio egoismo, il mio desiderio di avere una famiglia, di mettere
radici, di costruire qualcosa che potesse dare un senso a tutto quello che
sembrava non averne, una ragione, un motivo a giustificare il mistero di ciò
che ero. Il mio bisogno di condividere con lei la mia vita assurda.
Una tragedia che
trovava il suo riscatto nello sguardo innamorato di Esme.
Ma lei non si
accontentava della superficie, di quello che osavo mostrare attraverso il
filtro delle mie parole che pure erano sincere; come aveva fatto da umana,
voleva guardare dietro le cose, voleva scrutare oltre la maschera che portavo.
Continuava a fare
domande che mi scavavano a fondo. Voleva entrarmi dentro.
“Sai, Carlisle,
ricordo poco dei nostri incontri a Columbus… un viale alberato, foglie morte
con i colori dell’autunno… ma c’era un particolare che mi aveva colpito; i tuoi
occhi dorati, in certi momenti diventavano più scuri… non capivo esattamente
perché…”
“Cosa pensavi
allora?”
“A volte, mi
sembrava di leggere in essi l’ombra di un’emozione cupa, la stessa che c’è
anche ora…”
Parlava e intanto mi
guardava fisso. Mi sentivo attraversato dal suo sguardo.
“Adesso lo hai
capito cos’era? … Che cos’è?”
“Credo di sì, ma
voglio sentirlo dire da te. Hai mai avuto altre tentazioni più umane,
con me? Mi volevi, Carlisle? Non il mio sangue, ma… Mi volevi come un uomo
desidera una donna?”
Mi domandò
impietosa, provocandomi, avvicinando il suo corpo al mio, e io non mi feci
alcuno scrupolo di parlare liberamente, mentre col pollice le sfioravo una
guancia e scendevo lasciando scivolare la mano aperta lungo il collo bianco e
liscio.
“Tu sei stata un’
enorme tentazione… in ogni senso… anche in quello… Lo sei anche adesso, forse
di più.” le confessai senza remore, mentre i nostri sguardi si allacciavano.
“So cosa vuol dire…”
sospirò, e lo sapeva davvero.
Non l’avevo ancora
baciata, neppure una volta.
Attraverso il
susseguirsi dei giorni, durante le ore passate nelle corsie dell’ ospedale,
quel pensiero aveva iniziato a farsi strada nella mia mente quasi come un’
ossessione, tanto che addirittura Edward ne fu esasperato.
“Perché non ti
decidi? Anche lei si chiede perché ancora non lo hai fatto.”
Edward rivelava
tutto il suo nervosismo, per me abbastanza incomprensibile. In effetti, anche
il suo comportamento era strano. Ma in quel momento ero troppo distratto da
Esme, per osservarlo con la giusta attenzione.
Era la prima volta
che mi trovavo a gestire sentimenti così dirompenti, che mi mettevano addosso
una specie di ansia.
Era strana la mia
esitazione. Quasi fossi in attesa di un segnale da lei.
Era la paura di non
essere accettato, magari respinto, il timore di essere inadeguato; l’amore è un
sentimento che può far sentire così insicuri, una fragilità tutta umana, quasi
sconosciuta per un vampiro, una forza capace di sgretolare e rendere friabile
anche la materia dura di cui sono fatto.
Con Heidi non era
accaduto perché con lei tutto si era acceso in fretta, e altrettanto in fretta
si era consumato.
Non c’era stata
l’attesa, né la scoperta, ma solo voglie divoranti e divorate, bruciate nella
frenesia di piaceri a volte violenti ed estremi, ma sempre uguali.
Quello per Esme, era
un turbamento del tutto nuovo per me; sapevo cosa volesse dire lottare contro
il desiderio, quello del sangue, quello del sesso, nascondere ciò che non si
doveva mostrare, ma non avevo imparato a manifestarlo, a lasciarlo defluire
all’esterno, a tradurre il pensiero, la volontà in un’ azione pura e semplice.
