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Autore: C r i s    17/10/2010    6 recensioni
«Voglio adottarla, Dottore», sussurrò poggiando le dita sul vetro che la separava da quella che sarebbe stata la sua famiglia d’ora in avanti.
«Ne è sicura? Perchè in tal caso...»
«Dottore», Melissa alzò una mano per intimare al medico di far silenzio, mentre i suoi occhi vegliavano come sentinelle sulla bambina, «Non sono mai stata così sicura in vita mia».
Sentì il Dottore allontanarsi poco dopo, riaffiorò con una bambina tra le braccia e gliela porse con tutta la gentilezza del mondo.
Melissa osservò come ipnotizzata quella creatura tra le braccia e altre lacrime di gioia le inondarono il viso.
«Ci sono io qui», le sussurrò dandole un lieve bacio sulla fronte, «Ci sono io qui con te».
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 { Sincerely Yours. }

 

 

Dear angel of mine,
Where do I start to express how I feel?
Well, my love's gone blind.
Now all that I feel is what I hear.
Your words rip and tear,
through my heart so weak and pure.
Now, I find myself wanting to die…

I bleed for the second time tonight
holding all that's in my mind.
If only my love could be with you.
If only this pain, this pain die too!
I'll break you away, away, away from me.

 

 

Il tempo per Melissa Jones si era fermato esattamente due anni prima.

Quel mattino la neve ricopriva come una coperta prati e strade, le auto faticavano nel procedere con il loro percorso, ma Melissa non vi prestava neanche attenzione.

Guidava distratta, aveva completamente la testa appannata e andava così lenta che una scia d’auto alle sue spalle pigiava il clacson con foga per incitarla ad accelerare.

Sapeva che sarebbe finita in quel modo, l’aveva sempre saputo.

Sentì il cellulare squillare ininterrottamente nella borsa, ma non si apprestò, come suo solito, nell’inserire l’auricolare ed intrattenere l’interlocutore con un tono di voce allegro. Lasciò che squillasse, che il tono si assopisse e che prendesse nuovamente vita.

Cominciò ad ignorare tutto, tranne ciò che era accaduto poco prima, non appena aveva messo piede nell’appartamento che sarebbe dovuto essere il loro, un giorno.

Il problema era che non aveva messo in conto Deborah in quel discorso, in quei progetti, in quel rapporto.

 

«Issa!», aveva esclamato Deborah, portando il lenzuolo all’altezza del petto.

Come se Melissa non avesse mai notato la sua seconda striminzita. Quel nomignolo che le aveva affibbiato non fece che alimentare l’odio innato che era sbocciato in quel momento, avrebbe tanto voluto avere a portata di mano un cannone e spararle una palla dritta in faccia.

«Melissa…Io…Aspetta…»

Matt era scattato dal letto infilandosi al volo i boxer, mentre i cioccolatini alla nocciola che reggevo tra le mani si erano accasciati al suolo.

«Sono otto mesi che aspetto, porca Eva, Matt! Otto mesi! Otto mesi che aspetto un tuo fottuto passo, otto mesi che ti vedo inginocchiarti davanti a me e chiedermi di venire a vivere con te cacciando una chiave da un cofanetto blu! Cazzo!», aveva esclamato Melissa ormai in preda al panico e al risentimento. Tutta la frustrazione degli ultimi otto mesi era tornata a galla ed era esplosa come una bomba.

«Un cofanetto…? Mel!», era scattato in avanti per afferrarle un braccio, ma i riflessi di Melissa erano alquanto accentuati quel giorno.

«Non toccarmi! Trasudi malattie veneree da miglia e miglia! Tu e quella…Ah!», aveva ringhiato  tra i denti e si era portata le mani tra i capelli, stringendoli con forza, sapendo se non avesse tenuto le mani occupate, presto sarebbero finite tra i capelli di qualcun’altra.

«Issa, posso spiegarti…», Deborah si era appena alzata dal letto e tentava di reggere il lenzuolo con le mani, cosa che aveva istigato il buon senso di Melissa ad andarsi a fare un giro.

«Guarda che non ho due anni, ho capito perfettamente che avete trascorso una notte di sesso selvaggio. Senza scrupoli, senza rispetto. Bravi, bravi! Vorrei farvi un applauso, ma credo che le mie mani debbano essere occupate a torturare qualcosa, se poi offri la tua faccia sarò contenta di sfregiarla!»

«Melissa, vuoi almeno sederti? Ti offro del the», aveva proposto risoluto Matt che si apprestava verso la cucina.

