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Autore: Gweiddi at Ecate    07/11/2010    4 recensioni
Mini-mini spoiler 2x07 e 2x08
"Damon non ricorda quand’è stata l’ultima volta che ha pianto di fronte a qualcuno. Le rare volte in cui le lacrime hanno minacciato di sfuggire al suo ferreo controllo, si è sempre premurato di essere solo, lontano da occhi e orecchie indiscrete.
[...]
Damon Salvatore ha ancora un orgoglio, e anche piuttosto battagliero, nonostante Katherine ci abbia giocato volentieri e più e più volte l’abbia calpestato come uno straccio consunto.
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Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Katherine Pierce | Coppie: Damon/Katherine, Katherine/Stefan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tired to sickness



Damon non ricorda quand’è stata l’ultima volta che ha pianto di fronte a qualcuno. Le rare volte in cui le lacrime hanno minacciato di sfuggire al suo controllo
ferreo, si è sempre premurato di essere solo, lontano da occhi e orecchie indiscrete.
Ora ha ceduto, e davanti ad Elena non riesce a trattenere quell’unica dolorosa scia di acqua e sale, e una parte infinitesimale di lui quasi ringrazia di doverle cancellare quel ricordo. Perché, se anche fosse in grado di sopportare quello che ha confessato ad Elena, di certo non potrebbe reggere all’idea di aver pianto di fronte a lei.
Damon Salvatore ha ancora un orgoglio, e anche piuttosto battagliero, nonostante Katherine ci abbia giocato volentieri, e più e più volte l’abbia calpestato come uno straccio consunto.
Accarezza la guancia di Elena prima di allacciarle la collana ed andarsene. Non se la sente di tornare a casa, a guardare in faccia Stefan che è tanto buono e perfetto proprio ora che ha fatto una delle cose più stupide, dolorose ed egoiste della sua vita.
“Non volevo essere solo” gli ha detto. Anche in quel momento, Damon ha desiderato voltarsi e abbracciare Stefan, dirgli che lo perdonava e che andava bene così – al diavolo che quella non fosse la verità – che erano di nuovo insieme, nessuna donna a dividerli, semmai ad unirli. Invece ha preferito fingere di non essere interessato alle scuse di suo fratello, si è concentrato su un solo pensiero: grazie, fratellino. Per non essere solo tu, hai reso eternamente solo me.
Non ha Katherine – non l’ha mai avuta – non può avere Elena. È arrivato al punto di non avere più nemmeno se stesso, troppo cambiato dalle persone e dagli eventi per ricordare ancora quale sia il vero Damon e quale la sua maschera.
No, non se la sente davvero di tornare a casa.
Vaga per ore, con una lenta e pigra camminata umana, senza badare alle strade. Finisce prima nel centro di Mystic Falls, però gli schiamazzi provenienti dal bar lo infastidiscono, quindi si allontana fino alla periferia opposta alla casa di Elena, ma bastano le luci accese nelle case per innervosirlo.
Case, famiglie.
I passi lo portano al bosco. Alle rovine della vecchia tenuta dei Lockwood. Alla piccola voragine che sgorga nella cripta.

Non si chiede quale istinto altamente masochista ed imbecille lo abbia condotto fin là: Damon non crede nel subconscio e in tutte quelle affascinanti teorie contorte, sebbene ami servirsene per provocare chi ha la faccia tosta di stargli intorno. Non pensa di scendere nella cripta a martoriarsi ulteriormente, e tenta di tirare dritto ed ignorare la vecchia cappella e chi vi è chiuso dentro.
Alza il piede per fare il primo passo, quando sente il rumore di un respiro, e il piede torna a terra senza che Damon si sia mosso.
È un respiro che conosce bene, che ha ascoltato per tante notti e che per ancor più anni ha sperato di risentire.
Resta fermo per qualche secondo, paralizzato, poi quella parte masochista ed imbecille di cui lui nega fermamente l’esistenza ottiene la vittoria, e lo convince a scendere con un balzo leggero nella cripta, a calpestare le foglie secche, mentre il respiro che l’ha incatenato si blocca.
Damon si avvicina alla stele di roccia levigata e vi poggia sopra la mano. I solchi del pentacolo inciso sulla nuda pietra sono come burroni profondi sotto il suo palmo.
Dall’altra parte c’è uno spostamento: oltre il macigno qualcuno ha fatto un passo indietro.
Senza rendersene conto Damon si lascia sfuggire un sussurro.
«Hai paura, Katherine?»

