Diario
di Nemeryal, Data Astrale 64338.5
Visto?
Come vi avevo promesso, ecco il nuovo capitolo di The Time Has Come For Us e si
ritorna nel 2261!
Ragazzi,
speriamo che non vi venga il mal di mare!
Stranamente
non ho nulla da dire riguardo questo capitolo, tranne il fatto che nei miei
piani originali il titolo doveva essere in Vulcaniano, ma non mi piaceva, e
così ho deciso per il latino XD
Dunque,
via alle risposte alle recensioni!
Thiliol: sono
contenta che lo scorso capitolo sia riuscita ad emozionarti! Questo è
tranquillo, decisamente. Uno di quei capitoli di passaggio anche noiosi, ma
indispensabili..eh vabbè! Questa volta meno frasi in Vulcaniano, ma vedrò di
rifarmi col prossimo XD
Lady Amber:
Evvai! Che bello sono felice sia piaciuto anche a te! Eh già, il tizio che è
riuscito in questo o è un genio del male, oppure ha una conoscenza del mondo
dei computer da far impallidire Bill Gates! O magari tutte e due le cose O.O
Piccino
Shral, lui! Si deve cuccare un Romulano ammattito!
No no,
tutta la storia si svolgerà sui due piani, anche perché per Spock sappiamo come
è andata dopo il Buco Nero, ma cosa sarà mai accaduto nel 2387? E soprattutto, perché
la faccenda dei due piani è così importante? *sorriso malefico*
Persefone Fuxia: Aaah, il nostro Berz’uk! Se non fosse un mio pg mi
potrei anche prendere una cotta per lui..ma forse preferisco nettamente Shral.
Sì, il nostro mezzo Andoriano mezzo Aenar lo batte in tutta la linea per i miei
gusti.
Ho
fatto tesoro del tuo consiglio ^^ Grazie mille! Va meglio, adesso?
Prendi
pure il nu!Spock, cara, tutto tuo!
Per il
2012?! Bhè, speriamo prima del 21/12 XP
Fatanera: Una
nuova lettrice! Grazie mille per l’attenzione che stai dando alla mia storia!
Addirittura un libro?! Cavolo, non fatemi montare la testa però! XD Le frasi in
Vulcaniano sono mooolto masochistiche da parte mia! XD
Inoltre
ringrazio Fatanera, F l a n e Lady Amber per aver recensito la mia ultima Shot “Raggiungere la Vetta [I’ll Find You
Somewhere]”
Grazie a tutte!
Buona Lettura!
Tai Nasha no Karosha!
Capitolo
7
Alea
Iacta Est
(Final
Fantasy X-2 Original Soundtrack – Yuna’s Ballad)
La luce
intensa del sole tagliava a metà il piccolo balcone, drappeggiato da rami e
foglie e fiori intrecciati, simili ad una corona profumata. Accanto alla tenda
della porta-finestra dormiva un cucciolo di Sehlat, ringhiando e sbuffando,
spazzando il terreno con la coda cespugliosa, e al centro del balcone vi era un
tavolo dalle gambe che terminavano in zampe di rapaci; sopra di esso un vaso
dal collo aggraziato da cui pendeva un fiore scarlatto.
Su una
delle sedie che circondavano il tavolo, stava un bambino, le gambe piegate
sotto le cosce e la schiena china in avanti su un tomo antico, dalle pagine
ingiallite; sillabava in silenzio le parole del libro, soffermandosi sui passi
che gli sembravano più difficili e passandosi la lingua sulle labbra, assaporando
ogni frase che si rincorreva sulle pagine. Ogni tanto si grattava la punta
ricurva dell’orecchio sinistro, corrugando confuso la fronte e mormorando
qualcosa nella sua lingua natale.
D’un
tratto alzò il viso dal libro e si voltò verso la porta-finestra ed un sorriso
brillò sul suo volto. Salutò in Vulcaniano, incespicando su alcune lettere e
passandosi imbarazzato la punta della lingua sui denti traballanti. Le guance
si colorarono di verde quando una risata allegra esplose col fragore di un
fulmine nel balcone.