«Puoi bertelo dalle orecchie il tuo fottuto the!», aveva replicato la ragazza con ferocia, «Insieme alla tua fottuta amica!  Non riuscivi proprio a tenertelo nei pantaloni, vero? Sai cosa ti dico? Me ne vado, stavolta sul serio. E mi prendo anche questi!», si era chinata, aveva afferrato i cioccolatini ed era corsa alla porta, ma, prima di sparire, aveva aperto la scatola di cioccolatini e aveva gettato a terra due al cioccolato fondente, che lei odiava.

«Questi mangiateveli voi e andate all’inferno!»

 

Ripensandoci, quei cioccolatini erano stati uno spreco, avrebbe potuto mangiarseli anzichè gettarli, non contenevano di certo del veleno o del cianuro per causare loro morte.

Se avesse saputo prima, si sarebbe munita meglio.

In realtà, se Melissa avesse saputo prima, non si sarebbe mai precipitata da Matt, avrebbe seguito il suo schema, la sua routine, avrebbe lasciato la faccenda in sospeso. Non toccava a lei scusarsi, non doveva essere lei quella a dover chinare il capo e prostrarsi ai piedi. No, sarebbe dovuto essere lui a portarle i cioccolatini!

Non aveva mai marinato il lavoro, mai in vita sua e, per quell’uomo aveva gettato la dignità sotto ai piedi, pensando che quell’amore potesse valere qualcosa, che fosse combattuto in due.

Invece si sbagliava, non si era mai sbagliata in quel modo. Credeva di conoscere Matt, credeva di potersi fidare di Matt. La verità era che Melissa conosceva fin troppo bene Deborah, ma non voleva scaricare l’intera colpa su di lei. L’odio rendeva la vista cieca e Melissa non era ancora caduta in tentazione.

Abbassò la radio, decise di lasciar voce in capitolo ai suoi pensieri e, aumentando leggermente la velocità pestando l’acceleratore, la mente tornò a quella sera prima, con tanti bei propositi che presto erano sfumati come una bolla di sapone.

 

Melissa aveva indossato il suo abito migliore: blu, ricadeva morbido sul corpo attutendo sulle sue forme e valorizzandole, giungeva giusto sulle cosce e le autoreggenti trasparenti donavano un’aria sensuale al tutto.

Aveva camminato spedita verso il tavolino all’angolo dove era seduto Matt. Lo aveva salutato con un bacio affettuoso e si era seduta, accavallando le gambe.

«Perdonami, ma ho dovuto sistemare delle cartelle del processo», gli aveva spiegato, sorseggiando del vino rosso, mentre Matt l’aveva scrutata con attenzione.

Si era sentita lusingata per le sue attenzione, ogni tanto voleva dimostrarsi sexy e soprattutto femminile. Negli ultimi tempi era diventata una rarità.

Il lavoro le aveva succhiato tempo ed energia, negli ultimi anni era stata sommersa di cause su cause e la loro relazione era nata nel momento meno proficuo.

Avevano cenato in religioso silenzio, Melissa si era limitata nel fissare Matt, il quale aveva ricambiato con poca convinzione.

«Ho pensato una cosa», aveva annunciato Melissa, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Matt l’aveva scrutata con attenzione e aveva annuito col capo per dar modo a Melissa di procedere.

«Voglio avere un bambino».

Gli occhi di Matt si erano dilatati all’inverosimile, di certo non era la notizia che si era aspettato di ricevere.

La risposta arrivò rigida e piatta.

«Non puoi, lo sai».

«So che non posso», aveva ribattuto la ragazza, accigliandosi con una strana morsa nello stomaco, «Non intendevo un figlio biologicamente mio. Avevo pensato di adottarlo».

Matt si era lasciato sfuggire un sospiro amaro e aveva scosso il capo.

«Non hai tempo per dirmi di non poter raggiungermi a cena e credi di avere del tempo per accudire un bambino, Mel?», le aveva chiesto con fare inquisitorio.

La ragazza si era raggelata, aveva stretto il tovagliolo ricamato tra le dita e aveva indurito la mascella.

«Per un bambino si trova sempre il tempo! Non parlo di un affidamento immediato, per queste cose ci vuole del tempo, Matt. Ma a quanto pare, è la mia idea a non piacerti».