Non sapevo soddisfare il semplice delicato desiderio di un bacio; troppo
naturale, genuino, troppo intimo per un vampiro, troppo coinvolgente. Troppo
emozionante, tenero e vivo per un cuore morto. Troppo umano. Una tenerezza in
conflitto con ben altre brame più spinte che mi infiammavano la carne.
Mi avvicinavo ad
Esme, ma non abbastanza, e questo, mi esasperava e frustrava lei che provava il
mio stesso impulso sofferto.
E poi,
nell’atmosfera c’era la strana sofferenza di Edward e io non sapevo esattamente
da cosa dipendesse. Non era più solo la sete di sangue a tormentarlo. Si
isolava da me e da Esme, molto più di quanto fosse necessario, molto più
rispetto a un tempo quando eravamo solo io e lui. Non gli avevo più chiesto
nulla della scuola, di come proseguissero le sue giornate; forse qualcosa lo
preoccupava. Ne avrei parlato con lui, quando fossi stato più tranquillo
anch’io. Era egoistico il mio comportamento in quel momento, ma il sentimento
di felicità appena nato in me, mi portava a dimenticare tutto il resto di ciò
che avevo attorno, e questo non era un fatto positivo.
Nella mia testa
c’era Esme; lei e la sua bellezza devastante, la sua voluttà che scatenava la
mia eccitazione, il suo fascino che mi stregava, la sua voce profonda e sensuale
che mi rapiva, il suo corpo duro di vampira, ma dalle forme morbide e floride
che conservavano per sempre l’impronta di un ventre che aveva generato la vita,
una femminilità illusoria che scatenava le mie voglie insoddisfatte, violente e
profonde.
La volevo, e allo
stesso tempo, avevo quasi timore del mio desiderio immenso che qualche volta,
si stemperava nella dolcezza dell’immagine di braccia candide che mi
stringevano, che mi accarezzavano, mentre il gelo dei nostri corpi si
confondeva accendendosi nel tepore di un abbraccio.
Volevo i suoi seni
perfetti tra le mie mani grandi, la sua bocca che inseguiva la mia, i segni
delle sue unghie affilate nella mia carne come un marchio sulla pelle, i nostri
corpi di ghiaccio bollente mai sazi e avvinti dopo un amplesso disumano,
risultato di una passione violenta e aggressiva, come può esserlo quella dei
vampiri.
Avevo bisogno di
lei, del suo profumo che mi catturava, della sua immagine che mi stordiva di
cui non sapevo fare a meno.
Forse fu per
sfinimento che un pomeriggio grigio e umido con un cielo di un colore slavato,
per caso, la seguii in una delle sue cacce solitarie. Perché non potevo restare
ad aspettarla con l’ansia di vederla riemergere tra l’intrico del fogliame e
dei rami che si aprivano al suo passaggio; Edward aveva sentito i suoi pensieri
affamati d’amore che il sangue non riusciva a saziare e mi aveva rivelato che
erano rivolti a me in maniera altrettanto ossessiva, ma anche più dolorosa.
“Siete davvero fatti
uno per l’altra; non capisco perché vi ostinate a resistere, quando anelate
soltanto a stare insieme in modo completo. Vi fate del male quando potreste
essere… felici?”
Sentivo tutta
l’incredulità di Edward di fronte a quel concetto puramente astratto che
sembrava non potesse esistere nella realtà di un vampiro. Soprattutto non
esisteva per mio figlio; sentiva la felicità come una meta irraggiungibile,
sogno utopico troppo lontano da sé. Altre volte in passato, mi ero soffermato a
riflettere su cosa fosse per Edward, sentire i pensieri di tutti coloro che
incrociavano il suo passaggio. Per lui,
spesso, doveva essere qualcosa di assordante. Se Esme mi desiderava con un
quarto della passione che sentivo io, le nostre ossessioni dovevano essere un
tormento per mio figlio, cui non riusciva sempre a sottrarsi. Una pena che
esasperava maggiormente il suo senso di vuoto e solitudine.