-Tai
nasha no karosha..un’ottima pronuncia, mi complimento. Ma le erre sono ancora
troppo marcate..un Vulcaniano non è un Sehlat da combattimento- ancora una
risata e sentendosi chiamato in causa, l’animale alzò la testa e latrò,
agitando felice la coda..
-Aicutlun
variben k’sek’kam kevet-dutar Sarek’kam, Selek’kam- [L’Ambasciatore Sarek desidera parlarvi,
Selek]
A quella voce, Selek si voltò, girando
la schiena a Gad-shen che scintillava
di madreperla lungo la vallata che si stendeva sotto la finestra della stanza.
T’Pring, dietro la scrivania, lo
fissava con un certo interesse, sebbene mascherato dalla tipica espressione
distaccata dei Vulcaniani: a giudicare dal tono della voce, non doveva essere
la prima volta che lo chiamava.
Selek si schiarì la gola, annuendo.
-Kal-mutor’ka
svi’ aw’kam’hi- [Fallo entrare]
La donna chinò il capo e lasciò la
stanza con un palpito dell’abito color argento, facendosi di lato per
permettere a Sarek di entrare.
-Mene
sakk’h et ur-seveh, Selek’kam- [Pace
e Lunga Vita, Selek]
-Tai
Nasha No Karosha, Sarek’kam- il Vulcaniano rimase un attimo in silenzio,
poi chiuse gli occhi, sconfitto, e continuò –So per quale motivo siete qui-
-No, non lo sai- ribatté Sarek,
adattandosi con facilità alla lingua terrestre –Tu speri di saperlo-
-E’ per la pace con Romulus, vero?-
Selek si lasciò sfuggire un sorriso –A Gad-shen,
oramai, non si parla d’altro-
-Su Rok non si parla d’altro- obbiettò Sarek duramente –Una pace con
Romulus, dopo quello che è stato fatto al nostro popolo! Converrai con me che
non c’è logica in questo-
-Invece vi è molta logica, in questo-
-Aiutami a comprenderla-
Selek sospirò e intrecciò le dita
dietro la schiena.
-Stipulando una pace con Romulus,
potremo metterli a conoscenza del grave pericolo che minaccerà il loro pianeta
fra centoventisei anni. In questo modo, Romulus, Vulcano e Starfleet potrebbero impedire alla Supernova di distruggerlo; senza
la scomparsa del pianeta, Nero non avrebbe motivo di vendicarsi della nostra
gente e, almeno in un altro Universo, avremo ancora una patria-
-La tua logica è molto umana, figlio mio-
-Immaginavo che non sarei riuscito ad
ingannarti per molto tempo- ammise il Vulcaniano, lasciando che un sorriso gli
increspasse le labbra –Da quanto tempo sai?-
-Abbastanza- se non fosse stato suo
padre, Selek avrebbe giurato di vedere un lampo divertito nei suoi occhi scuri
–Tua..tua madre era solita dire che alcuni segnali sono in grado di
riconoscerli solo i genitori-
-Amanda era una donna saggia-
Rimasero in silenzio alcuni istanti,
col ricordo della donna che frusciava, sereno, accanto a loro.
-I Vulcaniani non te lo permetteranno,
figlio mio. E i Romulani non vogliono il tuo aiuto. Non vogliono l’aiuto di
nessuno-
Selek chiuse gli occhi e annuì,
stanco.
-Lo so, ma devo tentare comunque-
-Tenteranno in ogni modo di fermarti-
-Chi? I Romulani o i Vulcaniani?-
-Entrambi-
-Io andrò comunque-
-Spock!- gridò Sarek, gli occhi accesi
dallo sdegno –Hanno distrutto Vulcano! Hanno ucciso tua madre!-
-E’ proprio per impedire questo che
devo stipulare una pace!- Selek strinse i pugni –Ma non capisci, padre? Solo in
questo modo Amanda potrà vivere ancora!-
-Mai Vulcaniani vogliono la vendetta!-
-E io darò loro la pace! La vendetta
non è logica, la pace sì!-
-Non in questo caso!- l’Ambasciatore
Sarek batté i pugni sul lungo tavolo scuro, facendolo tremare –Rendere
giustizia ai proprio morti, ora, è l’unica cosa che sembra logica a Vulcano!
