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Autore: Alydia Rackham    30/10/2010    1 recensioni
Questa storia non appartiene a me ma a Alydia Rackham. L'intera storia di quello che successe a Peter e Sylar durante la loro prigionia dietro Il Muro-la loro lotta per mantenere la loro umanità e sanità mentale mentre realizzano che l'unica via d'uscita è attraverso la penitenza e il perdono.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Petrelli, Sylar
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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                                                                                                                                        Parte nove

                                                                                                                                     VVVVVVVV

                                                                                                                                        Crogiuolo:

                                                                                                                           “Luogo o serie di circostanze

                                                                                                        Dove persone o cose sono soggette a forze che li testano

                                                                                                                                         E spesso

                                                                                                                                              Li

                                                                                                                                            Fanno

                                                                                                                                          Cambiare

                                                                                                                                       VVVVVVVV

                                                                                                                                      Osservazione

Il tempo che Peter e Sylar passarono in quella prigione sempre uguale, anche se scossa da situazioni strazianti, esasperanti e da rivelazioni, passò con una costante monotonia. All’inizio, i due lavoravano al Muro da prima dell’alba fino a dopo mezzanotte, prendendosi solo poche ore per sedersi e bere, semplicemente perché il fresco liquido scendeva piacevolmente giù per le loro gole. Ma con il passare dei mesi, scoprirono di aver bisogno di più riposo. Cominciarono a smettere di lavorare al calar del sole, e Sylar si metteva a riparare qualche orologio o a studiare qualche manoscritto, e Peter si metteva a leggere. Entrambi durante la notte chiudevano gli occhi per qualche minuto per riposare un po’. Ma al terzo anno, cominciarono a svegliarsi di soprassalto al rintocco di un orologio che suonava le otto del mattino. A nessuno piaceva questo sviluppo. Dopo l’incubo di Sylar, ciò li disturbò particolarmente, facendo loro realizzare che stavano sprecando del tempo che poteva essere utilizzato per martellare contro il Muro. Cercarono di trovare un modo di cambiare la loro mentalità. Tuttavia, cambiare la loro routine e riflettere sul perché si addormentavano non faceva altro che stancarli di più.

In principio, avevano discusso sullo stile del martellare, sul loro ritmo, la loro posizione, su quando dovevano scambiarsi di posto, e come. Sylar non aveva mai faticato troppo con pesanti lavori manuali nella sua vecchia vita, quindi Peter aveva dovuto dargli qualche dritta su come martellare più velocemente, e colpire con precisione.

Era stata dura all’inizio, con più di un po’ di semplice tensione fra di loro, ma alla fine erano arrivati ad una routine che soddisfaceva entrambi. Con il passare dei giorni, guadagnarono in forza e velocità, e per il quarto anno, martellavano come John Henry alimentava la sua macchina a vapore, perfettamente a ritmo e bilanciati. Nessuno dei due menzionava il fatto che i mattoni non venivano mai intaccati. Sapevano entrambi che il Muro era una barriera mentale, e temevano che ammettere i loro fallimenti lo avrebbe reso più forte.

Sylar e Peter lessero tutti i libri esistenti. Non erano quanti sarebbero piaciuti a tutti e due, dato che entrambi non avevano avuto molto tempo per leggere nella loro vecchia vita. E così, quando tutti i libri furono letti, ricominciarono da capo. In particolare, Sylar leggeva I Pilastri della Terra quando si sentiva colpevole e morboso, o negli anniversari della comparsa del Muro. Lo consumò. Le pagine cominciarono a mollarsi, e la copertina somigliava a un cencio. Peter leggeva A Tale of Two Cities quando era da solo, e sentiva la mancanza di Emma. E Sylar leggeva Evangeline quando pensava a lei.

Peter non la menzionò mai. Non considerava il fatto che sapeva della preoccupazione di Sylar riguardo Claire. All’inizio, era perché voleva che Sylar continuasse a parlare, così da scoprire tutto ciò che Sylar voleva farle una volta uscito. Ma Peter realizzò presto che Sylar non voleva fare niente tranne supplicare il suo perdono, per quanto vana potesse sembrare la cosa. Beh, supplicare il suo perdono, e provare a convincerla del fatto che voleva imparare come amarla, perché non poteva sopportare il pensiero di rimanere da solo.

Ci volle un po’ a Peter per processare quella rivelazione―infatti, non riuscì mai ad assorbirla appieno―ma la sua ostilità a riguardo svanì. E si arrivò al punto in cui ogni volta che Peter trovava Sylar in un angolo a leggere Evangeline, si sedeva sulla sua sedia e diceva qualcosa come “Lo sai, un pezzo di quel libro mi ricorda di quando mia nipote era venuta ad una partita con me, e…” E Peter guardava come Sylar si lasciava trascinare fuori dalla malinconia per ascoltare una storia su Claire.

Scoprirono in fretta che nessuna delle radio e televisioni funzionava, a dispetto di qualunque competenza tecnica posseduta da Sylar. Non si accendevano neppure.

“Ovvio.” Aveva detto Sylar, come se non fosse stata una sorpresa. “Una radio o una televisione simula la presenza umana. Parkman mi voleva solo.”

