Chapitre
22
La
nuova Margherita
«C’è
qualcosa che ti turba, ma chère?»
La
giovane contessa De Chagny si voltò per osservare il marito,
abbandonando
momentaneamente il ricamo al quale si stava dedicando da tutta la
mattina.
Rimase per un attimo a guardarlo sorpresa, prima che un tenero sorriso
abbellisse le sue labbra e le mani mettessero da parte ago e filo.
«No,
Raoul, va tutto bene.» Rispose, con la stessa voce suadente
che solo qualche
anno prima aveva fatto vibrare i cuori di mezza Parigi. «Sono
solo un po’
stanca dal viaggio.»
«Siamo
rientrati ieri,» replicò il conte, raggiungendola
e sedendosi sul divano di
fianco a lei. «Conosco quello sguardo: sei preoccupata per
qualcosa. Di che si
tratta?»
Christine
sospirò, volgendo lo sguardo verso le fiamme che
scoppiettavano allegramente
all’interno del prezioso camino in marmo che riscaldava il
salotto. Era una
delle stanze più piccole dell’intero palazzo, e
aveva deciso di farla propria
dal primo momento in cui vi era entrata: amava l’atmosfera di
intimità che
sembrava aleggiare in quella piccola sala.
«È
strano essere di nuovo a Parigi,» sussurrò,
torturandosi le dita delle mani. «Qui
è dove è iniziato tutto… Non credevo
che vi saremmo tornati così presto. Non so
se devo esserne spaventata.»
Un
muscolo guizzò sulla mascella dell’uomo, come se
ciò che la sua sposa stesse
pensando – e ricordando – non fosse di suo
gradimento: e come avrebbe potuto?
Rammentava fin troppo bene quanto entrambi avessero sofferto a quel
tempo, per
colpa di un mostro. In silenzio le
prese le mani tra le sue, stringendole dolcemente, e se le
portò alle labbra
per posarvi un piccolo bacio devoto.
«Christine,
non vi è alcun motivo per essere spaventata,» le
sussurrò, guardandola nelle
profondità azzurre dei suoi occhi. «Noi siamo
insieme, questo è ciò che conta.
Nessuno cercherà più di portarti via da me, e se
ciò dovesse accadere
combatterò come la prima volta – te lo posso
giurare.»
La
ragazza non rispose, limitandosi ad accennare un sorriso che
svanì quasi
subito. «Lo so, Raoul. So che ormai lui
è morto, e non potrà più farci del
male.» Tacque un istante, pensierosa,
studiando le loro dita teneramente intrecciate. «Vorrei
chiederti una cosa,» aggiunse,
come ripensandoci.
«Qualsiasi
cosa, amore mio.» Rispose immediamente il marito, deciso a
vedere ancora il
sorriso sul volto della giovane sposa.
Christine
cercò il suo sguardo, esitante, come se fino
all’ultimo fosse indecisa se
dirglielo o meno… Ma aveva giurato che non gli avrebbe
più nascosto nulla,
pertanto non aveva senso tacere oltre. «Io…
Desidero rivedere l’Opèra.»
Gli
occhi di Raoul si sgranarono impercettibilmente, mentre si ritraeva
dalla
contessa come scottato. Non poteva credere che, dopo tutto
ciò che era accaduto
in quel teatro, dopo quello che era successo a lei, a loro,
ella avesse ancora voglia di entrare in quel maledetto tempio
della musica! L’uomo si alzò, raggiungendo il
camino e posando le mani
sull’architrave dando così le spalle alla moglie;
la richiesta di Christine gli
risultava inconcepibile da comprendere, anche se in effetti nulla
poteva più
minacciare il loro matrimonio. Il mostro
ormai era morto, finito, e con lui erano svanite le sue
minacce… Eppure Raoul
aveva l’impressione che qualcosa
ancora sarebbe potuta accadere. Sarebbe stato troppo perfetto se il
Fantasma
fosse scomparso per sempre, e i precedenti di quella storia gli
suggerivano che
una cosa simile non sarebbe potuta accadere. Non così
facilmente, ad ogni modo.
