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Autore: MaxT    22/10/2010    7 recensioni
“Non si può fermare l’inverno, ma si può seminare per la primavera”. Adariel Escanor, sesta Luce di Meridian. Questo prequel racconta gli avvenimenti culminati con l’ascesa al potere di Phobos, la lotta di una regina morente per assicurare un futuro al suo mondo e la fuga sulla Terra dei genitori adottivi di Elyon con la predestinata al trono di Meridian.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Phobos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian'
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15-salto nel passato  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la recensione. Mi chiedi se Jonatludr tornerà mai alla corte di Phobos: sinceramente non lo so. In Witch n.61, all'interno del libro si vede una breve scena buttata lì in cui Phobos parla con Jonathan Ludmoore (non più giovane) incaricandolo di trovare un modo per forzare la muraglia, quindi un breve ritorno potrebbe starci, in un futuro-passato che non viene coperto dalla Luce. Il destino riserverà a Jonathan Ludmoore proprio ciò che la leggenda tramanda, a dispetto della sua fiducia nel suo trucco per prevenire ciò. Tant'è vero che nella quinta serie di Witch siamo quasi sempre davanti a un libro parlante o a un occhio volante; le immagini del mago sono poche, perlopiù nel n.62.
Cara Melisanna, sono sempre contento di sentirti. I riferimenti a 1984 sono numerosi anche perchè per me è una fonte d'ispirazione. Per una felice coincidenza, la tempistica di questa serie mi ha consentito di ambientare La Luce al tramonto proprio nel 1984. Dopo l'inizio volutamente lento per coprire il periodo della gravidanza della regina, ora i ritmi della storia sono destinati a diventare sempre più veloci.
Cara Silen, sono contento di poter sempre contare sul tuo appoggio. In effetti, il personaggio disadattato e strumentalizzato di Jonatludr piace anche a me, non dal come persona ma piuttosto per le sue potenzialità di essere inserto in una trama interessante, e mi dispiace che esca di scena. Però, come vedremo in questo capitolo, volergli bene è una cosa che può costare molto cara. Faccio notare che, tra i suoi pensieri quando si è reso conto di essere stato abbandonato, non ce n'è stato uno per la madre e il fratello, che invece...

Ed ora qualche parola su questo capitolo, che è ambientato circa un giorno dopo la fine del precedente, ma a Meridian, dove qualcuno sta ancora pensando a Jonatludr. Abbiamo già incontrato Eliasdal, che questa volta ritroviamo nel suo studio in soffitta, e sua madre Odridel; faremo la conoscenza anche di suo marito, il sergente Luduvik della guardia di palazzo, personaggio che resterà comunque marginale.
Per dare il giusto peso ad alcune frasi di Eliasdal, vale la pena ricordare che, nel bellissimo WITCH n.5, lui appare imprigionato per l'eternità in un suo stesso quadro per ordine di Phobos. 
Per capire meglio alcune scene, ricordo che la rotta del teletrasporto da Meridian a Heatherfield è in tre parti: da Meridian fino al'ingresso del portale naturale, che fluttua nel cielo del metamondo; attraverso il portale, che sbocca sull'Atlantico; e da qui a Heatherfield, che ho supposto sulla costa est degli USA (nel fumetto la sua collocazione è volutamente lasciata in vago, ma questa è la più compatibile con quanto ci mostra).
Faccio anche notare che la scena finale è la ripetizione esatta di un'altra che appare a metà capitolo.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 15

Salto nel passato
 
 

                                      Ti renderai conto da solo di cos’è l’unicità della linea temporale.

Lord Cedric

 