Nessun Romulano desidera la pace con Vulcano-
-Ma non è la via giusta..- sospirò
Selek –Tu padre, non hai mai visto. Non hai mai visto nulla. Non ancora-
Sarek rimase in silenzio,
riprendendosi dallo scatto avuto poco prima. Si schiarì la gola e lasciò cadere
le braccia lungo i fianchi, aspettando che il figlio dicesse qualcosa per
infrangere la tensione creatasi.
Ma quelle parole non vennero.
Selek gli dava le spalle, lo sguardo
catturato dal sole di Rok che si
perdeva lento dietro la foschia.
***
(Kingdom Hearts II Original
Soundtrack – Roxas)
Kirk non si mosse.
Seduto sul lettino dell’Infermeria
della Odysseus, le dita intrecciate
davanti al viso, non intendeva muoversi: immobile, con McCoy che abbaiava
ordini nella sala accanto e il respiro regolare dei pazienti fuori pericolo che
cullavano dolcemente il silenzio imponente.
Dio, cosa aveva fatto?
L’aveva ucciso.
A pugni.
Come un animale..
Chiuse gli occhi e affondò le dita tra
i capelli, tirandoli fino a sentire scosse brucianti farsi strada con un
ruggito crepitante dalla testa alle dita. Nel buio emerse il viso tumefatto di
Kharandel, il sangue grigio che grondava pastoso dalla bocca semiaperta in un
ghigno di ribrezzo, sarcasmo e terrore. Gli occhi vitrei e freddi, ormai
seccati nelle orbite incavate, il naso ridotto a carne maciullata, la pelle che
pendeva dalle orecchie, i capelli strappati con un colpo secco dalla nuca.
La nausea gli affondò nel petto e Kirk
si piegò in avanti, vomitando.
Cominciò ad ansimare, scosso dai
contati e dai brividi di freddo, paura e orrore che ridevano della risata
sguaiata del mercante.
-Capitano!-
Kirk alzò il viso e dovette sbattere più
volte le palpebre prima di riconoscere la sagoma di una delle Infermiere. La
donna, esile e dai capelli scuri, corse verso di lui e gli prese le spalle.
-Torni a letto, Capitano, non si è
ancora ripreso-
Ma Jim non la stava più ascoltando: le
piccole macchie di sangue scarlatto che lei aveva sulla divisa azzurra si
ingigantirono e si tinsero del colore della pietra. Il viso ovale si disfece e
l’immagine sciolta e liquefatta del volto di Kharandel tornò a fissarlo, a
farsi beffe di lui.
Un’altra ondata di nausea e Kirk
spinse l’Infermiera con tale forza da farla cadere a terra. Perse l’equilibrio
e si ritrovò carponi a vomitare sangue.
Sangue grigio, grigio come quello di
Kharandel, grigio, grigio, grigio, grigio, grigio, grigio!
-Capitano-
La voce di Spock, mista alla risata
del Mercante, mista al gorgogliare del sangue, al ringhio di sfida, alle urla
di dolore..
Una mano sulla spalla, una stretta
leggera, poi il nulla, nero come l’Universo.
Spock allargò le braccia e accolse il
corpo privo di sensi di Kirk, prima di posarlo con cura nel lettino.
Avvertì i movimenti dell’Infermiera
accanto a sé, ma era più concentrato sul volto del Capitano, livido, con la
pelle tirata sugli zigomi e gli occhi cerchiati di nero.
-Sta bene, Infermiera Ramirez?-
-Sì- rispose flebile quella,
affiancandosi al lettino e consultando la cartella clinica di Kirk –Il dottor
McCoy mi aveva avvertito, ma..- lasciò cadere la frase, annotando alcuni
appunti sul Padd medico.
Il Vulcaniano, a quelle parole, alzò
il viso verso l’ispanica.
