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Autore: Iurin    29/10/2010    1 recensioni
Un probabile seguito de "La fabbrica di cioccolato!" .....propongo di fare una ola a Willy Wonka!!! xD
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elly_93: mon amour! xD Non ti agitare per favore xD xD Tanto non ti dirò chi è l'ultimo tizio u.ù ti pare che te lo dico??? XD XD Siamo realisti u.ù XD Comunaue, cos'è, ricominciamo con le minacce? Tut tut tut...non si fa no no no. xD xD Basta, a quest'ora sono proprio scema. Sì, io sono sempre scema, ma ora lo sono di più. Un bacio, bellissima, dalla tua (altrettanto bellissima u.ù) donna blu. xD

 

Mark Sanders

Fu bellissimo quel giorno: facemmo una lunghissima passeggiata e io mi sentivo al settimo cielo, così leggera che temevo di poter volare via da un momento all’altro. Willy ed io eravamo usciti dalla fabbrica, ma non avevamo una destinazione precisa, andammo un po’ in centro, a fare quattro passi, a vedere le vetrine, a parlare, a ridere…insomma tutte cose estremamente normali, che però in quel momento mi sembravano stupende.
Lo so…ero proprio cotta. E dire che non lo sopportavo, che Willy lo consideravo come uno di ultima scelta. Il fatto, credo, era che ero talmente fissata su Alex che non mi rendevo conto di quello che mi stava intorno…fortuna che alla fine almeno avevo aperto gli occhi!
Comunque, come stavo dicendo, facemmo questa passeggiata camminando sui marciapiedi eccetera eccetera e, ad un certo punto, mi resi conto di come la gente ci stava fissando: avete presente quando una persona cammina per strada e guarda distrattamente chi ha di fronte? Tanto per non finirci addosso? Ebbene, quel giorno accadeva l’esatto contrario: gli occhi dei passanti non si soffermavano su di noi solo un paio di secondi, ma ci guardavano finché non fossimo spariti dalla loro visuale.
“Mamma mia, è angosciante…” mormorai tra me e me.
“Cosa?” mi chiese Willy.
“Non vedi tutta questa gente?” dissi piano “Che ha da guardare?”
“Beh…”iniziò lui “potrebbero essersi due opzioni: 1) sono stupiti di vedermi in giro una buona volta; oppure…”
“…oppure?”
“Non riescono a toglierti gli occhi di dosso…”
Mi sentii sciogliere come burro fuso.
Risposi però al complimento di Willy con una spallata amichevole e continuammo così a camminare.
Raggiungemmo il centro commerciale, ed entrai trascinando Willy per un braccio perché lui non voleva entrare e lo portai al reparto abbigliamento uomo.
“Che ci siamo venuti a fare?” brontolava.
E detto fatto glielo mostrai direttamente posandogli sulle braccia un’infinità abominevole di vestiti, magliette, pantaloni, camicie, e chi ne ha più ne metta! A momenti cadde per terra dalla sorpresa. E non finisce qui, perché quei vestiti glieli feci provare tutti, nonostante le sue proteste. Il fatto era che sinceramente, a pensarci bene…non ci sono altri colori oltre al viola? Nel guardaroba di Willy quello era il colore predominante, senza contare che sembrava che i suoi vestiti sembravano fatti con lo stampo, dato che mi sembrava che fossero tutti dello stesso modello. Comunque, morale della favola, uscimmo di lì con una marea di sacchetti in entrambe le mani.
“Era proprio necessario?” mi chiedeva lui.
“Assolutamente!” gli facevo ridendo alla sua faccia da cane bastonato “E te li voglio addosso il più presto possibile!”
Dopo un po’, in ogni caso, mi venne in mente una cosa molto importante, e allora gli chiesi:
“Hai già pensato ad uno slogan per quella caramella?”
La vitalità di Willy sembrò ridestarsi. “Si che c’ho pensato!”
“Allora dimmelo così appena torno in ufficio finisco finalmente questo benedetto lavoro.”
“Allora…praticamente io avevo pensato a una cosa come questa.” E scandendo ogni singola parola con un movimento della mano, come se il cartellone ce l’avesse davanti agli occhi, disse solennemente: “Caramella Desiderio. Ogni sapore a portata di bocca.
“Ehi, non mi sembra affatto ma…”
Non riuscii a concludere la frase, perché all’improvviso qualcuno mi travolse facendomi cadere a terra e facendomi oltretutto volare per aria tutte le buste e bustine varie. Mi alzai subito in piedi, incavolata con chiunque mi era venuto addosso. Anche i colpevole si era alzato e così potei vederlo meglio: biondo con gli occhi marroni, vestito di tutto punto, come se stesse andando ad una festa. Ci guardammo per una frazione di secondi, dopo la quale lui posò gli occhi sul mio cappotto mormorando piano:
“Mi…mi dispiace, non volevo…”
Ma perché mi fissava il cappotto?
