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Autore: Minerva    10/11/2010    1 recensioni
Uno scrittore intrattabile e misogino, terribilmente sarcastico e abituato a comandare.
Un'infermiera tutta d'un pezzo che non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, con la lingua più tagliente di tutto l'ospedale.
Metteteli assieme per un periodo di tempo indeterminato, condite il tutto con ironia e dispetti.
Avete ottenuto la nuova storia originale della sottoscritta: da un'idea di MikaEla.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Appuntamenti al buio.

La serata che Rachel aveva pianificato si stava rivelando piacevole. Aveva chiamato Tiffany e le aveva chiesto scusa per essere stata una stronza patentata, promettendole che non si sarebbe più comportata in quella maniera orribile e deplorevole. La cugina aveva fatto la sostenuta per cinque minuti, e poi era tutto tornato come prima.
Quasi.
Il fatto che Tiffany le avesse detto che era sua intenzione farle conoscere un amico non implicava nulla di buono, ma era lo scotto da pagare per riallacciare i rapporti con lei.
La cugina, infatti, si sentiva il cupido della situazione, e come tale si comportava. Le aveva presentato così tanti "amici" che Rachel raggelava al solo pensiero di incontrarne un altro. Aveva conosciuto la peggior fauna maschile presente sulla faccia della terra proprio grazie a Tiffany. Chris, quello che aveva venduto le sue orrende porcellane, era stato solo l'ultimo di una lunga lista.
Prima di Chris c'era stato Daniel. Un visetto pulito, sempre terribilmente elegante e sofisticato. Aveva però la più brutta abitudine che Rachel potesse immaginare: era un mammone. Ogni volta che uscivano, Daniel riceveva come minimo due telefonate: una per sapere se era arrivato sano e salvo, l'altra per informarlo che era ora di tornare a casa. Daniel aveva superato i trent'anni, ma viveva ancora con la madre. Era questo motivo per cui aveva sempre la camicia stirata a dovere, il pantalone con la piega perfetta e la giacca tirata a lucido.
Daniel voleva molto bene a sua madre. Anzi, per essere precisi lui la venerava. Rachel non capiva come potesse adorarla così tanto. Lei la trovava assillante, e non l'aveva mai nemmeno vista!
Daniel era avvocato. Aveva studiato una vita, e adesso cercava di farsi strada in quel mondo di pescecani supportato dalla madre. E questo era uno dei due argomenti di cui Daniel riuscisse a parlare con Rachel. L'altro era ciò che sua madre pensava di Rachel. Come lei aveva capito quasi immediatamente, la suddetta madre non la apprezzava minimamente. Daniel, dal canto suo, spesso sembrava dimenticarsi di filtrare le informazioni dal cervello alla bocca, col risultato di ripetere le esatte, e poco lusinghiere parole che la propria madre aveva detto su Rachel.
Lei aveva cercato di essere paziente. Di capire che non tutti hanno un rapporto sano coi genitori, che forse Daniel avrebbe potuto migliorare.
- Rachel, non dovresti mangiare gli spaghetti. - le aveva detto una sera a cena. - Mamma dice sempre che la pasta fa ingrassare! Che ne diresti di un'insalata? - Rachel aveva sospirato, e con estrema calma aveva risposto
- Daniel, questa cosa non può funzionare. Le relazioni a tre non mi entusiasmano. - lui non aveva capito subito chi fosse il terzo, e infatti aveva fissato Rachel con sorpresa, con l'espressione di un pesce lesso, a voler essere precisi. - Tua madre, Daniel. Tua madre è il terzo, in questa relazione. Ed è per questo che ho deciso che vi lascio da soli. - e detto questo l'aveva piantato lì e se ne era tornata a casa. Non aveva alcuna intenzione di sentire l'ennesimo "Mia madre pensa che...".
Ma prima ancora di Daniel c'era stato Alcide.