-Di cosa l’aveva avvertita il
dottore?-
L’Infermiera sgranò gli occhi,
accortasi di essersi lasciata sfuggire più del necessario; si schiarì la gola e
si morse il labbro inferiore, prima di assecondare lo sguardo insistente di
Spock.
-Il Dottore aveva rilevato
alcuni..sconvolgimenti a livello emotivo e psicologico da qualche settimana
e..-
-Quante?-
-Come?-
-Da quante settimane- chiarì il Primo
Ufficiale, il tono di voce più duro di quanto in realtà avrebbe voluto.
-Oh..- la Ramirez parve spaesata per
alcuni istanti –Credo..credo almeno sei settimane, forse sette. Ma erano tutti
lievi, nulla di cui preoccuparsi. Il Dottore li aveva collegati allo stress accumulato
durante l’ultimo periodo trascorso nello spazio, decisamente più ampio rispetto
a quanto eravamo abituati- si aggiustò la coda di cavallo, a disagio –Molto
probabilmente l’episodio della morte del mercante non ha fatto altro che
dare..una scossa in più, diciamo, al suo equilibrio. Nulla che non si possa
ristabilire comunque-
Ma Spock non la stava più ascoltando.
Allora non si era immaginato nulla:
quegli sguardi, quegli occhi opachi che sembravano perdersi, la voce rotta, gli
scatti nervosi, il temperamento aggressivo, arrendevole..quegli sbalzi d’umore,
sì lievi, o comunque nascosti, che aveva notato sulla plancia non erano frutto
della sua immaginazione.
Da sei-sette settimane Jim perdeva
frequentemente il controllo di se stesso, si lasciava andare, vagava dentro di
sé senza poter uscire se non a costo di una grande fatica. Cosa lo assillava?
Davvero era la missione? Davvero era lo stress per il troppo tempo passato
nello spazio?
No, no, non era possibile.
Jim non era mai stato stressato nello
spazio..c’era qualcosa di più, una muta richiesta di aiuto che il Capitano
aveva sempre cercato di nascondere, ma che vibrava con forza attorno a lui, si
tendeva con spasimi violenti, come a voler allungare una mano e dire “Non ce la
faccio da solo. Aiutami”
Era lo stesso sguardo che aveva
incontrato alcune ore prima, quando lo aveva afferrato di peso dal pavimento
del mercante e lo aveva tirato in piedi a forza. Jim si era attaccato a lui
come fosse la sua ancora di salvezza nel vasto e pericoloso mare di nebbia
della mente, e gli occhi, così opachi, quasi lattiginosi, non fissavano
sbigottiti la devastazione e la morte che li circondava, ma qualcosa, qualcuno al di là di Mukade, al di là
dello spazio, al di là dell’Universo.
-Signor Spock..?-
La voce gentile dell’Infermeria lo
fece sobbalzare.
La Ramirez gli sorrise e Spock annuì
in risposta.
-Dica pure, Infermiera-
-Il signor Bellini si è svegliato- lo
informò –Ha chiesto di lei. Dice di volerle parlare-
-Molto bene- accondiscese il
Vulcaniano, che si costrinse a lasciare il letto del proprio Capitano, ad
accantonare, anche solo per poco tempo, le sue labbra esangui e gli occhi
distanti, la voce persa..
L’Infermeria lo guidò oltre alcuni
lettini, dove stavano riposando alcuni membri della Enterprise, tre donne di
Orione e due membri della Ifigenia.
La donna si fermò ad alcuni passi dal
letto
-Io devo andare a controllare gli
altri pazienti- spiegò –La pregherei di non rimanere troppo a lungo, signor
Spock. Il signor Bellini deve riposare-
Il Primo Ufficiale annuì e
l’Infermiera li lasciò soli.
Per un istante, Spock fu tentato di
tornare al letto del Capitano, visto che Dante era disteso con gli occhi
chiusi, il respiro regolare e profondo, ma non appena ebbe formulato quel
pensiero, sentì lo sguardo del toscano incatenarlo dove si trovava.