Comunque
non gli sembrava il caso di mettere al corrente Christine dei suoi
dubbi,
poiché non c’era nessuna prova certa che
dimostrasse la morte o meno del
Fantasma. Prese dei respiri profondi, cercando di dominare la rabbia
che
ancora, a distanza di tempo, tutto ciò gli causava, e si
passò una mano tra i
capelli prima di voltarsi nuovamente verso di lei. Dopotutto, si disse,
non
aveva nessun diritto di impedirle di fare qualcosa che desiderava.
«Se
è ciò che vuoi, Christine, io non mi
opporrò.» Disse, benchè quelle parole
gli
costassero. «Chiederò a monsieur Coleman di
accompagnarti, io… Io non me la
sento.»
La
giovane contessa si alzò a sua volta, raggiungendo il
marito, e passandogli le
braccia intorno al collo per stringerlo in un tenero abbraccio.
«Ti ringrazio
infinitamente, Raoul,» gli sussurrò sulle labbra.
«So quanto questo significhi
per te.»
Raoul
accennò un sorriso, ricambiando il bacio della moglie.
«Quando vuoi andare?»
Domandò, sperando che rinviasse la visita ormai
all’anno nuovo. Tuttavia la sua
risposta non fu quella che si aspettava.
«Oggi
stesso, in realtà. Prima ci vado, prima tornerò a
sentirmi meglio…» Rispose,
assorta.
Egli
la strinse forte a sé, seppellendo il volto
nell’incavo del suo collo e
aspirando il suo profumo. «Non voglio che tu vada, ma chère, ma so che
è qualcosa a cui tieni molto.» Si
scostò
leggermente da lei il tanto necessario a poterla guardare in viso,
dopodichè
riprese. «Andrò subito a parlare con monsieur
Coleman. Potete scendere in città
subito dopo pranzo, in modo da essere a Parigi per il pomeriggio e qui
per
cena.»
«Sei
proprio sicuro di non voler venire?» Insistè
Christine, aggrottando le
sopracciglia. Era convinta che se Raoul l’avesse accompagnata
– se avesse
affrontato anche lui i demoni di quel passato – avrebbe
ripreso a stare
decisamente meglio.
Ma
l’uomo scosse sicuro la testa, irremovibile dalla sua
decisione. «No,
Christine: sento che impazzirei se entrassi nuovamente in quel
teatro.» Replicò,
portandole dietro l’orecchio una ciocca ribelle.
«Vai, non ti preoccupare. Io e
Gustave ti aspetteremo per cena.»
La
baciò ancora una volta, dopodichè uscì
a grandi falcate dalla stanza alla
ricerca del suo uomo di fiducia, monsieur Coleman. Egli si era
dimostrato sin
da subito molto disponibile nei loro confronti e aveva trattato la
contessa con
una gentile delicatezza che pochi le avevano riservato, da quando era
diventata
una De Chagny; pertanto Raoul sapeva che Coleman sarebbe stato
l’unico a poter
accompagnare con discrezione la nobildonna a Parigi.
Dopotutto
il loro ritorno non era stato ancora reso pubblico.
***
«Ah! Je ris de me voir
Si belle en ce
miroir…
Est-ce toi,
Marguerite, est-ce toi?
Réponds-moi… réponds-moi vite!»
