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Autore: Alydia Rackham    26/10/2010    2 recensioni
Questa storia non appartiene a me ma a Alydia Rackham. L'intera storia di quello che successe a Peter e Sylar durante la loro prigionia dietro Il Muro-la loro lotta per mantenere la loro umanità e sanità mentale mentre realizzano che l'unica via d'uscita è attraverso la penitenza e il perdono.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Petrelli, Sylar
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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                                                                                                                                  Istantanea

                                                                                                                                 Anno quattro

Peter sapeva che giorno era. Era l’anniversario del giorno in cui era apparso quel Muro. Il giorno in cui lo aveva colpito frantumando il martello che lo aveva quasi accecato.

Il quarto anniversario.

Era Domenica. Come al suo solito, Sylar si era recato alla vecchia, chiesa di pietra alla fine della strada per sedersi al cospetto della brillante luce della vetrata del Buon Samaritano. Coma al suo solito, aveva chiesto a Peter se voleva accompagnarlo. Ma questa volta, Peter aveva declinato l’offerta. Sylar aveva semplicemente annuito ed era andato da solo. Anche lui sapeva che giorno era.

Peter si sentiva sbilanciato senza Sylar a martellare al suo fianco. Continuava sempre a scambiarsi di posto con un compagno immaginario ogni cinquantesima martellata, ma l’aria era vuota senza il fruscio di un altro paio di piedi, un’altra martellata.

Fu in quel giorno che la pelle della mano di Peter si lacerò. Colpì e il martello tremò nella sua presa. Lasciò cadere il martello.

Le mani gli tremavano mentre le guardava―vesciche sanguinanti gli ricoprivano i palmi. Sanguinanti. Non gli erano venuti i calli, né aveva avuto schegge o piaghe di nessun tipo per quattro anni…eppure oggi, le sue mani apparivano come se in realtà fossero apparse per l’aver martellato ogni giorno senza indossare un paio di guanti. E aveva il fiatone. E gli dolevano le spalle e le braccia, e aveva i crampi alla schiena.

“No. No, no, no.” Ringhiò Peter, ma non riuscì a fermare le lacrime brucianti che si accumulavano. Riusciva a pensare ad un’unica ragione per spiegare ciò che stava succedendo.

“No, no!” Gridò. “No. Non rimarrò qui!”

Riprese in mano il martello, colpendo il più violentemente possibile, il legno che gli lacerava la pelle, con le lacrime che gli offuscavano la vista, e presto colpì in modo errato e spezzò in due il manico. La testa del martello cozzò contro il pavimento.

Peter si voltò. La mano destra ancora stringeva il manico del martello mentre correva per il vicolo, senza sapere dove stava andando. In pochi attimi, si ritrovò nella stanza dei libri e degli orologi. I suoi ansimi gli rimbombavano nelle orecchie, in sincrono con i battiti del suo cuore. Ma un suono sovrastava gli altri.

Gli orologi.

Tick, tick, tick.

Gli orologi che lo schernivano. Che lo prendevano in giro. Gli orologi che non cambiavano mai, eppure crudelmente, freddamente gli ricordavano ogni ora, ogni minuto, ogni secondo che passava in quel limbo, in quell’inferno, in quell’incubo. Ogni secondo che passava nel quale lui cercava, senza successo, di frantumare quel Muro.

Con un ringhio animale, Peter fece roteare il manico spezzato.

Vetro si frantumò quando colpì un grande orologio da muro, frantumandone i delicati meccanismi mandandolo a pezzi per terra. Si voltò e fece passare la sua arma lungo il muro, facendo cadere intere fila di orologi ai suoi piedi. Li fece cadere tutti e li frantumò. E poi si girò verso la pila di orologi da polso.

Ne prese una manciata e la gettò in terra, poi ci camminò sopra. Molle saltavano via, cristalli stridevano quando venivano frantumati. Calò la sua mazza su quelli rimasti sul tavolo, spezzandoli, lacerandoli.

Alla fine, calò il silenzio, infranto solo dai suoi respiri.

Poi, mentre la rabbia svaniva, realizzò di non essere solo.

Si voltò. Sylar se ne stava là in piedi, le braccia lungo i fianchi, a guardarlo.

“Ti senti meglio?”

Peter non riusciva a parlare. Si strofinò il volto con il dorso della mano. Sylar lo oltrepassò, i suoi piedi che risuonavano sopra i vetri rotti. Aggirò il tavolo, si chinò, e raccolse un orologio dal quale penzolavano molle e ingranaggi.

“Mi piaceva questo.” Mormorò, come a sé stesso. “Un curioso orologio da muro in stile Gilbert. Inizio del 1900. Funzionava grazie ad un pendolo che potevi vedere oscillare aprendone la scatola.” Si fermò e passò il pollice sulla sua superficie rotta. “Suonava le ore e le mezz’ore con un gong che sembrava quasi una voce.” Alzò gli occhi su Peter, e non vi era altro che sincerità nei suoi occhi. “Va bene, Peter. Capisco.”

Peter ebbe la sensazione di aver ingoiato del veleno. Senza dire nulla, lasciò la stanza, fece le scale e ritornò in quel maledetto vicolo. Sylar non lo seguì.

Peter si lasciò cadere seduto davanti al Muro, le mani ferite appoggiate a palmi in su in grembo. Rimase seduto lì per ore, mentre il giorno svaniva e l’aria cominciava a rinfrescare.

Gli orologi di Sylar. Era appena schizzato e distrutto tutti gli orologi di Sylar. Gli orologi ai quali aveva lavorato dolorosamente e con amore per anni. Sylar li conosceva tutti alla perfezione. Una volta aveva detto a Peter che erano stati i suoi unici compagni in quei primi tre anni di totale isolamento. E oggi, Peter era arrivato al punto massimo d’esasperazione, agonia e frustrazione, ed era esploso, lasciandosi andare ad una totale e inutile distruzione. Chiuse gli occhi. Gli veniva da vomitare…ma pensò che forse stava cominciando a capire Sylar.

Sentì un rumore di passi. Peter prese fiato, si raddrizzò, e si asciugò le lacrime. I passi si fermarono alle sue spalle.

“Guarda cosa sono riuscito a salvare.”

Qualcosa luccicò nella coda dell’occhio di Peter. E poi davanti ai suo occhi comparve un orologio da taschino dorato attaccato a una catenella. Peter ridacchiò, e lo prese. Le dita gli tremavano, ma ne aprì il fronte.

Tick, tick, tick, lo salutò felicemente.

Una mano si poggiò sulla sua testa, solo per un momento.

“È tutto a posto, fratello.”

La gola di Peter si serrò. Ma i passi risuonarono di nuovo, e questa volta portarono Sylar verso il palazzo. Peter chiuse gli occhi, ascoltando il ticchettio, prendendo un profondo respiro e ripetendosi per la miliardesima volta:

Avanti, Peter. Tutto questo non è reale. Lo sai.

Questo è un sogno.

E noi usciremo da qui.

 

Grazie infinite del tuo commento Doralice^^

 

 

 

 

  
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