-Ma grazie- sbottò l’uomo, inarcando
un sopracciglio e cercando di sorridere –La prima cosa che dico dopo essermi
svegliato è che voglio vederti e tu cosa fai? Arrivi e pensi subito di
andartene-
-Deduco che il Contatto non sia ancora
sparito del tutto-
-Deduci bene- annuì Dante, muovendosi
a scatti sotto le coperte e facendo per mettersi seduto –Ti informo che è
snervante avere ancora un pezzetto della tua testa bacata nella mia-
-Sono dispiaciuto che il Contatto le
provochi disturbo, dottore-
Il toscano sbuffò divertito e si
lasciò scivolare, sconfitto, sotto le coperte.
-Spock, non so se ti sei accorto che è
dall’inizio della conversazione che ti sto dando del “tu”-
-Me ne sono accorto, certo- rispose il
Vulcaniano –Dunque?-
-Dunque mi farebbe piacere se anche tu
facessi lo stesso, bischero-
-Se preferisci-
-Preferisco- confermò il medico,
voltandosi su un fianco –Vorrei mettermi seduto, ma queste lenzuola sono più
strette delle bende di una mummia- rise della sua battuta, ma vedendo che Spock
non sembrava dell’umore anche solo sollevare le labbra in un accenno di
sorriso, si affrettò a smettere e tornò serio.
-Di cosa volermi parlarmi?- chiese il
Primo Ufficiale
-Del ragazzo che avete trovato nella
cella con me- rispose Dante –Come sta? Sai qualcosa, Spock?-
Il Vulcaniano scosse il capo
-So solo che è fuori pericolo, ma non
si è svegliato e secondo il dottor McCoy nemmeno lo farà-
Il medico sospirò
-Il suo corpo non ha nulla, ma la sua
mente è distrutta, vero?-
-Esatto-
-Hai provato con una Mind Meld?-
-Non ne ho avuto l’occasione e prima
dovrei parlarne col dottor McCoy e col Capitano-
-Molto logico da parte tua-
Per un po’ ci fu solo silenzio, poi
Dante ammise
-All’inizio credevo fosse in trance, che stesse cercando di autocurarsi-
chiuse gli occhi e Spock vide la stanchezza gravargli sulle spalle –Ma non era
così. Era in stato di shock, urlava e piangeva. C’erano dei momenti in cui
tentava di parlare con me, ma io non capivo..non capivo nulla di quello che mi
stava dicendo..-
Il Primo Ufficiale della Enterprise
sbatté le palpebre, confuso
-Eppure parlavate correntemente il
Vulcaniano, quando eravamo all’Accademia-
-Che senso aveva- mormorò l’altro con
la voce impastata dal sonno –Continuare a parlare in Vulcaniano, quando non
c’era più nessuno con cui poterlo fare?-
Spock fece per ribattere, ma il
respiro profondo di Dante gli fece capire che la stanchezza alla fine aveva
prevalso.
Gettò una rapida occhiata ai valori
sullo schermo sopra al lettino e prese mentalmente nota del fatto che, a parte
la pressione più bassa rispetto al normale, tutti gli altri valori biologici
erano nella norma.
-Starà bene, deve solo riposare- la
voce del dottor McCoy raggiunse il Vulcaniano alle spalle –Ed è quello che
dovresti fare anche tu-
-Io sto bene, dottore- ribatté freddo
il Primo Ufficiale, voltandosi per affrontare lo sguardo scettico del Medico
Capo –Non necessito di riposo. Inoltre, la Odysseus
ha bisogno di un Ufficiale Superiore che si occupi..-
-Sulu è assolutamente in grado di
portarci fino alla Enterprise senza pericolo- rimbeccò McCoy, asciugandosi le
mani con una pezza candida. Un rivolo di sudore gli correva lungo la tempia e i
capelli erano arruffati, gli occhi arrossati.
-Non dubito delle capacità del Tenente
Sulu, tuttavia..-
-Spock, vorrei parlare di quello che è
successo nella dimora di Kharandel- lo interruppe il dottore senza troppe
cerimonie.