Alcide era un culturista. L'uomo ideale per le estimatrici dei pettorali perfetti e dei glutei sodi. E a Rachel non dispiaceva di certo un ragazzone simile, dato che era una vera gioia per gli occhi. Alcide amava molto allenarsi. Quasi troppo, e Rachel si trovò ben presto nella sgradita situazione di dover andare in palestra e guardarlo sollevare pesi per delle ore. Quando Rachel aveva smesso di seguire i suoi allenamenti, la loro storia si era conclusa così. Lui non se ne era nemmeno accorto. Come aveva detto a Tiffany, la loro storia era morta di morte naturale.
E adesso Rachel se ne stava seduta ad un tavolo con davanti un certo Jerry tutto intento a parlare del Mercato Azionario di non-mi-ricordo-cosa. La fortuna era che Jerry, quella sera, era l'accompagnatore di Tiffany. Rachel aveva dovuto accontentarsi di Samuel. Era un tipo carino, se si riusciva a passar sopra alla sua risata stridula. Non aveva ancora capito che cosa facesse Samuel per vivere, mentre aveva capito fin troppo bene che cosa faceva Jerry, ed era di una noia mortale.
Si concesse uno sguardo all'orologio e pensò che aveva appena saltato la visita serale del suo adorato paziente. Chissà che cosa sarebbe successo se il suo capo lo avesse scoperto. Poi, con una scrollata di spalle tornò a far finta di seguire il discorso di Jerry.

Thomas Haynes stava scrivendo, e freneticamente, aggiungerei. Dopo essersi assicurato che Rachel se ne fosse davvero andata, richiamò il Green Tower e si fece mandare un'altra bistecca. Questa volta si assicurò che avessero anche il numero di stanza corretto. Aveva finalmente potuto cenare in santa pace, con un piatto decente e dell'ottimo vino. Rinfrancato nello spirito e nel corpo, come si compiaceva di dire sempre suo padre dopo una sana bevuta, era tornato a scrivere.
La scena gli era chiara nella mente: il suo protagonista, che aveva deciso di chiamare Thomas in un momento di autocelebrazione egocentrica, era stato catturato da cinque spie russe, e adesso veniva tenuto prigioniero in una cella per metà interrata, con delle grosse sbarre di ferro e un'unica finestra. Finestra che era, ovviamente, rotta e da cui penetrava il terribile gelo dell'inverno russo.
Il fatto che Thomas avesse allegramente ignorato l'istantanea ipotermia che questo avrebbe causato al suo personaggio, lo portò a scrivere qualcosa di assolutamente impossibile in termini reali. Ma, si disse poi, chi diavolo andava a cercare la realtà nei romanzi d'azione?
Soddisfatto delle idee ben chiare che aveva in mente, Haynes si trovò a scrivere per gran parte della notte, arrivando ad addormentarsi solo verso le quattro e mezza del mattino, col portatile ancora appoggiato sulle gambe e un gran sorriso ad illuminargli il volto.
Fu Rachel a ritrovarlo così, verso le otto. Era corsa in ospedale sentendosi terribilmente in colpa per come stava trascurando il suo lavoro e di come fosse stata poco professionale, ed ecco che invece si trovava il suo detestabile paziente addormentato come un angioletto. Spostò con delicatezza il portatile, prima di accorgersi dei resti della cena di Haynes. Quella carogna se ne era fatto portare un'altra!
Stava per svegliarlo, così, tanto per fargli un dispetto, quando una vocina interiore la fermò.
- Sei proprio sicura, - diceva la vocina - di volerlo svegliare e poi sorbirtelo per tutta la giornata? - e Rachel decretò che la sua vocina era molto, molto intelligente ed arguta.
Se ne tornò quindi nella saletta e si concesse un caffè bollente. Lillian entrò giusto in quel momento, l'aria affaticata e due occhiaie che toccavano terra.