«Melissa, non cambiamo le carte in tavola», aveva sbottato il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli, «Sei un avvocato, lavori dodici ore al giorno e se non fosse per la necessità di sonno, lavoreresti anche la notte. La carriera è importante, ma non esiste solo quella. Sei un avvocato affermato, cavolo! Per quale motivo continui a renderti un vegetale? Vivi per lavorare! Non ti rendi conto di essere accerchiata da una campana di vetro? Non hai neanche notato il mio nuovo taglio di capelli!»

Melissa l’aveva ascoltato attonita, con le orecchie e il cuore che le dolevano. Aveva preso a boccheggiare per qualche istante, poi, ripresasi dall’inquietudine iniziale, aveva deciso di ribattere con la stessa identica violenza verbale.

«Ci deve pur essere qualcuno che lavori! Non fai altro che dormire e dormire e dormire! Dipendesse da te, vivresti solo di letto e sesso, sesso e letto! Tutto ruota attorno a quello! Quand’è che ti rimboccherai le maniche e andrai a cercarti qualche lavoro? Hai una laurea in medicina e non ti presenti neanche all’ospedale con quel fottuto curriculum!», aveva dato sfogo alla frustrazione e al dolore che le avevano procurato le parole di Matt, il suo ragazzo da oltre tre anni, anni in cui erano successe talmente tante cose da far fatica a credere di essere rimasti ancora insieme.

«Io non sarò mai più un medico, Melissa! Cazzo, credi che possa tornare ad operare come se niente fosse? No, non dopo aver visto quella donna morire per colpa mia in sala operatoria! Non dopo aver visto suo marito piangere dal dolore! Non dopo aver visto la loro bambina morire tra le braccia di un’infermiera! Capisci? Una sconosciuta! No, non posso farlo e non posso neanche concepire il fatto che tu non lo capisca!»

Matt aveva gettato il tovagliolo sul piatto semivuoto e stava scostando la sedia per alzarsi, Melissa si issò a sua volta e aveva attirato la sua attenzione sbattendo una mano sul tavolo. Inutile dire che tutto il ristorante si era volto  ad osservarli.

«Non hai bisogno di fare il medico per lavorare! Potresti limitarti ad essere un semplice infermiere, Matt! Non devi punirti per un errore, sei un essere umano, non Dio».

«E’ questo che non capisci. Io avevo il dovere di salvare quella donna, non ci sono riuscito», aveva esclamato lasciando che il dolore trapelasse da quella frase.

Melissa si era sentita stringere il cuore, fece per abbracciarlo, ma Matt l’aveva scansata con poca grazia. L’aveva guardata negli occhi, sostituendo il dolore alla rabbia.

«Sono stanco».

Due parole che avevano procurato una voragine all’altezza del petto di Melissa, poichè era consapevole del fatto che quella breve frase fosse riferita a tant’altro.

«Non lo pensi sulserio», aveva sussurrato lei, con gli occhi che le si riempivano lentamente di lacrime.

«E invece sì», aveva sbottato lui, divincolandosi dalla presa sul suo braccio, «Sono stanco di vivere come un single, sono stanco di non poterti chiamare se ho bisogno di te perchè sei troppo impegnata con quel cazzo di lavoro e sono stanco di non poter fare sesso quando e come voglio!»

Detto ciò, si era diretto all’uscita del ristorante senza neanche saldare il conto. Melissa l’aveva seguito a ruota gettando una banconota da cento sul tavolo e l’aveva fermato con un mezzo urlo disperato.

«Matt!»

Il ragazzo non si era fermato, aveav continuato a camminare, fino a quando Melissa non aveva preso a correre e gli si era piazzato davanti, con le lacrime che ormai le sgorgavano copiose dagli occhi.

«E’ difficile anche per me! Anch’io desidero poter fare sesso come e quando voglio con te, anch’io vorrei chiamarti quando ne ho bisogno, anch’io non vorrei vivere e farti vivere da single e, soprattutto, vorrei poterti dare di più, vorrei poterti dare un futuro certo, una famiglia...»

A Melissa le si era fermato il fiato.

Si era allontanava con un balzo dal braccio di Matt che si era alzato verso di lei, aveva scosso la testa e, con le lacrime agli occhi, si era voltata ed era tornata verso la sua auto.

Melissa non avrebbe mai potuto dargli una famiglia, non dopo quell’incidente. Aveva perso la fertilità, non avrebbe mai potuto dare alla luce un bambino e ciò l’aveva spaventata sempre, ma mai come quella sera.

La sera in cui si era giocata tutto e lo sapeva.

 

Non sarebbe mai stata madre.

