Il Fuggiasco e il Carcerato
(Bingo, prompt Fumo)
-Dove andrà, Silente?- bisbigliò la professoressa McGranitt. -In Grimmauld
Place?-
-Oh, no- rispose Silente con un sorriso cupo [...].
Fanny fece il giro dell'ufficio e si librò bassa sopra di lui. Silente lasciò
andare Harry e levò una mano per afferrare la lunga coda dorata della fenice. Un
attimo dopo erano entrambi scomparsi in un lampo di fuoco.
J.K. Rowling, "Harry Potter e l'Ordine della Fenice", pagg.
582 e 583
La piuma cadde dalla mano di Gellert quando la porta della sua cella si aprì.
Poi, quando la figura dell'uomo sulla soglia si avvicinò alla luce della torcia
abbastanza da essere vista, la pipa che Gellert stava fumando raggiunse la piuma
sul pavimento, che per fortuna era di pietra.
L'odore dolce del tabacco si diffuse nell'aria con il fumo bianco, ma Gellert
non vi badò.
-Io- disse, e si fermò, incredulo. L'uomo sulla porta inclinò la testa da un
lato, un sorrisetto divertito sulle labbra, come se si beasse dell'esitazione
dell'altro. -Ti stavo scrivendo- concluse debolmente Gellert.
-Molto carino da parte tua- rispose educatamente Albus, e il suo sorriso
divertito si allargò appena un poco. Gellert sembrava inchiodato alla sedia.
-Non mi inviti ad entrare?-
Gellert pensò che l'avrebbe stupito di meno vedersi comparire davanti la morte
con cappuccio e falce, come la disegnavano i babbani. Ma poi notò il modo in cui
le labbra di Albus si stavano contraendo, e si accorse che stava per scoppiare a
ridere.
Quella dannata vecchia volpe. Lo stava prendendo in giro.
Bene, era un gioco che potevano fare in due.
Con una grazia appena un po' più rigida di quella che aveva da giovane, raccolse
da terra la pipa e la piuma, poi fece un inchino elegante al suo più vecchio
amico.
-Accomodati- gli disse, -e perdona il disordine. Non aspettavo visite-.
Albus entrò e rispose all'inchino. Qualcosa luccicava nei suoi occhi, ma Gellert
ormai conosceva la sua mente molto più del suo viso, e non sapeva dire se erano
davvero lacrime.
Sapeva però di essere lui stesso ad un passo dal piangere.
Non aspettava Albus quella notte. Non credeva, sinceramente, che lo avrebbe
rivisto da quel lato della morte.
E invece lo aveva lì, a pochi centimetri. A portata delle sue mani.
Senza nemmeno rendersene conto, si strofinò un occhio con la mano libera,
ignorandone deliberatamente l'umidità.
Albus lo notò, com'era prevedibile.
-Hai qualcosa nell'occhio?- gli domandò casualmente. Gellert rischiò di
scoppiare a ridere. O a piangere.
-Il fumo della pipa. E la tua scusa qual è?-
Albus si sedette sul letto di Gellert, tirò fuori dalla tasca un fazzoletto,
tolse gli occhiali e si asciugò gli occhi. -C'è polvere in questa stanza-.
Gellert si andò a sedere al suo fianco, gli prese la mano e gli portò via il
fazzoletto. Lo mise in tasca. L'avrebbe aiutato, quando lui se ne fosse andato,
a rendere reale quell'esperienza.
E poi restò lì, semplicemente, con la mano di Albus nella sua, a guardarlo.
Merlino, non aveva nemmeno chiuso la porta, ma Gellert non si sarebbe mosso in
cambio dell'Europa su un piatto d'argento con le Americhe per guarnizione.
Desiderava chiedergli quanto tempo avessero, ma gli faceva paura la risposta;
anche fossero stati anni, non sarebbero bastati. E non erano anni. Al massimo,
se era fortunato, ore.
