Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la recensione. Mi chiedi se Jonatludr tornerà mai alla corte di Phobos: sinceramente non lo so. In Witch n.61, all'interno del libro si vede una breve scena buttata lì in cui Phobos parla con Jonathan Ludmoore (non più giovane) incaricandolo di trovare un modo per forzare la muraglia, quindi un breve ritorno potrebbe starci, in un futuro-passato che non viene coperto dalla Luce. Il destino riserverà a Jonathan Ludmoore proprio ciò che la leggenda tramanda, a dispetto della sua fiducia nel suo trucco per prevenire ciò. Tant'è vero che nella quinta serie di Witch siamo quasi sempre davanti a un libro parlante o a un occhio volante; le immagini del mago sono poche, perlopiù nel n.62. Cara Melisanna, sono sempre contento di sentirti. I riferimenti a 1984 sono numerosi anche perchè per me è una fonte d'ispirazione. Per una felice coincidenza, la tempistica di questa serie mi ha consentito di ambientare La Luce al tramonto proprio nel 1984. Dopo l'inizio volutamente lento per coprire il periodo della gravidanza della regina, ora i ritmi della storia sono destinati a diventare sempre più veloci. Cara Silen, sono contento di poter sempre contare sul tuo appoggio. In effetti, il personaggio disadattato e strumentalizzato di Jonatludr piace anche a me, non dal come persona ma piuttosto per le sue potenzialità di essere inserto in una trama interessante, e mi dispiace che esca di scena. Però, come vedremo in questo capitolo, volergli bene è una cosa che può costare molto cara. Faccio notare che, tra i suoi pensieri quando si è reso conto di essere stato abbandonato, non ce n'è stato uno per la madre e il fratello, che invece... Ed ora qualche parola su questo capitolo, che è ambientato
circa un giorno dopo la fine del precedente, ma a Meridian, dove qualcuno
sta ancora pensando a Jonatludr. Abbiamo già incontrato Eliasdal,
che questa volta ritroviamo nel suo studio in soffitta, e sua madre Odridel;
faremo la conoscenza anche di suo marito, il sergente Luduvik della guardia
di palazzo, personaggio che resterà comunque marginale.
Buona lettura
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Capitolo 15
Salto nel passato
Ti renderai conto da solo di cos’è l’unicità della linea temporale.
Meridian, soffitta-laboratorio di Eliasdal
Quando la luce che entra dal grande abbaino della sua
soffitta comincia a declinare, Eliasdal deve rassegnarsi a riporre i pennelli.
Seduto sullo sgabello, guarda con rammarico la tela sul
cavalletto: anche questo ritratto di Phobos non riesce a cogliere la somiglianza.
In piedi dietro di lui, Odridel osserva: “Elias, non
capisco perché tu ti accanisca a dipingere un quadro che nessuno
ti ha commissionato”.
Lui sospira. “Abbi pazienza, mà. E’ da un bel
po’ di tempo che il principe Phobos non si fa vedere in pubblico, e vorrei
fissare i miei ricordi prima che si sfumino troppo”.
Lei scuote il viso, rabbuiata: “Invece, se c’è
una persona che vorrei dimenticare, è proprio lui”. Osserva un attimo
il volto altero che li guarda dal quadro. “L’attaccatura del naso non va
così stretta”.
Eliasdal riguarda il suo lavoro e annuisce. “Sai, mà,
neanch’io penso a Phobos volentieri. Dipingerlo è un modo di esorcizzare
la paura che mi fa. Mi sembra in qualche modo di delimitarlo, di controllarlo.
Come se lo potessi racchiudere in un quadro”.
“A me, invece, sembra che ora sia lui a controllarci
da tutti i lati”, scherza la madre, indicando gli altri tre ritratti mal
riusciti dai quali Phobos li guarda arrogante. “Non azzardarti ad appenderne
qualcuno giù in casa, d’accordo?”.
Dal piano di sotto si sente lo scatto della serratura,
e il cigolio di una porta che si apre.
“Tuo marito deve essere tornato, mà”.
Lei si dirige verso le scale. “Non pretendo che tu lo
consideri tuo padre, ma vorrei almeno che lo chiamassi per nome”.
“Va bene, mà. Luduvik deve essere…”.