Il Primo Ufficiale annuì
-Molto bene, Dottore. Arrivati al
piano superiore, abbiamo trovato il Capitano che..-
-No, non quella parte!- sbottò il
Medico Capo, storcendo le labbra –Quella in cui hai sei rimasto in stato
catatonico dopo che era crollata l’entrata di uno dei corridoi sotterranei!-
-Non ricordo nulla del genere- ammise
Spock, corrugando la fronte e osservando stupito l’Ufficiale Medico Capo –Chi
le ha detto una cosa simile?-
-Il signor Marrow- rispose McCoy,
incrociando le braccia al petto –Sei impallidito, ti sei irrigidito e hai
sgranato gli occhi. Avevi anche le pupille quasi completamente dilatate e il
respiro affannoso-
-Non ho registrato nessuno dei sintomi
da lei appena descritti, Dottore-
-Non vuol dire che tu non li abbia
avuti-
-Mi spiace contraddirla, Dottore-
ribatté gentilmente Spock –Noi Vulcaniani abbiamo un controllo ottimale del
nostro corpo e riusciamo a registrarne ogni minimo cambiamento anche a livello
biologico. Se avessi avuto tali sintomi, lo saprei-
-Come spesso amo ricordati, Spock-
disse il Medico Capo, socchiudendo gli occhi –Tu sei per metà umano-
***
-Signora, lei non dovrebbe alzarsi!-
esclamò una delle Infermiere, cercando di rimettere Ida a letto –La prego,
torni a riposare!-
La russa fece un debole tentativo per
scacciarla e quando si rimise in piedi, le gambe tremarono e cedettero sotto il
suo peso. Sarebbe crollata a terra se le mani ferme dell’Infermiera non
l’avessero tenuta in piedi.
-Non mi faccia chiamare il Dottore!-
la minacciò
-Zitta!- ansimò la donna, scuotendo la testa per dissipare la nebbia che
l’offuscava -Vattene!-
-Dottore!- chiamò l’Infermiera –Dottor
Herbert!-
Il medico, sostituto del Dottor
M’Benga, rimasto sulla Enterprise, la raggiunse di corsa e la scostò, per poi
mettere le mani sulle spalle di Ida.
-Si calmi, torni a letto-
-No!- replicò la russa, le labbra
esangui e gli occhi opachi –Come stanno? Loro come stanno?-
-Sto bene, Ida, io sto bene..- mormorò
una voce accanto al lettino.
-Anche lei!- squittì l’Infermiera,
sull’orlo della crisi nervosa –Torni a letto, immediatamente!-
Ida alzò il viso dagli occhi del
medico e si girò, incontrando lo sguardo quieto di Haleema che, contro ogni
precauzione, si era alzata dal letto e ondeggiava, debole, accanto a lei.
-Signora, vada a risposarsi! Non può
alzarsi così, dopo l’operazione!- abbaiò il dottor Herbert, gesticolando in
direzione della paziente.
-Come sta Eleni?- chiese invece
quella, lo sguardo tranquillo, seppur velato e sconvolto dalla recente
operazione –Sta bene?-
-Torni a letto!-
-Come sta..- le fece eco la russa,
assottigliando lo sguardo –Come sta Eleni? Era la più grave di noi!-
-Riposate e poi ve lo dirò! Adesso è
importante che..-
-E’ importante sapere come sta il
nostro Comandante, la nostra amica-
la voce di Haleema era sempre bassa e tranquilla, ma venata dalla durezza. Non
aveva gridato, ma gli occhi, freddi come lastre di ghiaccio, erano più
eloquenti di qualsiasi azione.
-Dottor Herbert..- sussurrò
l’Infermiera, ma il medico la zittì con un gesto della mano.
-Il vostro Comandante sta bene, è
fuori pericolo- le rassicurò –Abbiamo salvato entrambi-
A quelle parole, Haleema e Ida si
guardarono, confuse.
-Entrambi..?-
***
Fuoco.
Dolore. Rabbia.
Basta,
ti prego, basta.
Fiamme,
fiamme che lambiscono il corpo, che distruggono, crepitano, ridono. Il respiro
che affonda bollente nel petto, ansimi che si conficcano gelidi nella testa e
nel cuore, il cuore che batte furioso contro il fianco, che preme per uscire.
