Il mattino filtrava dalle chiome verdi della foresta macchiando di luce il sottobosco.
L'uomo è anche lì, seduto su un ramo con la schiena appoggiata al tronco, con la testa inclinata all'indietro, gli occhi chiusi e il mozzicone di sigaretta ormai spento.
Il grande baobab che lo sostiene domina in altezza e possanza tutta la foresta, ma affonda le radici nella grigia palude, nelle sue acque ferme e putrescenti.
Dolci nettari mortiferi si sprigionano da boccioli di mille colori, offrendo le loro nere promesse agli incauti moscerini di passaggio.
E nera è la pantera.
Lei, dall'alto, domina le sue prede, le osserva silenziosa e, quando ormai è troppo tardi, le ghermisce e ci gioca come il gatto col topo.
E quegli occhi d'ambra, due soli nello spazio infinito di quel mantello, quasi due fari, d'inganno o rivelazione, se si sa riconoscerli.
L'uomo attende e il vento della vita gli scorre intorno, gli accarezza il viso, gli scompiglia i capelli...se solo fosse più forte!
Potrebbe sollevarlo dal torpore in cui è immerso, farlo volare alto, sopra quella volta di verdi rami intrecciati, verso il sole e la luce.
Ma lì, dove è ora, nessuno può raggiungerlo, come nella città dell'angelo.
La pantera si sta avvicinando, quieta, ma non è ora, gli artigli resteranno al loro posto. Poi salta al suolo osservando l'uomo.
Lui volge lo sguardo nel suo e intuisce che vuole essere seguita.