La voce dal basso la richiama. “Odridel! Sei qui?”.
“Eccomi”.
Quando raggiungono Luduvik nel soggiorno, ancora vestito
con l’uniforme grigia e verde di sergente della guardia di palazzo, notano
subito la sua espressione preoccupata.
“Odridel, Eliasdal, oggi ho saputo una cosa grave”, esordisce,
“Kandrakar ha bloccato tutti i trasferimenti da e per la Terra”.
“Cosa?” chiedono a una sola voce.
“Avevano dato un giorno di preavviso per ritirare tutti
gli agenti, ma ora è scaduto. Che voi sappiate, Jonatludr è
ancora lì?”.
La pelle verdina di Odridel sbianca. “N…no… non so”.
“Noi non lo vediamo da due settimane” aggiunge Eliasdal,
“Andrò a cercarlo nel suo appartamento in centro”.
Luduvik scuote il viso. “Sono già passato di lì,
e non c’era. Ho già fatto chiedere a Lord Cedric. Loro non lo hanno
richiamato”.
“Lo… lo hanno dimenticato lì?”. Odridel si accascia
su una sedia. “Mio figlio… tagliato fuori dal suo mondo!”. Scuote il viso,
si copre gli occhi già lucidi, e scandisce con voce quasi di pianto:
“Lo sapevo che quella era una cattiva strada! Una madre le sente, certe
cose!”.
Ponendole le mani sulle spalle, Luduvik cerca di tranquillizzarla:
“Secondo Cedric, non è in pericolo: la guardiana di Kandrakar non
ha mai minacciato i nostri agenti”.
Lei sospira: “Almeno questo! Ma Jonat è uno… insomma,
si è messo tante volte nei guai da solo. E se succedesse anche con
Kandrakar, o con la polizia terrestre?”.
Eliasdal conviene: “Quella volta dello spiritismo è
stata la più grossa, ma non l’unica”.
Lei insiste: “Mio figlio è un genio della magia,
ma avrebbe bisogno di una guida di buon senso. Magari una donna…”.
Eliasdal riflette ad alta voce: “E se lo raggiungessimo?
Mi ha spiegato molto in dettaglio i principi del viaggio nel tempo, e credo
che il primo prototipo della sua attrezzatura sia ancora nella sua camera.
Abbiamo pure le chiavi di casa sua”.
Luduvik si stupisce: “Credevo che Jonatludr fosse tenuto
al segreto su queste cose”.
Il pittore risponde: “Mio fratello era orgogliosissimo
della sua invenzione, ma Phobos gli ha proibito di attribuirsi meriti.
In qualche modo lui si è sfogato con me in privato, parlandomene
per ore”.
“Davvero potremo raggiungerlo?” chiede speranzosa Odridel.
“Credo di sì, tornando indietro nel tempo di…
di quanti giorni, Luduvik? Quando è stata attivata la Muraglia?”.
“Almeno tre giorni fa”.
Lei incalza: “Quindi, se torniamo indietro di una settimana,
possiamo teletrasportarci sulla Terra, avvertirlo e tornare indietro con
lui!”.
“Forse sì. Però servirebbe il sigillo di
teletrasporto già programmato per la Terra”. Eliasdal riflette un
attimo. “Luduvik, sapresti procurarmelo?”.
Il sergente si trincera dietro le braccia conserte, mordendosi
il labbro.
“Ti prego, Luduvik”, lo supplica lei.
Lui, combattuto, si stropiccia nervosamente i galloni
gialli su una manica. “Se mi dovessero scoprire, rischierei molto grosso”.
“Se non lo fai per Jonatludr, fallo per me!”, insiste
Odridel, questa volta con un tono quasi da ultimatum. “Ti prego”, addolcisce
alla fine.
Lui annuisce riluttante. “Ci proverò” esala dubbioso.
Meridian, appartamento di Jonatludr, mezz’ora dopo
Eliasdal e Odridel si guardano attorno: polvere e sporcizia
regnano sovrane nel piccolo soggiorno abbandonato, assieme al tipico disordine
di un giovane solitario i cui interessi sono molto lontani dalla quotidianità.
Sulle mensole restano pile di libri ingialliti, appunti sgualciti
e oggetti talvolta indefinibili, ma perlopiù rotti.
