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Autore: Doralice    19/10/2010    4 recensioni
Sette scalini tra Claire e Gabriel. Sette gradi di differenza da superare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note

@kannuki: Niente di più vero. Mentre elaboravo la trama mi sono trovata a pensare che questa sarà la mia ultima storia su Heroes – per lo meno a tema Sylar/Claire – perché ormai ho detto tutto in merito.

@soarez: Sapevo che Gatto ti sarebbe piaciuto! Ammetto di essermi ispirata all'unico, inimitabile Polvere, e sono sicura che se si conoscessero diventerebbero amici.

@Domino: Grazie! Non potevo non citare Colombo, ti pare? E quella battuta ci voleva proprio, dopo tutta quella tensione.

@yori: Ehi, troppi complimenti! Grazie mille! Spero di continuare a stimolare la tua curiosità come ho fatto fino ad ora.







Step Three: Close


Anche un orologio fermo

segna l'ora giusta

due volte al giorno.

- Hermann Hesse -


Quella mattina tutto il campus ebbe l'onore di essere illuminato dal sorriso a trentadue denti di Claire. Fatto che aveva dell'incredibile, essendo lei nota per i suoi musi lunghi e i suoi occhi gonfi.

Il suo visitatore notturno aveva ricambiato la cortesia della sera prima con prontezza, e Claire si era goduta la sua compagnia per un paio di meravigliose, silenziose, troppo brevi ore. Aveva dormito come una bambina e si era svegliata con un sorriso ebete in faccia e la barra dell'umore al massimo.

Claire aveva trovato la cura contro lo stress della vita moderna: Gabriel Gray, mutante, orologiaio di lavoro, ex psicopatico serial killer, strepitoso dispensatore di coccole.

~~~

I giorni passarono e le notti anche. Gabriel non trovava mai il tempo di aggiustare il carillon di Claire, ma ce l'aveva sempre una mezzora per un caffè o per una passeggiata. O, come in quel caso, per una chattata.

Alla fine si era deciso: ci aveva impiegato due settimane, ma eccolo lì. Claire cliccò “Aggiungi contatto” sentendosi una quattordicenne alla prese col tipo dell'altra classe di cui aveva una cotta. Quel nickname, poi...


SwEeTkItTy: non posso crederci!

the_cheshire_cat: cosa?

SwEeTkItTy: l'hai fatto a posta!

the_cheshire_cat: la parola “gatto” è la più googlata al mondo

SwEeTkItTy: come a dire che siamo tutti un po' gatti?

the_cheshire_cat: to cat or not to cat?

SwEeTkItTy: cerca la risposta nella guida ga[la]ttica per autostoppisti

the_cheshire_cat: questa era un po' forzata

the_cheshire_cat: e non ci credo che leggi adams

SwEeTkItTy: oh ma grazie!

SwEeTkItTy: tu non mi conosci...

SwEeTkItTy: potrei sorprenderti!

the_cheshire_cat: prego

the_cheshire_cat: l'hai già fatto

SwEeTkItTy: cosa?

the_cheshire_cat: sorprendermi

SwEeTkItTy: ...

the_cheshire_cat: ok, la smetto

SwEeTkItTy: ti ascolto

SwEeTkItTy: cioè ti leggo

SwEeTkItTy: vabbè... hai capito!

the_cheshire_cat: non è roba da chat

SwEeTkItTy: ok

SwEeTkItTy: passo da te?

the_cheshire_cat: apro fra 10 min

SwEeTkItTy: porto i biscotti!

~~~

Claire posò il sacchetto sul tavolo da lavoro, davanti a lui, e gli sorrise. Gabriel si tolse gli occhiali e la guardò con l'aria di chi non si aspettava una visita. Poi osservò il sacchetto, diffidente.

Guarda che non li ho avvelenati. – ridacchiò estraendo un biscotto e addentandolo.

C'era odore di the là dentro: adocchiò la teiera in un angolo e si servì una tazza.

Sono allo zenzero. – lo sentì commentare.

Lo guardò incuriosita sorseggiando il suo the.

Non mi piaceva lo zenzero. – aggiunse vagamente disorientato.

Si appoggiò al tavolo osservando distrattamente il lavoro: l'orologio aperto, esposto, i piccoli ingranaggi d'ottone sparsi sul panno nero, gli strumenti allineati in bell'ordine, pronti all'uso.

Adesso sì? –

Piaceva a Nathan. –

Claire si ritrasse. Gabriel si irrigidì.

Non fa niente. – gli disse in fretta, vedendolo aprire bocca per dire qualcosa.