-Posso offrirti qualcosa?- chiese dopo un po', per spezzare quel silenzio in cui
Albus si limitava a guardarlo e lui si limitava a guardare Albus.
Albus rise. -Cosa?-
Gellert non aveva nulla. Per qualsiasi cosa, liquori, cibo, rinfreschi, avrebbe
dovuto chiamare l'elfo domestico, e non voleva farlo. Tese ad Albus la pipa che
aveva in mano, ormai quasi spenta.
-E' una brutta abitudine, lo sai Gellert?- lo rimproverò Albus, accettandola.
Fece un tiro esitante, seguito da uno più deciso. Le braci si accesero e l'odore
dolciastro impregnò l'aria, leggermente fastidioso. Gellert riusciva solo a
pensare alle labbra di Albus posate sulla sua pipa. -Me lo dicevi sempre-
rispose sommessamente.
Albus non rispose e continuò a fumare in silenzio.
-Che è successo?- gli chiese alla fine Gellert. Per quanto quella visita fosse
una specie di incantesimo, non era normale che Albus Dumbledore si presentasse
nella sua cella in piena notte, senza apparentemente nulla da fare, quando
Gellert sapeva benissimo che Albus stava combattendo una guerra spietata dal suo
ufficio di Preside.
-Ah, Gellert- rispose Albus, sorridente, -apparentemente sono appena stato
licenziato-.
-Cosa?- Gellert scattò, indignato. Chi era l'idiota che...
-Ma non è la parte più divertente- continuò Albus, interrompendolo. -Sono anche
un criminale, mi dicono. Un cospiratore. Pensa, volevo creare un esercito di
ragazzini per rovesciare il Ministero!-
Suo malgrado, Gellert rise. Quel modo di fare di Albus, la sua ironia
irriverente, era sempre stato contagioso, per lui, e rinfrescante. Era qualcosa
che amava, e solo Albus riusciva a parlare in quel modo. E a farlo ridere,
persino a Nurmengard.
-Raccontami tutto- gli disse quando si fu calmato, sistemandosi più comodo e
appena un poco più vicino ad Albus.
Lui gli passò la pipa. Gellert l'accettò e la mise in bocca, indugiando un
istante sul sapore familiare del legno e su quello quasi dimenticato della bocca
di Albus. Poi si mise ad ascoltare.
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-...Insomma,- stava dicendo Albus, -alla fine Fudge si è lasciato convincere
della mia colpevolezza. Così ha deciso che dovessi essere scortato in
prigione...-
Rideva mentre parlava, e Gellert, steso al suo fianco, con il capo posato sulle
sue ginocchia, si asciugò gli occhi dalle proprie lacrime di ilarità.
-E tu hai deciso di sceglierti la prigione che volevi!-
-Precisamente!-
Nuove risate, di gusto, di cuore. Forse nemmeno in quell'estate di tanti anni
prima c'era stata tra loro una tale spensieratezza, o una tale comprensione.
Probabilmente perché allora nessuno dei due immaginava cosa significasse non
avere tutto quello che avevano. Fiducia, tante possibilità, l'altro a portata di
mano. Adesso che i secondi erano contati, tra loro, sapevano davvero quanto
preziosi fossero gli istanti della più banale compagnia.
Gellert assaporò quel momento perfetto, quella bolla di infantile divertimento
nella loro buia realtà quotidiana, le dita di Albus tra i nodi nei suoi capelli
bianchi, il sapore del tabacco sulla lingua, il fumo bianco che si innalzava in
pigre volute verso il soffitto della sua cella.
Un momento bellissimo di paradiso.
Tacquero per qualche istante, le spalle di entrambi ancora scosse da sprazzi di
risa trattenute. Ci volle qualche minuto perché si calmassero; poi nella stanza
scese un silenzio surreale, tranquillo. Non parlarono a lungo.