Peter aveva deciso allora che Parkman aveva una vena di malvagità, e che lui non l’apprezzava.

Entrambi impararono a memoria ogni angolo della città. Ma la presenza del Muro, la loro via d’uscita, impediva loro di vagabondare troppo. Diventarono familiari anche con il Muro. Camminarono fino all’altra parte di esso e martellarono per di là. Camminarono sulla sua sommità come gatti su uno steccato. Cercarono di usare la cartavetrata. Provarono anche a impiantare chiodi fra un mattone e l’altro (cosa che risultò in Sylar rompersi un dito). Provarono un martello pneumatico pensato per la pietra. Il Muro non cedette minimamente. Alla fine, rimasero solo i martelli.

Sylar non ne ruppe neanche uno. Peter ne ruppe quattro. Peter supponeva che la causa fosse il fatto che lui scaricava tutta la sua rabbia e la sua frustrazione sul Muro, mentre Sylar se la teneva dentro. Per questo, dopo il primo incubo, Sylar ne ebbe molti altri e frequenti. Peter lo svegliava sempre quando iniziava a gridare, ma lui si chiudeva sempre in sé stesso finché Peter non faceva una battuta, e raccontava poi una storia divertente su Claire. O quello, o Peter raccontava volontariamente qualcosa su Emma, e Sylar non mancava mai di approfittare di quella opportunità.

Solo una volta non funzionò. L’incubo lo aveva scosso talmente tanto che Sylar insistette nel dire a Peter, cronologicamente, il nome di ogni persona che aveva ucciso o ferito, come, e perché. Non guardava Peter mentre parlava, e le sue parole inciampavano le une sulle altre in un elenco veloce, come un computer che recita una serie di dati. Peter aveva ascoltato con inorridito fascino mentre la lista continuava―finché la sua mente non si era intorpidita. L’unica cosa che lo riportò indietro fu la distante, sfinita voce di Sylar che diceva “Nathan Petrelli, gli ho tagliato la gola con la telecinesi, perché lui e suo fratello volevano uccidermi. Un uomo con una macchina e rimorchio, l’ho colpito in testa con una sbarra di ferro, per avvertire Matt Parkman.” Sylar prese un respiro, rimase zitto per un lungo momento, come se stesse pensando. Poi annuì. “Questo è tutto.”

Peter fu grato che fosse buio nella stanza in cui erano seduti. Si asciugò le lacrime, poi si scusò. Si ritirò sul tetto appoggiandosi al parapetto, sapendo che se fosse stato reale avrebbe vomitato.

Dopo quel giorno, Peter si sedette spesso da solo sul tetto, di notte, ricordandosi di Nathan e piangendo così tanto da credere che il petto gli si sarebbe squarciato per il dolore. E non importava lo scorrere del tempo, ogni volta che Sylar pronunciava il nome di Nathan, un lampo viscerale, di rabbia incandescente attraversava il corpo di Peter. Diventò bravo a nasconderlo. Sylar non lo notò mai.

Ma notava ogni volta che Peter prendeva in mano un martello. Perché ogni volta che le dita di Peter si serravano sul manico, veniva posseduto dall’orribile pensiero che Peter stesse per sbatterglielo i testa lasciando finalmente che Nathan riposasse in pace. Peter non ci provò mai. Ma qualcosa doveva essere apparso sul suo volto, perché Sylar indietreggiava sempre, ed esitava prima di prendere il suo martello. Poi l’odio di Peter veniva mitigato dalla colpa―Sylar aveva orribili, vividi incubi quasi ogni notte, che lo lasciavano esausto e pallido il giorno seguente. Attaccarlo in quello stato sarebbe stato inumano, qualsiasi cosa avesse fatto in passato.

Tuttavia, dopo la scoperta di Sylar della vecchia, Bibbia di pelle, e la sua immersione in essa, cominciò a sedersi in chiesa le Domeniche. La prima volta Peter lo seguì da distante, perplesso. La volta dopo, Sylar lo invitò semplicemente a unirsi a lui. L’immensa vetrata di quella chiesa era impressionante. La luce dorata del sole la attraversava, scaldando l’intera sala. Sylar si sedeva sulle panche centrali, gli occhi chiusi.

E i suoi incubi cominciarono a calmarsi. Il suo umore migliorò. Nei suoi occhi non vi era più quella punta di incerta follia, o quella tempesta sull’orlo di scoppiare. La forza che aveva sempre tenuto in sé perse i suoi spigoli, e cominciò a ricordare a Peter di una costante, inamovibile forza, piuttosto che di un uragano. Peter era meravigliato di lui. Alcune volte, Sylar era quasi un bambino nell’aspetto o nelle sue conversazioni, prendendo Peter alla sprovvista. Altre volte, era stoico, quasi nobile, e paziente. E ancora altre volte il suo spirito sferzava come una frusta, il suo aspetto trasmetteva una sorta malvagio divertimento, ma era come un gatto che non usava gli artigli.