Anch’io mi ero
sentito, e mi sentivo vuoto, e solo Esme poteva riempire quel vuoto.
E quel giorno, nel
profondo silenzio della foresta, il vuoto fu riempito e il desiderio
soddisfatto, e insieme, godemmo della nostra lussuria, espressione vera e
completa del nostro amore.
La sorpresi nel
cuore della boscaglia mentre assaliva un animale. Era animata oltre che dalla
sete, da una fame ingorda, da quella tipica frenesia che ci rende incapaci di
fermarci e che fa brillare di un desiderio perverso e sinistro i nostri occhi.
La osservai, mio
malgrado ammaliato e sedotto, mentre fulminea affondava vogliosa i denti nel
collo della sua vittima, ne lacerava la pelle e i muscoli che cedevano, fino ad
arrivare alla calda giugulare della sua preda ancora viva, mentre l’abbracciava
in una morsa mortale e scivolava a terra sull’erba con l’animale che si
dibatteva in un ultimo inutile tentativo disperato di resistere.
Era la lotta atavica
della vita con la morte. Era il caldo e il freddo, luce e tenebre.
Ero affascinato
dalla scena selvaggia che si presentava ai miei occhi, dalla sensualità
violenta che emanava, dal sangue che colava e sporcava la bocca di Esme di un
rosso vivo. Mi sembrava di sentirne non soltanto il profumo, ma il calore, mi
pareva di avvertire con ogni senso che possedevo, la stessa eccitazione di
Esme, che godeva di quel liquido che entrava nel suo corpo e lo scaldava.
Sentivo i suoi gemiti estatici come se fosse in preda al delirio. La guardavo,
rubando tutto ciò che il mio sguardo brunito ormai assetato poteva cogliere;
ogni sua espressione, mista tra il piacere e un inspiegabile disgusto, il più
piccolo movimento aggraziato del suo corpo. Le sue mani che artigliavano il
corpo del povero essere mentre moriva.
Ero avido di ogni
dettaglio e non mi importava che lei potesse scoprirmi in fallo.
Dissanguato
l’animale, abbandonò la carcassa e non soddisfatta, riprese la caccia.
Io la seguii,
ancora.
Vagò attraverso il
bosco, famelica come un lupo e decisamente più pericolosa, i sensi troppo acuti
all’ertati.
Attraverso il fitto
del fogliame ombroso che oscillava qualche secondo al nostro passaggio, correvo
insieme a lei senza farmi vedere, mantenendo la giusta distanza, quando
improvvisamente avvertii una traccia fin troppo nota al mio olfatto allenato.
Profumo di sangue
umano vivo e pulsante; ebbi un brivido che era eccitazione e terrore insieme.
C’erano degli
escursionisti; probabilmente si erano persi, perché quella era una zona
abbastanza lontana dai sentieri battuti dalle guide del luogo.
Anche Esme li
avvertì ed esitò per una frazione di secondo, prima di mettersi sulle loro
tracce. Mi colpì la strana luce che le fece brillare lo sguardo di folle
audacia. Non riuscivo a credere che lo stesse facendo; li avrebbe attaccati?
Li raggiunse in
breve tempo e si fermò a osservarli; annusò l’aria che portava il loro odore
come a volersi riempire i polmoni, poi trattenne il respiro per alcuni secondi,
prima di avvicinarsi ancora con una curiosa cautela. Fiutò di nuovo il profumo
e la vidi saltare su un ramo alto, poi appiattirsi contro il tronco dell’
albero, chiudere gli occhi, e dopo, emettere un sospiro prolungato che pareva
un gemito soffocato di puro piacere. Era come se stesse pregustando il sapore
della sua prossima vittima. Decisi che non avrei aspettato per scoprirlo
davvero. Avrei almeno tentato di fermarla. Fui a poca distanza da lei; pochi
alberi ci separavano. E rivelai la mia presenza.
