Secondo
voi, quanti anni ha Kakyou? Io gli ho attribuito un’età, in questo capitolo, ma
non so cosa ne pensate voi…
Anche
questo capitolo mi convince il giusto…bah…
Il
prossimo svelerà finalmente la mia versione del desiderio di Kamui. Intanto
questo è dedicato a Jucchan, perché il finale dovrebbe piacerle. E rassicurarla
sul fatto che io non tradirò mai il suo fandom del cuore inseguendo altre
discutibili scelte!XDDD
Grazie
per i commenti e la lettura!
yumemi@hotmail.it
IX
– Trying to Find a Home
E
adesso vedi tutto,
ora
che hai realizzato
E
adesso vedi tutto,
e
vorresti gridare
come
vedi tutto, adesso…
(Rem)
Novembre 2001
L’indomani
Kazuki corse nella sua stanza, spalancò la porta, e lo trovò sveglio,
naturalmente.
-
Hai una visita un po’ strana. Un ragazzo in carrozzina. Un tipo dall’aria
eterea. E’ qui con un’infermiera a domicilio.-
Kamui
annuì.
-
So chi è. Fallo entrare.-
-
Così avevi ragione, Kamui. Non ci saremmo incontrati mai più in un sogno.-
Kamui
studiò a lungo l’immagine di Kakyou, seduto di fronte a lui. Si erano fatti
lasciare soli. Meglio non insospettire le loro zelanti custodi con frasi
inquietanti.
-
Adesso stai bene, Kakyou-san?-
-
Sto bene. In questi due anni ho riacquistato un po’ di forza e salute. Ma così
come mi vedi ora…Temo sarà il meglio a cui potrò aspirare.-
Parlarono
a lungo, a bassa voce, sempre con un certo buffo stupore, nelle parole e nelle
espressioni. E’ strano incontrare qualcuno che hai sempre visto in sogno.
Fuori
dalla porta della stanza di Kamui, c’erano due persone intente a consolarsi a
vicenda.
-
Tu non hai idea di cosa significhi assistere quell’uomo! Quando fa riferimento
ai terremoti del ’99 mi sento male. E’ davvero inquietante!- piagnucolava
Tsubaki, fumando la quarta sigaretta in un’ora. – Non so cosa darei per
trovarmi un altro lavoro!-
-
Non mi stupisco di nulla. Era amico di Kamui.- commentò Kazuki. – Tutto intorno
a quel ragazzo è un mistero! So che è un’informazione riservata, ma…Ecco, ha
delle cicatrici inspiegabili, e lui insiste nel dire che “adesso è tutto
finito”. Ma io non mi sento tranquilla.-
-
Capisco. Vorrei sapere cosa c’è dietro a tutta questa faccenda!-
-
Non credo che lo sapremo mai.- sospirò Kazuki. – E i suoi amici! Sono uno più
strano dell’altro.-
-
Oh, beh, lo sai che c’è uno strano tizio che viene a trovare Kakyou-san,
adesso? Cielo, sembra così adulto…Non solo per il suo fisico, ma soprattutto
per l’aria distrutta che ha negli occhi. Kakyou-san mi ha detto che ha solo
vent’anni. Vent’anni! Mi fa paura. E adesso Kakyou-san se ne viene fuori che
vuole andare in viaggio con lui!-
-
Almeno ti affideranno un paziente meno inquietante…-
-
Sì, ma…Ho paura. Per lui. Non mi fido del suo nuovo amico.-
-
Forse non è un “nuovo amico”. Magari si conoscono fin dall’inizio di…questa
storia!-
-
Ecco, appunto. Un altro motivo per non fidarsi.-
-
Quanti anni ha Kakyou-san?-
-
Circa ventotto.-
-
Allora direi che ha l’età per decidere da solo della sua vita, no? Se lui si
fida di questo ragazzo, fidati anche tu. In fondo, anche se tutta la faccenda
mi spaventa, sto iniziando a fidarmi di Kamui, di quello che mi dice. Lo trovo
molto maturo. Qualunque cosa abbia vissuto, di certo ha imparato molto. Forse
anche Kakyou-san ha tratto insegnamenti e forza da ciò che ha passato.-
Tsubaki
annuì lentamente, imprimendo dentro di sé quelle parole. Forse era vero.
-
Ci proverò.- promise. – Forse è la cosa migliore.-
-
Sì. Vieni, è il momento che il tuo assistito torni a casa. Kamui deve
riposare.-
Quando
Tsubaki e Kazuki entrarono, i due giovani smisero di parlare.
-
Mi dispiace, ma l’ora è finita.- disse Kazuki. – Non è il caso che Kamui si
stanchi.-
-
Va bene.- rispose Kakyou. Poi si voltò ancora verso il ragazzo. – Ricorda quel
che ti ho detto. La tua attesa finirà presto. In un modo o nell’altro.