Mi guardai allora addosso e vidi un’enorme macchia nera che si espandeva a vista d’occhio. Guardai allora il tizio che avevo di fronte e mi accorsi solo allora che aveva in mano un bicchiere.
“Non sarà mica caffè quello…vero?”
“Ehm…” fece lui “Io…glielo ricompro, non volevo, mi dispiace, ma non l’avevo proprio vista…”
Mi domandai come fosse stato possibile dato che ero una bancarella ambulante.
“No, non fa niente.” Dissi “Non c’è bisogno che me lo ricompra: lo porto in lavanderia.” E aggiunsi “Arrivederci.”
Feci per andarmene, ma il biondo mi si rimise davanti dicendo:
“Mi faccia almeno pagare il conto della lavanderia; quella macchia di caffè le costerà un patrimonio mi creda…”
Sembrava volenteroso, perché non accontentarlo? Così almeno mi risparmiavo un po’ di euro.
“Va bene.” Dissi allora “Ha presente una società che si chiama Brown’s Graphic Society?”
“Sì.”
“Io lavoro là. Se viene e chiede di Julia Davis le farò trovare il mio cappotto impacchettato e pronto per un lavaggio. Okay?”
“Sì, perfetto…verrò verso le 11.” Poi all’improvviso posò gli occhi su Willy ed esclamò: “Ma lei non è Willy Wonka?”
Willy annuì, e il tizio biondo gli prese la mano iniziandola a scuotere. “E’ un vero piacere incontrarla! E complimenti per la fantasia, i suoi dolci sono spettacolari!”
“Ehm…grazie” disse Willy mentre quell’altro continuava a scuoterlo.
“E’ la pura verità, signor Wonka! Lei un genio!” esclamò euforico “Spero davvero di incontrarlo di nuovo!”
“Come no? Pure io!” fece Willy sorridente, anche se quella frase mi sembrò abbastanza ironica.
“Bene! Allora alla prossima!”
E come era comparso se ne andò.
Ci girammo vedendolo scomparire tra la folla.
“Che tipo strano…” commentai.
“Già…” disse Willy.
“Quasi quasi è anche peggio di te…”
Willy mi guardò esterrefatto per quel commento, e io sorridendo feci:
“Sto scherzando!” e gli diedi una botta sul cappello di modo che gli calasse sugli occhi.
La giornata, comunque, era quasi giunta al termine, e così tornammo alla fabbrica, e aiutai Willy a portare tutti i sacchetti in camera sua. Quando arrivammo scaraventai praticamente tutto sul letto.
“Che delicatezza…” commentò lui ironico ma sorridente.
Lo aiutai a sistemare tutti quei vestiti, e quando tutto fu di nuovo nell’ordine immacolato in cui Willy teneva le sue cose, ci salutammo con un bacio e io me ne andai dirigendomi alla macchina.
Accesi il motore, e partii.
Non riuscivo quasi a credere a tutto quello che mi stava succedendo…insomma mi ero messa con Willy Wonka! Il violadipendente…aveva dell’incredibile, lo ammetto…
Mi diressi in ufficio con sorriso sulle labbra, e in quel momento mi sentivo come se nessuno potesse scalfirmi, come se nessuno avesse potuto rompere quell’aurea di serenità che mi circondava.
Mi sedetti alla mia scrivania, come mio solito, e accesi il computer mettendomi a lavoro.
Dopo più o meno una mezz’ora vidi delle mani poggiarsi sulla scrivania; alzai gli occhi e mi resi conto di chi mi stesse davanti.
“Possiamo parlare?” mi chiese George determinato.
Ammetto che ce l’avevo ancora con lui, non solo perché non mi aveva difeso quel famoso giorno, ma anche perché si era permesso di andare da Alex e di dirgli che mi piaceva.
“Sto ancora aspettando che le tue mutande vengano usate come stendardo.” Dissi senza guardarlo riferendomi alla promessa che mi aveva fatto un po’ di tempo prima.
“Alex te l’ha detto?” mi chiese lui con aria sofferente.
“Evidentemente… e mi chiedo come tu possa avermi fatto una cosa del genere!”
“Io…non credevo che Alex te lo avrebbe detto…”
“E io non credevo che tu l’avresti detto a lui!” sbraitai “Va bene che avevamo litigato, ma mi pare una vendetta da immaturi, non trovi?”
“Io…che ti viene in mente? Non volevo mica…”
“Senti,” dissi allora “non voglio sentirti, ascoltarti, guardarti e tanto meno parlarti, quindi se non ti dispiace io avrei da fare.”
George rimase per qualche istante alla mia scrivania, e poi senza aggiungere altro se ne andò a passi lenti.
Di conseguenza non riuscii a finire il lavoro. Per colpa di George mi era passata la voglia, e così me ne andai in bagno a sciacquarmi la faccia per rientrare un po’ in me stessa. Mi guardai allo specchio fissando i mie occhi che fino a poco tempo prima sprizzavano gioia, mentre adesso facevano trasparire i miei pensieri, ovvero come era bella la vita prima che succedesse il casino che era successo. Pensai però anche a Willy, che quindi c’era un lato positivo in tutta quella dannata storia, e inevitabilmente mi sentii meglio. Mi ricomposi e uscii dal bagno inspirando profondamente.
Tornai alla scrivania e ricominciai a lavorare ispirata improvvisamente dalla foto di Willy che avevo sul computer.