Odridel scuote il viso con disapprovazione. “Avrebbe
bisogno di una donna, non di tanti libri”.
Lui osserva gli ampi vuoti rimasti sulle mensole. “Si
è portato via il meglio che aveva, ma sono sicuro che il primo prototipo
della sua attrezzatura è al piano di sopra, in camera sua”.
Salendo le scale, si trovano in un’altra stanzetta semibuia
dal soffocante odore di chiuso.
“Un po’ d’aria”, sbuffa Odridel aprendo la finestra cigolante.
La luce della sera mostra una stanza da letto completamente
sfatta, nella quale i ragni hanno già iniziato a rivendicare i loro
piccoli territori negli angoli.
Anche qui, appunti e quaderni sono stati sommariamente
impilati sugli scaffali.
Da sotto le pagine ingiallite si nota un fascicolo dai
fogli lucidi e colorati, dal quale ammiccano alcune chiazze di un insolito
rosato.
Eliasdal lo sfila, con un presentimento.
E’ una rivista terrestre.
“Eccole, le donne”, esala lui col fiato mozzato davanti
a una rivista per soli uomini.
A Meridian si parla di sesso piuttosto liberamente, ma
mostrare in pubblico un corpo anche solo un po’ scoperto è un’altra
questione.
A rinforzare lo shock, agli occhi di ogni meridiano l’aspetto
di queste scostumate aliene ricorda fin troppo quello della Regina.
Lei gliela prende e sfoglia qualche pagina con una smorfia
di disgusto, poi la ripone nella polvere. “Lui avrebbe voluto essere così…”,
dice triste, alludendo alla vivace pelle rosata delle modelle, ben diversa
da quella della donna che lo ha messo al mondo.
Eliasdal cerca di scacciare la scioccante visione di
seni e glutei rosati, poi si guarda attorno.
In un angolo della camera sono accostati quattro grandi
specchi, uno dei quali incrinato. In un altro angolo, a contendere il posto
ai vestiti sporchi, c’è un conversore psicoenergetico simile a quello
che ha visto mesi prima, durante la sfortunata dimostrazione di Phobos.
“Dovrò riguardarmi un po’ queste cose”, ammette
perplesso.
Lei indica ancora la rivista. “Io vado giù a bruciarla,
e comincio a ripulire questa tana. Se trovi altre di queste oscenità,
portamele in cucina. Ci mancherebbe solo che Jonat vada nei guai una volta
di più”.
Poco dopo, rimasto solo davanti a ciò che è
riuscito a mettere assieme, Eliasdal riflette. L’attrezzatura sembra quasi
completa, e ciò che manca si può procurare facilmente.
Un discorso a parte è l’acqua magica: durante
la prova alla Torre dei Veglianti, aveva notato che il conversore consumava
litri della preziosa risorsa ad ogni tentativo. Come procurarsene tanta?
La sua scorta personale coprirebbe forse un quarto del fabbisogno. Dovrà
comprarne altra, dando fondo ai risparmi e vendendo qualche oggetto prezioso
di casa.
Poi inizia a riflettere sulle problematiche delle quali
Jonatludr gli ha disquisito a ruota libera.
Lui intende tornare indietro nel tempo di una settimana;
facendo così, corre il rischio di incontrare sé stesso? E’
sicurissimo di non aver mai fatto alcun incontro del genere. Ciò
significa che il suo salto indietro è destinato a fallire, o che
sarà ben attento a evitare i luoghi dove è stato?
Si riguarda attorno: lo stesso locale in cui si trova
ora non mostra segni di un suo passaggio la settimana prima. Come va interpretato
ciò?
Scende le scale fino in soggiorno, dove le fiammelle arancioni
hanno già cominciato a guizzare nel caminetto, cancellando le pericolose
oscenità di quella pubblicazione patinata.
Odridel, indaffarata a spazzare con una scopa, gli chiede:
“Ne hai trovate altre?”.
“No, mà”. Esita un attimo, poi cerca di darsi
un tono deciso: “Vorrei chiarire una cosa: è meglio che vada a cercare
Jonat da solo”.
Lei si scurisce in volto. “Non se ne parla, Elias. Se
pensi che sia pericoloso, piuttosto vado io”.