Mademoiselle
Sanders sembrava cantare con una passione nuova, mentre per la prima
volta
provava un’aria che una semplice solista del coro non avrebbe
mai dovuto ambire
a recitare – neanche nell’intimità della
sua camera da letto. Nessuno ne
comprendeva il motivo, eppure quella mattina monsieur Bamdad aveva
consegnato a
monsieur Reyer, il direttore dell’orchestra, gli spartiti del
Faust di Gounod, dandogli
espressamente
delle direttive riguardanti mademoiselle Giulia e il suo probabile
ruolo
nell’opera. Nessuno aveva osato mettere in discussione tali
disposizioni,
eppure, per quanto ella sapesse cantare magnificamente – sembrava quasi un angelo –
tacitamente tutti erano convinti che una
corista non sarebbe mai potuta
diventare una prima donna.
Le
tragedie accadute in passato per una situazione analoga già
dimostravano che un
tale provvedimento avrebbe minato la fama del teatro – e
sicuramente anche la
sua fortuna appena ritrovata.
«Ah, s’il était
ici!
S’il me
voyait
ainsi!
Comme une
demoiselle
Il me trouverait
belle…»
Tutti
lo pensavano, eccetto lui, il suo
Maestro. Al sicuro dietro la pesante tenda color porpora del palco
numero
cinque, Erik osservava l’interpretazione della sua giovane
allieva senza
curarsi dei bisbigli che giungevano da dietro le quinte o dalla stessa
platea,
sicuro – come sempre – che le sue decisioni in
campo artistico e musicale
fossero indiscutibili e destinate a trionfare. Non era la prima volta
che
Giulia cantava quell’aria, egli le aveva infatti fatto
provare numerose volte il
Faust con la certezza che presto la
giovane avrebbe avuto il ruolo che le spettava. Per fortuna la
primadonna
dell’Opèra non era più
quell’inetta di Carlotta Giudicelli – che, a quanto
si
diceva, era tornata a Milano per ritirarsi a vita privata dopo che il
marito,
il tenore Ubaldo Piangi, era scomparso in circostanze misteriose
– e pertanto egli avrebbe potuto decidere in qualsiasi
momento di destituire tale Eva Dolores de Castro, l’attuale
soprano spagnola che
ricopriva quel ruolo, in qualsiasi momento avesse voluto. Era anche uno
dei
privilegi che gli appartenevano in quanto direttore artistico, comunque.
Sospirò,
sfiorandosi le labbra con due dita leggere. Era trascorso un giorno
intero da
quando l’aveva baciata, eppure rammentava perfettamente la
sensazione di quella
bocca che si schiudeva sotto la sua, il tremito delle sue mani, il suo
profumo,
il suo corpo… Oh,
sarebbe finito per
impazzire se non avesse potuto godere ancora di quel contatto
così intimo e
delizioso. E adesso, vederla sulla scena, gli occhi dei ballerini e dei
macchinisti posati su di lei – era riuscita a distoglierli
tutti dai loro
compiti con il semplice suono della sua voce – era, per lui,
un trionfo che non
credeva di poter apprezzare così a fondo.
Forse
era dovuto al fatto che ora la considerava davvero sua,
in tutte le connotazioni che un simile termine poteva
possedere; nessuno avrebbe potuto importunare mademoiselle Sanders
senza poi
incorrere nelle sue ire. Non gli importava che altri la guardassero:
egli
sapeva che la giovane non avrebbe mai accettato le loro attenzioni
– come aveva
dimostrato ciò che era accaduto con monsieur Bamdad
– benchè, certo, ancora non
avesse neppure accettato le sue. Ma d’altronde era
comprensibile: Erik si era
impadronito delle sue labbra senza indagare oltre sui suoi desideri,
anche se
Giulia non aveva urlato né l’aveva cacciato. Come
poteva interpretare dunque la
sua reazione? Poteva esserci speranza per lui, questa volta?
Oppure lei aveva
ricambiato il suo bacio per pietà?
No,
maledizione, questo non l’avrebbe mai accettato! Strinse con
forza i pugni
rischiando di ferirsi le sue stesse mani, non fosse stato per i
preziosi guanti
di pelle nera che non disdegnava mai di indossare. Avrebbe preferito
l’odio e
il disgusto alla pietà e alla compassione, senza alcun
dubbio.
