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Autore: F a i r    20/10/2010    1 recensioni
E se la storia che conosciamo, non sia la vera storia? Se ci fossero avvenimenti di cui ignoriamo l'esistenza o se alcune azioni avessero altri moventi?
La storia di Naminé e Roxas forse non è proprio come ce l'hanno raccontata. O forse sono io che ho sempre voluto che fosse così.
"Alzò il capo e disse al suo migliore amico: «Stalle accanto e prenditi cura di lei, d'accordo?»
La sua era quasi una supplica. Dai suoi occhi traspariva una preoccupazione che non sarebbe dovuta esistere in un Nessuno.
Axel rimase sorpreso dal tanto affetto che Roxas aveva per Naminé.
«Sta' tranquillo» promise. «Lo farò»."

PS: Alcune scene che troverete esistono davvero in KHII, mentre altre sono completamente inventate. Enjoy (:
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel, Naminè, Roxas, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II
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Chapter V: Ricordi
Si sentiva strano con un grande peso sulla testa. C‘erano molti ricordi che ronzavano in tondo e li rivedeva senza alcun ordine.

Si rivide nella stanza di Naminé al castello di Xemnas. La stava abbracciando, la teneva stretta a sé. Nessuno avrebbe potuto portargliela via. Rivide i suoi occhi, il suo sorriso. Solo ora si rendeva conto che forse non era stato abbastanza con lei, non le aveva detto quanto teneva a lei e quanto temeva di poterla perdere.


Una sensazione di disagio lo investì all‘improvviso: si sentiva in colpa per ogni sua mancanza.
In un istante, la scena cambiò:


Vide se stesso in uno dei tanti luoghi che aveva visitato, nel suo lungo viaggio lontano da quel che conosceva. Era solo. E i suoi occhi vedevano soltanto Naminé e Axel in trappola, senza che nessuno potesse aiutarli.
Guardava le stelle, e tentando di scacciare via quei pensieri, cercava di immaginarseli salvi e… felici. Sarebbero stati felici senza di lui? E se lui fosse stato solo d‘intralcio nelle loro vite?

Se non lo avessero conosciuto non avrebbero corso tutti quei rischi: avrebbero vissuto una vita normale, come quella di un qualsiasi altro Nessuno.

Lo scenario cambiò ancora:

Si trovava al Grattacielo della Memoria con Axel.
«… Come la prenderebbe Naminé?» stava dicendo il rosso.
«Neanch‘io voglio andarmene» esclamò Roxas esasperato. «Ma è l‘unico modo per proteggerla!»
«Non ci pensi mai, eh?»
«Di che parli?»
«Di me!» esordì Axel. «Non ti viene mai in mente che anche a me mancheresti e non passerebbe un solo giorno durante il quale mi chiederei dove sei e se stai bene?»
Il ragazzo rimase in silenzio, lo sguardo sul pavimento.
«Mi fa male, Roxas, capire che non ci pensi mai» ammise.
«Axel, io…» cominciò Roxas, ma la sua voce era tanto bassa per il dispiacere che l‘amico non avvertì le sue parole.
«Potresti andare via senza neanche dirmi dove vai e assicurarmi che starai bene» proseguì Axel che ormai pensava ad alta voce. «Non puoi farlo, Rox! Ti prego non andare».
Il ragazzo capì subito che quella di Axel era una supplica: solo Naminé lo chiamava così. Se Axel era arrivato a tanto voleva dire che ci stava soffrendo davvero molto: teneva a Roxas più che a chiunque altro.


La mente di Roxas viaggiò per altri ricordi, alcuni molto confusi, altri più nitidi e si fermò su uno molto speciale:


Dormiva. Stava facendo un altro di quei sogni che riguardavano Sora. Aprì gli occhi e si alzò a sedere, quando andò a sbattere la fronte contro quella di Axel.
Il ragazzo balzò lontano dal letto con le mani sul volto.
«Questo succede quando mi guardi dormire!» disse Roxas brusco, non si era fatto molto male.
«Nessuna pietà, eh?» sbottò Axel un po‘ risentito.
«Perché dovrei?» rincarò Roxas. «E‘ un tuo difetto guardarmi dormire!»
«E‘ questo il modo di parlare ad un amico che è tornato da una lunga missione?»
Era la prima volta che Axel diceva che erano amici. Amicizia… Un sentimento che non poteva esistere fra Nessuno. Eppure con Axel, Roxas aveva un‘affinità speciale che non aveva con nessun altro membro dell‘Organizzazione.


Alla parola amici, Roxas si era sentito rassicurato. Dal fatto che Axel non ce l‘avesse con lui per tutto quello che aveva dovuto sopportare per colpa sua.
Aveva combinato un bel pasticcio facendosi catturare da Riku. Non aveva la minima idea di quello che gli sarebbe successo e lo temeva.