Ed eccoci arrivati ad un altro punto della nostra storia incasinata ma anche piacevole (almeno spero), ad un punto in cui succede qualcosa che in teoria, nel momento in cui la stavo compiendo, avrei dovuto essere cosciente delle conseguenze, ma a causa del mio famoso orgoglio era andato tutto a rotoli. Non c’avete capito niente? Bene, allora riprendiamo dall’inizio.
Il giorno dopo andai in ufficio e tutta pimpante, con il miglior sorriso che potessi avere, mi misi a lavorare; il tempo passava velocemente, quasi senza che me n’accorgessi grazie alla voglia che ci mettevo per finire quei benedetti cartelloni pubblicitari.
Verso le 11, comunque, un mio collega condusse alla mia scrivania un signore biondo dagli occhi marroni chiari.
“Ehm, salve!” disse lui.
Lo guardai in faccia e lo riconobbi: il tizio che mi aveva investito il giorno prima rovesciandomi addosso il caffè e formando sul mio cappotto un lago scuro e purtroppo quasi indelebile.
“Lei è quello di ieri, vero?” dissi come se non lo sapessi.
“Sì, ecco, però se è occupata io ripasso, insomma…”
“No, sono disponibile!” feci alzandomi in piedi e pensando: “prima mi libero di questo qui meglio è.”
Presi la busta in cui avevo infilato il cappotto e che avevo portato con me e insieme scendemmo di sotto, per andare a piedi alla tintoria più vicina.
“Comunque non ci siamo presentati.” Mi disse lui mentre camminavamo “Io sono Mark Sanders, molto piacere. Il suo nome se non sbaglio era…”
“Julia Davis.” Feci stringendogli la mano.
“Giusto. Me l’aveva detto l’altra volta, ma sa…la mia memoria non è di ferro.”
“Oh guardi, neanche la mia: prima che mi ricordo qualcosa la gente deve ripetermelo minimo dieci volte, e come se non bastasse me la devo pure appuntare da qualche parte se no me la dimentico comunque.”
“E scommetto che certe volte l’appunto persino se lo perde.”
Lo guardai strana. “mi sta prendendo in giro?”
“Oh no.” Rispose lui “Ma vede…praticamente parlando di lei stava descrivendo anche me e a me appunto capita di perdere tutti i post-it che scrivo. A lei no?”
“Ehm” feci arrossendo lievemente “qualche volta.”
Mark si mise a ridere.
Parlando del più e del meno, comunque, arrivammo alla lavanderia, e tirai fuori il cappotto macchiato dalla busta. Lo stesi sul bancone e Mark guardandolo commentò:
“Non ha una bella cera…”
“Già…” feci io abbozzando un sorriso “E chissà di chi è la colpa…”
“Gliel’ho già detto che intendo ripagarglielo?”
“Solo un centinaio di volte.”
La commessa della lavanderia, fortunatamente, sapeva benissimo cosa fare con una macchia del genere e ci disse di tornare lì dopo un’ora.
“Un’ora?” chiesi “Così poco?”
“Oggi abbiamo pochissimi clienti.” Fece lei “Non si è visto quasi nessuno.”
Uscimmo di lì in silenzio.
“E io mò per un’ora che faccio?” pensai “Non posso mica tornare in ufficio: non faccio in tempo a mettermi seduta che già devo riuscire per venire qui.”
Mark, si vede intuendo i miei pensieri, propose:
“Perché non ci andiamo a prendere qualcosa al bar intanto che aspettiamo?”
“Ok.” Risposi “Ma non mi macchi pure questo di cappotto.”
“Manco morto.” E poi aggiunse “Comunque secondo me è molto più bello quello che indossa adesso di quell’altro.”
“Oh…beh, grazie.”