È più un respiro articolato che una vera frase, e c’è un attimo di silenzio che gli riempie le orecchie. Poi dalla sua prigione Katerina – che in quel momento non è più la sfrontata Pierce, ma la Petrova stanca e atterrita – si fida ad aprir bocca.
«Damon?»
Il maggiore dei Salvatore ha un lieve sobbalzo e si irrigidisce. Non si aspettava una risposta, non era nemmeno sicuro di aver parlato. Perché diamine era lì?
Damon sorride amaramente e ribatte sarcasticamente «Ti prego, saltiamo il pezzo in cui dici di aver sperato che fossi Stefan.»
«Non sono così stupida.» è la risposta tagliente.
Damon continua a sussurrare impercettibilmente, solo Katherine può sentirlo. Lei parla con voce chiara e distinta, eppure Damon vi avverte l’incertezza nascosta, l’amaro sapore della disperazione che lui conosce così bene.
«Il caro fratellino è troppo impegnato con la doppelgänger in jeans, suppongo.»
Damon non la vede, ma dai lievi rumori immagina abbia appena fatto quella sua smorfia supponente, solo non con la luce dispettosa di una volta. Katherine ha fatto patire loro le pene dell’inferno, ma ha ancora il coraggio di sentirsi tradita e abbandonata. Però non lo ammetterà mai.
È anche per quel suo orgoglio sconfinato che l’ha tanto amata.
«Già, la storia del doppelgänger… anche quella volta ne hai fatta una delle tue, vero?»
«Solo un po’.»
Katherine non gli domanda cosa sappia della faccenda. Non le interessa. Non le interessa più nulla. È così forte e graffiante la sua anima in quel momento, il desiderio di essere libera, il bisogno di andarsene immediatamente. Tutto le fa così male che ha deciso di illudersi di non provare nulla.
Damon lo sa, ma Katherine è ancora convinta che lui non la capisca, che solo Stefan potrebbe. Damon sa anche questo, ma questa sera è troppo stanco per indagare sui perché e i per come della cosa. Di rifiuti ne ha avuti abbastanza, e non si è mai sentito così svuotato in vita sua, nemmeno quando ha scoperto che lei non era lì, lì dove è ora. Per mano sua.
«Quindi? Sei venuto a godere della mia situazione? Vuoi ridere della sgualdrina che ha avuto quello che merita?»
Damon appoggia la fronte alla stele di pietra e per un attimo sogghigna.
«In effetti potrebbe essere divertente. Ma quello è il genere di cose che solo tu sai fare al meglio, cara.»
Katherine stringe i pugni e morde le labbra.
Ad occhi chiusi e concentrandosi solo sul bisogno di restare sveglio, è ancora più facile immaginarla: il vestito è sporco di terra, i capelli scompigliati e le labbra truccate di rosso si sono screpolate per colpa dell’aria secca e fredda. Non ha ancora cominciato a deperire, del resto è passato solo un giorno, ci vorranno almeno due settimane prima che le guance inizino a scavarsi. Sono i suoi occhi che lo attirano: spenti e sconfitti, eppure talvolta brillano ancora in lampi tanto di follia quanto di lucidità. Al momento sono stanchi, come i suoi.