Meridian, soffitta-laboratorio di Eliasdal

Quando la luce che entra dal grande abbaino della sua soffitta comincia a declinare, Eliasdal deve rassegnarsi a riporre i pennelli.
Seduto sullo sgabello, guarda con rammarico la tela sul cavalletto: anche questo ritratto di Phobos non riesce a cogliere la somiglianza.
In piedi dietro di lui, Odridel osserva: “Elias, non capisco perché tu ti accanisca a dipingere un quadro che nessuno ti ha commissionato”.
Lui sospira. “Abbi pazienza, mà. E’ da un bel po’ di tempo che il principe Phobos non si fa vedere in pubblico, e vorrei fissare i miei ricordi prima che si sfumino troppo”.
Lei scuote il viso, rabbuiata: “Invece, se c’è una persona che vorrei dimenticare, è proprio lui”. Osserva un attimo il volto altero che li guarda dal quadro. “L’attaccatura del naso non va così stretta”.
Eliasdal riguarda il suo lavoro e annuisce. “Sai, mà, neanch’io penso a Phobos volentieri. Dipingerlo è un modo di esorcizzare la paura che mi fa. Mi sembra in qualche modo di delimitarlo, di controllarlo. Come se lo potessi racchiudere in un quadro”.
“A me, invece, sembra che ora sia lui a controllarci da tutti i lati”, scherza la madre, indicando gli altri tre ritratti mal riusciti dai quali Phobos li guarda arrogante. “Non azzardarti ad appenderne qualcuno giù in casa, d’accordo?”.

Dal piano di sotto si sente lo scatto della serratura, e il cigolio di una porta che si apre.
“Tuo marito deve essere tornato, mà”.
Lei si dirige verso le scale. “Non pretendo che tu lo consideri tuo padre, ma vorrei almeno che lo chiamassi per nome”.
“Va bene, mà. Luduvik deve essere…”.
La voce dal basso la richiama. “Odridel! Sei qui?”.
“Eccomi”.

Quando raggiungono Luduvik nel soggiorno, ancora vestito con l’uniforme grigia e verde di sergente della guardia di palazzo, notano subito la sua espressione preoccupata.
“Odridel, Eliasdal, oggi ho saputo una cosa grave”, esordisce, “Kandrakar ha bloccato tutti i trasferimenti da e per la Terra”.
“Cosa?” chiedono a una sola voce.
“Avevano dato un giorno di preavviso per ritirare tutti gli agenti, ma ora è scaduto. Che voi sappiate, Jonatludr è ancora lì?”.
La pelle verdina di Odridel sbianca. “N…no… non so”.
“Noi non lo vediamo da due settimane” aggiunge Eliasdal, “Andrò a cercarlo nel suo appartamento in centro”.
Luduvik scuote il viso. “Sono già passato di lì, e non c’era. Ho già fatto chiedere a Lord Cedric. Loro non lo hanno richiamato”.
“Lo… lo hanno dimenticato lì?”. Odridel si accascia su una sedia. “Mio figlio… tagliato fuori dal suo mondo!”. Scuote il viso, si copre gli occhi già lucidi, e scandisce con voce quasi di pianto: “Lo sapevo che quella era una cattiva strada! Una madre le sente, certe cose!”.
Ponendole le mani sulle spalle, Luduvik cerca di tranquillizzarla: “Secondo Cedric, non è in pericolo: la guardiana di Kandrakar non ha mai minacciato i nostri agenti”.
Lei sospira: “Almeno questo! Ma Jonat è uno… insomma, si è messo tante volte nei guai da solo. E se succedesse anche con Kandrakar, o con la polizia terrestre?”.
Eliasdal conviene: “Quella volta dello spiritismo è stata la più grossa, ma non l’unica”.
Lei insiste: “Mio figlio è un genio della magia, ma avrebbe bisogno di una guida di buon senso. Magari una donna…”.
Eliasdal riflette ad alta voce: “E se lo raggiungessimo? Mi ha spiegato molto in dettaglio i principi del viaggio nel tempo, e credo che il primo prototipo della sua attrezzatura sia ancora nella sua camera. Abbiamo pure le chiavi di casa sua”.
Luduvik si stupisce: “Credevo che Jonatludr fosse tenuto al segreto su queste cose”.
Il pittore risponde: “Mio fratello era orgogliosissimo della sua invenzione, ma Phobos gli ha proibito di attribuirsi meriti. In qualche modo lui si è sfogato con me in privato, parlandomene per ore”.
“Davvero potremo raggiungerlo?” chiede speranzosa Odridel.
“Credo di sì, tornando indietro nel tempo di… di quanti giorni, Luduvik? Quando è stata attivata la Muraglia?”.
“Almeno tre giorni fa”.
Lei incalza: “Quindi, se torniamo indietro di una settimana, possiamo teletrasportarci sulla Terra, avvertirlo e tornare indietro con lui!”.
“Forse sì. Però servirebbe il sigillo di teletrasporto già programmato per la Terra”. Eliasdal riflette un attimo. “Luduvik, sapresti procurarmelo?”.
Il sergente si trincera dietro le braccia conserte, mordendosi il labbro.
“Ti prego, Luduvik”, lo supplica lei.
Lui, combattuto, si stropiccia nervosamente i galloni gialli su una manica. “Se mi dovessero scoprire, rischierei molto grosso”.
“Se non lo fai per Jonatludr, fallo per me!”, insiste Odridel, questa volta con un tono quasi da ultimatum. “Ti prego”, addolcisce alla fine.
Lui annuisce riluttante. “Ci proverò” esala dubbioso.
 