***


“Ecco, ecco, ci siamo!” eslcamai guardando la poltiglia blu che bolliva nel pentolone. Erano giorni che quella roba bolliva sul fuoco e finalmente era successo qualcosa: si erano iniziate a formare bolle di varie dimensioni che scoppiavano mandando piccole scintille. Chissà…magari quella sarebbe stata la mia prossima caramella…
All’improvviso, però, un Umpa Lumpa entrò nella stanza interrompendo la mia momentanea euforia.
“C’è qualcuno che la cerca.” Mi disse.
“Ah sì? E chi è?” chiesi.
“Non lo so. È una signora bionda.”
Mi girai verso di lui. “Una signora bionda?! E chi è?”
L’Umpa Lumpa fece spallucce e se ne andò, mentre io mi misi il cappello e dopo aver dato un’ultima occhiata alla sostanza uscii.
Andai nell’ingresso della fabbrica, e in effetti c’era una signora bionda che mi aspettava. Mi avvicinai sorridendo come mio solito, ma quando lei si girò cambiai totalmente espressione rimanendo di sasso.
“Stacy?” chiesi.
“Uh si ricorda come mi chiamo!” fece lei.
E come dimenticarsela dopo tutta quella storia.
“Posso fare qualcosa per lei?” chiesi cercando di essere il più gentile possibile.
“Veramente cercavo Julia.”
“E perché è venuta qui?”
“Beh, a casa sua non c’è e allora pensavo di trovarla qui.”
“Starà a lavoro, non crede?”
“No, non è neanche lì.”
“Beh, mi spiace ma non è neanche qui.”
All’improvviso però ci fu una cosa che mi stupì alquanto: Stacy cambiò espressione tutto insieme ed esclamò dandosi una patacca sulla fronte:
“Oh, adesso mi ricordo dov’è! Che scema…perché non c’ho pensato prima!”
“Ah sì? Bene!” dissi sperando che se ne andasse di modo che io potessi tornare alla mia sostanza blu.
“Non riesco a capire come possa essere riuscita a dimenticarmelo!”
“Ehm…beh fortuna che ora se lo ricorda!” feci dirigendola verso l’uscita.
“Ma sì! Me ne aveva pure fatto un accenno…doveva incontrarsi con Mark.”
Mi si accese la curiosità.
“Mark? E chi è?”
“Oh, è solo un suo carissimo, ma carissimo amico…dovevano uscire per andare da una parte in centro…”
Ah.
“Davvero?” chiesi “Le dispiace…le dispiace se l’accompagno per andare da Julia?”
E così lasciai definitivamente perdere il mio caro intruglio blu e uscii dalla fabbrica sotto un torrente di parole di Stacy.