- Sei splendida oggi. - le fece notare sarcasticamente Rachel.
- Si nota così tanto? - domandò Lillian di rimando, fiondandosi in bagno per guardarsi allo specchio.
- Giusto un po'.
- Sembro uno zombie, - si lamentò l'altra - Rachel, dammi retta! Quando ti dicono quanto è bello avere dei figli, tu non credere ad una sola sillaba!
- Non ti preoccupare, il mio istinto materno è decisamente sottosviluppato.
- Come va con Haynes? - domandò poi Lillian, versandosi una generosa dose di caffè.
- Non l'ho ancora ucciso. Anche se ho provato ad avvelenarlo. - le confidò Rachel sottovoce, e le raccontò della bella cena che gli aveva portato.
- Alle volte sei un genio, Rachel. Dico davvero. Hai mai pensato di tenerlo sotto sedativi per renderlo più tranquillo?
- Non funziona, è una delle prime cose che ho fatto, ma quella carogna ha una strana resistenza a qualsiasi tranquillante o sonnifero. - sospirò Rachel affranta. - Però adesso sta dormendo tranquillo, e non vado di certo a svegliarlo per i controlli. Che dorma tutto il tempo che vuole, così io me ne posso star qui tranquilla.
- Io invece devo andare, ho almeno cinque pazienti da controllare prima che si faccia troppo tardi. A dopo! - e uscì a passo di carica dalla saletta.
Rachel si sentiva stranamente rilassata. La giornata iniziava bene: Haynes dormiva, lei non aveva il mal di testa e non aveva nemmeno fumato una sigaretta. Stringeva fra le mani una tazza di buon caffè e nessuno avrebbe potuto turbare quel momento.
Sentì il campanello trillare, ma decise di ignorarlo: non poteva essere il suo paziente. Lui stava dormendo. Altro trillo, un altro ancora.
- Rachel! Muoviti! - la voce di Haynes. Rachel sospirò, era stato tutto troppo bello per essere vero.

Ci aveva provato. Aveva provato per ben due giorni a non parlargli più dello stretto necessario. Semplicemente non voleva dargli nulla a cui aggrapparsi per farla arrabbiare. Ma Thomas era subdolo, e aveva capito quasi subito che, se voleva farla sbottare, l'unica maniera che aveva era tartassarla sull'unico punto sensibile che aveva finora mostrato: la sua situazione di single.
- Che hai fatto di bello ieri sera, Rachel? - aveva domandato con un sorriso smagliante. Quel giorno Thomas si sentiva particolarmente magnanimo: era riuscito a scrivere ben due capitoli per il nuovo romanzo, utilizzando proprio un incidente stradale come punto di svolta. Era grazie all'incidente che il suo protagonista veniva rapito e rinchiuso in una cella fredda e tenuto a digiuno. Era soddisfatto, felice e con un sacco di idee per il continuo. Questo stato di grazia gli aveva permesso di sorridere a Rachel e cercare di fare il simpaticone.
Aveva atteso con ansia una risposta, ma niente. Rachel non dava segni di voler collaborare. Si era limitata a prendere le temperature, segnare i dati e andarsene. Il buon'umore di Thomas aveva iniziato a svanire. Quello che il suo ego spropositato non riusciva a sopportare era l'indifferenza. Sopportava benissimo gli insulti, le adulazioni e tutto quello che gli faceva capire di essere considerato. L'indifferenza no, quella non la poteva soffrire.
Senza nemmeno saperlo, Rachel era andata a toccare forse l'unico punto debole di Thomas, ma era troppo concentrata ad ignorare le sue frecciate per rendersene conto.
Dal canto suo Thomas stava rimuginando su come far sbottare Rachel con una sola, unica frase. Di solito aveva bisogno di un piccolo "botta e risposta" per poter dare il meglio di sé, ma in questa situazione lei non gli dava corda per farlo. E ciò, concluse lui, era terribilmente irritante.