Meridian, appartamento di Jonatludr, mezz’ora dopo

Eliasdal e Odridel si guardano attorno: polvere e sporcizia regnano sovrane nel piccolo soggiorno abbandonato, assieme al tipico disordine di un giovane solitario i cui interessi sono molto lontani dalla quotidianità. Sulle mensole restano pile di libri ingialliti, appunti  sgualciti e oggetti talvolta indefinibili, ma perlopiù rotti.
Odridel scuote il viso con disapprovazione. “Avrebbe bisogno di una donna, non di tanti libri”.
Lui osserva gli ampi vuoti rimasti sulle mensole. “Si è portato via il meglio che aveva, ma sono sicuro che il primo prototipo della sua attrezzatura è al piano di sopra, in camera sua”.

Salendo le scale, si trovano in un’altra stanzetta semibuia dal soffocante odore di chiuso.
“Un po’ d’aria”, sbuffa Odridel aprendo la finestra cigolante.
La luce della sera mostra una stanza da letto completamente sfatta, nella quale i ragni hanno già iniziato a rivendicare i loro piccoli territori negli angoli.
Anche qui, appunti e quaderni sono stati sommariamente impilati sugli scaffali.
Da sotto le pagine ingiallite si nota un fascicolo dai fogli lucidi e colorati, dal quale ammiccano alcune chiazze di un insolito rosato.
Eliasdal lo sfila, con un presentimento.
E’ una rivista terrestre.
“Eccole, le donne”, esala lui col fiato mozzato davanti a una rivista per soli uomini.
A Meridian si parla di sesso piuttosto liberamente, ma mostrare in pubblico un corpo anche solo un po’ scoperto è un’altra questione.
A rinforzare lo shock, agli occhi di ogni meridiano l’aspetto di queste scostumate aliene ricorda fin troppo quello della Regina.
Lei gliela prende e sfoglia qualche pagina con una smorfia di disgusto, poi la ripone nella polvere. “Lui avrebbe voluto essere così…”, dice triste, alludendo alla vivace pelle rosata delle modelle, ben diversa da quella della donna che lo ha messo al mondo.
Eliasdal cerca di scacciare la scioccante visione di seni e glutei rosati, poi si guarda attorno.
In un angolo della camera sono accostati quattro grandi specchi, uno dei quali incrinato. In un altro angolo, a contendere il posto ai vestiti sporchi, c’è un conversore psicoenergetico simile a quello che ha visto mesi prima, durante la sfortunata dimostrazione di Phobos.
“Dovrò riguardarmi un po’ queste cose”, ammette perplesso.
Lei indica ancora la rivista. “Io vado giù a bruciarla, e comincio a ripulire questa tana. Se trovi altre di queste oscenità, portamele in cucina. Ci mancherebbe solo che Jonat vada nei guai una volta di più”.

Poco dopo, rimasto solo davanti a ciò che è riuscito a mettere assieme, Eliasdal riflette. L’attrezzatura sembra quasi completa, e ciò che manca si può procurare facilmente.
Un discorso a parte è l’acqua magica: durante la prova alla Torre dei Veglianti, aveva notato che il conversore consumava litri della preziosa risorsa ad ogni tentativo. Come procurarsene tanta? La sua scorta personale coprirebbe forse un quarto del fabbisogno. Dovrà comprarne altra, dando fondo ai risparmi e vendendo qualche oggetto prezioso di casa.
Poi inizia a riflettere sulle problematiche delle quali Jonatludr gli ha disquisito a ruota libera.
Lui intende tornare indietro nel tempo di una settimana; facendo così, corre il rischio di incontrare sé stesso? E’ sicurissimo di non aver mai fatto alcun incontro del genere. Ciò significa che il suo salto indietro è destinato a fallire, o che sarà ben attento a evitare i luoghi dove è stato?
Si riguarda attorno: lo stesso locale in cui si trova ora non mostra segni di un suo passaggio la settimana prima. Come va interpretato ciò?