***

“Io non lo assaggio neanche morta.” Affermai guardando quello che il cameriere mi aveva messo davanti su ordinazione di Mark.
“Avanti, è buono.” Mi diceva lui.
“Come può un cappuccino con dentro il succo alla banana essere buono? Me lo spiega?”
“Lo so, se si pensa agli ingredienti non è molto allettante, però…”
“Magari…” feci allontanando la tazza da me “lo assaggio più tardi, eh?”
“Come vuole,” disse lui “ma io aspetto con ansia un suo verdetto.”
Feci una faccia disgustata contemplando quella roba davanti a me e Mark guardandomi si mise a ridere.
All’improvviso però fu proprio il locale in cui ci trovavamo a darmi una via d’uscita, perché infatti avevano messo una musica ad alto volume e nella piccola pista da ballo alcune persone si erano messe a ballare. Dico che questo mi offrì una via di scampo allo pseudo-cappuccino perché infatto Mark mi chiese:
“Nel frattempo che lei si decide che ne dice di fare quattro salti?
“Dove, in padella?”
“Sulla pista!”
“Oh, no! No no no! Neanche per sogno!”
“Ma perché?” chiese lui alzandosi in piedi.
“Perché non sono capace.”
“Andiamo, tutti sono capaci a ballare.” Disse tendendomi la mano.
“Beh, io sono un eccezione.”
Lui però non si diede per vinto e prendendo la mia di mano mi tirò su a fatica dalla sedia e mi trascinò sulla pista da ballo.
“Se uscirà di qui con i piedi gonfi per le pedate che le darò potrò solo dire che io gliel’avevo detto.” Feci avvertendolo.
“Guardi che tanto neanche io so ballare, quindi ci compensiamo a vicenda.”
“Caso mai faremo una bella figuraccia, altro che compensazione…”
Ma Mark non mi ascoltò, bensì mi prese per mani e iniziò a farmi piroettare, dopodiché cominciammo a ballare come potevamo, andando ripetitivamente fuori tempo e pestandoci i piedi a vicenda. Il risultato? Iniziai a ridere come una matta, e quando la musica finì io ancora ero lì che quasi quasi me la facevo sotto.
Alla fine, comunque, quando riuscii a smettere e ad asciugarmi le lacrime che mi uscivano per lo sforzo, dissi a Mark:
“Lei mi ha fatto divertire e io per ricompensa assaggerò quell’abominevole cappuccino.”
“Non chiedevo di meglio.” Mi rispose lui.
Ci girammo allora per tornare al nostro tavolino, e quasi mi prese un colpo: fuori dalla vetrina, che guardavano verso di noi, c’erano Stacy e Willy.
“Ma che ci fanno insieme, si può sapere?” pensai, anche se quello che mi spaventò più di tutto fu l’espressione di Willy: stava lì a fissarmi con un sopracciglio alzato e per quanto mi sembrava era praticamente sconcertato.
Chissà a che stava pensando…

 

 

Sì...anche Willy alza il sopracciglio. u.ù
Come un pipistrellone insegnante di pozioni di mia conoscenza u.ù
Perchè tanto lui c'entra sempre e comunque! XD XD

Ciao, nì!!!!!!!!

   
 
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