“No, mà. Tu non sai usare né la macchina,
né il sigillo di teletrasporto che serve per tornare indietro”.
“Posso imparare”.
“Serve almeno un po’ di potere per l’interfaccia di guida
del sigillo, e tu ne sei quasi priva”.
Lei torce il viso. “Temi che potremmo non tornare indietro?”.
“E’ un rischio”, deve ammettere lui.
Riprende caparbia: “Se è così, Jonat avrà
bisogno di me, più ancora che di te”.
“E come potresti confonderti con i terrestri, tu?”. A
dimostrazione di quanto dice, senza un gesto Eliasdal si fa sparire dal
viso le striature verdine, restando con un credibile aspetto terrestre.
“E so anche un po’ di inglese”, le dice stentatamente in una lingua che
lei non conosce, ma che scopre di comprendere comunque. “Me l’ha insegnato
papà con un trasferimento di memoria”.
Odridel si morde il labbro: “Sono sicura che riuscirai
ad aiutarmi nella trasformazione”.
Eliasdal deve annuire. “Non è impossibile. Anzi,
per come si stanno evolvendo le cose a Meridian, potrebbe quasi essere
meglio non tornare affatto”.
Lei lo guarda incredula e scuote il viso. “E Luduvik?
Lui non fuggirebbe mai, ne sono certa. E non restituirgli il sigillo significa
abbandonarlo nei guai”. Prende fiato, poi decide: “Elias, noi partiremo
con l’idea di tornare, e vedremo cosa il destino ha in serbo per noi”.
Meridian, uscita del palazzo reale, il pomeriggio seguente
Scendendo il curvo scalone di uscita del palazzo reale,
Eliasdal non ha mai mancato l’occasione per scrutare con occhi d’artista
la città sottostante da quel posto d’osservazione privilegiato.
Oggi, però, ha ben altro in testa. Offrendo in
cambio molti quadri della sua collezione e vari oggetti di valore, è
riuscito a ottenere da amici e conoscenti un bel po’ di fialette di acqua
magica dai bagliori verdini. Ormai ne ha raccolti più di due litri:
basteranno.
Certo, è una ricchezza che verrà spazzata
via in un soffio, ma il suo dovere di fratello e soprattutto di figlio
lo esige.
Dopo la scalinata, si dirige verso la strada che, scendendo
verso il centro città, segna il calcare della scarpata come una
cicatrice a forma di Z.
Camminando immerso nei suoi pensieri, è arrivato
quasi fino al primo tornante, quando gli sembra che qualcuno lo stia chiamando
da lontano. Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare tra
i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa; ora ha da fare
qualcosa di fin troppo importante.
Quando arriva nella casa di suo fratello, sua madre è
già lì. “Ne ho approfittato per fare ancora un po’ di pulizie”,
spiega lei, indicando con orgoglio il soggiorno e la cucina ben ordinati.
“Brava” conviene distrattamente lui, “Hai il sigillo?”.
“Eccolo”. Gli mostra la placchetta romboidale legata
a un laccio di cuoio. “E’ proprio del tipo usato per la Terra”. Sulla superficie
smaltata spiccano due tondi azzurri, collegati da una freccia a doppia
punta.
Quando sono pronti, in piedi tra quattro grandi specchi,
il sole è già calato, e la candela sul cassettone illumina
la stanza con la sua luce rossiccia e tremolante. Nella bacinella vicino
al conversore psicoenergetico, il chiarore verdolino dell’acqua magica
spicca nella penombra.
I due hanno ormai modificato il loro aspetto originale
quanto basta per essere scambiati per terrestri. Lui distoglie lo sguardo
dalla madre, cercando di scacciare il ricordo delle oscene fotografie
della rivista. “Buona fortuna, mà”.
“La fortuna aiuta gli audaci”, risponde lei.
Lui inizia la sequenza mentale. Quando riesce a ripeterla
in modo abbastanza veloce, gli specchi cominciano a scintillare, poi ha
la sensazione che vengano come incontro a loro, per inglobarli.