Scende le scale fino in soggiorno, dove le fiammelle arancioni hanno già cominciato a guizzare nel caminetto, cancellando le pericolose oscenità di quella pubblicazione patinata.
Odridel, indaffarata a spazzare con una scopa, gli chiede: “Ne hai trovate altre?”.
“No, mà”. Esita un attimo, poi cerca di darsi un tono deciso: “Vorrei chiarire una cosa: è meglio che vada a cercare Jonat da solo”.
Lei si scurisce in volto. “Non se ne parla, Elias. Se pensi che sia pericoloso, piuttosto vado io”.
“No, mà. Tu non sai usare né la macchina, né il sigillo di teletrasporto che serve per tornare indietro”.
“Posso imparare”.
“Serve almeno un po’ di potere per l’interfaccia di guida del sigillo, e tu ne sei quasi priva”.
Lei torce il viso. “Temi che potremmo non tornare indietro?”.
“E’ un rischio”, deve ammettere lui.
Riprende caparbia: “Se è così, Jonat avrà bisogno di me, più ancora che di te”.
“E come potresti confonderti con i terrestri, tu?”. A dimostrazione di quanto dice, senza un gesto Eliasdal si fa sparire dal viso le striature verdine, restando con un credibile aspetto terrestre. “E so anche un po’ di inglese”, le dice stentatamente in una lingua che lei non conosce, ma che scopre di comprendere comunque. “Me l’ha insegnato papà con un trasferimento di memoria”.
Odridel si morde il labbro: “Sono sicura che riuscirai ad aiutarmi nella trasformazione”.
Eliasdal deve annuire. “Non è impossibile. Anzi, per come si stanno evolvendo le cose a Meridian, potrebbe quasi essere meglio non tornare affatto”.
Lei lo guarda incredula e scuote il viso. “E Luduvik? Lui non fuggirebbe mai, ne sono certa. E non restituirgli il sigillo significa abbandonarlo nei guai”.  Prende fiato, poi decide: “Elias, noi partiremo con l’idea di tornare, e vedremo cosa il destino ha in serbo per noi”.
 

Meridian, uscita del palazzo reale, il pomeriggio seguente

Scendendo il curvo scalone di uscita del palazzo reale, Eliasdal non ha mai mancato l’occasione per scrutare con occhi d’artista la città sottostante da quel posto d’osservazione privilegiato.
Oggi, però, ha ben altro in testa. Offrendo in cambio molti quadri della sua collezione e vari oggetti di valore, è riuscito a ottenere da amici e conoscenti un bel po’ di fialette di acqua magica dai bagliori verdini. Ormai ne ha raccolti più di due litri: basteranno.
Certo, è una ricchezza che verrà spazzata via in un soffio, ma il suo dovere di fratello e soprattutto di figlio lo esige.
Dopo la scalinata, si dirige verso la strada che, scendendo verso il centro città, segna il calcare della scarpata come una cicatrice a forma di Z.
Camminando immerso nei suoi pensieri, è arrivato quasi fino al primo tornante, quando gli sembra che qualcuno lo stia chiamando da lontano. Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare tra i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa; ora ha da fare qualcosa di fin troppo importante.

Quando arriva nella casa di suo fratello, sua madre è già lì. “Ne ho approfittato per fare ancora un po’ di pulizie”, spiega lei, indicando con orgoglio il soggiorno e la cucina ben ordinati.
“Brava” conviene distrattamente lui, “Hai il sigillo?”.
“Eccolo”. Gli mostra la placchetta romboidale legata a un laccio di cuoio. “E’ proprio del tipo usato per la Terra”. Sulla superficie smaltata spiccano due tondi azzurri, collegati da una freccia a doppia punta.

Quando sono pronti, in piedi tra quattro grandi specchi, il sole è già calato, e la candela sul cassettone illumina la stanza con la sua luce rossiccia e tremolante. Nella bacinella vicino al conversore psicoenergetico, il chiarore verdolino dell’acqua magica spicca nella penombra.
I due hanno ormai modificato il loro aspetto originale quanto basta per essere scambiati per terrestri. Lui distoglie lo sguardo dalla madre,  cercando di scacciare il ricordo delle oscene fotografie della rivista. “Buona fortuna, mà”.
“La fortuna aiuta gli audaci”, risponde lei.
Lui inizia la sequenza mentale. Quando riesce a ripeterla in modo abbastanza veloce, gli specchi cominciano a scintillare, poi ha la sensazione che vengano come incontro a loro, per inglobarli.