Non credeva fosse possibile, ma Katherine sembra essersi già arresa. Lei che ha sempre avuto mille risorse, pare aver perso le speranze tutte in una volta, precisamente quando lui ha posto quella pietra tra lei, le sue grida, ed il resto del mondo. Il colpo di grazia. Il fratello che l’amava troppo.
Il fratello che non sa bene cosa gli stia succedendo dentro, e perché sia ancora lì. 
«Damon, ti prego.»
Supplica? No, Katherine, arrivi troppo tardi. Neanche lui è così sciocco da darti fiducia per l’ennesima volta.
«Ti prego, fammi uscire. Potremo ricominciare tutto dall’inizio. Ricordi quello che mi dicesti quella sera?»
«Non sei davvero capace di essere sincera?» le domanda lui infastidito.
Stacca la fronte dalla stele e si sente morire dentro quando si accorge che l’ultimo tentativo di menzogna di Katherine non gli ha fatto male, non gli ha causato la solita pugnalata lancinante al petto. Vorrebbe esserne contento, e poter pensare che ormai lei non conti veramente più nulla per lui, ma la verità è che il suo cuore è stato calpestato così tante volte – da lei, da suo padre, da Elena, da Stefan, da lui stesso – che ci ha fatto l’abitudine. Non era propriamente questo lo scudo con cui sperava di proteggersi.

Sta per uscire dalla cripta con la testa china tra le spalle, quando Katherine al suono dei suoi passi lo richiama concitata.
«No, Damon!»

«Cosa succede? Non credere che ti farò uscire di qui perché non solo non so come farlo, ma nemmeno lo voglio sapere!»
Katherine non risponde.
«Allora? Cosa vuoi ancora da me? Cosa
Damon ha smesso di sussurrare da un po’ ormai, perché quel richiamo ha svegliato la rabbia che si era assopita da un giorno appena.
«Vuoi che mi renda ancora ridicolo spiegandoti che per più di un secolo ho pensato solo a te? Che ti ricordi che ti ho amata al punto da odiare mio fratello perché avevi scelto anche lui? O preferisci ti illustri le stronzate che ho inanellato pur di riuscire a dimenticare il male che mi hai fatto? Oh no, aspetta, ho capito: vuoi che vada a chiamarti Stefan perché tanto è sempre stato Stefan
Non si accorge di aver cominciato ad urlare, ma un nodo gli strozza la gola quando grida il nome di suo fratello, e la parola esce dalla sua bocca come un singhiozzo, un sobbalzo del diaframma.
Vorrebbe smettere di vedere Katherine e dimenticare questi ultimi minuti, eppure per l’ennesima volta riesce a ricostruire i suoi movimenti e sa che in quel momento è accucciata a terra con il volto tra le mani.
È soddisfatto adesso. Katherine deve soffrire almeno quanto ha sofferto lui.
No.
«Era sempre così gentile.»
Ora è lei a sussurrare. Damon maledice i sensi sovrannaturali dei vampiri e ghiaccia sul posto, incapace di coprirsi le orecchie come un bambino e smettere di ascoltare, perché tanto non servirebbe a nulla.
«Mi toccava con riguardo e cercava di farmi ridere. Lui mi ha solo offerto il suo amore, tu il mio l’hai preteso.»
Damon dischiude le labbra per cercare di ribattere, ma non trova voce ad accompagnare i suoi pensieri. Ci prova, desidera dire che mentre le profferte di Stefan si erano in breve spente, le sue erano rimaste vive per lustri – fino a poche settimane prima – ma è il tono tremante di Katherine che lo soffoca. Katherine non è mai triste, mai vinta, mai ferita o angosciata.
«Come hai potuto pretendere che ti amassi? Stavo appena imparando ad amare Stefan, come avrei potuto amare te?»
Questa volta il colpo giunge a segno, e Damon sente una sferzata che gli fa salire la nausea e taglia il fiato.
«Speravo che avrei potuto insegnartelo io.»









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Uhm. Non so fin dove sono soddisfatta di questa shot. Speravo di cavarne fuori qualcosa di migliore, ma immagino che prendersi la propria vendetta nei confronti degli sceneggiatori dei Vampire Diaries durante l’ora di economia aziendale non produca propriamente gli effetti sperati.
Argh.

Ah, da ultimo: spero sia leggibile, l'ho battuto a computer dal quaderno alle tre di notte e non avevo nonna Salice da schiavizzare per il betaggio.
   
 
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