“Esme, non farlo… ti
supplico…” ansimai quasi disperato.
Fu come se l’avessi
schiaffeggiata.
Si volse verso di me
con un’ espressione di puro sgomento dipinto in volto, gli occhi sbarrati e
increduli, la bocca semiaperta in un ringhio senza suono. Ma bastarono pochi
secondi a farle dimenticare gli umani e vidi mutare lo sguardo di sorpresa, in
una profonda infamante vergogna, come se l’avessi colta a compiere l’azione più
mostruosa e delittuosa.
E prima delle sue
parole, fu il suono atterrito, mortificato della sua voce dolcissima a
rivelarmi il senso di un tormento così ben nascosto, che non ero stato capace
di vedere.
“No… Non tu!! Non
dovevi, Carlisle!!”
Gridò con una
disperazione che non avevo mai sentito prima in lei. Si mosse repentina per fuggire,
forse perché l’umiliazione che avvertiva, le impediva di affrontarmi a viso
aperto. Ma le impedii di scappare; con un balzo fui praticamente su di lei e
quasi ingaggiai un corpo a corpo per trattenerla, lottando con difficoltà
contro la sua forza di neonata. Cercai di calmarla, di farla ragionare.
“Esme, ti prego!
Calmati, voglio solo parlare!!”
“Non dovevi
seguirmi!! Perché lo hai fatto? Perché? Non potevi fidarti di me?” mi ringhiò
contro.
“Non volevo, te lo
giuro! È stato per puro caso se ti ho trovato nella foresta…”
Si agitava furiosa
tentando di colpirmi e mi puntava addosso uno sguardo allucinato.
“Oh, Dio… cosa
penserai adesso di me…” Singhiozzava.
Se avesse potuto
farlo, avrebbe pianto. Riuscii a bloccare i suoi polsi dietro la schiena mentre
la stringevo per immobilizzarla.
“Non penso nulla di
terribile, Esme. Davvero, io non voglio giudicarti. Voglio capirti. Scusami se
ti ho seguito, non l’ho fatto di proposito, ma sono fragile Esme e ho bisogno
di te!! Ho un disperato bisogno di stare con te!”
Eravamo finiti a
terra, tra le felci, le foglie secche e la terra umida, il mio corpo contro il
suo che la schiacciava al suolo. Avrebbe potuto facilmente liberarsi, ma
sembrava quasi arresa, oppressa più da se stessa. Solo alle mie parole aveva smesso
di dibattersi. Continuai a parlarle col tono più suadente e morbido che
possedevo, lasciando che il suono della mia voce le toccasse il cuore ferito.
“Io ti amo, Esme. Tu
sai che è vero… So che è difficile per te, ma perché ti vuoi nascondere? Perché
non vuoi che ti aiuti? Non vergognarti delle tue fragilità, ti prego…”
Allora parlò
voltando il viso di lato per non guardarmi.
“Hai visto tutto
vero? Hai visto che non riesco a dominare del tutto la mia sete? Ci provo a
trattenermi, a essere come te… vorrei tanto essere come te…”
La sua voce era un
crescendo di emozioni che mi travolgevano.
“Esme…” Le
accarezzavo il viso dolcemente, mentre lei mi incalzava con le parole; era
tornata a fissarmi, puntandomi addosso i suoi occhi inquieti.
“Ma è così difficile!
Io voglio il sangue, la mia sete mi tormenta e poi… c’è un’altra sete che è
implacabile. Non sapevo che fosse così; mi brucia le viscere, la carne fredda,
e vado a caccia per placarla… ma lei non si placa. Aumenta ogni volta che ti
vedo. Mi divora la mente… Oh, Carlisle!! Impazzisco se tu mi sfiori soltanto!“
Emise un ansito
quasi disperato.
Per istinto naturale
compresi quello che mi stava dicendo; lì, addosso a lei, sentivo lo stesso
fuoco che a breve, ci avrebbe divorati entrambi.