Di colpo la luce aranciata di un pomeriggio lontano li avvolge, abbagliante. I loro piedi annaspano nel vuoto. Cadono. Sempre più veloci. Verso una foresta. Il sole li guarda indifferente. Sua madre grida e gli tende una mano, ma lui non riesce ad afferrarla. Il terreno. Gli alberi. Sua madre. Il sole. Il sigillo, ancora tra le sue dita. Terra. Terra. Terra. Poi tutto svanisce in un tremolio.

Pochi istanti dopo lui è a terra. Salvo. Incredulo. Inorridito. A pochi metri da lui, Odridel è immobile con gli occhi aperti, sbarrati. Attorno alla sua testa, una chiazza di sangue e di liquido limpido si allarga, tingendo di rosso l’erba.
“Mamma!!!”.
Attorno a loro, nell’ombra del bosco, ci sono altri corpi immobili, e un pesante fetore di morte.

Dal tremolio emerge la camera di Odridel. La luce del tardo pomeriggio entra ancora dalle finestre aperte.
Eliasdal depone il corpo della madre, ormai senza vita, sul letto. Da un’ampia ferita, celata dai capelli, continua ancora ad uscire un po’ di sangue e di liquor, che imbrattano il copriletto immacolato.
Si siede accanto a lei, guardandola, cercando di reggere lo sguardo dei suoi occhi fissi, perché sa che è l’ultima volta che li vedrà.
E’ lei, eppure non è lei. Spera quasi che quel viso dal colore estraneo, quelle orecchie arrotondate, quel naso liscio appartengano a un’aliena sconosciuta. Ma sa che non è così.
Le immagini si sciolgono, mentre inizia a singhiozzare senza più freni.

Non sa da quanto tempo qualcuno sta bussando alla porta, prima con discrezione, poi con più insistenza. Sente richiami che non gli dicono niente. Prima che lui possa diventarne del tutto consapevole, sente la serratura scattare, e alcune voci dal piano di sotto.
Poi vede ombre muoversi sul pavimento. Quando alza il viso, alcune persone, guidate da una donna, entrano timidamente nella stanza. Le vede tra le lacrime mentre si avvicinano inorridite, guardano, capiscono.
Quando la donna parla, lui riconosce la voce della signora Vertel, la loro vicina di casa sensitiva.
“Mi dispiace tanto, Elias. Povera Odridel… Da casa mia, abbiamo sentito subito la… sentito un  qualcosa”.
Lui la guarda perso, senza riuscire a metterla a fuoco.
“Lasciati aiutare, Elias” dice la donna, avvicinandogli la mano alla fronte. Subito la vista si schiarisce, e la nebbia della mente lascia il posto a uno sprazzo di lucidità rassegnata.
“Signora Vertel…”.
“Elias, non puoi restare così”. Con una carezza della donna, l’aspetto di Eliasdal torna a colorarsi di striature verdi.
La signora guarda il corpo sul letto. “Oh Dei, ormai è troppo tardi per salvarla, ma la povera Odridel non deve essere vista in queste condizioni”. La donna si concentra, e pone le mani sul corpo straziato. Con un debole scintillio, questo riprende le forme e i colori usuali, le ossa si riallineano, le ferite si rimarginano.
“Purtroppo è… ci ha lasciati. Non posso fare di più”, si rammarica la signora.
Eliasdal annuisce piano, mentre sempre più persone, richiamate dalle voci o da un qualcosa di misterioso che solo alcuni possono percepire, si avvicendano per portare il loro ultimo saluto a Odridel.

