Era stato un
giorno
memorabile, il più bello della sua vita, il compimento
finale del suo sogno.
I Pari del Regno
avevano
finalmente posato la corona sul regio capo del suo dolce Delfino,
mentre lei,
imperterrita ed orgogliosa, rimaneva al suo fianco, sventolando il suo
bianco vessillo.
Erano
già trascorse
alcune notti da quell’evento indimenticabile, senza che i
suoi sogni non le
mostrassero altro che gioia e sollievo.
E pace, mentre
ogni
altra voce taceva.
E lei aveva
segretamente cominciato a sperare che il Signore considerasse
finalmente conclusa
la sua missione e che la Sua volontà si fosse compiuta
liberando Orléans.
Thierry.
Pur
nascondendolo a
tutti, persino a se stessa, era lui che aveva sognato ogni notte, dopo
la
cerimonia dell’incoronazione a Reims.
Poeti illustri
consacravano le sue gesta in poemi, Christine de Pizan le aveva persino
dedicato versi, nei quali la immaginava già alla conquista
della Terrasanta,
dopo aver ristabilito la pace in Europa. A lei tutto questo non
importava.
Thierry.
E
c’erano voci preoccupanti,
che gli inglesi stessero preparando con cura una nuova offensiva.
Tremilacinquecento
tra cavalieri ed arcieri, nonostante fossero stati mobilitati per la
crociata
in Boemia, contro gli eretici hussiti, erano stati invece richiamati. E
per la
prima volta, un’armata crociata sarebbe stata impiegata
contro altri cristiani.
E
poi c’era Thierry.
E i suoi sogni,
per
molte notti, erano stati popolati soltanto dalle sue carezze e da quel
bacio
strappato nel bosco. E con lui, c’era la promessa di un amore
diverso da quello
finora nutrito per il Padre dei cieli.
C’era,
soprattutto, la
promessa che si erano scambiati a Orléans e che lei
ricordava sussurrandola tra
sé ogni notte, prima di addormentarsi.
E che ripeteva
ogni
giorno, non appena si svegliava, ricordando perfettamente le parole
pronunciate
dall’uno e dall’altro:
Quando
quel giorno arriverà, se mi amerete ancora, sarò
vostra e voi sarete quell’uomo.
Quando
quel giorno arriverà, se mi amerete ancora, sarò
vostro e voi sarete la mia donna. E sorrideva da
sola, mentre bisbigliava quelle parole, ringraziando
subito dopo il Signore per quella gioia.
E sentiva le
guance in
fiamme, mentre vagava con la fantasia, fantasticando come sarebbe stata
la sua
vita, se un giorno il conte avesse chiesto la sua mano.
Percepiva che i
sentimenti di Thierry erano sinceri quanto i suoi e confidava che il
suo dolce
Delfino, dopo tutti i servigi che gli aveva reso, avrebbe favorito la
loro
unione, nonostante le differenze sociali.
Dopo
l’incoronazione,
re Carlo aveva promesso che avrebbe nobilitato la sua famiglia e
affrancato dalle
tasse il paese dov’era nata. Che brav’uomo era il
re e lei lo sapeva, l’aveva
sempre saputo!
Unirsi
in matrimonio col dolce Thierry…
Quella era la
volontà
del Signore, non vi era alcun dubbio! Per quale altro scopo,
altrimenti, li
aveva fatti incontrare?
"Figlia di
Dio”,
le avevano intimato le voci all’inizio del suo viaggio,
“recati da Robert di
Baudricourt, nella città di Vaucouleurs, perché
ti dia delle persone che ti
accompagnino lungo il tuo cammino". E aveva trovato lui.
Thierry
non solo gli appariva bello come un
angelo, ma possedeva un animo così puro e così
nobile, rimuginava, com’era possibile
che amasse proprio lei, una povera pastorella lorenese?
E cullava
l’idea che
quell’amore era la ricompensa che il Signore aveva concepito
apposta per lei, per
la sua fedeltà e devozione.
E poi era giunta
quella
notte.
E nei suoi sogni
erano
ricomparse le voci che la spronavano ad andare avanti,
perché la guerra non era
ancora conclusa e Dio aveva ancora bisogno della sua leale soldatessa.