Mentre
era così immerso nelle sue riflessioni, quasi non si accorse
che nella platea
erano appena entrate due persone che, a giudicare
dall’abbigliamento, non
dovevano far parte dei dipendenti del teatro. Si trattava di un uomo
sui
cinquant’anni, al cui braccio era poggiata una giovane donna
vestita
elegantemente e dai modi nobili e distinti, tipici di
un’aristocratica. Erik si
sporse leggermente dal suo palco, vedendo senza essere visto: la donna
era
ancora nell’ombra, il viso rivolto verso il suo
accompagnatore e pertanto con
le spalle verso i palchi, eppure aveva qualcosa di
familiare… I capelli biondi,
raccolti in un’acconciatura severa ma morbida che non
lasciava libero un solo
boccolo, l’abito di foggia preziosa di un leggero turchese
dai ricami color
panna, che esaltavano il suo incarnato chiaro e l’oro della
sua chioma.
Poi,
quando la donna si voltò verso il palcoscenico, avanzando
tra le file di
poltrone e sedendosi poi in una di esse, Erik dovette trattenere un
gemito
insofferente, mentre finalmente la riconosceva.
Eccola
là, Christine Daaè… No, pardon,
la
Viscontessa de Chagny in tutto il suo splendore.
Strinse
gli occhi, sentendosi invaso unicamente dall’ira. Che cosa
diavolo ci faceva
lì, chi mai aveva richiesto la sua presenza? Era forse
l’ultima persona che si
aspettava di vedere nel suo teatro,
sicuro com’era che non avrebbe mai più osato
mettervi piede finchè fosse
vissuta. A quanto sembrava, si era sbagliato. Chissà se
madame Giry era al
corrente del suo ritorno a Parigi? E chissà se
l’avrebbe messo al corrente del
suo rientro, qualora l’avesse saputo.
Studiò
l’espressione sorpresa e vagamente disorientata della
viscontessa, mentre
guardava cantare sulla scena quella che poteva essere benissimo
sé stessa
qualche anno prima. Al di là del colore dei capelli, in
effetti, le due donne
erano pressochè identiche: entrambe avevano addirittura una
sorta di legame con
lui. Con un’unica
differenza: mentre
Christine ormai apparteneva al passato, e non aveva più
nulla da spartire con
il suo maestro, Giulia era invece il suo presente – e,
sperava, anche il suo futuro.
Provò una sorta di perversa
soddisfazione nel vedere lo smarrimento di Christine, la sua nostalgia,
il suo
dolore per ciò che aveva perduto abbandonando lui e
scegliendo il visconte, ma
alla fine decise che non gliene importava più di tanto.
Certo, era qualcosa che
lo compiaceva, ma nulla di più: perciò si
voltò nuovamente verso Giulia, che
aveva quasi terminato di provare l’atto terzo del Faust.
La
contessa Christine Daaè de Chagny era senza parole. Chi era
quella giovane che
cantava con una voce simile e che le somigliava in un modo
così impressionante?
Si era dovuta sedere per evitare alle gambe tremanti di cederle, e
aveva
invitato monsieur Coleman a fare altrettanto. Era forse finita
nell’ennesimo
incubo? Quella ragazza le ricordava ciò che era stata lei un
tempo, seppur per
poco, su quello stesso palco: rammentava perfettamente quel periodo
della sua
vita, prima che accadessero tutti quei disastri che l’avevano
costretta poi ad
abbandonare il teatro per un altro genere di vita. Non che se ne
pentisse, per
carità: amava profondamente Raoul. Ma il richiamo della
musica e delle scene
era qualcosa di tanto radicato in lei che non sarebbe mai riuscita a
liberarsene del tutto.