«Mi dispiace, domani non posso» disse Roxas con voce fredda.
«Va bene» rispose Xemnas senza sorpresa. «Ma voglio che quel lavoro sia finito! Trova un ritaglio di tempo!» Il suo tono era leggermente impaziente, ma ci teneva a non farlo capire.
Gli altri membri bisbigliarono qualcosa che Roxas non afferrò. Lanciò un‘occhiata ad Axel che lo guardò serio e gli fece capire di non aggiungere altro.
«Non voglio discussioni» ricominciò Xemnas rompendo il silenzio. «Non ho altro da dirvi». Detto questo scomparve in un corridoio oscuro.
Gli altri membri si divisero e alcuni scomparvero come Xemnas, altri uscirono usando la porta della stanza riunioni.
Axel e Roxas usarono la porta e si poteva affermare che avessero una certa fretta. Xigbar e Xaldin si erano fermati a perder tempo, quando i due li superarono e Xaldin, afferrando Roxas per una manica, chiese malevolo: «E cos‘hai da fare di tanto importante?»
«Già, sei molto impegnato?» fece eco Xigbar.
Prima che Axel potesse dirgli di non rispondere, Roxas lanciò un’occhiataccia a Xigbar e intervenne rivolgendosi solo a Xaldin: «Non sono affari che ti riguardano». Il suo tono era secco e distaccato.
«Hey ragazzino non rispondermi così, ti faccio vedere io…»
«Tu cosa, Xaldin?» intervenne Axel, intromettendosi fra i due. Lo fissò negli occhi con sguardo freddo da gelare le ossa. Afferrò il braccio di Xaldin, che lasciò andare Roxas, e disse in tono sommesso come se gli stesse confidando un segreto: «Prova a toccarlo e ti faccio pentire di essere nato». La sua voce era pacata, gelida. Per un momento, Roxas non lo riconobbe: non era da lui perdere le staffe a quel modo.
Axel lasciò il braccio di Xaldin con uno strattone e si allontanò con Roxas in tutta fretta.


Ripensando a quella scena, a Roxas venne da ridere. Aveva ammirato il suo modo di tenere testa a Xaldin. Axel non aveva mai mancato alla sua promessa di difenderli, sia Roxas che Naminé. Roxas gli era riconoscente per quella sua protezione. Per lui era più di un amico: era come un fratello maggiore. Gli chiedeva consiglio per qualsiasi cosa e Axel non gli diceva mai che non aveva tempo o che c’erano cose che non poteva dirgli. Aveva abbandonato quella tattica molto tempo addietro.

«Ma l‘hai sentito?!» sbottò Axel irritato, quando fu sicuro che fossero soli.
«Dài Axel, sai com‘è fatto» disse Roxas tentando di calmarlo.
«Se mi capita di nuovo sotto tiro non immagini che gli succede!» continuò il rosso che ancora ribolliva di rabbia. «Ti faccio vedere io… Se prova a sfiorarti imparerà cosa vuol dire correre a gambe levate con il soprabito in fiamme!»
«Non credi che dovrei essere io quello in escandescenza?» gli fece notare Roxas con una nota di ironia nella voce.
Ad Axel, che stava per continuare a sfogarsi, morirono le parole in gola. «Hai ragione» si scusò mettendosi una mano dietro la nuca.
«E poi non è contento se ogni volta non mi minaccia di morte» proseguì Roxas. Fece un pausa. «Ci sono abituato» concluse con voce sommessa.
«Dovresti reagire un po‘ invece» rispose Axel con voce più gentile.
Roxas abbozzò un sorriso. «Credo che ormai i miei problemi siano finiti. Oggi è l‘ultima riunione per me, no?»
Axel non rispose subito. Era come se stesse cercando le parole più giuste per confortarlo. Alla fine optò per qualcosa di più semplice, perché disse: «Vedrai che andrà tutto bene».


Subito dopo si erano diretti da Naminé per permettere a Roxas di salutarla.

Ripensò a quando l’aveva conosciuta per la prima volta.
Aveva notato che Axel la proteggeva spesso dai membri dell‘Organizzazione; un giorno però gli aveva proposto di conoscerla. Era una ragazzina timida o, per meglio dire, spaventata, semplice e molto gentile. Aveva sempre un blocco per disegnare fra le mani.
Ma furono proprio la sua bellezza e semplicità a colpire Roxas che da allora non faceva altro che parlare di lei con Axel.
«Tu sei cotto, amico mio» lo punzecchiava lui ogni tanto e Roxas lo guardava male.
Ricordò i suoi occhi, i suoi capelli, il suo sorriso e il profumo di gelsomino che la avvolgeva sempre.


Gli mancava tanto, ma era felice di averla conosciuta: era tutto quello che aveva e non aveva intenzione di rinunciarci per quella stupida Organizzazione o chiunque altro si fosse posto fra loro. Lei era la ragione più importante per la quale continuava a respirare e combattere; senza di lei la sua vita non avrebbe più avuto senso: sarebbe stata… vuota. Lui sarebbe stato un Nessuno qualsiasi: era sicuro di essere speciale grazie a lei.

Erano tutti e tre sulla Torre della Stazione a Crepuscopoli a mangiare il gelato al sale marino. Osservavano il tramonto come rapiti.
Roxas tentò di ricordare ogni minimo dettaglio di quel momento: gli odori, i sapori, le sensazioni… Quando l‘aveva vissuta, non gli era sembrata una situazione da ricordare. Se avesse saputo che sarebbe stata l‘ultima volta che sarebbero stati insieme senza preoccupazioni, era sicuro che l‘avrebbe apprezzata di più.
Uno dei migliori giorni della sua vita.

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