Andiamo, cosa avrebbe potuto dire? Qualsiasi cosa sarebbe stata patetica e non avrebbe fatto altro che aumentare il disagio.

Mi dispiace. –

Cazzo, quello sì che era patetico. Non lui, non le sue parole, ma lei, col suo bisogno di sentirle. Di sentire che era davvero dispiaciuto.

Claire grattò il bordo della tazza nervosamente: – Di cosa? –

Di tutto. –

Non puoi cancellare gli ultimi tre anni. – gli fece notare senza rancore.

Una serie di immagini le passavano davanti agli occhi: flashback accuratamente selezionati da un regista particolarmente sadico.

Non ci provo neanche. –

L'aveva appena sussurrato, come una specie di confessione. Claire alzò lo sguardo su di lui.

Ma sono piuttosto bravo ad aggiustare. – aggiunse con un mezzo sorriso.

Aggiustare? A questo non aveva pensato. Ma era possibile aggiustare quello, aggiustare loro? Non erano irrimediabilmente incrinati, in frantumi, lacerati?

E se non si potesse? Certe cose non le si può aggiustare. –

Gabriel addentò un altro biscotto: – Vale la pena tentare. –

Ne vale davvero la pena? – gli chiese con lo sguardo, senza avere il coraggio di dirlo a voce.

Lo vide inforcare gli occhiali e scrocchiare le dita per rimettersi al lavoro. Quel lavoro noioso e certosino, che a lei avrebbe succhiato la poca pazienza che aveva e l'avrebbe ridotta ad un fascio di muscoli rigidi e indolenziti. Ma lui lo amava. E Claire scoprì che le piaceva guardarlo mentre faceva le cose che amava.

Sì, ne valeva la pena. Lo aveva appena deciso.

~~~

Claire passò ancora, molte altre volte. E portava sempre i biscotti.

Se ne stava seduta su uno sgabello al bancone e leggeva: gli appunti delle lezioni o Lolita, a seconda di come le girava e di quanto era indietro con lo studio. Gabriel lavorava poco più in là, curvo sul panno nero, con quegli occhiali assurdi sul naso e la luce netta della lampada che faceva più profondo quel solco tra le sopracciglia che gli veniva quando era concentrato.

Per lo più se ne stavano in silenzio, ognuno preso nelle sue incombenze. Poi un commento – bastava poco – e partivano a parlare e non la finivano più. E poi c'erano le pause: il the era diventato un rito. Più faceva freddo, più era piacevole berlo – più era bello stare lì e berlo con lui.

Quel fiotto di calore che la scaldava ad ogni sorsata le ricordava quell'altro calore, quello che ogni notte sentiva più forte e vicino. Quello che le dava lui.


.~:°:~.


Che ci facciamo qui? –

Claire distolse gli occhi dal libro e li alzò su di lui, stupita dal suo tono frustrato.

Quello che facciamo ogni giorno: cerchiamo di conquistare il mondo. –

Già dato. – sogghignò, stiracchiandosi – È una bella giornata, andiamo fuori. –

Ma... il negozio? –

Gli orari li faccio io. – ribatté spegnendo la lampada e coprendo il lavoro lasciato a metà.

Eddai, sei pallida come un cadavere. – la prese in giro.

Sarai bello tu! – fece lei risentita.

Andiamo al parco, ci crogioliamo al sole. – propose invitante.

Aveva voglia di stare con lei e basta. Aveva voglia di fare cose normali con quella ragazza anormale, che aveva tirato dentro la sua vita a forza e che adesso pareva si fosse adeguata di buon grado e non sembrava aver intenzione di schiodarsi di lì. Era una sensazione troppo bella per tenerla chiusa tra le quattro mura di un laboratorio polveroso.

E il the? –

L'aveva già convinta, stava solo facendo la preziosa.

Incrociò le braccia sul petto: – Niente the. –

Ma come?! – protestò.

Cioccolata. –

Il viso di Claire s'illuminò.

Adesso sì che si ragiona! – disse chiudendo il libro e saltando giù dallo sgabello.

~~~

Di giorno Gabriel non la toccava mai. Era come se la luce creasse un muro tra di loro, che si abbassava assieme al sole. Così quando Claire gli prese la mano per lui fu strano, come se si toccassero per la prima volta. E in un certo senso era così.

Si lasciò condurre sul prato e la imitò quando si stese sul manto di foglie secche, in una macchia di sole. Le mani intrecciate dietro la nuca, Gabriel chiuse gli occhi contro la luce e sospirò.