Quell’incidente l’aveva segnata e non l’aveva neanche mai dimenticato. Matt l’aveva sempre rassicurata, dicendole che non era importante avere dei figli per ottenere una famiglia, ma Melissa sapeva che non era vero, non era ciò che desideravano.

Avvolta da quei pensieri, la ragazza non si rese conto di quanto il piede fosse premuto sull’acceleratore e neanche del camion che stava svoltando all’incrocio.

La neve aveva reso la strada ancor più pericolosa e quando ci fu l’impatto cruento tra le due vetture, Melissa riuscì soltanto a pensare che quella mattina sarebbe dovuta uscire in taxi, entrare in ufficio con il suo abituale caffè tra le mani e rimboccarsi le maniche sul caso della storia, quello per il quale aveva combattuto con le unghie e con i denti per poterselo affibiare, facendo restare i suoi colleghi a bocca asciutta. Sarebbe dovuta entrare a testa alta nell’edificio che era sempre stata la sua casa, sarebbe dovuta arrivare puntuale come suo solito, avrebbe dovuto salutare il caro e vecchio Edward e avrebbe pigiato il pulsante del quinto piano all’ascensore.

E non avrebbe mangiato quell’ultimo cioccolatino fondente del quale non si era accorta all’inizio, ma doveva saperlo che non c’era due senza tre, proprio come era sempre accaduto negli ultimi tre anni.

Che fosse il suo numero sfortunato?

Probabile.

 

Melissa aprì gli occhi gonfi e sbattè violentemente le palpebre per poterli abituare alla luce penetrante. Non si accorse della presenza di Matt fino a quando quest’ultimo le strinse la mano e alzò la voce per attirare la sua attenzione.

«Mel! Melissa! Sei...Sei sveglia? Mi senti? Mi vedi?»

La donna alzò la mano e se la passò sul viso, notò che avesse delle flebo inserite nel braccio e che quella stanza fosse tremendamente colorata.

Poteva riconoscere i suoi libri preferiti su di una mensola, le sue coperte abituali e dei fiori disposti sul marmo della finestra. C’erano tante lettere poggiate su un tavolino e con qualche sforzo, Melissa notò che la calligrafia appartenesse ad una bambina.

Che fosse la sua nipote, Claire?

Le mani di Matt le circondarono il viso e la donna fu costretta a fissarlo. Il cuore le batté all’impazzata nella gabbia toracica, tanto che il macchinario al suo fianco prese a sbeffeggiarla portando quel fastidioso bip accelerato al suo orecchio.

«Calmati, Mel. Sono io, Matt. Mi riconosci?», le domandò lui, cauto, come se stesse parlando con una donna anziana vittima d’alzheimer.

Nella mente di Melissa tornarono a galla le immagini del camion che la colpiva in pieno, della neve che le era caduta sul viso mentre i portantini dell’ambulanza la issavano sulla barella, delle luci sfocate che aveva intravisto durante il trasporto e della voragine nel petto, dovuta a Matt.

Ritrasse bruscamente il capo dalla sua presa e lo fissò quasi con astio.

«Cosa fai qui? Hai fatto indigestione per aver mangiato il mio cioccolatino?», lo apostrofò con sarcasmo velenoso.

Matt la fissò come se avesse dinanzi a sè una matta da manicomio e scosse debolmente il capo.

«Sono qui per te, con te», affermò con incrinazione dolce.

Melissa scansò il suo sguardo, era divenuto insostenibile. Non riusciva a dimenticare cosa fosse accaduto poche ore prima, proprio non ci riusciva.

Eppure, continuando a guardarsi attorno, si rese conto che c’erano fin troppe cose sue. Come avevano fatto a portarle tutte quelle cose in una manciata d’ore? E perchè poi? Che dovesse restare in ospedale per così tanto tempo?

Non ebbe il tempo materiale di porre quei quesiti ad un Matt che sembrava essere cambiato leggermente, forse era la barba incolta o magari le lievi rughe sulla fronte, perchè la porta si spalancò e Melissa si preparò alla visita del medico.

Pessimo errore, davvero pessimo errore.

Avrebbe dovuto prepararsi alla visita del Diavolo, perchè stava entrando proprio lui nel corpo abbondante di Deborah.

Ma cos’aveva fatto alla sua pancia? Possibile che fosse davvero colpa del suo cioccolatino? Forse era allergica alla cioccolata fondente ed era aumentata di parecchie taglie, ipotizzò Melissa.

«Issa! Oh, Issa...», prese a singhiozzare portandosi le mani alle labbra e avvicinandosi al lettino con qualche difficoltà.