«Ah! Je ris de me voir
Si belle en ce
miroir…»
L’aria
terminò dopo un leggero acuto, che fecero guadagnare alla
giovane sconosciuta
gli applausi del maestro Reyer e dei vari figuranti che
l’avevano ascoltata da
dietro le quinte. Persino monsieur Coleman non riuscì a
resistere all’impulso e
battè le mani, ma Christine non riusciva a darsi pace: doveva sapere chi era quella giovane
fanciulla, e soprattutto
voleva capire il perché di quella straordinaria somiglianza!
«Monsieur
Coleman, vorrei chiedervi un favore.» Sussurrò al
suo accompagnatore,
chinandosi leggermente verso di lui. Non aveva perso
l’abitudine di mormorare
quando si trovava dentro quel teatro, forse perché temeva
inconsciamente che qualcuno avrebbe
potuto sentirla.
Probabilmente un vero fantasma,
adesso che il suo maestro era morto e avrebbe potuto vendicarsi dal
regno dei defunti…
«Certamente,
madame. Di cosa avete bisogno?» Replicò
gentilmente l’uomo, non notando
l’agitazione della viscontessa – o fingendo di non
coglierla. Il suo compito
non era certo quello di fare domande.
«Vorrei
sapere chi è quella ragazza, come si chiama.»
Disse, indicandogli con lo
sguardo la giovane che adesso stava parlando con monsieur Reyer a
proposito
dell’aria che aveva appena cantato. «E, se
è possibile, vorrei conoscerla. Però
non fate il mio nome, vi prego… Non ancora.»
«Come
desiderate, madame.» Rispose, accennando un inchino col capo
e alzandosi dalla
poltrona. Si avvicinò quindi verso la cavea
dell’orchestra, chiedendo ad un
violinista al momento disoccupato se era possibile interrompere le
prove.
«Ah,
attendete un attimo, monsieur. Bisogna domandare al maestro
Reyer,» replicò
quest’ultimo, indicandogli l’anziando direttore.
«Maestro? Qualcuno vi
desidera.»
Scusandosi
un istante con mademoiselle Sanders, Gabriel Reyer si voltò
verso la platea,
cercando colui che il violinista gli aveva indicato con un cenno del
capo. «Sì?
Desiderate qualcosa?» Chiese, sorpreso: dopotutto, non sapeva
chi fosse
quell’uomo.
«Perdonate
l’interruzione, ma vorrei conoscere
l’identità di questa giovane e bravissima
cantante, s’il vous
plaît. Sono
tornato da poco in città e sono ancora all’oscuro
di simili novità.» Rispose
galantemente, inchinandosi davanti a mademoiselle Sanders.
Giulia
arrossì e fece per rispondere, ma un gesto delicato di
monsieur Reyer glielo
impedì: dopotutto, a suo avviso, non stava bene che una
fanciulla si
presentasse da sola ad un completo sconosciuto.
«Lei
è mademoiselle Giulia Sanders, la nostra nuova promessa del
canto.» Replicò
l’anziano maestro, con un’espressione alquanto
sospettosa. Se non rammentava
male, quello era già il secondo straniero che chiedeva della
ragazza in così
poco tempo. Cosa potevano mai volere da una giovane perbene come lei?
Monsieur
Coleman annuì, accennando un mezzo sorriso. «Lieto
di fare la vostra
conoscenza, mademoiselle; il mio nome è James
Coleman.» Poi proseguì, come se
si fosse ricordato in ritardo di una cosa di estrema importanza.
«Spero che non
mi troverete sfacciato se vi chiedo una piccola cortesia.»
Giulia
scosse la testa, sempre più sorpresa. «Dite pure,
monsieur.»
«La
mia signora desidererebbe incontrarvi in privato, quando avete un
momento
libero,» rivelò, ignorando del tutto le altre
persone che stavano tacitamente
assistendo a quel piccolo scambio di battute. «Per voi
è un problema?»