Se lei si era dimostrata così riottosa ed imbarazzata a parlare di del suo status di single, avrebbe potuto dire qualcosa su quell'argomento: il problema era che doveva renderlo abbastanza volgare e insinuante da farla andare su tutte le furie. Ma non poteva essere semplicemente volgare! Non era decisamente nel suo stile attaccarla solo a male parole, e poi, sospettava che non avrebbe ottenuto alcun effetto nel prenderla così di petto.
Si attaccò al campanello, deciso più che mai a non essere ignorato così platealmente da Rachel.
- Ha bisogno di qualcosa? -
- Sì! - esclamò lui con entusiasmo - Ho sentito un succoso pettegolezzo, e vorrei che tu me ne dessi conferma. - spiegò poi con sussiego, andando a colpire la curiosità di Rachel.
- Sentiamo. - si limitò a rispondere lei, con le braccia incrociate al petto.
- Ho sentito due inservienti che parlavano qua fuori di un'infermiera del reparto che ieri si è data alla pazza gioia nella saletta infermieri, divertendosi così tanto da svegliare un paio di pazienti. Non è che per caso... eri tu? - il sorriso smagliante di Thomas si allargò ancor di più sull'ultima sillaba. Rachel lo osservò con gli occhi sgranati per una manciata di secondi, cercando inutilmente di metabolizzare ciò che le aveva appena detto. Aprì la bocca. La richiuse. Una vocina le diceva di contare fino a dieci, cento, mille se necessario, ed andarsene con una calma invidiabile.
Ma mentre quella vocina ancora spiegava come Rachel dovesse comportarsi, la bocca della donna aveva iniziato a sputare coloriti insulti ad Haynes, coperti solo dal rumore della porta sbattuta e dai passi frettosoli della stessa che correva verso la saletta infermieri per prendersi una intera scatola di Valium.

Thomas, nel frattempo, stava ghignando come un matto, soddisfatto della sua trovata. Stava ancora gongolando quando qualcuno bussò alla sua porta.
- Rachel! Da quando sei così formale da bussare? - domandò garrulo, sicuro di non dover ricevere visite da nessun altro al di fuori di lei.
- Sono contento di aver cambiato nome e sesso. - replicò una voce profonda.
- Oh, ma sei tu. Perché sei qui? - domandò annoiato Thomas, ripescando il computer dal comodino e tornando a scorrere le pagine che aveva scritto.
- Ha mangiato pane e simpatia a colazione? - questa volta era una voce femminile. E non quella di Rachel. Per un motivo ignoto questa considerazione lo mandò in bestia.
- Da quando in qua ti porti in giro un soprammobile parlante, Jack?
- Non sono un soprammobile! - protestò acuta la vocetta femminile. Thomas le concesse un breve sguardo. Capì il perché del divorzio di Jackob.
- Oh, scusa, non avevo afferrato che fossi una bambola gonfiabile. - precisò caustico Thomas. - Però è un modello carino, dove l'hai pescata? Ad una rivendita dell'usato? - Jackob intuì vagamente che tutto quell'astio ingiustificato verso Janet poteva essere una strana forma di gelosia, ma quel pensiero non lo consolò minimamente. Lei, nel frattempo, se n'era andata sbattendo la porta e dicendo a Jackob qualcosa che somigliava molto ad un "ti aspetto al bar qui sotto."
- Thomas, ti prego! Non pretendo che tu sia gentile, ma per lo meno educato.
- Figurati se quel manichino possiede il minimo sindacale di neuroni necessari per comprendermi! - fu la secca risposta dello scrittore, che continuava imperterrito a fissare il monitor del computer. Janet proprio non gli piaceva. A dire il vero la maggior parte, se non la totalità del genere umano, non gli piaceva.