Il sangue di Melissa si ibernò nelle sue vene: Deborah non era semplicemente grassa, era incinta.

Notò come Deborah si avvicinasse a Matt, notò come Matt guardò il pancione di Deborah e notò come il cuore prese a stringersi.

«Che...Che significa?», domandò la ragazza con un filo di voce.

«Issa, eravamo tanto in pena per te!», esclamò Deborah, asciugandosi il viso, «Pensavamo che non uscissi più dal coma!»

Melissa sgranò gli occhi e cominciò a tremarle la mano.

«C-C-Coma?», biascicò con la vista completamente appanata e la mente confusa, «Come coma? Io...Io...Quanto tempo? Da quanto tempo sto così?», domandò con tono elevato di voce.

«Due anni», si apprestò a replicare Matt con espressione stanca, «Oggi è accaduto un miracolo».

Sorrisero inteneriti, mentre sul volto di Melissa compariva soltanto l’orrore. Stava ancora sognando, forse. Voleva convincersi di vivere un incubo, che con un pizzico tutto sarebbe svanito e si sarebbe trovata nel suo letto al caldo.

Cominciò a darsi una decina di pizzichi, con sempre più forza, fin quando la mano di Matt non la fermò e si trovò ad urlare dal dolore.

«E’ incinta! È incinta di te?», non volle uscire come una domanda, poichè in cuor suo Melissa sapeva già la risposta, ma non poté evitarlo.

Matt abbassò il capo e ritrasse la mano, negli occhi di Melissa si formarono lacrime amare che non scesero, non volevano dare soddisfazione a nessuno.

«Andate via», soffiò la ragazza con voce rotta.

«Issa...Non...Non volevamo ferirt...»

«Andate via!», ripeté imperativa Melissa.

«Mel, non odiarla. Non è stata colpa sua e neanche colpa mia. Noi ci...ci amiamo», convenne Matt annuendo e afferrando una mano di Deborah che aveva lasciato penzoloni lungo i fianchi.

«Vi amate?», calcò d’enfasi il verbo e issò un sopracciglio, «Voi vi amate? E cosa dovrei fare adesso, spiegami, dovrei prendere il riso e buttarvelo in testa? Io vi farei ingozzare di riso fino a farvi scoppiare!», esclamò furente Melissa, stringendo il lenzuolo bianco tra le dita, «Pensavate di liberarvi subito di me? Peccato che io mi sia risvegliata! Ma siete ancora in tempo, soffocatemi con un cuscino, nessuno penserà male di voi due!»

«Smettila Melissa! Nessuno vuole che tu muoia! Siamo stati sempre al tuo fianco negli ultimi ventiquattro mesi, sempre al tuo fianco! Non pretendo che tu ci sia riconoscenti, non è questo il motivo per cui l’abbiamo fatto, ma ti chiedo rispetto per i nostri sentimenti»

La voce di Matt era salda ed imperiosa, ma i suoi occhi lo contraddivano.

«Dovrei rispettare il vostro amore, adesso? Tu hai mai avuto rispetto per i miei, Deborah? Ti rispondo io: NO! Quando ti sei sbattuta per la prima volta il mio ragazzo, hai mai pensato che una stronza come me potesse patire le pene dell’inferno? NO! E hai mai pensato in questi due anni che sei finita nel suo letto solo perchè sono stata io a permettertelo? Se non ci fosse stato quel camion forse adesso sarei io ad essere madre e non tu! FUORI!»

Melissa aveva dato voce ai suoi pensieri, ai suoi sentimenti e al suo cuore infranto. Non tollerava di vedere quel pancione, non tollerava il pensiero che Matt potesse diventare padre, grazie ad un’altra, men che meno se si trattava di Deborah.

Odiava già quel bambino, non le importava neanche come fosse fatto, lo odiava perchè poteva essere suo. Invece era di Deborah.

Matt era di Deborah, tutto le apparteneva adesso.

«Mi dispiace tanto Issa», singhiozzò la donna in questione stringendosi il pancione convulsivamente.

«A me dispiace vederti ancora qua! Porta quel tuo grosso culo fuori dalla mia camera o mi costringi a chiamare il WWF!», Melissa era fuori dai gangheri, abbassò il viso per poter prendere un grosso respiro e con la coda dell’occhio osservò Deborah avanzare con difficoltà alla porta, seguito da Matt, il quale si fermò e lanciò un’occhiata rammaricata verso il suo lettino.