“Per
quanto è in tuo
potere, Jeanne, cerca di fare la volontà del Signore che ti
è trasmessa da
queste Voci. Noi non diciamo niente che non discenda dal volere di Dio!”
Jeanne
la riconobbe: era la voce e il parlare
degli angeli. Lei credeva fermamente che erano angeli e mentre la luce
sprigionata da quegli esseri celestiali l’abbagliava, lei
pianse.
“Parti,
figlia di Dio!
Và, è necessario. Salva la Francia! Non basta
aver liberato Orléans, bisogna
cacciare gli inglesi da tutte altre città occupate!"Soldatessa di
Dio, và, và, và! Il
Signore sarà il tuo aiuto. Ora và, salva la
Francia, libera Parigi!”
Quelle parole
l’ossessionarono fino a restarle nella testa e quando si
svegliò di
soprassalto, piangeva e udiva ancora le voci che le ripetevano lo
stesso
ritornello. Parigi doveva essere liberata.
Il Signore aveva
ascoltato
i suoi dubbi e le aveva indicato la strada. Doveva parlarne
immediatamente al
conte Thierry.
***
“Ecco
i due
alimentatori, esattamente dove li avevo lasciati”,
esclamò Jodie.
Mónika
annuì e mentre
percepiva il battito del cuore che già accelerava, volle
sapere:
“Quanto
ci metterà a...“,
poi non sapendo cos’altro dire, aggiunse solo, “a
funzionare?”
“Di
là, il tempo non
scorre allo stesso modo del nostro, potrebbero volerci molte ore o
soltanto
qualche minuto, non si può prevedere con
precisione”.
Giunto il
momento,
anche John cominciava a dare segni di nervosismo, nell’ansia
di sapere se la
storia di Jodie era vera e se fosse davvero possibile rintracciare suo
figlio.
“Accendiamo
questi
maledetti computer”.
***
Probabilmente,
era solo
un’inutile ruotine che ripeteva da cinque mesi e dodici
giorni – Daniel li
contava con precisione – eppure non aveva mai saltato un solo
tentativo.
Ogni volta, si
svegliava nel cuore della notte, quando era sicuro che tutti intorno
dormissero, e allora, pregando che potesse essere la volta buona,
scendeva dal
letto e al riparo nell’ombra, pronunciava le parole che
avrebbero richiamato la
mela rossa luminosa del menu del gioco.
Quella notte,
Daniel non
nutriva nessuna speranza particolare, si apprestava ad eseguire quel
gesto, sapendo
che doveva farlo e basta. Da tempo, non ne parlava più
nemmeno con Ian.
Si
accucciò sul
pavimento dietro il suo giaciglio e in maniera appena percettibile,
scandì la parola
help. Come al solito, gli
sembrò che
non accadesse nulla.
Era ancora
troppo
insonnolito, per accorgersi subito della luce che illuminò
debolmente la scena,
gettando dall’angolo in cui era rannicchiato, lunghe ombre
dai piedi del letto
e dei mobili.
Strabuzzò
gli occhi, sbattendo
le palpebre per acquistare maggiore sensibilità.
Quando
riuscì nuovamente
a mettere a fuoco, fu sorpreso di vedere Ian, anche lui sveglio, seduto
sul
letto di fronte a lui.
Aveva gli occhi
sbarrati e guardava sgomento qualcosa che si trovava davanti ai suoi
occhi,
sopra la testa di Daniel.
Alzò
subito lo sguardo,
seguendo quello di Ian, con la testa che gli scoppiava, tanto era
l’urgenza di
guardare e tanti erano i pensieri che si accalcavano, nello stesso
istante,
dentro la sua mente.
E alla fine era
successo. La mela rossa fosforescente fluttuava pigramente proprio
sopra il suo
letto, Hyperversum aveva ripreso a funzionare.
Fu in quel
momento che sentirono
bussare.
E un istante
dopo
assistevano, terrorizzati e impotenti, al ripetersi di un incubo,
mentre la maniglia
scattava verso il basso e l’uscio si apriva lentamente.