Gellert, sempre impaziente, fu il primo a rompere quella quiete. Si era illuso
per qualche ora, ma doveva sapere.
-Quanto resterai?- chiese, e improvvisamente i due maghi tornarono seri.
-Se mi vuoi, questa notte-.
Mancavano poche ore all'alba, e il cuore di Gellert si strinse. Così poco.
-Soltanto- commentò, in tono amaro.
Albus si chinò verso di lui e gli baciò la fronte, teneramente. -Mi dispiace-
sussurrò, -sai che se potessi...-
-Sì, lo so- lo interruppe Gellert, -chi non vorrebbe trascorrere gli ultimi anni
a Nurmengard? Passami quella pipa-.
-Sempre sarcastico- commentò Albus.
Gellert si raddrizzò, scrollandosi dalla testa la sua mano, stizzito. Stava per
rimettersi a piangere e si diede da fare per rinfocolare le braci, sperando di
distrarsi.
Quando la pipa riprese a tirare alzò lo sguardo, e questa volta non ebbe dubbi
su cosa facesse luccicare gli occhi di Albus, perché una lacrima scorreva veloce
verso la punta del suo lungo naso.
E la sua rabbia si sciolse. Che cosa avrei potuto fare nella mia vita, si
chiese, con a fianco quest'uomo incredibile, a calmarmi e a farmi ridere?
Abbracciò Albus e si appoggiò contro di lui, senza parlare. Istintivamente, come
facevano quasi un secolo prima, si mossero quel tanto da stare comodi,
appoggiati l'uno contro l'altro, pronti a parlare per ore, e a ridere e a
litigare di nuovo, come avevano sempre fatto quell'estate che era tutta la loro
vita insieme. Ma rimasero in silenzio per il resto della notte, senza una
parola, a condividere l'uno la presenza dell'altro, fumando insieme una vecchia
pipa babbana, la stessa che avevano condiviso in quell'estate lontana.
Solo verso mattina, quando già sembrava inevitabile il distacco e gli occhi
di Gellert fissavano il cielo troppo chiaro tra le sbarre, Albus parlò.
-Ah, Gellert- disse, e di nuovo gli baciò la fronte, -ma chi non vorrebbe
trascorrere gli ultimi anni con te?-
Gellert non rispose. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare in quella pace
sovrannaturale.
Nessuno dei due parlò più.
Note Noiose:
Ho scritto questa fic per pagare pegno a
s0emme0s che me l'ha chiesta in
questo meme.
Siccome lei non mi aveva specificato nessun prompt nella richiesta, ma solo un
pairing (ovviamente Albus/Gellert ^^) ho scritto una fic su uno dei prompt del
Bingo, Fumo.
Prompt che non so bene perché ha formato fin dal primo istante l'idea di Gellert
(un giovane Gellert, qui solo evocato) con la pipa in mano. La mia mente è una
cosa strana.
La fic nasce un po' dalla curiosità che mi ha sempre ispirato il dialogo che ho
citato all'inizio (siamo nell'ufficio di Dumbledore, e la Umbridge ha appena
scoperto le riunioni segrete di Harry e compagnia; Dumbledore se ne attribuisce
la colpa e fugge da Hogwarts): perché Dumbledore non è andato al quartier
generale dell'Ordine, che era il posto più intelligente dove andare?
So che probabilmente la risposta è: perché a JKR serviva che non fosse lì. Ma ho
pensato che, libero dagli impegni, potesse aver deciso di togliersi un piccolo
sfizio personale: Gellert, naturalmente.
Ultima nota. Quando dico che se ne stanno in silenzio per quasi tutta la notte
abbracciati a fumare, intendo che se ne stanno in silenzio quasi tutta la notte
abbracciati a fumare, non che succedono cose non adatte ai minori e io sono
crudele e non le descrivo. Non ci stava, in questo contesto, ecco.
Stanno solo insieme. Mi sembra sia abbastanza.