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Autore: Evilcassy    27/10/2010    3 recensioni
"Regalare un diario a me per Natale significa non conoscermi bene. Avrei preferito un vestito, una collanina, un paio di scarpe. Invece mi è arrivato un diario, da mio padre. Scommetto che l’ha preso all’ultimo minuto, come sempre. Ho abbozzato un sorriso ringraziandolo comunque. E non è neppure un affare piccolo. Potrei trascriverci tutta la bibliografia di Joyce" Anna Williams, attraverso il suo diario, racconta la sua adolescenza e quella della sorella Nina, Dalla Dublino degli anni '80 al laboratorio di Criogenesi del Dottor Boskonovitch, attraverso la loro rivalità e i primi due tornei di Tekken.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anna Williams, Nina Williams
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diary of a Scarlet Queen.

Chapter 4 : August 1984

 

10 Agosto 1984

Bene, direi che ho chiuso il capitolo Josh. E’ da un po’ che cercavo di evitarlo, preferendo la compagnia di Jessie Finley, trasformando i suoi capelli crespi da pastorella in una fiammante chioma lucente e selvaggia. Al suo fidanzato Connor è piaciuta molto. Un po’ meno ai suoi genitori, che l’hanno chiusa in casa urlandole che una ragazza per bene non va in giro con i boccoli e la faccia dipinta e che la compagnia della ‘nipote dublinese di Mary Williams’ la porterà solamente sulla cattiva strada della perdizione.

Così sono diventata un’abile scassatrice di porte e finestre, e riesco a far evadere Jessie molto facilmente.

Mi piace l’adulazione che Jessie ha nei miei confronti. Mi piace essere guardata dai suoi occhioni castani  con curiosità ed ammirazione, mentre le racconto le mie ‘avventure’ cittadine.

Oltre a Jessie frequento molto Ronan. Continuo a non capire veramente dove vada a parare. E’ molto chiuso e spesso criptico, non parla molto di sé. Fa tante domande su Dublino lasciando come spiegazione qualche frase in sospeso.

Due sere fa Josh ha cercato di attacar discorso con me chiedendomi come mai preferissi la compagnia di quella ‘mezzachecca’ di Ronan alla sua. “Si può sapere che ti è preso?”

“Diciamo che tu sei noioso” gli ho risposto sbadigliando, continuando a camminare. “Non dicevi così quel pomeriggio…

“Preferivi sbadigliassi?”

Le sopracciglia di Josh si increspano in un’espressione di assoluto disappunto. Io sogghigno, senza fermare il passo. Colpito nel segno e affondato: è così facile con gli uomini!

“Non scherzare con il fuoco, carina.” Sibila, prima di andarsene dalla direzione opposta.

 

15 Agosto 1984

E oggi sono 17anni che sono su questo pianeta. Ho ricevuto gli auguri da mamma e la promessa che la settimana prossima posso tornare a casa.

Da nonna un grugnito di simil buon compleanno.

Da Jessie un abbraccio fortissimo e la confidenza di aver perso la verginità con Connor. (E le mie congratulazioni a riguardo). Da Willow una lettera scritta a quattro mani con Helen piena di cuoricini, ‘ci manchi tanto, torna presto!’ e ‘Quanti sei riuscita a fartene?’

Il regalo più carino me l’ha fatto Ronan. Mi ha fatto andare a casa sua dove, sorpresa, sua madre aveva preparato una torta per me. E’ un donnone gigantesco, con i capelli biondo cenere e un sorriso che fa da orecchio ad orecchio dietro una nuvola di lentiggini. Mi ha quasi stritolato in un abbraccio, facendomi i complimenti su quanto fossi carina e facendomi arrossire violentemente. Si è addirittura scusata per le ridotti dimensioni della torta, che era squisita, e continuava a dire che Ronan parlava spesso di me a casa. Non riuscivo a smettere di sorriderle e di ringraziarla. Giuro di essermi quasi commossa: a casa nostra non si festeggiano volentieri i compleanni, a malapena facciamo i Natali, e questa merenda improvvisata, con Ronan, sua madre e le sue due sorelline gemelle che rientravano dal cortile dove giocavano sporche di terra è stata la festa di compleanno più bella che abbia mai ricevuto.