Però c'erano vari livelli in questo disgusto diffuso che Thomas provava. Rachel, ad esempio era una donna irritante, ma con cui si poteva avere un sano dibattito di insulti e frecciate. Una degna avversaria, secondo Thomas, una che ti avrebbe sempre e comunque pugnalato al petto, e mai alle spalle.
Jackob era un brav'uomo, se si tralasciava il fatto che per una gonnella si sarebbe venduto anche l'anima e che spesso era troppo buono, secondo gli standard di Thomas.
Ma le persone come Janet... quelle no. Thomas le inquadrava subito: troppo stupide, o troppo superficiali. Spesso e volentieri interessate solamente al conto corrente del povero pirla che concupivano con sguardi languidi e parole dolci. Thomas le sapeva riconoscere, quelle persone. Essere ricco abbastanza da potersi permettere ciò che si permetteva lui attirava rigorosamente anche le sanguisughe. Di norma la sanguisuga ha un aspetto piacevole, un modo di parlare elegante ed è affascinante. Inizia tutto quasi per caso, un drink, una cena, una notte di passione.
E improvvisamente ti ritrovi con una donna possessiva, gelosa e soprattutto spendacciona, che ti chiede la tua American Express Platino per comperarsi l'ultimo gioiello di Cartier.
Una ragazza aveva tentato quel trucchetto molti anni prima, proprio con lui. Si era dimostrata gentile e timida, con le guance rosse e un sorriso adorabile. Si era avvicinata a Thomas con una scusa qualsiasi e aveva attaccato bottone. Era giovane, allora, e si era lasciato incantare dagli occhioni verdi. Per questo ci rimase di sasso quando la fanciulla gli chiese se potesse avere la sua merendina. Lui aveva annuito inebetito e gliela aveva porta, troppo preso dalle trecce bionde di lei per capire che cosa stesse succedendo. Agguantata la merendina lei era sparita. Salvo ripresentarsi il giorno dopo per riscuotere il dolcetto che lei sentiva le fosse dovuto.
Thomas era solo alle elementari, ma aveva capito benissimo una cosa: le donne da lui volevano solo beni materiali. Fosse il dolcetto della ricreazione, o la sua American Express Platino.
Jackob nel frattempo gli stava raccontando di come avesse conosciuto Janet ad una festa, e di come lei fosse splendida, carina, affascinante... proprio come quella bambina delle elementari, rifletté Thomas.
- Sai, Jackob, credo che fra non molto tu ti ritroverai a dover difendere i tuoi soldi sia da tua moglie, che da Janet. - frecciò lo scrittore con indifferenza, continuando a fissare ostinatamente il monitor del portatile. Si stava chiedendo con che coraggio Jackob avesse portato al suo capezzale quell'ochetta da quattro soldi, stava appunto per inveire contro l'amico, quando questi gli disse una cosa che lo spiazzò.
- Da Janet? Non dire sciocchezze, lei possiede un'azienda tutta sua, non le mancano di certo i soldi!
- Non sapevo fossi sul lastrico, Jackob. Avresti potuto avvisarmi, ti avrei sicuramente assunto come mio autista per aiutarti. - rispose acido, chiudendo il portatile. Le cose si facevano interessanti.
- Se tu mi avessi ascoltato, in questo periodo, sapresti che mia moglie mi sta lasciando in mutande, e le mutande se le stanno prendendo i miei avvocati. - si inalberò finalmente Jack, stufo marcio di essere ignorato.
- Di quanto hai bisogno? Non serve che tu faccia il gigolò in giro, ti posso sempre fare un prestito.
- Il problema non sono i soldi, Thomas! - sbottò - E comunque a me Janet piace! Sa come divertirsi, e al momento è questo ciò di cui ho bisogno: distrarmi! Lo sai come la chiamano? La signorina Bellavita. - Thomas restò a bocca aperta. Bellavita, aveva detto, e il soprannome gli suonava familiare.
- Bellavita, hai detto?
- Mhh - mugugnò in risposta Jackob.