Poco dopo, in mezzo alla stanza, un luccichio preannuncia un’apparizione, facendo ritirare la piccola folla di vicini e passanti.
Quando Lord Cedric prende forma, vestito della lunga tunica azzurrina con le insegne reali sul petto, la maggior parte dei presenti inizia a uscire discretamente dalla camera.
Il dignitario si guarda attorno con riprovazione, poi i suoi occhi di ghiaccio si puntano severi sull’uomo col viso arrossato dal pianto. “Eliasdal, la vostra imprudenza è stata gravissima! Se non sapessi che eravate andati a cercare Jonatludr, direi quasi che la morte è la giusta punizione per chi rifiuta il mondo cui appartiene!”.
I pochi rimasti trasalgono a queste dure parole, ma non osano protestare, ed escono tutti dalla stanza.
“Se volete mettermi a morte, Lord Cedric, sono qui”, risponde Eliasdal svuotato.
“Non fraintendermi. Però, se vi foste rivolti a me prima di tentare questa sciocchezza, vi avrei detto che il Principe Phobos presto ci renderà in grado di tornare sulla Terra di nuovo. Questa donna è morta per niente”.
“E’ morta perché amava suo figlio”.
Per un attimo, lo sguardo di Cedric lampeggia come per un affronto. Poi torna a farsi calmo. “Dammi il sigillo che hai in tasca”, gli intima asciutto.
Eliasdal glielo porge senza una parola.
Cedric se lo fa sparire nel palmo, poi si guarda attorno. “Vedo che Luduvik non è ancora arrivato. Digli pure che, quando riprenderà servizio, dovrà rispondere di aver sottratto un sigillo per scopi personali. Anche dando per scontato che lo avrebbe restituito, il minimo che può aspettarsi è di essere degradato”.
Eliasdal annuisce in silenzio.
La figura di Cedric, senza attendere risposta, sparisce in un baluginio.
 

Meridian, ingresso del palazzo reale, mezz’ora più tardi

Salendo gli ultimi scalini della lunga rampa, Eliasdal cammina perso, come se un brutto sogno cercasse di risucchiarlo a ogni passo.
Sua madre è appena morta; lui dovrebbe esserle accanto a piangere davanti al suo corpo, ma c’è un’altra cosa urgente: deve cercare di usare tutta la sua influenza presso la Regina, sua zia, per mitigare le conseguenze a Luduvik. Quel pover’uomo ha messo a rischio la sua carriera e forse la sua libertà per amore della moglie, e ora gli resta poco o niente di tutto ciò che aveva.
Adariel è una persona sensibile ed empatica, e dopo avergli dato ascolto sarà certo clemente.

Le due guardie al portone lo lasciano passare senza domande: sanno già qualcosa?
Eliasdal entra nell’ufficietto alla base dello scalone interno.
Il caporale lo accoglie gioviale. “Ehi, Elias. Ma hai una brutta cera quest’oggi!”.
“Ti prego, Gotridek”, risponde con un sussurro, “Devo parlare al più presto con la Regina, mia zia”.
All’occhiata interrogativa dell’altro, aggiunge: “Odridel è morta. Non chiedermi altro, ti prego”.
L’altro resta annichilito. “… E Luduvik? Glielo hanno già detto?”.
Il pittore risponde con un altro sussurro: “Non so”.