Di contro, quando sono uscita, mi sono ritrovata affiancata a Josh, che mi ha dato appuntamento per stasera.

Qualcosa a cui non posso mancare, ha detto, aggiungendo che non accetterà un no.

Dovrei mandarlo a quel paese e lasciar perdere, ma stasera mi sento troppo forte per dire di no: potrebbe essere la volta buona che lo sistemo a dovere.

 

 

 

 

16 Agosto 1984

Ieri sera poteva davvero finire male. Lo penso a malapena ora, a mente fredda.

Josh mi è passato a prendere non in moto, ma con la sconquassata auto di suo padre, e mi ha portato, senza dir nulla, a Corcomroe Abbey.

Gli ho chiesto perché mi avesse portato in quel posto e lui ha risposto che di solito le ragazze lo trovano molto affascinante con la luna piena. Ho asserito, cercando con lo sguardo la tomba di mio nonno, lambita dalla luce della luna che trafiggeva le nuvole.

Dopodiché Josh mi ha palpato. L’ho scostato, dicendogli che non avevo proprio voglia, e lui è montato su tutte le furie. Ha cercato di assalirmi e io gli ho rifilato uno schiaffo, per poi uscire di corsa dall’auto.

La mia corsa è durata poco, perché qualcosa mi ha colpito la testa , facendomi cadere a terra, frastornata. Un sasso del vialetto lanciato da Josh. E li ho capito che mi ero ficcata davvero in una pessima situazione.

Ho cercato di riprendere a correre, ma lui mi aveva già bloccata da dietro, spintonandomi contro una tomba, cercando di tenermi ferma a terra con un ginocchio sulla schiena. Ho alzato gli occhi un istante e mi è venuto un tuffo al cuore nel vedere il nome che vi era inciso: James Michael Williams.

Mi sono divincolata come una disperata, ho provato a morderlo, senza riuscirci. Nel compenso il morso me l’ha rifilato lui, nel collo, strappandomi la maglietta e un urlo di sdegno e rabbia.

Solo quando ha dovuto togliermi una mano di dosso per slacciarsi i pantaloni sono riuscita a divincolarmi da lui. Gli ho assestato un calcio al petto che l’ha fatto barcollare. Poi però ha estratto un coltello, sferrando un fendente al mio ventre.

Ma ormai avevo già riacquistato un po’ di lucidità ed istintivamente l’ho schivato. Poi ho preso il polso e, con un movimento fluido, l’ho piegato dalla parte opposta. Una mossa semplice, ma dannosa, se fatta correttamente, come mia madre mi ha insegnato in quasi 10anni di allenamenti di Aikido.

Il crack che ne è conseguito è stato più forte dell’urlo di Josh. Il coltello è caduto a terra e lui in ginocchio.

Ed improvvisamente ho sentito qualcosa di molto simile alla vertigine sulle scogliere.

In quel momento ho capito cosa provasse mio padre, Nina, e anche mia madre davanti ad un avversario battuto.

E’ stata una sensazione meravigliosa, meglio di un orgasmo o di una canna. E’ stata una sensazione di potere assoluto, intensissima. Un brivido che partiva dalla mano con cui avevo piegato il polso di quel bastardo e finiva dritto fino al cervello. Una scarica di adrenalina devastante, esplosiva.

Sono scoppiata a ridere sentendo i suoi lamenti. Non sapevo neppure io perché ridevo, ma non riuscivo a smettere. Era una risata folle, liberatoria, sguaiata.