- Tu, oh emerito imbecille, ti sei preso una sbandata per Janet Wierner? - domandò ancora, incredulo.
- Spiegami l'imbecille... anzi, no! Non mi interessa. Sai che ti dico, Thomas, che mi sono rotto di star dietro alle tue cazzate! - e per la prima volta in vita sua, Jackob sbatté una porta in faccia a Thomas Haynes.

Thomas non l'avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma stimava Jackob, lo conosceva da molti anni ed era sempre stato un buon amico. Si erano conosciuti per caso, presentati dall'ex moglie di Jackob, che al tempo era una responsabile della casa editrice per cui Thomas stava iniziando a pubblicare i suoi primi romanzi.
Benché non fosse ancora uno scrittore famoso, Thomas aveva già assunto quel comportamento misantropo ed arrogante che peggiorò con gli anni e con la fama. Jackob aveva creduto che fosse tutta una specie di corazza per proteggersi dagli squali che circolavano nell'ambiente dell'editoria, e aveva provato a scavare un po' più a fondo nel carattere di Thomas. Non che avesse ricavato chissà cosa, ma aveva scoperto un uomo brillante e sagace, con cui non era poi così spiacevole passare il proprio tempo.
Nessuno, né prima, né dopo, si era preso la briga di fare lo stesso, e Thomas si era fatto la reputazione che tutti ben conoscevano. E così andava bene sia a Jackob, sia a Thomas. Jackob non aveva grandi pretese verso i propri amici: una birra ogni tanto, quattro chiacchiere quando capitava erano più che sufficienti. Benché fosse un tipo più aperto e simpatico di Thomas, Jackob non riusciva a rinunciare alla sua privacy, cosa che aveva fatto naufragare il matrimonio, assieme ovviamente alla propensione dell'uomo a osservare ogni bella ragazza che passasse a tiro.
Jack non aveva mai litigato con Thomas, sapeva fin quanto poteva tirare la corda, e sapeva quando era meglio lasciarlo stare. Lo scrittore, dal canto suo, cercava di compensare i momenti in cui si comportava in maniera davvero orribile - come in quel momento- con un barilotto di birra e discorsi prettamente maschili.
Ma essendo in ospedale, e non potendo ricorrere all'alcool, Thomas si trovava spiazzato. Non gli piaceva per nulla il tono esasperato di Jackob, e soprattutto non amava essere ignorato. Una porta sbattuta in faccia dall'unico amico che aveva, gli aveva fatto più male di quel che pensasse.
Doveva escogitare qualcosa, e alla svelta, per cui si attaccò al campanello. Aveva assoluto bisogno di un complice, e chi meglio di Rachel poteva aiutarlo? Lei comparve quasi istantaneamente, probabilmente attirata dal baccano che lui e Jackob avevano creato.
- Mi dica, signor Haynes. - disse cortese.
- Rachel, lo so che stavi origliando, non fare la finta tonta. Ma adesso mi servi! Mi occorre un piano. - esclamò concitato il paziente.
- Non stavo origliando! - protestò lei, arrossendo per l'imbarazzo di sapere di stare a mentire più che spudoratamente.
- Sì, ok, saltiamo la parte in cui ti affermi innocente, io ti sbugiardo e tu confessi, eh? - quando Thomas era agitato, notò Rachel, perdeva gran parte della sua dialettica. - Mi serve un favore, Rachel. Ma non per me... se quell'idiota di Jakcob ragionasse con i neuroni, e non con gli ormoni, non ne avrei bisogno. - Rachel si trattene dal dirgli che tutta la sua solidarietà andava a Jackob, dato il modo in cui era stato trattato.
- No! Signor Haynes non ci pensi nemmeno, io non voglio entrare in questa faccenda...
- Nemmeno se questo ti portasse ai festini più esclusivi di tutta la Florida? - insinuò lui malizioso.