«No…
Non credo. Quando volete mi trovate qui, monsieur.» Rispose
la ragazza, prima
di scambiare uno sguardo interrogativo con il maestro Reyer.
Quell’uomo aveva avuto
sin dall’inizio un comportamento molto paterno nei suoi
confronti.
«Perfetto,
riferirò. In tal caso adesso vi lascio alle vostre
prove,» disse, inchinandosi
per l’ennesima volta. «Buona giornata,
mademoiselle. Signori…»
Diede
loro le spalle e raggiunse la Viscontessa che, seduta tra le ultime
fila, era
rimasta nascosta durante quella breve discussione per evitare di essere
riconosciuta. Non appena monsieur Coleman le si fu avvicinato
abbastanza da
coprirla con la sua stazza, Christine si alzò, e, dato un
ultimo sguardo alla
giovane sul palcoscenico, si avviò con l’uomo
verso l’uscita. Sarebbe andata a
trovare Meg e madame Giry un altro giorno, si disse, ora era troppo
tubata da
quella strana scoperta.
***
Preoccupata,
Giulia stava torturando un foglio di carta consegnatole quella mattina
da
monsieur Bamdad: l’uomo le si era avvicinato dopo le prove
con maestro Reyer e,
con l’aria di uno che avrebbe desiderato trovarsi in ogni
luogo fuorchè accanto
a lei, le aveva porto quella piccola nota senza dire una sola parola.
Fu solo
dopo averla aperta e aver riconosciuto la calligrafia rigida e ordinata
vergata
con inchiostro rosso, che Giulia comprese di cosa si trattava. Il suo
Maestro
la invitava ad incontrarlo non più nella cappella del
teatro, ma nel palco n. 5:
e, questa volta, si era firmato con il suo nome, Erik.
E
adesso che aveva raggiunto il palco iniziava a sentirsi in ansia. Non
sapeva
cos’altro aspettarsi da lui: dopotutto, quando si erano
lasciati il giorno
prima, non c’era stato nessun chiarimento da parte
sua… Certo, ella gli aveva
promesso che da quel momento non sarebbe mai più stato da
solo, ci sarebbe
stata lei al suo fianco – ma chi poteva dire con certezza che
le sue
affermazioni non fossero state fraintese?
Rilesse
per l’ennesima volta quel biglietto, come se nelle sue parole
avesse potuto
trovare una risposta alle sue sempre maggiori domande. Incredibile che
le mani
che avevano scritto quella nota fossero le stesse che avevano messo
fine alla
vita di chissà quanti uomini, le stesse che
l’avevano stretta in un abbraccio,
che l’avevano accarezzata! Come avrebbe potuto sopportare, o
ignorare, tutto
quel sangue ch’egli sembrava trascinarsi dietro?
Eppure con me non
è
mai stato… cattivo,
riflettè, facendo avanti e indietro all’interno
del palco. Ha mantenuto sempre un
comportamento da gentiluomo, a parte… A parte
quando mi ha baciata.
Sentì
le guance infiammarsi al ricordo di ciò che era successo
– ma soprattutto di
come lei gli si era aggrappata e
aveva
ricambiato il bacio. Aveva cercato di convincersi per tutta la notte
che tale
reazione era stata dovuta unicamente alla pura e semplice
curiosità –
dopotutto, che lei avesse memoria, non era mai stata baciata prima, se
si
escludeva il brusco approccio di monsieur Bamdad.
Con
un sospiro si sedette su di una poltroncina dall’imbottitura
color porpora
presente nel palco, sventolandosi insofferente con il foglietto ormai
spiegazzato. L’attesa non era mai stata più
logorante.
E
poi, come già era accaduto tante volte prima di allora, fu
acutamente
consapevole del suo silenzioso arrivo. Fu come un fruscio, uno
spostamento
d’aria talmente veloce che probabilmente, se non avesse avuto
l’esperienza
dalla sua parte, non se ne sarebbe mai accorta. Invece si
alzò, guardandosi
intorno, aspettando ch’egli rivelasse la sua presenza con
un’agitazione diversa
da quella che aveva sempre provato.