«Amavo anche te, Mel. Sei tu che hai smesso di amare me».

Aprì la porta, ma prima che uscisse Melissa urlò tutta la sua rabbia.

«Spero che tu possa provare almeno un briciolo del dolore che ho provato io! Spero che quel Dio te la porti via! Anzi, sai cosa ti dico? Voglio essere buona, spero che possiate morire insieme, magari in qualche incidente del cazzo! E spero che tu possa anche morire per primo, così avrai l’onore di aspettarla dall’altra parte! AL DIAVOLO!»

La porta si chiuse e nè Matt nè Deborah tornarono indietro per aprirla.

 

Quando un medico comparve nella camera era già l’imbrunire.

Melissa pensò fosse la classica visita di routine, ma l’espressione sul volto del Dottor Sparks la fece ricredere in un secondo.

«Parli, dottore», lo incitò brusca Melissa ed attese pazientemente che quell’uomo la coinvolgesse nel suo tormento.

E, quando ciò accadde, odiò il suo carattere, la sua lingua tagliente e la sua poca pazienza.

Matt e Deborah.

«Un incidente pazzesco», aveva sussurrato il dottore, «Non sappiamo quale miracolo abbia permesso a quella donna di dare alla luce quella bambina, è morta senza neanche sentirla piangere».

Melissa si sentì un mostro.

Giunse sulla sedia a rotelle dinanzi la vetrinetta dei neonati e sbirciò al suo interno con un moto di gelosia verso tutte quelle mamme che attendevano di poter stringere ognuno di quei bambini tra le braccia.

A lei non sarebbe mai spettata una cosa del genere.

«E’ lei», il Dottor Sparks comparve alle sue spalle e l’aiutò ad alzarsi, dopodiché le indicò una bambina della prima fila che stringeva leggermente le dita tra loro.

Fu amore a priva vista.

Melissa osservò quella neonata sentendosi scaldare il cuore, le si dipinse un sorriso amaro sulle labbra e gli occhi le si riempirono di lacrime.

Aveva privato a quella bambina l’amore di una madre, di una vera madre, l’aveva privata dell’abbraccio di un padre, di una famiglia e si sentì così in colpa da non riuscire a frenare una lacrima dagli occhi.

Anche se involontariamente, era stata colpa sua.

Aveva augurato loro di morire, aveva augurato a Matt di passare all’altro mondo per primo, di aspettarla e Deborah l’aveva raggiunto, purtroppo, lasciando un fardello troppo importante sulla terra.

Un fardello che decise di affibiarsi.

«Voglio adottarla, Dottore», sussurrò poggiando le dita sul vetro che la separava da quella che sarebbe stata la sua famiglia d’ora in avanti.

«Ne è sicura? Perchè in tal caso...»

«Dottore», Melissa alzò una mano per intimare al medico di far silenzio, mentre i suoi occhi vegliavano come sentinelle sulla bambina, «Non sono mai stata così sicura in vita mia».

Sentì il Dottore allontanarsi poco dopo, riaffiorò con una bambina tra le braccia e gliela porse con tutta la gentilezza del mondo.

Melissa osservò come ipnotizzata quella creatura tra le braccia e altre lacrime di gioia le inondarono il viso.

«Ci sono io qui», le sussurrò dandole un lieve bacio sulla fronte, «Ci sono io qui con te».

 

As I sit here alone
thinking about everything that you said.
You know since I'm alone.
Well, maybe after all, I was better off dead.
Cause without you my life's gone down.
What do I do, when I find myself wanting to die?

And I don't know…I'll break you away!
Said, I'll break you away, away, away from me.
Sincerely Yours

 

- Dear Angel – April Sixth -

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

La  scrissi anche tempo fa questa storia e non sono neanche tanto sicura che vada bene, non rispecchia esattamente il mio genere. O meglio, magari qualcosina sì, infatti il personaggio di Melissa non è proprio quel che si dice “fine”, ma cosa possiamo farci?XD

Mi auguro soltanto che vi sia piaciuta come è piaciuta a me, la trama mi ha ispirata e quindi l’ho messa su carta.

Se volete un consiglio, ascoltate anche la canzone sulla quale ho deciso di incentrare la storia, ognuno ha i suoi gusti ovviamente e se non piacerà, pazienza, ma a me è stata proprio lei ad ispirarmi.

Mi scuso per il linguaggio poco sottile in alcune scene e ringrazio chiunque voglia esprimere il proprio parere, negativo o positivo che sia *-*

Kiss, Cris.

   
 
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