- Festini? Ma per favore, odio quel genere di feste, se davvero ci tenessi a parteciparvi, un modo l'avrei trovato già da tempo!
- Dimmi il tuo prezzo, Rachel, e io potrò pagarlo. - propose lui, sull'orlo della disperazione, non poteva attuare nessun piano sdraiato inerme in un letto di ospedale. Meno che meno riconciliarsi con Jackob: le scuse, ovviamente, non erano nemmeno prese in considerazione.
- Una casa con piscina idromassaggio e una Maserati. - esclamò lei con un sorriso, convinta di averlo incastrato.
- Va bene, ho una Maserati praticamente mai usata in garage, e una casa al mare con piscina idromassaggio e un campo da tennis. Puoi soprassedere sulla Maserati usata in cambio del campo da tennis? - il tono di urgenza nella sua voce aveva raggiunto livelli preoccupanti.
- Ma, signor Haynes, stavo scherzando... non la voglio la Maserati... - tentò di rimediare lei.
- Rachel! Non farmi perdere tempo! - Thomas non sapeva più dove sbattere la testa, l'unica persona che si fosse guadagnata un briciolo del suo rispetto, oltre a Jackob, era Rachel, e al momento non sembrava molto collaborativa. - Ci metteremo d'accordo sul compenso a storia finita. Ora, però, ho davvero bisogno che tu mi faccia un favore. Ho bisogno che tu seduca Jackob! -

Angolino recensioni:

Kunimitsu: Mi prosto col capo coperto di cenere e invoco perdono, sono sparita per un sacco di mesi e me ne dispiaccio. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Da adesso fino alla fine la storia prenderà un po' una piega diversa. Dato che le situazioni in un ambiente ristretto come l'ospedale iniziano a mancarmi, ho deciso di ampliare la storia e inserire i personaggi secondari che avevo creato in precedenza. Thomas e Rachel resteranno comunque i principali, ma spero che questo cambiamento non ti spiaccia troppo.
Per la bistecca: sono tornata a casa dal Lucca Comics, dove ho potuto mangiare una fiorentina coi controfiocchi, e mi è venuto spontaneo associare i miei gusti culinari a quelli di Thomas!
Sul fatto di essere una lagna è vero, l'ho esagerato, ma so per esperienza personale che il cibo dell'ospedale spesso è davvero terribile, spesso insipido. E io mi lamentavo anche peggio di Thomas, ma essendo piccina (e non esistendo ancora i cellulari, all'epoca), non potevo ordinare i pasti in ristoranti esterni, e mi dovevo accontentare.

Eugeal: Che bello! Una nuova recensitr... recensor... una nuova persona che mi lascia una recensione! (Mi vergogno ad ammetterlo, ma ho sempre forti dubbi sul femminile di recensore.) Sono felice che il capitolo sia risultato abbastanza frizzante. Dato che è rimasto per mesi mezzo incompiuto sul mio desktop, aveva iniziato a puzzarmi di stantio, e non ero per nulla sicura della sua validità. Spero che anche questo sia di tuo gradimento.

Angolino autrice:
Ho buttato giù una trama provvisoria, e dovrebbero mancare ancora 4 capitoli, più un piccolo epilogo. Sempre che non mi venga qualche geniale idea, o che la trama che ho stilato non mi appaia orrida quando la trascriverò interamente (cosa che, ahimé, succede sempre!)
Avendo le idee chiare in testa non dovrebbe essere troppo problematico scrivere i capitoli, ma il blocco è proprio dietro l'angolo, e la mancanza di tempo mi soffia sul collo.
Non vorrei dare false speranze a voi poveri martiri che seguite questa storia dall'esistenza travagliata, ma spero di tutto cuore di riuscire a scrivere un capitolo al mese. Sono più che intenzionata a portare a termine almeno questa storia, quindi costi quel che costi ce la farò!
Al prossimo capitolo!


  
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