Si sentono un paio di voci discutere fuori dalla porticina, poi un soldato entra. “Eliasdal è ancora qui? Allora chi è quello che abbiamo viso uscire poco fa?”.
“Cosa?”. “Cosa?”.
Una seconda guardia fa capolino nell’ufficio. “Visto che avevo ragione?”.
“Ma insomma, cosa succede?”, chiede il caporale alzandosi in piedi.
“Un altro Eliasdal è uscito dal palazzo poco fa, appena dopo l’ingresso di questo”, risponde la prima guardia. “Dev’essere ancora in vista”.
“Folgori di Imdahl!”, tuona il caporale, “Raggiungetelo e portatelo qui, bisogna fare chiarezza!”. Chiude un attimo gli occhi, concentrandosi. “Il comandante Alborn sarà qui tra poco. Tu intanto resta seduto” intima a Eliasdal.
Nel frattempo, quanto detto dalla guardia fa lentamente breccia attraverso l’apatia del pittore. “Che giorno è oggi? Che ora è?’”.
L’altro lo guarda sospettoso. “Non lo sai?”.
Eliasdal si guarda in giro, agitandosi. “E’ oggi! Mezz’ora prima del tramonto!”. Balza in piedi come allucinato. “Quell’uomo… sono io! Sto andando a casa proprio adesso!”.
“Ma… sei impazzito? Resta seduto!”.
Ignorando l’intimazione, Eliasdal corre disperatamente fuori dall’ufficietto. “Fermatelo! Richiamatelo indietro! Siamo ancora in tempo!”.
I due soldati lo guardano straniti, poi, mentre sta uscendo sullo scalone, lo afferrano per le braccia. “Fermo!”.
Dalla sommità dello scalone esterno, Eliasdal riesce a vedere due soldati che stanno correndo giù per la scalinata; più in distanza, un uomo uguale a lui sta per imboccare la strada in discesa verso il centro della città.
“Fermatelo! Fermate lui!”, grida ancora Eliasdal.
“Cosa succede qui?”, tuona la voce autorevole del comandante Alborn.
Eliasdal lo prende per il bavero, indicando verso la discesa. “Fermatelo! Quello là! Sta andando a far morire mia madre!”. Vedendo gli sguardi persi che lo ricambiano, insiste: “Siamo ancora in tempo! Partirà dopo il tramonto!”.
Uno dei soldati tenta di spiegare: “Comandante, ci sono due Eliasdal. Uno è questo, un altro è laggiù”.
“E un attimo fa questo ha detto che Odridel è già morta”, aggiunge il caporale.
“Voi non capite!” grida esasperato Eliasdal, “Quello laggiù sono io stesso due ore fa! Quella maledetta macchina del tempo ci ha fatti tornare indietro di sole due ore! Ora sto… lui sta andando a partire con Odridel in quel disgraziato viaggio in cui è morta!”.
Un silenzio stupefatto accoglie le sue parole.

D’improvviso, accanto a loro compare Lord Cedric. I soldati si ritraggono un po’, come intimoriti.
“Richiamatelo” dice Eliasdal supplichevole rivolto al nuovo arrivato, “Richiamatelo in qualche modo, per favore!”.
Cedric resta impassibile. “Il passato non si può cambiare, Eliasdal. Tu stesso hai assistito alla morte di Odridel. Il suo corpo ora giace sul letto, attorniato dai vicini. Ciò significa che né tu, né altri riuscirete a richiamare quel te stesso”.
Il pittore guarda con odio questo essere indifferente. Che razza di uomo è? “Lasciatemi! Lasciatemi provare, almeno!” , grida con rabbia.
“E sia. Prova pure!” risponde Cedric, “Ti renderai conto da solo di cos’è l’unicità della linea temporale”. Rivolto alle guardie: “Lasciatelo!”.
“Lasciatelo andare!”, ripete Alborn incerto.
Appena liberato, Eliasdal parte in avanti, scendendo la lunga scalinata di corsa, schivando un portalettere allibito. Correndo, ce la può…
D’improvviso, il piede scivola sugli scalini, e cade battendo il fianco. Una fitta alla caviglia gli toglie il fiato.
A fatica si rimette in piedi, sorreggendosi alla balaustra. Riprova a camminare, ma il primo passo gli costa un’altra stilettata alla caviglia destra. Una distorsione, proprio adesso…
“Eliasdal!” grida a perdifiato, “Eliasdal! Richiamate quell’uomo! Richiamate Eliasdal!”.
Mentre cerca di scendere la scala zoppicando, vede i due soldati tornare indietro.
“Inseguitelo! Non è lontano! Vi prego…”.
I due, continuando ad avvicinarsi, gli fanno gesti di scusa, stringendosi nelle spalle. “Mi dispiace”. “Gli ordini sono ordini”.
Con una smorfia di delusione, Eliasdal continua a camminare come può, arriva alla base dello scalone, poi si trascina verso la strada in discesa. Ci sono diverse persone sulla via per la città.
“Fermate quell’uomo! Fermate Eliasdal! Richiamatelo!”.
Alcuni dei passanti ripetono, con poca convinzione: “Richiamatelo”, “Eliasdal”, “Eliasdal… ma come…”.
Trascinando il piede, dopo un interminabile centinaio di metri sta per raggiungere l’inizio della discesa, ma una fitta più forte lo paralizza, facendolo cadere a terra. Il piede destro gli pulsa sempre più forte.
“Eliaaasdaaaal!!!”.

Scendendo soprappensiero, Eliasdal è arrivato fin quasi al primo tornante, quando gli sembra di sentirsi chiamare per nome da lontano.
Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare tra i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa. Ora ha da fare qualcosa di fin troppo importante.
 

  
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