Peter ricordava la prima volta che aveva visto Sylar ridere realmente. La causa era irrilevante, oscurata dal suo risultato. Era stato un errore commesso contemporaneamente da Peter e Sylar―un malinteso che li aveva fermati per un momento, e poi Sylar era scoppiato a ridere in maniera incontenibile. La purezza e il calore in quel suono stupirono Peter, lasciandolo senza parole. Non durò a lungo, e la gioia di Sylar si assestò in un calmo sorrisetto, ma il cambiamento che aveva portato al suo volto non svanì. La durezza agli angoli dei suoi occhi era svanita. Peter si domandò se per caso Sylar aveva appena riguadagnato un pezzo di Gabriel Gray.

Vissero come monaci, fratelli di un ordine quasi morto. Peter divenne una creatura di routine, devozione e abitudine, sconcertato se non era sveglio per l’alba con Sylar a martellare al suo fianco, e infastidito se il libro che stava leggendo veniva spostato su una mensola. Sylar ne era divertito e compiaceva le abitudini di Peter, ma spesso insisteva nel rompere la monotonia. Peter resisteva sempre quando Sylar gli chiedeva di andare a fare una passeggiata di mattina invece di andare a martellare, ma segretamente, era grato per le interruzioni. Gli impedivano di uscire completamente di senno. Sylar era la voce della ragione, della gentile fermezza. Peter era la voce della persistenza, della determinazione.

Ma entrambi ammettevano che la loro sanità mentale era precariamente in equilibrio, e mantenuta solo da regole attentamente seguite, le quali riguardavano soggetti che si potevano discutere, e altri che era meglio evitare. La loro famiglia faceva parte dell’ultima categoria. Nessuno voleva parlare di sua madre, poi, dopo quell’orribile notte, nessuno parlò degli omicidi di Sylar. Ma di altre cose conversavano facilmente durante il lavoro, o mentre si rilassavano leggendo un libro. Parlavano costantemente di romanzi, fumetti, telefilm, filosofia, teologia, e medicina. Peter insegnò a Sylar tutto ciò che sapeva sulle cure d’emergenza―tutto quello che poteva insegnarli semplicemente spiegandogli. L’unica volta in cui Sylar non fu un bravo studente fu quando Peter gli mise a posto il pollice. In cambio, Sylar insegnò a Peter tutto riguardo la meccanica e la storia degli orologi. Finché Peter non li distrusse. E da quel giorno in poi, l’unico orologio che ticchettava era quello di Peter. Il suo ticchettio non era opprimente, come lo era stato il coro degli altri orologi. Spesso si dimenticavano dell’esistenza del piccolo orologio da taschino, finché non rintoccava leggermente per segnare le otto della sera, quando Sylar e Peter smettevano di martellare sul Muro e si ritiravano nella stanza dei libri―una pratica che divenne necessaria per calmare la frustrazione di non riuscire ad abbattere quel Muro. Insieme, combatterono per mantenere la certezza che un giorno sarebbero fuggiti.

Ma col passare degli anni, Peter cominciò a percepire che qualcosa era profondamente, fondamentalmente sbagliata. Dopo il suo iniziale, tradizionale tentativo nella stanza di Sylar di portarli fuori da lì, Peter non aveva saputo che fare―fino a che Sylar aveva rivelato di non voler davvero uscire. Peter aveva immaginato che quello fosse stato il problema; teoria che era stata confermata quando la via d’uscita―il Muro―era apparsa nel momento in cui Sylar aveva deciso di voler aiutare davvero.

Ma dopo quello, per quanto Peter martellasse su di esso, il Muro era rimasto sempre lo stesso. Cominciò a sospettare che il problema fosse ancora Sylar―se solo avesse alzato il culo e lo avesse aiutato a martellare, allora sicuramente lo avrebbero abbattuto in poco tempo.

Ma non era stato così. Quando Sylar aveva preso la sua decisione, aveva cominciato a lavorare sodo quanto Peter, senza mai lagnarsi. Eppure non l’avevano scalfito. Ancora, Peter si era detto che il problema era Sylar.

Ma non poteva essere. Sylar viveva come un santo. Anche se soffriva ancora visibilmente a causa dei suoi demoni, era infinitamente paziente con l’umore irascibile di Peter. Era anche gentile, a volte.

Peter poteva dire con certezza che la persistenza del Muro disturbava Sylar profondamente―lo confondeva. Lo colpiva con tutta la sua forza ogni volta, aspettando che crollasse.

Peter, tuttavia, sentiva una parte di sé che si tratteneva. Anche se il suo martello colpiva con la stessa forza di quello di Sylar, i suoi dubbi crescevano, diminuendo la sua forza. Ma non avrebbe affrontato quei dubbi.

Peter rifiutava di considerare l’idea che quel Muro non fosse una creazione di Parkman o di Sylar. Non poteva sopportare di pensare che avevano sofferto così a lungo a causa sua

 

Grazie a Doralice e Saliman. Volevo avvisarvi che se per caso siete appassionati di NCIS sto traducendo una Fanfiction per quel fandom, si intitola 'Where The Teddybears Have Their Picnic'. Provate a leggerla ne vale davvero la pena XD

  
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