Il mio piede si è posato, quasi senza che io me ne accorgessi, sul suo petto ansante, e ho avuto cura di calcare bene il tallone sul suo sterno. “La tua faccia stravolta dal dolore mi da i brividi” Gli ho quasi sussurrato.

Ed in quella frase c’era tutto il mio odio, tutta la mia rabbia, tutta la mia frustrazione. Un lago nero che aveva rotto gli argini ed era uscito fuori con una furia imprevista, travolgendo e distruggendo tutto ciò che si trovava davanti.

“Hai fatto male i tuoi conti, ragazzino.” Ho aggiunto, togliendogli il piede dallo sterno, solo per potergli rifilare un calcio nel fianco.

Josh si era piegato su sé stesso, dopo un altro urlo di dolore, ed in quel momento ho seriamente creduto che potevo ucciderlo, che potevo eliminarlo dalla faccia del pianeta.

Ho preso in mano il suo coltello e gli ho puntato la lama alla gola. Se ne fosse uscito del sangue, giuro, avrei potuto abbeverarmene avidamente.

“Chiedimi scusa”

Lui ha singhiozzato qualcosa.

“Non ti ho sentito bene”

Dalle labbra gli sfuggì un gemito.

“Come dici?” incalzai, premendo la lama sulla sua pelle.

Josh deglutì. “Scusa. Scusa Anna non volevo. Io… io non volevo farti del male, lo giuro…. Volevo solo spaventarti… ecco… farti uno scherzo…!”

“E per farmi uno scherzo per poco non mi mandi all’altro mondo con un sasso in testa e cerchi di stuprarmi sopra la tomba di mio nonno?” Ho allentato la pressione sul suo collo. “Mi fai schifo.” Ho sibilato alzandomi. Josh ne ha approfittato per balzare in piedi e scappare a gambe levate, tenendosi il polso stretto. L’auto ha grattato quando ha messo la retromarcia ed i fanali si sono allontanati dal vialetto d’entrata del cimitero di Corcomroe Abbey, per poi immettersi nella strada ed allontanarsi velocemente.

Ho appoggiato il coltello sulla lapide della tomba di mio nonno e sono scivolata a terra, davanti al suo epitaffio. Il cuore ha iniziato a battere più lentamente. Mi sono sfiorata la testa, nel punto dove la pietra mi aveva colpito, ma non sentivo traccia di sangue. Probabilmente c’era solo un ematoma. Mi avrebbe fatto male per un po’, ma ne era valsa la pena.

Ho percorso con la punta delle dita le lettere che componevano il nome di James Williams. L’adrenalina stava scemando, mi stava tornando la lucidità ed improvvisamente mi sentivo spossata, senza energie. Ma non smettevo di sentirmi forte ed invincibile. “Nonno, sono ancora la tua campionessa?” ho domandato, stendendomi sulla pietra fredda e scivolando nel sonno.

E’ stato Ronan a svegliarmi, scuotendomi. “Anna, cielo, Anna sei ferita?” continuava a domandarmi, la voce incrinata dal panico.

“Va tutto bene, Josh. Ho solo un livido dietro alla testa ma niente di che.”

“Diavolo, Anna, mi è preso un colpo quando ti ho vista sulla tomba. Josh è rientrato al pub con un polso gonfio come un cocomero e si è messo a blaterare con dei suoi cugini –tipi poco raccomandabili. Sembrava totalmente impazzito. Che cazzo è successo?”

Mi è scappato un mezzo risolino, mentre Ronan mi appoggiava sulle spalle la sua giacca, aiutandomi ad alzarmi. Gli ho raccontato tutto, per filo e per segno, orgogliosa di me stessa. Dell’aggressione e di come mi sono difesa.

Diavolo… ti sei messa proprio nella merda, ragazza mia… Josh non è il tipo che accetta le umiliazioni tanto facilmente. E’ meglio se ce ne andiamo di qui al più presto. Non vorrei che tornasse con i rinforzi.