Di colpo la luce aranciata di un pomeriggio lontano li avvolge, abbagliante. I loro piedi annaspano nel vuoto. Cadono. Sempre più veloci. Verso una foresta. Il sole li guarda indifferente. Sua madre grida e gli tende una mano, ma lui non riesce ad afferrarla. Il terreno. Gli alberi. Sua madre. Il sole. Il sigillo, ancora tra le sue dita. Terra. Terra. Terra. Poi tutto svanisce in un tremolio.
Pochi istanti dopo lui è a terra. Salvo. Incredulo.
Inorridito. A pochi metri da lui, Odridel è immobile con gli occhi
aperti, sbarrati. Attorno alla sua testa, una chiazza di sangue e di liquido
limpido si allarga, tingendo di rosso l’erba.
“Mamma!!!”.
Attorno a loro, nell’ombra del bosco, ci sono altri corpi
immobili, e un pesante fetore di morte.
Dal tremolio emerge la camera di Odridel. La luce del
tardo pomeriggio entra ancora dalle finestre aperte.
Eliasdal depone il corpo della madre, ormai senza vita,
sul letto. Da un’ampia ferita, celata dai capelli, continua ancora ad uscire
un po’ di sangue e di liquor, che imbrattano il copriletto immacolato.
Si siede accanto a lei, guardandola, cercando di reggere
lo sguardo dei suoi occhi fissi, perché sa che è l’ultima
volta che li vedrà.
E’ lei, eppure non è lei. Spera quasi che quel
viso dal colore estraneo, quelle orecchie arrotondate, quel naso liscio
appartengano a un’aliena sconosciuta. Ma sa che non è così.
Le immagini si sciolgono, mentre inizia a singhiozzare
senza più freni.
Non sa da quanto tempo qualcuno sta bussando alla porta,
prima con discrezione, poi con più insistenza. Sente richiami che
non gli dicono niente. Prima che lui possa diventarne del tutto consapevole,
sente la serratura scattare, e alcune voci dal piano di sotto.
Poi vede ombre muoversi sul pavimento. Quando alza il
viso, alcune persone, guidate da una donna, entrano timidamente nella stanza.
Le vede tra le lacrime mentre si avvicinano inorridite, guardano, capiscono.
Quando la donna parla, lui riconosce la voce della signora
Vertel, la loro vicina di casa sensitiva.
“Mi dispiace tanto, Elias. Povera Odridel… Da casa mia,
abbiamo sentito subito la… sentito un qualcosa”.
Lui la guarda perso, senza riuscire a metterla a fuoco.
“Lasciati aiutare, Elias” dice la donna, avvicinandogli
la mano alla fronte. Subito la vista si schiarisce, e la nebbia della mente
lascia il posto a uno sprazzo di lucidità rassegnata.
“Signora Vertel…”.
“Elias, non puoi restare così”. Con una carezza
della donna, l’aspetto di Eliasdal torna a colorarsi di striature verdi.
La signora guarda il corpo sul letto. “Oh Dei, ormai
è troppo tardi per salvarla, ma la povera Odridel non deve essere
vista in queste condizioni”. La donna si concentra, e pone le mani sul
corpo straziato. Con un debole scintillio, questo riprende le forme e i
colori usuali, le ossa si riallineano, le ferite si rimarginano.
“Purtroppo è… ci ha lasciati. Non posso fare di
più”, si rammarica la signora.
Eliasdal annuisce piano, mentre sempre più persone,
richiamate dalle voci o da un qualcosa di misterioso che solo alcuni possono
percepire, si avvicendano per portare il loro ultimo saluto a Odridel.
Poco dopo, in mezzo alla stanza, un luccichio preannuncia
un’apparizione, facendo ritirare la piccola folla di vicini e passanti.
Quando Lord Cedric prende forma, vestito della lunga
tunica azzurrina con le insegne reali sul petto, la maggior parte dei presenti
inizia a uscire discretamente dalla camera.
Il dignitario si guarda attorno con riprovazione, poi
i suoi occhi di ghiaccio si puntano severi sull’uomo col viso arrossato
dal pianto. “Eliasdal, la vostra imprudenza è stata gravissima!
Se non sapessi che eravate andati a cercare Jonatludr, direi quasi che
la morte è la giusta punizione per chi rifiuta il mondo cui appartiene!”.
I pochi rimasti trasalgono a queste dure parole, ma non
osano protestare, ed escono tutti dalla stanza.