Fidati…di me e di lui.-
Kamui
annuì. Sembrava pensieroso. Kazuki si domandò che cosa mai il visitatore avesse
potuto dire al ragazzo per colpirlo così, ma rinunciò a porsi altre domande.
Ormai aveva capito che non c’era nulla da fare, col suo paziente preferito.
Due
giorni dopo, in tarda serata, Kazuki entrò nella sua camera con una lettera in
mano. Kamui, che si stava già preparando a dormire, si sollevò sul letto di
scatto, come colto da un presentimento.
-
E’ per te.- disse lei, porgendogliela. – Un ragazzo che non avevo mai visto è
venuto a portarla.-
-
Quando?- gridò Kamui.
-
Calmati. Un minuto fa. Sono venuta subito.-
-
E lui dov’è?-
-
Giù. Ha detto che aspetterà una risposta, ma non salirà.-
Kamui
afferrò la lettera, e la aprì. C’era una foga nei suoi movimenti che Kazuki non
aveva mai visto.
-
Vuoi che me ne vada?- gli chiese.
-
Resta.- disse lui, appena conscio di averle risposto. Stava leggendo, e quel
che leggeva doveva essere qualcosa che… Qualcosa che aveva atteso a lungo.
Forse
un segnale da quella persona che Kamui più di tutti desiderava incontrare? La
giovane donna lo sperò, con tutta se stessa, e ripeté la sua preghiera
silenziosa, mentre osservava le mani del ragazzo che stringevano il foglio,
leggermente tremanti, il suo viso, serio e teso, un curioso incontro di ingenuità
e maturità, durezza e infinita dolcezza. Pregò perché le sue prove fossero
finite, e al più presto. Pregò perché in qualche modo il suo desiderio venisse
realizzato.
E
Kamui, ignaro dei pensieri di Kazuki, continuava a leggere e rileggere quelle righe
scritte in fretta…
Senza mai cambiare espressione, con occhi colmi di determinazione e attenzione febbrile in ogni suo gesto, il ragazzo prese un foglio dal blocchetto sul suo comodino ed una penna, e scrisse in fretta alcune parole.
Poi
lo porse a Kazuki.
-
Glielo puoi portare?-
-
Naturalmente poi non mi dirai cosa ti ha scritto né cosa gli hai risposto.-
commentò lei, guardando con sospetto il bigliettino. Continuava ad avere
l’impressione che ci fosse qualcosa che non andava, in tutta quella faccenda.
-
Beh…- mormorò Kamui, imbarazzato.
-
Ah, lascia perdere.- Kazuki sorrise di nuovo. – Vado!-
Lasciò la stanza mormorando qualcosa sui ragazzi che esaurivano la sua pazienza, ma in fondo era contenta.
Non
dovevo nemmeno venire. Perché tanto, anche se mi perdonasse, io sono cambiato,
e non avrò mai più il coraggio di avvicinarmi…
Come
si possono cancellare certe cose?
Non
dovevo scrivere quel messaggio.
Dovevo
solo sparire.
Nell’atrio
c’era il giovane che aveva portato il messaggio, seduto in un angolo, intento a
tormentarsi le mani, intrecciandole tra sé e stringendole con forza. Kazuki
scosse la testa, sempre più perplessa. Gli si fece vicina, si sedette.
-
Sembrava che stesse aspettando un segno di vita da te da un’eternità.- disse,
sorridendo. – E ti ha risposto.-
Gli
tese il foglietto ripiegato. Lui accennò ad un sorriso, e piegò il capo come
per ringraziare. Prese il foglio, e non lo guardò nemmeno.
-
Ehi, non avere paura. E’ in gamba, penso che ti perdonerà.-
-
Cosa…- balbettò lui, impallidendo.
-
Non mi ha detto nulla, non temere. Cioè, delle cose che mi ha detto, non ho
capito un emerito accidente. Ma penso di intuire qualcosa. Fidati di lui.-
Annuì,
non disse una parola. Si alzò, poi le rivolse un sorriso triste, appena
accennato, come per ringraziarla, e corse via.
Fuori,
si fermò nel parcheggio dell’ospedale, ed aprì il messaggio, senza avere il
coraggio di leggerlo.
Infine
abbassò gli occhi, e incontrò poche parole sulla carta.
Ti
aspetto. Torna presto. Buon viaggio.
-
Farò del mio meglio.-
Kazuki
corse nella stanza di Kamui, per annunciargli l’avvenuta consegna.
-
Kamui…-
Le
rivolse un sorriso tanto bello da farle male.