Siamo saliti sul suo furgone e per tornare a Kinvara abbiamo percorso la strada più lunga, evitando quelle principali su cui poteva vederci Josh.

Ronan ha preferito portarmi a casa sua. Siamo entrati di nascosto e mi ha portato nel sottotetto. “Non è il posto migliore per nascondere una ragazza ma… meglio che nulla, no?”

“E’ il posto migliore in cui tu potessi nascondermi, Ronan. Ti ringrazio.” Siamo rimasti in silenzio per qualche minuto. E’ stato lui a parlare per primo. “Sai, oggi mi è successa una cosa strana, quando sei andata via. Io e mia madre stavamo pulendo dei pesci appena pescati, e ho trovato questo” Si frugo in una tasca e ne estrasse un ciondolo d’oro, infilato in una catenella. “Credo sia autentico. Mia madre mi ha fatto cenno di nasconderlo senza farlo vedere a papà. C’è un orafo a Galway che valuta bene l’oro. Con il ricavato posso permettermi il viaggio per Dublino.”

“E verresti in città con me?”

“Mia madre ha contattato una sua lontana cugina che abita in città, suo marito lavora al porto. Dice che da lui qualcuno cercano. E per un po’ potrò vivere a casa sua… il tempo di mettermi da parte qualche soldino in più e trovarmi un alloggio mio.”

Era fantastico. Non stavo più nella pelle. “Andiamoci domani mattina. Poi prendiamo i biglietti e partiamo subito! Dimmi che si può fare, ti prego!”

Nel buio, Ronan ha sorriso. Il suo sorriso mezzo triste e mezzo speranzoso. E ha annuito. L’ho abbracciato di slancio e lui ha fatto lo stesso con me.

Pensavo fosse il momento di un bacio, ma così non è stato. Ho pensato allora ai commenti di Josh su come Ronan schivasse le ragazze. “mezza checca” l’ha apostrofato una volta.

Ronan. Devo sapere una cosa. Ti giuro che non lo dirò a nessuno.”  Ho preso un bel sospiro. “… a te… piacciono i ragazzi?”

Lui si ritrae, improvvisamente agitato, quasi offeso. “Che diavolo dici!”

“La mia era solo una domanda. Io… non sono una persona che giudica. Non per queste cose, almeno. Ma… credo sia una cosa che tu mi debba dire.”

Ronan era improvvisamente nervoso. Tamburellava un piede per terra, abbracciato le ginocchia e strette al petto. “Non può essere che non abbia semplicemente trovato la ragazza giusta?” ha domandato, con una risatina nervosa.

“Certo, Certo. Deve essere così.” Ho annuito. Ho appoggiato la testa alla sua spalla e siamo rimasti così sino all’alba.

 

Questa mattina sono tornata a casa dalla nonna e ho fatto le valigie, con il sottofondo delle sue recriminazioni e minacce per l’intera nottata trascorsa fuori. Ronan e sua madre (con il solito sorriso da orecchio a orecchio) mi attendevano fuori, sul furgone, e siamo filati a Galway.

Mi ha fatto tenerezza la madre del mio amico, quando lo ha abbracciato e gli ha augurato buona fortuna, stampandogli uno schioccante bacio sulla guancia e facendo poi lo stesso con me.

Siamo saliti sul Bus euforici e le porte si sono chiuse in faccia a Josh e a due ragazzotti tarchiati che lo accompagnavano.

Mentre mostravo il mio dito medio elegantemente alzato, l’autista ha fatto partire il Citylink.

Direzione Dublino, Civiltà.

 

Chiedo perdono per il ritardo…per impegni di lavoro sono stata un po’ via e ho avuto poco tempo!!! Cercherò di recuperare…

Intanto, sperando di aver scritto qualcosa di vostro gradimento, mi gongolo con i vostri complimenti e vi ringrazio tantissimo!

Un fantastilione di grazie.

EC

   
 
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