«Vi
ringrazio di aver accettato il mio invito, Giulia.» Le parole
sembrarono
provenire dall’oscurità del palco, profonde ed
attutite come fossero state
avvolte nel velluto, e subito dopo l’uomo si fece avanti,
inchinandosi
galantemente dinnanzi a lei.
Ella
rabbrividì istintivamente, notando il nuovo ed inspiegabile
brivido che le
aveva percorso la superficie della pelle al suono di quella splendida
voce. «Come
mai questo cambiamento, maestro? La
cappella non andava più bene per le nostre
lezioni?» Domandò, sforzandosi di
mantenere un tono fermo e al contempo dolce.
Erik
le si avvicinò ancora di più, arrivando a
sfiorarle la gonna con le lunghe
gambe avvolte sensualmente in aderenti calzoni neri che la ragazza gli
aveva
visto unicamente nella sua dimora sotterranea. Dunque egli non era
andato da
lei nei panni del direttore, ma in veste di fantasma.
Oh,
maledizione, doveva smetterla di pensare simili cose!
«In
realtà oggi non desidero sprecare il tempo che trascorreremo
insieme cantando o
suonando.» Replicò, addolcendo la voce
all’inverosimile; Giulia non comprendeva
come riusciva a trasformare quell’accento, mutandolo da
minaccioso e terribile
a soave e gentile in un battito di ciglia. Era qualcosa che la
spaventava e
allo stesso tempo la attraeva.
Decise
perciò anche lei di abbandonare i toni distaccati. Si
avvicinò all’uomo e gli
passò una mano sotto al braccio, annullando così
ogni distanza, anche fisica,
che v’era tra di loro. «In tal caso che cosa
vorreste fare, Erik?» Chiese, accennando
un tenero sorriso con una facilità che solo qualche istante
prima non avrebbe
creduto possibile. Evidentemente stare in sua compagnia si rivelava
essere
molto più semplice…
«Fidatevi
di me e seguitemi, Giulia – non desidero altro,» le
sussurrò all’orecchio, cercando
di contenere la gioia che quel contatto improvviso e non richiesto
– né
tantomeno ordinato – gli
aveva
procurato.
Ella
l’aveva
toccato di sua spontanea volontà, senza che fosse stato lui
a domandarglielo!
La
ragazza annuì, allargando il sorriso. Non si era accorta di
ciò che stava
accadendo nell’animo del suo Maestro, ma forse era meglio
così. «Sarà un
piacere.»
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AA - Angolo Autrice:
Buona sera, giovani fanciulle! Come va? ^^
Spero di non avervi fatto attendere molto con il capitolo - ad ogni modo questo è solo un capitolo di passaggio, serve per reinserire i De Chagny nella storia, gradualmente. Bene, e adesso cosa succederà? Si accettano scommesse XD
Comunque, voglio ringraziare sydney bristow, aliena e TheMisty910 per aver recensito lo scorso capitolo - grazie mille <3 Inoltre grazie a chi, anche se nell'ombra, continua a seguire la mia storia! Siete davvero tante, ragazze (o ragazzi, perchè np? u.u) non pensavo che questa storia potesse interessare così tanto! Grazie davvero :)
Sto lavorando al prossimo capitolo ma tengo a precisare che ultimamente ho problemi di connessione e di ispirazione - prima del linciaggio, vi voglio rassicurare: continuerò questa storia, non preoccupatevi! :D
Un bacio e un abbraccio, vostra
GiulyRedRose
P.S. Ah! Se vi interessa - non si sa mai - potete trovarmi anche su facebook, dove pubblicherò news e/o spoiler sulle mie storie. Ho bisogno giusto di un pò di tempo per ambientarmi nel nuovo account xD baci a presto! :*