Si scaldarono al sole come lucertole, beandosi del silenzio e della quiete. Gabriel non provava assolutamente niente: c'era solo una tranquillità sconfinata. Era in pace. Era sempre così quanto stava vicino a Claire, lo era da quando si era presentata al laboratorio con quel sacchetto di biscotti e gli occhi fiduciosi.

Gli sembrava di non aver avuto per le mani niente di più difficile da aggiustare, ma quando finalmente un pezzo tornava al suo posto, quando vedeva combaciare due ingranaggi, la soddisfazione era tale da ripagarlo di ogni fatica.

Che cosa si prova? – la sentì dire a un tratto.

Gabriel si voltò verso di lei. Non lo guardava, tormentava un bottone della giacca con aria pensierosa.

A fare che? –

Era un po' tesa quando glielo disse: – Ad essere un empatico. –

Saettò lo sguardo dall'erba umida alle sue dita che non lasciavano in pace il bottone.

Non è facile da spiegare. – disse semplicemente.

Claire annuì secca e non disse niente. Aveva bisogno di un segnale, una prova, una qualsiasi cosa che le confermasse quello che sentiva già: che lui era umano. Aveva bisogno che si aprisse con lei. A pensarci bene, ne aveva bisogno anche lui.

Ti svegli un giorno e scopri che puoi sentire la gente. –

Claire gli lanciò un'occhiata in tralice. Tutta quell'attenzione da parte sua non l'aveva mai ricevuta.

Non è bello. – aggiunse – Nessuno t'insegna ad arginare quello che senti. All'inizio fai fatica a distinguere quello che provi tu da quello che provano gli altri. Ti confondi. E poi... –

Claire si stese su un fianco e piegò il braccio, posando la testa sulla mano.

Poi cominci a spiare. – disse riluttante – Scopri un sacco di cose. C'è molta più gente felice ai funerali che ai matrimoni. –

Davvero? – fece lei scettica.

Più di quanta ne immagini. – commentò cinico – È un brutto mondo. –

Ma va? – disse sarcastica.

Le rivolse un sorrisetto stentato.

Ma lo sai cosa si sente di più? Sai cosa prova la gente di solito? – le chiese tornando serio.

Claire scosse la testa, curiosa.

Niente. –

Lo guardò attenta.

Indifferenza. Sono tutti chiusi a doppia mandata e ti chiedi chissà cosa c'è dentro. Poi lo vedi: il nulla. – disse amaro.

Non deve essere bello sentire questo... nulla. – azzardò lei.

Già. Ci resti male. – confermò adombrandosi – Faresti di tutto pur di sentire qualcos'altro. –

Tipo aprire la testa alle persone? – gli chiese ironica, fingendo una leggerezza che non aveva.

Tipo. – confermò scrutandola.

L'aria si era fatta tesa.

Quello che si prova ad un passo dalla morte è inebriante. –

La vide alzarsi a sedere e mettersi a gambe incrociate. Era impaurita: mancava tanto così dal farla scappata via.

Me lo ricordo. – rifletté – Non lo facevi per i poteri. Quello era... –

Ecco, ci era arrivata.

La ciliegina sulla torta. – concluse alzando le sopracciglia.

Adesso. Adesso se ne sarebbe andata via. Si era fottuto, così imparava a dire la verità.

E invece no.

Ci sei mai riuscito? – gli chiese – A riempire quel vuoto, dico. –

Così credevo, ma a quanto pare... –

Restarono per un po' in silenzio, persi nei loro pensieri. Se non era ancora scappata forse – forse – c'era davvero una microscopica possibilità. O forse avrebbe ricordato quel giorno come la definitiva presa di coscienza che certe cose proprio non si possono aggiustare.

E adesso? – la sentì dire – Come fai senza più...? –

Gabriel batté le palpebre e la guardò.

Ho trovato... altro. – disse cauto, osservando le sue reazioni.

Claire sosteneva il suo sguardo. La paura era mutata: era di altro tipo, era più sfumata e dolce.

Tipo me? –

Tipo te. –

Non credeva che sarebbe stato così facile dirlo. Gli era semplicemente scivolato fuori dalle labbra prima ancora di pensarlo. Adesso quelle parole avevano creato un filo, sottile e luminoso, delicatissimo, tra lui e Claire.

Che cosa senti? – gli bisbigliò.

Tu che cosa senti? – le chiese di rimando.

Le sensazioni che provava Claire quando andava da lei erano troppo contrastanti, non voleva mai fermarsi ad analizzarle. Le faceva scorrere e basta, gli piaceva sentirle attraversarlo, le lasciava passare senza trattenerle.

È come... – il suo respiro si fece irregolare.

Scosse la testa mordicchiandosi un labbro.