“Se volete mettermi a morte, Lord Cedric, sono qui”,
risponde Eliasdal svuotato.
“Non fraintendermi. Però, se vi foste rivolti
a me prima di tentare questa sciocchezza, vi avrei detto che il Principe
Phobos presto ci renderà in grado di tornare sulla Terra di nuovo.
Questa donna è morta per niente”.
“E’ morta perché amava suo figlio”.
Per un attimo, lo sguardo di Cedric lampeggia come per
un affronto. Poi torna a farsi calmo. “Dammi il sigillo che hai in tasca”,
gli intima asciutto.
Eliasdal glielo porge senza una parola.
Cedric se lo fa sparire nel palmo, poi si guarda attorno.
“Vedo che Luduvik non è ancora arrivato. Digli pure che, quando
riprenderà servizio, dovrà rispondere di aver sottratto un
sigillo per scopi personali. Anche dando per scontato che lo avrebbe restituito,
il minimo che può aspettarsi è di essere degradato”.
Eliasdal annuisce in silenzio.
La figura di Cedric, senza attendere risposta, sparisce
in un baluginio.
Meridian, ingresso del palazzo reale, mezz’ora più tardi
Salendo gli ultimi scalini della lunga rampa, Eliasdal
cammina perso, come se un brutto sogno cercasse di risucchiarlo a ogni
passo.
Sua madre è appena morta; lui dovrebbe esserle
accanto a piangere davanti al suo corpo, ma c’è un’altra cosa urgente:
deve cercare di usare tutta la sua influenza presso la Regina, sua zia,
per mitigare le conseguenze a Luduvik. Quel pover’uomo ha messo a rischio
la sua carriera e forse la sua libertà per amore della moglie, e
ora gli resta poco o niente di tutto ciò che aveva.
Adariel è una persona sensibile ed empatica, e
dopo avergli dato ascolto sarà certo clemente.
Le due guardie al portone lo lasciano passare senza domande:
sanno già qualcosa?
Eliasdal entra nell’ufficietto alla base dello scalone
interno.
Il caporale lo accoglie gioviale. “Ehi, Elias. Ma hai
una brutta cera quest’oggi!”.
“Ti prego, Gotridek”, risponde con un sussurro, “Devo
parlare al più presto con la Regina, mia zia”.
All’occhiata interrogativa dell’altro, aggiunge: “Odridel
è morta. Non chiedermi altro, ti prego”.
L’altro resta annichilito. “… E Luduvik? Glielo hanno
già detto?”.
Il pittore risponde con un altro sussurro: “Non so”.
Si sentono un paio di voci discutere fuori dalla porticina,
poi un soldato entra. “Eliasdal è ancora qui? Allora chi è
quello che abbiamo viso uscire poco fa?”.
“Cosa?”. “Cosa?”.
Una seconda guardia fa capolino nell’ufficio. “Visto
che avevo ragione?”.
“Ma insomma, cosa succede?”, chiede il caporale alzandosi
in piedi.
“Un altro Eliasdal è uscito dal palazzo poco fa,
appena dopo l’ingresso di questo”, risponde la prima guardia. “Dev’essere
ancora in vista”.
“Folgori di Imdahl!”, tuona il caporale, “Raggiungetelo
e portatelo qui, bisogna fare chiarezza!”. Chiude un attimo gli occhi,
concentrandosi. “Il comandante Alborn sarà qui tra poco. Tu intanto
resta seduto” intima a Eliasdal.
Nel frattempo, quanto detto dalla guardia fa lentamente
breccia attraverso l’apatia del pittore. “Che giorno è oggi? Che
ora è?’”.
L’altro lo guarda sospettoso. “Non lo sai?”.
Eliasdal si guarda in giro, agitandosi. “E’ oggi! Mezz’ora
prima del tramonto!”. Balza in piedi come allucinato. “Quell’uomo… sono
io! Sto andando a casa proprio adesso!”.
“Ma… sei impazzito? Resta seduto!”.
Ignorando l’intimazione, Eliasdal corre disperatamente
fuori dall’ufficietto. “Fermatelo! Richiamatelo indietro! Siamo ancora
in tempo!”.