-
Sei felice, vero?- bisbigliò lei, avvolta dalla magia che sembrava irradiare il
ragazzo e tutto ciò che lo riguardava. Una magia triste, intrisa di sofferenza
e oscurità, eppure, allo stesso tempo, colma di forza e bellezza.
-
Sì.-
-
Era la persona che aspettavi?-
-
Sì.-
Lei
sorrise, un po’ imbarazzata. Aveva sempre l’impressione di percepire gli stati
d’animo di Kamui, ma di essere un’estranea, una persona che non sarebbe dovuta
essere lì, e che invece si trovava a rubare attimi della gioia e del dolore che
il ragazzo provava.
Improvvisamente
iniziò a capire.
-
Quel ragazzo…Insomma…E’ lui che…-
-
Non farmi domande. Non capiresti le risposte.-
-
E’ per questo che mi dicesti che era morto “in un certo senso”, vero? Lui ti ha
fatto del male, ma poi ti ha chiesto perdono. E’ così?-
-
Se ti dico di sì, cosa cambierà per te?-
-
Oh, Kamui, ma…Non è giusto!- gemette lei. – Nei tuoi confronti!-
-
Ti fidi di me? Pensi che io sappia quel che faccio?-
-
Sì. Mi fido.- rispose lei, lasciandosi scivolare a sedere sul letto.
L’intuizione sembrava averle tolto tutte le forze.
-
Non avere paura, allora. Va bene così. Forse un giorno ti racconterò tutto, e
tu mi crederai. Allora capirai che avevo ragione.-
Kazuki
non rispose, continuava a fissare le mani del ragazzo, posate sulla coperta.
-
Chissà.- mormorò. Una lacrima le scese lungo il viso. Kamui l’asciugò, poi le
prese una mano tra le sue. Kazuki tornò a fissare le cicatrici su di esse.
-
Kazuki-san, ci sono cose che non si comprendono subito.- le disse.
Lei
ricambiò la stretta delle sue mani, e si sforzò di sorridere.
-
Hai ragione. Ti prometto che non ti chiederò mai più nulla. Sarai tu a dirmi
qualcosa, se vorrai. Mi fido di te. E soprattutto, vedo che sei felice. Lotta
per esserlo sempre, va bene?-
-
Va bene, te lo prometto.-
-
Kamui, tra una settimana te ne andrai. Posso venire a trovarti, qualche volta?-
-
Certo. Ti farò sapere tutti i miei spostamenti. Soprattutto, ti inviterò appena
avrò trovato una vera e propria casa.-
La
mattina in cui lasciò l’ospedale, erano venuti tutti a prenderlo. Camminava già
da solo, sebbene con lentezza e fatica. Tutti assicurarono cure e protezione, e
i medici parvero soddisfatti. Kazuki fu allegra come al solito, ma pianse,
quando l’auto del giornalista ebbe portato via il ragazzo.
La
stanza al monte Koya era piuttosto spoglia, ma Sorata aveva fatto del suo
meglio per renderla più vivace, e Kamui rise di fronte alle trovate del
ragazzo.
-
Ti ringrazio per i libri e la TV. Ma…a cosa pensi che servirà un forno a
microonde?-
-
Beh, se volessi fare colazione in camera…Cioè, a dire la verità, è che quello
scaffale era parecchio spoglio, e non sono riuscito a trovare un soprammobile
migliore…Insomma, non è brutto, no?-
Yuzuriha
nascose il viso tra le mani, esasperata.
-
Io gliel’avevo detto…-
-
Tu volevi attaccare alla parete uno specchio decorato con perline rosa…-
-
Avrebbe dato un po’ di colore alla stanza!-
Le
risate di Kamui bastarono a chiudere la contesa tra i due.
-
Faremo un po’ a turno a portarti in ospedale per la fisioterapia e i
controlli.- spiegò Yuzuriha. – E poi vogliamo ricominciare a vivere…come si
deve. Non sei d’accordo?-
-
Assolutamente.- rispose lui.
-
Tu chiama, e avrai ciò che vuoi.- disse Aoki-san.
-
Vi ringrazio davvero.-
-
Adesso andiamo. Vorrà riposare.- li richiamò Sorata.
Uscirono
tutti, tranne Subaru.
-
Ehm, Sumeragi-san?- lo chiamò Sorata, fermo sulla soglia.
-
Un attimo. Lasciami qui. Fra un minuto me ne vado.-
Il
monaco se ne andò, socchiudendo la porta. Subaru si voltò verso Kamui, che lo
guardava con aria incuriosita.
-
Senti, Kamui…Volevo chiederti una cosa. Libero di dire no.-
-
Che c’è?-
-
Ecco…Qui a Tokyo, ho ancora la mia vecchia casa. In realtà era una doppia casa.