Nella mia mente, tanta
voglia di lei. [1]
“Esme, ascolta…
anch’io…”
Ma lei non mi
lasciava parlare.
Era come se dovesse
confessare una colpa che la stava schiacciando.
“A volte mi metto
alla prova, come ho fatto oggi. Sfido me stessa. Perché il profumo del sangue
umano mi stordisce e non mi fa pensare davvero a quello che vorrei… a quello
che voglio in realtà, ma è come scherzare col fuoco, e prima ho rischiato di
bruciarmi davvero. Se tu non mi avessi fermato, adesso mi odieresti…”
“Non potrei mai
odiarti, Esme… Mai. Per nessuna ragione al mondo… Non posso odiare quello che
io stesso ho creato…”
“Oh, non questa
volta. Edward crede che io sia forte… ma non è vero!! Il mio corpo è debole,
come la mia volontà… Carlisle…“
La sua voce aveva
perso il tono disperato; ora suonava arresa e vinta mentre invocava il mio
nome.
Avvicinai il mio
volto al suo per confondere i nostri respiri, mentre le mie mani non la
stringevano più con prepotenza, ma avevano iniziato a correre lungo il suo
corpo e già tentavano di superare i vestiti.
Poi bisbigliai al
suo orecchio. Volevo sedurla. Volevo amarla.
Volevo che fosse mia
e volevo essere suo. Per sempre da quel preciso istante, immerso nel verde,
nascosto dentro di lei.
“No Esme; io sono
più debole di te… Lo vedi? Lo senti quanto ti desidero? Qui? Adesso? Non credo
di poter aspettare…”
La mia voce era
diventata un profondo sussurro roco, mentre annusavo la sua pelle. La sua era
un velluto caldo e sensuale che mi calava addosso e stregava i miei sensi.
“Oh Carlisle, la voglia
di te mi divora la carne e forse l’anima che non ho più!”
“La tua sete è la
mia. Possiamo bruciare insieme, Esme.”
Ansimai con le
labbra vicinissime alle sue, aspirandone il profumo.
Fu così che avvenne.
Fu così che la
baciai per la prima volta.
Avvicinai le mie
labbra alle sue e lasciai che il suo gusto mi invadesse la bocca. La sentii
cercarmi, muoversi prima con dolcezza, assaggiare le mie labbra, lentamente;
poi con ardore, morderle con una passione che annullava il freddo e faceva
correre brividi intensi sui nostri corpi.
Così ci amammo,
nell’ intrico del bosco che ci nascondeva.
Così ci prendemmo la
pelle, il corpo, le mani. E ci mangiammo con gli occhi.
La baciai lì, tra le
foglie, stesa al suolo mentre il suo sapore si confondeva col mio e mi faceva
impazzire.
Sentivo il suo corpo
sotto di me, e la mia virilità rispondeva impetuosa a quel contatto. Trattenevo
la sua testa fra le mie mani, affondando le dita tra i suoi capelli color
caramello e Esme mi abbracciava, baciandomi, legandomi stretto a lei.
Sentivo le sue mani
che correvano sotto i miei vestiti, per tentare di superarli.
Mi allontanai solo
un momento e mi misi in ginocchio per spogliarmi; sopra di lei, lentamente,
slacciavo i bottoni della camicia, senza staccare i miei occhi dai suoi, che
seguivano ogni singolo movimento delle mie dita. I suoi occhi brucianti di
desiderio rubavano lembi di pelle del mio corpo e coglievano la luce rada che
filtrava debole e timida, come se non volesse disturbare quella strana intimità
dentro quell’alcova improvvisata, fatta di verde e di muschio. E la baciai di
nuovo fino a succhiarle via il respiro e intanto, le sue dita lunghe e
affusolate cercavano la fibbia dei miei pantaloni per liberare i miei lombi dal
tessuto che li imprigionava.
“Ti prego Carlisle,
spogliami…” mi supplicò.