La
testa gonfia, stretta, pulsa, si contrae, si espande, e fa male, fa male
davvero.
Dolore.
Dolore. Dolore.
Ti
prego, fallo smettere, fallo smettere, ti prego.
Dolore.
Dolore. Dolore.
Fiamme,
fiamme che lambiscono l’anima, lingue di fuoco che si alzano con un sibilo e
uno schiocco e un crepitio nell’oscurità della mente, distruggono e deridono i
ricordi, li spezzano, li inceneriscono uno a uno, e fa male, fa sempre male,
non smette mai di fare male.
Basta,
ti prego, ti prego, basta.
Fallo
smettere, ti prego, fallo smettere.
Volti
che appaiono e scompaiono, sorrisi che si sciolgono in ghigni e urli, e sempre
il fuoco, il dolore che urla e abbaia e ringhia e sibila e ruggisce senza pace
senza tregua, ancora, ancora e ancora, e morde, morde sempre, non smette, non
c’è tregua, non c’è pace.
Fammi
morire, ti prego! Voglio morire!
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Queen of the
Abyss)
Un silenzio teso, cupo, premeva contro
le colonne del lungo corridoio, immerso nelle tenebre.
Non c’era nessuno, tranne due persone,
accanto ad uno dei bracieri posti lungo la navata, che spandevano il loro
profumo intenso e palpitavano rosso-dorati contro il buio.
I due parlavano a voce bassa, gli
occhi ridotti a fessure d’ossidiana e la lingua che schioccava, secca, contro
il palato e le labbra taglienti.
La donna, vestita con una divisa
militare di anelli bronzei e scarlatti, annuì e si allontanò veloce, in lampi
di luce e ombra.
L’uomo, rimasto fermo nel corridoio,
si lasciò sfuggire un ghigno e si passò la punta della lingua sulle labbra,
come una belva che stesse assaporando il gusto dolce del sangue della sua
vittima.
Gli occhi brillarono, vendicativi.
La nave era pronta, tutto era pronto.
La donna si avvicinò al Superiore,
rigido accanto al portellone, e attese, immobile, i propri ordini.
Nell’hangar fremevano i preparativi:
accanto all’Incrociatore Meret, una
nave più elegante, quasi pesante nel suo essere così squisitamente formale,
aspettava solo di essere affiancata da alcune navette di supporto e protezione.
La donna osservò con cipiglio superbo
alcuni cadetti salire sulla nave d’ambasciata, vestiti con armature finemente
lavorate, adatte solo per essere esibite per la loro bellezza, ma oltremodo
inutili in battaglia; armi bianche di pregiata fattura, abbellite con gemme e
simboli araldici, pendevano loro al fianco.
Le attività dell’hangar vennero
interrotte al passaggio dell’Ambasciatrice, una figura snella e imperiosa, avvolta
in un abito nero e scarlatto, con un fermaglio d’argento sui capelli scuri.
L’Ambasciatrice si fermò sulla
piattaforma della Nave, per rivolgere uno sguardo all’Incrociatore Meret e annuire, come a dargli la sua benedizione, poi
scomparve, inghiottita dallo sfarzo, dal lusso.
Dalla menzogna.
***
-Spero tu sappia ciò che stai facendo- mormorò
Sarek, mentre percorreva, insieme al figlio, i corridoi che dalla Sala
dell’Ambasciatore Selek li avrebbe portati fino all’hangar.
-Naturalmente-
-Sarebbe illogico se io ti ripetessi
quanto poco sia d’accordo con questa tua idea-
-Estremamente-
A Sarek non sfuggì la vena ironica nel
tono di voce del figlio.
-Selek-
cominciò, sforzandosi di chiamare Spock col nome che si era scelto –E’ una
pazzia-
L’altro si limitò a sorridere, poi si
fermò davanti alle porte chiuse dell’hangar; fece per digitare il codice che le
avrebbe aperte, ma Sarek lo fermò.
-Sei ancora in tempo-
-No- ribatté Selek, alzando lo sguardo
–Il dado è tratto-