Il mio appartamento comunicava con quello di Hokuto. Se quando avrai finito il
giro dei monasteri di Tokyo non avrai trovato una sistemazione
migliore…Insomma, lì potresti avere la tua autonomia, e…-
-
Mi stai chiedendo di venire a stare con te?-
-
Non proprio con me. Saresti più libero. Ma solo se…-
-
Tu…tu vuoi che io venga?-
Subaru
non riusciva a decifrare la meraviglia che brillava negli occhi spalancati
dell’altro.
-
Solo se…solo se vuoi tu.- balbettò, imbarazzato. Ma Kamui sorrise.
Sorrise
anche lui.
Forse,
così riusciremo a fare di quel posto un po’ di più una casa. Per tutti e due.
Quella
notte si svegliò di soprassalto, ricordandosi all’improvviso che…
-
L’Albero…- mormorò, sollevandosi. Un’ondata di orrore lo invase. Lui era sempre
e comunque il Sakurazukamori. Lui doveva prendersi cura dell’Albero.
O
meglio, avrebbe dovuto farlo, negli ultimi due anni.
Se
solo lo avesse ricordato.
Gettò
via le coperte, e si vestì più velocemente possibile, poi corse per la città,
fino a raggiungere il parco, dove era iniziato tutto, nella sua vita.
L’albero
era là, maestoso come sempre. Eppure sembrava quasi sofferente, come se fosse
malato. In attesa del suo terribile nutrimento, da troppo tempo.
Il
suo passato che chiamava, che sorrideva beffardo, come per dirgli che non se ne
sarebbe mai liberato…
Cosa dovrei fare? Il Sakurazukamori?
Desiderava dire di sì.
Desiderava rifuggire quel destino.
E
due desideri opposti si cancellano a vicenda.
-
Ma non ho scelta, no…Non l’ho mai avuta…-
Allungò
la mano, fino a sfiorare il tronco, per un attimo soltanto, prima di ritrarla
quasi con timore, soggezione.
Sicuro? Non hai scelta? Se volessi…
E
a quel pensiero tutto gli sembrò oscuro e malato, e l’albero nient’altro che
un’ombra famelica, tornata dalla notte del passato per distruggerlo e portarlo
via con sé.
Ma questo è tutto quel che ho!
Chi
gli suggeriva quelle parole in qualche modo affascinanti, nella notte immensa?
Forse l’anima della persona che con un sorriso e una promessa persa nel vento
aveva racchiuso tutta la sua vita tra le proprie mani di delicato assassino e
spensierato servo dell’oscurità?
Ma
no…non voglio nemmeno pensarlo, che sia tu, a parlare.
Ma tu hai desiderato che io fossi il suo successore!
Sì, ma ora chissà dove sei…tu sei fuori dalla prigione dei desideri!
Io invece…
Tra
due desideri opposti.
Dimenticare
per andare avanti o ricordare in eterno.
Un
ricordo gli attraversò la mente per un istante, qualcosa di inafferrabile,
leggero, luminoso come il suo cuore quando era un ragazzino, un’immagine così
dolce e normale da sembrargli follia…
Aspettavo
te per dirti le cose importanti.
Che
cosa stupida da ricordare, adesso…Ma forse è stupido semplicemente ricordare,
ora. O forse è l’unica cosa che mi rimane.
Non
mi libererò mai da tutto questo.
Vorrei
che non fossi mai esistito.
Vorrei
che fossi qui.
Dimenticare
per andare avanti o ricordare in eterno.
Un
passo verso l’albero, subito dopo un passo indietro. Terrore e desiderio.
Chi sono io?
Non
lo saprai mai.
Cosa voglio?
Non
saprai mai neanche questo.
Perché
vorrò sempre due cose: essere qui e fuggire. Lo so.
Si
accoccolò per terra, creatura ferita, nascose il viso tra le mani, cercò di
calmare il tremito che lo aveva colto, e il rumore assordante del suo cuore che
batteva, unico suono assoluto in quella notte vuota di tutto.
Cercò
a lungo, inutilmente, l’assenza di suoni e di pensieri, pregando di non dover
provare sentimenti mai più.
Al
mattino si svegliò, l’alba che sfiorava dolcemente il suo viso.
Lentamente
si alzò, e dopo aver offerto in sacrificio all’albero ancora uno sguardo
struggente e devastato, abbandonò quel luogo.
Si
sentiva così vuoto…
Però, se una cosa è vuota, vuol dire che c’è tanto spazio per riempirla di nuovo…
Cacciò
il pensiero, quasi fosse stato qualcosa di cui vergognarsi. E poi tornò ad
attaccarvisi, perché provava una tristezza tanto profonda da non poterla
sopportare più.
Tornò
a casa, promettendosi di non tornare lì mai più, e conscio che quella era una
promessa che non avrebbe mai rispettato.
Continua…