Le aprii la
camicetta e rimasi a guardare il suo corpo bianco, poi un po’ rudemente le
sfilai la gonna e liberata la sua pelle d’alabastro della biancheria intima,
lasciai correre dolcemente le mie mani lungo le curve piene e sode dei seni per
scendere sui fianchi, mentre Esme inarcava la schiena tendendosi verso di me.
E quando i nostri
corpi nudi furono di nuovo tanto vicini da aderire perfettamente uno all’altro,
fu con gioia che scoprimmo il piacere proibito delle nostre carezze che osavano
cercare, scoprire, giocare con le estremità più segrete. Le nostre mani
aprivano la strada ai baci più infuocati e nuove sensazioni esplodevano ogni
volta, quando il tocco dell’altro accendeva e sfiniva il desiderio.
Quando finalmente
fui nel suo posto più intimo e segreto, caldo e accogliente per me, ebbi
davvero l’impressione che le nostre anime morte si stessero fondendo in una
nuova essenza di vita, mentre la voce di Esme vibrava intensa e sussurrava
suoni quasi magici al mio orecchio.
“Oh, Carlisle…
spegni la mia sete… Continua amore mio, continua a farmi sentire viva in questo
corpo morto. Ti supplico, non fermarti…”
E io non mi sarei
voluto fermare, mai più; non sarei più uscito da lei, perché quella fiamma
ballerina che si era accesa nel buio della nostra anima, vibrava come cosa
viva, e sconfiggeva la morte; scaldava sciogliendo il ghiaccio antico dei
nostri corpi e cullava i nostri cuori e non lasciava dolore, ma solo l’estasi
appagante dell’amore che fa sentire al sicuro. E lasciammo che il cielo sopra
di noi, oltre le fronde degli alberi che ci nascondevano divenisse scuro.
Facemmo l’amore per
ore, come se fossimo in astinenza da secoli e ci furono amplessi dolci come le
maree che salgono, lambiscono, accarezzano la sabbia calda e umida delle
spiagge, e altri violenti e profondi che esplodevano come lapilli e lava
bollente da un vulcano. Fu meraviglioso e bellissimo. Una gioia potente e
straordinaria. Era il mio sogno che diventava realtà.
E il cielo tornò
chiaro e i deboli raggi di una giornata di sole pallido, filtravano tra le
nubi, il mattino successivo, quando finalmente ci rivestimmo per tornare a casa
felici, appagati, con una serenità nuova. Col sole non potevo andare a
lavorare, sarei rimasto a casa. Sarei rimasto accanto a Esme per tutto il
giorno, tra le sue braccia, nel suo corpo accogliente. La nostra voglia era
troppa.
Edward avvertì
immediatamente il cambiamento, percepì i nostri pensieri gioiosi che tornavano
alla notte appena trascorsa. Era impossibile avere segreti con un vampiro come
lui. Manifestò apertamente quanto fosse contento per noi.
E lo era davvero.
Ma avvertivo che
oltre alla felicità, alla gioia condivisa, c’era dell’altro, un’inquietudine
difficile da decifrare e interpretare.
Ogni volta era
complicato confrontarmi con Edward, superare le sue barriere, ma dovevo
affrontarlo senza troppo tergiversare. Una settimana più tardi, mi trovai da
solo con lui. Mi parve l’occasione giusta per parlare.
Ero a casa, nel mio
studio che stavo ricontrollando alcuni appunti che avevo preso sulla
sintomatologia preoccupante di alcuni miei pazienti. Inoltre c’era un altro
problema non del tutto imprevisto, che si era presentato e che dovevo
risolvere; il marito di Esme si era rifatto vivo ed era venuto in ospedale a
cercare notizie della moglie scomparsa. Quest’ultima cosa mi dava da pensare e
stavo valutando la possibilità di dover lasciare la città. Tra un pensiero e
l’altro, fermai Edward, mentre si apprestava ad uscire per andare non so dove.
“Edward, ho bisogno
di parlare con te; mi concedi un minuto del tuo tempo?”