I due soldati lo guardano straniti, poi, mentre sta uscendo
sullo scalone, lo afferrano per le braccia. “Fermo!”.
Dalla sommità dello scalone esterno, Eliasdal
riesce a vedere due soldati che stanno correndo giù per la scalinata;
più in distanza, un uomo uguale a lui sta per imboccare la strada
in discesa verso il centro della città.
“Fermatelo! Fermate lui!”, grida ancora Eliasdal.
“Cosa succede qui?”, tuona la voce autorevole del comandante
Alborn.
Eliasdal lo prende per il bavero, indicando verso la
discesa. “Fermatelo! Quello là! Sta andando a far morire mia madre!”.
Vedendo gli sguardi persi che lo ricambiano, insiste: “Siamo ancora in
tempo! Partirà dopo il tramonto!”.
Uno dei soldati tenta di spiegare: “Comandante, ci sono
due Eliasdal. Uno è questo, un altro è laggiù”.
“E un attimo fa questo ha detto che Odridel è
già morta”, aggiunge il caporale.
“Voi non capite!” grida esasperato Eliasdal, “Quello
laggiù sono io stesso due ore fa! Quella maledetta macchina del
tempo ci ha fatti tornare indietro di sole due ore! Ora sto… lui sta andando
a partire con Odridel in quel disgraziato viaggio in cui è morta!”.
Un silenzio stupefatto accoglie le sue parole.
D’improvviso, accanto a loro compare Lord Cedric. I soldati
si ritraggono un po’, come intimoriti.
“Richiamatelo” dice Eliasdal supplichevole rivolto al
nuovo arrivato, “Richiamatelo in qualche modo, per favore!”.
Cedric resta impassibile. “Il passato non si può
cambiare, Eliasdal. Tu stesso hai assistito alla morte di Odridel. Il suo
corpo ora giace sul letto, attorniato dai vicini. Ciò significa
che né tu, né altri riuscirete a richiamare quel te stesso”.
Il pittore guarda con odio questo essere indifferente.
Che razza di uomo è? “Lasciatemi! Lasciatemi provare, almeno!” ,
grida con rabbia.
“E sia. Prova pure!” risponde Cedric, “Ti renderai conto
da solo di cos’è l’unicità della linea temporale”. Rivolto
alle guardie: “Lasciatelo!”.
“Lasciatelo andare!”, ripete Alborn incerto.
Appena liberato, Eliasdal parte in avanti, scendendo
la lunga scalinata di corsa, schivando un portalettere allibito. Correndo,
ce la può…
D’improvviso, il piede scivola sugli scalini, e cade
battendo il fianco. Una fitta alla caviglia gli toglie il fiato.
A fatica si rimette in piedi, sorreggendosi alla balaustra.
Riprova a camminare, ma il primo passo gli costa un’altra stilettata alla
caviglia destra. Una distorsione, proprio adesso…
“Eliasdal!” grida a perdifiato, “Eliasdal! Richiamate
quell’uomo! Richiamate Eliasdal!”.
Mentre cerca di scendere la scala zoppicando, vede i
due soldati tornare indietro.
“Inseguitelo! Non è lontano! Vi prego…”.
I due, continuando ad avvicinarsi, gli fanno gesti di
scusa, stringendosi nelle spalle. “Mi dispiace”. “Gli ordini sono ordini”.
Con una smorfia di delusione, Eliasdal continua a camminare
come può, arriva alla base dello scalone, poi si trascina verso
la strada in discesa. Ci sono diverse persone sulla via per la città.
“Fermate quell’uomo! Fermate Eliasdal! Richiamatelo!”.
Alcuni dei passanti ripetono, con poca convinzione: “Richiamatelo”,
“Eliasdal”, “Eliasdal… ma come…”.
Trascinando il piede, dopo un interminabile centinaio
di metri sta per raggiungere l’inizio della discesa, ma una fitta più
forte lo paralizza, facendolo cadere a terra. Il piede destro gli pulsa
sempre più forte.
“Eliaaasdaaaal!!!”.
Scendendo soprappensiero, Eliasdal è arrivato fin
quasi al primo tornante, quando gli sembra di sentirsi chiamare per nome
da lontano.
Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare
tra i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa. Ora ha da fare
qualcosa di fin troppo importante.