Non lo so. – confessò – Però è bello. –

Già. –

Lei non aveva nemmeno idea di quanto fosse bello, di quanto lo riempisse ogni volta, cancellando quel vuoto immenso che aveva dentro.

Frastornato, la osservò scostarsi una ciocca dietro l'orecchio e chinarsi su di lui. Quel casto bacio scoccato sulla guancia era l'ultima cosa che si aspettava. Mosse la testa e respirò il profumo dei suoi capelli. Per un attimo si guardarono senza parlare.

Cioccolata? – propose lei con un sorriso.

Gabriel annuì. E capì di essere passato dal patetico “dove la trovo un'altra?” ad un più speranzoso – e pericoloso – “dove la trovo un'altra così?”.

Si alzarono, spazzolando via le foglie secche attaccate ai vestiti. Gabriel le tolse una fogliolina rimasta incastrata tra i capelli. Se la rigirò tra le dita, facendo finta di non notare il suo rossore – diamine se aveva voglia di baciarla.

Che carina! –

Claire tirò fuori Lolita dalla tracolla e l'aprì al punto dove era arrivata, sfilò il segnalibro e restò in attesa. Voleva conservarla? Un souvenir della loro piccola gita?

Si rovinerà. – le fece notare.

Scrollò le spalle: – Si rovinerà anche se... che stai facendo? –

Stava usando il potere che di solito usava nei periodi di magra, quando non aveva i soldi per pagare l'affitto. Claire guardò sconcertata la fogliolina d'oro che le stava porgendo.

Non credo che sia legale, Mr Goldfinger. –

Gabriel inarcò un sopracciglio: di tutte le cose illegali che aveva fatto, si preoccupava di quella?

Ti ci vedo come Bond girl. –

Certo, – ridacchiò – sono bionda! –

La guardò divertito mentre canticchiava “he's the man, the man with Midas touch”. Doveva portarla fuori più spesso.

~~~

Sì, sì, lo so! – rispose ai miagolii insistenti che sentiva provenire da dietro la porta.

Gatto lo accolse con uno sguardo di puro sdegno. “Dove sei stato?” dicevano i suoi occhi indagatori “E perché la mia ciotola è vuota?”.

Lasciò le chiavi sull'ingresso e si tolse il cappotto: – Ho avuto da fare. –

Gatto non smise la sua aria di rimprovero.

Ero con Claire. –

Nessuna risposta. Si era piazzato vicino alla ciotola e lo fissava. “È ancora vuota” sembrava dirgli.

Sono stato bene. – raccontò mentre la riempiva di croccantini – Anche lei è stata bene. –

Un vago “miao” – della serie “sì, ti sto ascoltando”.

Lo accarezzò distrattamente: – Mi ha dato un bacio. –

Non un bacio-bacio. – aggiunse – Però... –

Si rimise in piedi scotendo la testa. Quella storia di parlare col gatto doveva finire, subito.

~~~

Ogni volta che entrava nella sua stanza si sentiva un ladro, un invasore sgradito. Poi la percepiva, tutta quella sua curiosità, l'ansia dell'attesa, il sollievo di vederlo. E si sentiva come non si era mai sentito: accolto.

Sarebbe mai passato il timore del rifiuto? Se lo chiedeva sempre. Ma Claire aveva la capacità di togliere dalla sua mente ogni domanda. Gabriel viveva quelle notti con la testa leggera, svuotata delle sue paranoie, pronta per essere riempita da ciò che sentiva, da ciò che sentivano entrambi.

Quella sera c'era dell'altro. Percorreva l'aria su quel filo sottile che avevano appena creato, ci danzava sopra. Era aspettativa. Dolce, esitante, insopprimibile aspettativa. La vide scorrere sul filo e arrivare a lui, contagiandolo irrimediabilmente.

Grazie. –

Non le aveva mai parlato. Gli occhi di Claire brillarono nel buio.

Vale la pena tentare. –

Altro che ringraziamenti, quello meritava un premio. Tipo un bacio. Dopotutto era stata la giornata dei baci, perché non poteva essere anche la nottata dei baci?

Poteva eccome.

Gabriel si chinò su di lei, proprio come lei aveva fatto solo qualche ora prima. L'aspettativa smise di scorrere e il filo si tese, brillò, ornato da qualcosa di meno netto ma molto, molto più promettente. Qualcosa che non sarebbe scivolato via tanto facilmente. Doveva solo permettergli di restare, rafforzare il filo.

Claire gli avvolse il collo con le braccia e affondò le dita nei suoi capelli. E Gabriel sentì il vuoto riempirsi ancora una volta.

   
 
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