Mio figlio si fermò
un momento ad osservarmi; colse nella mia mente le mie preoccupazioni attuali.
Ma non interpretò con esattezza la mia intenzione del momento.
“Che cosa c’è?
Vuoi lasciare la città a causa del marito di Esme?”
“Veramente, non era
di questo che volevo parlare… sono preoccupato per te…”
“Non c’è motivo…”
Io credo di sì…
“A scuola va tutto
bene. Mantengo benissimo il controllo… La mia è una recita quasi perfetta…”
Sorrise sfacciato.
Si era seduto di fronte a me con una gamba piegata sopra l’altra, proprio come
farebbe un ragazzino per ostentare sicurezza di fronte al padre.
“Non ne dubito, ma
credo che il problema sia qui, non a scuola. Ti isoli più del solito, Edward, e
non so perché… È solo un altro modo di manifestare il tuo disprezzo, oppure è
qualcosa di più serio? Perché non mi dici che cosa ti angustia? Anche Esme si
preoccupa per te; lei c’entra in qualche modo?”
“No, lei non c’entra
niente. Esme è… - esitò - perfetta…”
Fu una vaga
sensazione che svanì in fretta come un vapore leggero. Lo pensai solo per un
istante, ma bastò per far assumere a mio figlio un’espressione seria e
contrariata.
“Non sono geloso di
Esme. Come fai a pensarlo?” Mi chiese irritato.
“Allora dimmi che
cos’è. Parla con me, Edward. Non lasciarmi in questa incertezza…”
Tacque alcuni
secondi; scosse la testa amaramente, prima di aprirsi in una confessione
sofferta e inaspettata, che forse attendeva di uscire da tempo.
“Lo sai che il mio
unico disprezzo è verso me stesso. Io sono felice per voi due, davvero; non
potevi trovare una compagna migliore, ma… quando vi guardo insieme, io
comprendo che non c’entro niente qui con voi… mi sento una specie di estraneo…”
Edward allora, si
alzò in piedi; prese a camminare e parlare con enfasi, manifestando uno strano
malessere che forse era più complesso e profondo della semplice gelosia.
Sembrava timore, nascosto dietro l’aggressività. Una paura quasi indefinibile.
“Mi sento come se
non appartenessi a niente… Carlisle, ho mai avuto uno spazio vero, un ruolo che
fosse mio? Dovrei essere tuo figlio, ma non lo sono veramente… Non potrò mai
esserlo nel profondo.“
“Edward, cosa stai
cercando di dirmi?” Il mio tono non riusciva a nascondere l’apprensione.
“Che io non sarò mai
per te, ciò che vorresti…Voi bastate a voi stessi, non avete bisogno di me…
Anzi, io tra di voi, sono quello stonato che potrebbe rovinare tutta la
composizione armonica, creare dei problemi alla vostra esistenza. Carlisle, io
potrei andarmene domani e per te, per lei non cambierebbe niente… sareste
ugualmente felici, anche senza di me; sono un tassello che non ha un incastro
nella tua vita, e se lo cerco non lo trovo, in questa esistenza assurda cui
siamo condannati. Perché non esiste.”
“Non è così Edward;
per me tutto cambierebbe e anche per Esme, credo…”
“No. Tu hai trovato
la tua parte buona perché forse sei altrettanto buono… per me la condanna
resta… e mi spaventa… C’è il nulla che mi attende là fuori; non ci sono
sentimenti, solo oblio. Tu non puoi compensare tutto questo…”
Dietro quelle parole
amare sorprendenti, che in parte mi ferivano, ma che potevo comprendere, si
celava la vera angoscia di mio figlio; la paura della solitudine. Una paura che
vedevo espressa veramente per la prima volta. Peggio ancora; Edward credeva che
io stesso, il suo creatore, potessi condannarlo alla solitudine dell’abbandono,
della dimenticanza, privarlo di una collocazione all’interno del cerchio che
componeva la mia vita che aveva determinato la sua. E quest’ultimo pensiero fu
quello che mi fece più male.
