La regina lasciò vagare le unghie aguzze sul piumaggio del fenicottero al suo fianco, rigido di paura negli occhi vacui e il lungo collo teso.
“se un fenicottero sapesse fenicottorare voi fenicottinereste con lui” chiede dolce girandosi la punta di una piuma rosa tra le dita, sospirando.
“probabilmente no”.
E il povero animale si lasciò scappare uno stridio mentre una manciata di piume staccatasi dal suo fianco per rimaneva incastrata nel pugno chiuso della donna.
Unghia affondate nel palmo prima di allentare la presa e lasciarle cadere dolcemente nel vuoto.
E la distanza dal trono al pavimento sembrò moltiplicarsi mentre scendevano leggere e insanguinate verso le mattonelle bianche e nere. La regina si accasciò contro lo schienale, nascondendo il viso dentro l’ombra del palmo, il braccio sottile ricoperto di stoffa spessa che poggia con grazia sulla sponda dello scranno. E li accanto i pasticcini mai sfiorati, ricoperti di marmellata di ogni domani.
“la regina di cuori un bel giorno, tolse gustosi dolcetti dal forno …”canticchiò una voce troppo vicina.
La regina decise di ignorarla accomodandosi meglio per osservare le paste dalla sua altezza regale.
Certo, c’erano anche loro quel giorno, quando si impose di dare un giusto processo al fante di cuori. Maledetto sia quel giorno, non avrebbe dovuto, non avrebbe potuto …
“mia regina” un coniglio bianco abbigliato da pettorina in cuori rossi attese l’attenzione della sovrana, a tre passi dall’orlo della sua veste. Debitamente a capo basso, senza mostrare desiderio o impazienza. “tagliategli la testa” mormorò la donna guardandolo distrattamente.
I fiori recisi in un vaso vicino risero divertiti.
“maestà” continuò il Bianconiglio ignorando l’ordine della regina, “ci sono disordini nel bosco senza nome; i cavalieri hanno smesso di duellare e chiedono udienza per risolvere i loro problemi, la pecora dello spaccio chiede la licenza di vendita, e non abbiamo nessuno che se ne occupi. La cuoca vuole andare in pensione ed essere pagata in pepe …” sospirò il roditore chiudendo il rotolo di pergamena macchiata problemi del reame.
Le dita ingioiellate sciolsero i capelli, tirando il manto nero sulla schiena arcuata dai troppi problemi. Dubbi che prima neanche esistevano.
Logicità.
Tutta per colpa di quella stupida bambina, che ormai è lontana in quell’insulso vestito che si spacciava per petali di fiore. La maledizione arrivata nel suo regno per portarle l’unica cosa che ha il potere di danneggiarla. Quella maledetta parola che ha cambiato il destino del paese delle meraviglie.
Il senso.
Che ormai la rincorre per le sale del palazzo, costringendola a non poter più tagliare la testa alle sue carte di corte, chiudere in prigione contesse con la lingua lunga. Non può neanche prendere un tè quando le aggrada, perché ormai il tempo scorre e non sono più solo le cinque del pomeriggio.
Stupida bambina.
Adesso il suo mondo è in subbuglio, e non solo perché humpity dumpity è caduto dal muro, e le guardie del consorte sono accampate da mesi tra i gusci rotti, no, tutto intorno a lei a preso contorni bislacchi e nessuno è contento. La finta tartaruga vuole un vero diploma e pinco panco e panco pinco chiedono la divisione dei beni per potersi separare.
Ed è tutto confuso e rotto, come un cristallo andato perduto per sempre in miliardi di schegge. Quella maledetta bambina e la sua testa vuota di boccoli biondi.
“avresti dovuto tagliarle la testa quando era ancora possibile”.
Una voce oltre l’oscurità del suo trono. E la regina ha paura, come tutte le volte che il problema le si presenta, con gli occhi bassi e l’ombra di un cappello a cilindro che ondeggia appena oltre il bracciolo, costantemente incastrato in quell’angolo di spazio, attento ad ogni spostamento, solerte ai suoi passi come nemmeno la sua corte lo è mai stata.
“avresti dovuto ucciderla” continua il cappellaio infilando il filo nell’ago e osservando critico la falsa cucitura di un cappello di piume, ignorando l’etichetta, approfondendo il tono confidenziale.
“almeno adesso non avresti veri problemi, potresti essere libera dall’angoscia del domani, non avresti paura del futuro”, aggiunge imperterrito, osservando il cappello da diverse angolazioni, aspettando paziente.
“non avresti paura di me”.
Sorride bieco, alzando il capo verso la regina, ignorando la lacrima che le scende dal volto, la rabbia ormai svanita nell’immenso sconforto.
“vattene … ti prego” biascica sconfitta.
Il cappellaio si inginocchia, poggiando il volto scavato vicino alla sua mano che profuma di oro rosso.
“sai quello che voglio, non me ne andrò senza”.
La regina ritira le dita, nella paura fredda del suo respiro, “non puoi chiedermelo, davvero” soffia in un filo di voce, e l’uomo ride, alzandosi in piedi e rubandole una mano, portandosela alle labbra esangui.
“devi”, sospira divertito, “perché per anni hai sfoggiato i miei cappelli mai pagati, ed ora, per legge, devono tornare a me, con tutto ciò che vi sta intorno”.
la donna si stringe la gola con mano sottile, e la testa sul suo collo elegante resta in precario equilibrio al soffiare forte degli eventi.
“ dovrai pur saldare il conto” sorride in un baluginare di denti aguzzi mentre la donna abbassa il capo.
Scacco matto alla regina.
“pagherò i miei debiti”.
una mela caramellata a "il padrino", lui sa il perchè. Perdonami, avrei dovuto essere più dolce.
una tazza da tè a tutti gli altri, grazie di tutto.