“Edward, pensi
davvero di non essere importante per me? Pensi che potrei voler perdere mio
figlio, sostituirlo? Dimenticarlo? Ti ho dato questa impressione, forse? Tu e
Esme occupate parti diverse del mio cuore che sanguinerebbe senza una di esse…”
“Forse… io non lo
so. Leggo nel pensiero, non prevedo il futuro. Esme, ha occupato quasi
totalmente i tuoi pensieri, ultimamente. Penso sia normale: la ami come non hai
mai amato nessun’altro prima. Ma lei sa cosa vuol dire perdere un figlio;
un’esperienza questa, che tu non farai mai… e in fondo, tu saresti anche
disposto a lasciarmi andare… anzi, stai cercando di prepararti a questa
possibilità…”
“Solo se questo
fosse per te la felicità… e mi costerebbe comunque…” risposi con profonda
amarezza.
Edward lasciò il mio
studio senza aggiungere altro, ma con un’ evidente tristezza nello sguardo. Fu
quello l’esatto momento in cui iniziai a domandarmi se non l’avessi trasformato
troppo presto, intrappolandolo in un’ età difficile e scomoda.
Mio figlio sarebbe
stato per sempre fermo al punto di partenza, come un atleta pronto allo scatto
della corsa, che resta bloccato allo sparo dello starter; un giovane
prigioniero dell’età dei sogni senza più sogni da coltivare, senza più speranze,
perché distrutte dal morso di una creatura infernale, condannato a guardare
tutti gli altri suoi coetanei che andavano incontro alla vita e costruivano il
loro futuro mattone su mattone. Nessuno di quei ragazzi che andavano a scuola
con lui, lo avrebbe aspettato. Nessuna di quelle ragazze che restavano rapite
dal suo fascino, potevano accompagnarlo lungo il suo percorso.
La mia solitudine
nei secoli era stata grande, vasta e opprimente quanto un deserto chiuso dentro
l’orizzonte ondeggiante delle sue dune di sabbia riarsa dal sole, ma non avevo
mai pensato che quella di Edward avrebbe potuto esserlo molto di più.
All’improvviso, vedere e comprendere tutta la portata di quel peso immane mi
atterrì, facendomi sentire impotente e in colpa per l’ennesima volta nella mia
vita immortale...
Continua…
Scusate di
nuovo per l’immenso ritardo, ma questo per me era l’ostacolo più difficile,
perché non credo di essere portata per l’eccessivo romanticismo e da questo
capitolo penso che si veda. Spero che vi sia piaciuto, anche se forse avrete
trovato Esme, un po’ ooc, ma non so scrivere cose che non siano anche un po’
tormentate.
Non sapevo
in quale altro modo suggerire il desiderio passionale, tormentato che corre
parallelo alla sete di sangue di Esme neonata che deve imparare a essere come
Carlisle. Che per amore vuole essere come lui. E tra loro c’è Edward, un
personaggio certamente non facile; difficile immaginare i suoi sentimenti in
quegli anni, prima che Bella entrasse nella sua vita, spero di essere riuscita
a suggerire il suo malessere, il suo conflitto, che ho intenzione di sviluppare
ancora nel prossimo capitolo.
Come sempre
ringrazio tutte le mie lettrici, quelle che mi seguono dall’inizio e quelle
nuove che si sono aggiunte. Mi sorprende come ogni volta aumenti il numero di
coloro che preferiscono e seguono questa storia, mi fa davvero piacere e spero
che avrete voglia di dirmi come vi è sembrato questo pezzo che mi è costato
parecchio. E ringrazio infinitamente voi ragazze che recensite e che mi
incoraggiate ad andare avanti. Per fortuna che ci siete.
Arte, Rebecca
Lupin, Tetide, Io amo Jasper Hale, gingiolina
Selene
Krystal, Myria (se siete ancora qui)
Grazie per
ogni vostra parola.